I dati emergono da un recente rapporto commissionato da Cida e realizzato insieme a Censis: solo uno su tre italiani non si identifica pienamente come ceto medio, mentre ben il 66% si riconosce in questa categoria. Tuttavia, una forte preoccupazione aleggia sul futuro dei figli, poiché la maggioranza teme che essi vivrà in condizioni economiche peggiori. Il rapporto, presentato alla Camera dei Deputati, evidenzia come il riconoscimento delle competenze professionali sia oggi percepito in maniera molto carente nei calcoli salariali e come la pressione fiscale sia un fardello costante per il ceto medio.
Una realtà tra riconoscimenti negati e richieste di riforma
Il documento mette in luce una problematica centrale: il capitale culturale rappresenta il vero marchio del ceto medio italiano, ma non si traduce in compensi adeguati dal punto di vista economico. Gli italiani riconoscono il valore dell’istruzione e delle competenze acquisite, fondamenta della propria identità, ma denunciano un divario sempre più marcato tra il sapere e la retribuzione ottenuta. Più di otto persone su dieci dichiarano che le proprie competenze non trovano il giusto riscontro nel reddito, e un’alta percentuale auspica una riduzione delle tasse sui redditi lordi.
Nel corso del convegno, alcuni interventi di rilievo sono stati offerti da personalità istituzionali quali Paolo Barelli, Antonio Tajani e Maurizio Leo, insieme a esponenti di rilievo del mondo della politica e del lavoro. Tra i contributori figurano anche figure come Gabriele Fava e Renato Loiero, che hanno sottolineato la necessita di un cambiamento profondo e di una scelta politica decisa per risanare la situazione del ceto medio.
Il paradosso del ceto medio e la generosità silenziosa
Il rapporto evidenzia una contraddizione insormontabile: il ceto medio, pur rappresentando il pietra angolare della società italiana, si trova a dover affrontare una dura realtà. Non basta essere considerati “culturali”: il duro impatto del sistema fiscale e l’assenza di tutele adeguate creano una situazione di stallo, in cui investimenti e resilienza non bastano a garantire un futuro sereno. Chi ogni giorno sostiene famiglie e territori con generosità silenziosa si trova a fronteggiare un sistema che sembra non riconoscere il proprio contributo fondamentale.
Le testimonianze raccolte rivelano che, negli ultimi anni, oltre la metà degli italiani ha avuto redditi fermi o in calo, mentre solo una minoranza ha visto un miglioramento. La contrazione nei consumi è un ulteriore segnale di un malessere sociale diffuso. Infatti, quasi la metà dei cittadini ha già ridotto le proprie spese e una parte consistente teme che le restrizioni possano intensificarsi nei prossimi periodi.
Preoccupazioni per il futuro delle nuove generazioni
Le ansie si estendono anche alle famiglie: il 50% dei genitori ritiene che i propri figli vivranno in una realtà economicamente più difficoltosa e poco stimolante. Questa percezione induce molti a considerare opportunità lavorative all’estero, superando il sogno di una mobilità sociale interna. Nonostante ciò, il ceto medio si distingue per il costante investimento nel futuro dei propri cari, destinando spese straordinarie per garantire un’istruzione e un sostegno economico costante sia ai figli che ai nipoti.
Il contributo dei pensionati rispecchia la medesima attenzione: quasi la metà di essi si impegna regolarmente nel supporto economico alle generazioni più giovani, mentre una larga parte ha già affrontato o prevede di dover affrontare spese non programmate. Questa situazione, definita dal rapporto come una “generosità silenziosa”, rimane sotto pressione a causa della limitata fiducia nelle reti di welfare pubblico.
Crisi di fiducia e necessità di welfare integrativo
Una preoccupazione ulteriore è costituita dalla ridotta capacità di risparmio, un tempo marchio distintivo del ceto medio. Quasi la metà degli intervistati ha visto diminuire la sua possibilità di accantonare fondi, e molti prevedono una situazione ancora più critica nel breve futuro. La sfiducia nei confronti del sistema pubblico di protezione ha alimentato la propensione verso il welfare integrativo: una buona parte dei cittadini ha già scelto soluzioni come fondi pensione o polizze sanitarie, mentre un numero rilevante auspica che nei contratti collettivi si prevedano garanzie sanitarie supplementari.
In questo clima di insicurezza economica e sociale, il grido d’allarme lanciato durante il convegno è denso di significato: l’Italia non può permettersi di ignorare chi rappresenta il motore stesso della sua crescita. Restituire dignità economica alla classe media è fondamentale per preservare il patto sociale alla base della nostra democrazia. Solo con interventi mirati e una politica audace sarà possibile colmare il divario tra il capitale umano e quello economico, assicurando un futuro più equo e sereno per tutti.