La scena del crimine, avvenuta nella villetta di via Pascoli a Garlasco, lascia immagini agghiaccianti. Due mani intrise di sangue, riconducibili all’assassino di Chiara Poggi, compaiono alla soglia delle scale della cantina. In quel preciso istante, il corpo della 26enne viene gettato, senza che le sue orme calpestino la scalinata insanguinata. Questo scenario, intatto negli aspetti della dinamica accusata, si riproduce con cura in ogni dettaglio, quasi a non voler alterare il quadro iniziale dell’evento tragico del 13 agosto 2007.
Il biglietto da visita del killer
La perizia ha evidenziato una traccia distintiva: le scarpe a pallini della marca Frau, o meglio il numero 42, lasciarono l’impronta definitiva. L’assassino si muoveva con sicurezza, quasi familiare con l’ambiente, e in breve tempo si era ripulito il sangue dalle mani. La vittima, che aprì la porta senza sospetto, non ebbe il tempo di reagire e si trovò ormai vulnerabile, tanto da subire un massacro che non lasciò spazio ad alcun grido o tentativo di fuga.
L’indagine ha poi ricostruito il tragico epilogo: la giovane fu raggiunta a pochi passi dall’ingresso, venne colpita più volte, e infine sollevata con entrambe le mani, nonostante il peso inferiore a 50 chili, per essere poi lanciata sulle scale che conducevano alla cantina. La precisione dell’atto è comprovata dal fatto che l’assassino non scese neppure di un gradino, fermando l’impronta insanguinata proprio all’ingresso della scala, dove il rivestimento in cotto cede il passo ai gradini in marmo.
Dettagli sulle tracce lasciate
Le indagini hanno rivelato che ogni movimento compiuto dall’assassino era studiato e metodico. Il tragico cammino del corpo si è proseguito: si è fatto strada lungo il corridoio, passando per il bagno, raggiungendo successivamente la saletta e culminando in direzione della cucina, per poi dirigersi verso l’uscita. La struttura della scala, priva di corrimano, si sviluppa su 13 gradini con due curve, e vi è una scena in cui il cadavere si ferma: il capo, destinato al nono gradino, denota chiaramente il punto in cui il destino tragico si è consolidato.
Un elemento importante riguarda il pigiama rosa indossato da Chiara, sul quale sono state rilevate quattro impronte dei polpastrelli dell’assassino, insieme a un frammento di impronta palmare, tutte impregnate di sangue. Nonostante tali tracce non siano state inizialmente analizzate in maniera esaustiva – dal momento che il corpo venne ruotato e il capo non venne processato come invece la maglia – le immagini raccolte testimoniano un gesto violento: l’assassino, nel sollevare il corpo per gettarlo giù per la scala, si sporcava le mani e, successivamente, si lavava in bagno.
Ritrovamenti e indizi inattesi
La scena raccoglie evidenze ulteriori: sul dispenser del sapone rimangono due impronte, attribuibili a una persona in precedenza indagata per la vicenda, e un’impronta di scarpa a pallini risulta distinguersi sul tappetino, elemento che potrebbe scagionare o incriminare ulteriormente uno dei sospettati. È emerso che l’indagato in questione, considerato un ragazzo perbene e studente modello con una marcata passione per la pornografia secondo i giudici, entrò in contraddizione con le aspettative celate dietro la sua immagine pubblica.
La nuova consulenza tecnica, affidata dalla Procura di Pavia, riporta soltanto un’impronta della mano destra sulla parete delle scale, evidenziando un comportamento in cui l’assassino evitava attivamente di percorrere il percorso insanguinato. In questo contesto, l’analisi delle calzature, che vede un numero differente rispetto a quello attribuibile ad un altro sospettato, diviene cruciale per la ricostruzione completa dei fatti.
Un tragico enigma
Le motivazioni portate alla luce durante il processo del 2014 offrono un quadro inquietante: l’assassino, dopo aver ucciso Chiara, dimostrò una fredda capacità di riprendere il controllo della situazione anche nelle ore successive. Con sorprendente disinvoltura, si dedicò alle sue attività quotidiane: accese il computer, visionò immagini e filmati, e addirittura proseguì nella scrittura della tesi, come se l’omicidio fosse un fatto isolato e non avesse alcun impatto sulla sua vita.
Emerso nei resoconti giudiziari è il fatto che, dopo l’omicidio, egli cercò con astuzia di distogliere gli accertamenti, cercando di dipingere gli eventi come un incidente domestico. Questa condotta fu studiata per allontanare i sospettati e ritardare le indagini, sfruttando anche errori compiuti dagli stessi investigatori.
Alla luce del procedimento, Chiara Poggi risulta essere derivata da un rapporto di fiducia e affetto, trasformato in una presenza giudicata “pericolosa” e “scomoda”, eliminata senza remore. Le testimonianze e le prove raccolte hanno contribuito a delineare un quadro in cui l’assassino, pur agendo con precisione spietata, cercò di nascondere le proprie tracce attraverso un comportamento ambiguo e ingannevole.