La scienza, sempre più presente nelle indagini, sta giocando un ruolo determinante nelle recenti evoluzioni del caso di Garlasco, ma il genetista Marzio Capra suggerisce cautela. Ex membro del Ris di Parma e già coinvolto come consulente nel caso di Yara Gambirasio, Capra da sempre assiste la famiglia Poggi nel cercare la verità con rigore e professionalità, invitando a non correre a conclusioni affrettate.
Nuove scoperte e riflessioni essenziali
Recentemente, la Procura ha annunciato una svolta nella vicenda, evidenziata dalla presenza dell’impronta dell’indagato Andrea Sempio rinvenuta sul muro delle scale quasi 18 anni dopo l’accaduto, segnalando così un nuovo sviluppo nel caso. Questo evento coincide con la fase finale della detenzione del condannato Alberto Stasi, il quale sta per concludere la sua pena. Tuttavia, in questo contesto di entusiasmo e rinnovata attenzione, Capra invita a non farsi trasportare dalle apparenze e a preservare il rigore metodologico.
Il consiglio del genetista è diretto e chiaro: prima di accettare con entusiasmo le ultime analisi proposte dalla Procura di Pavia, occorre esaminare con attenzione tutte le componenti tecniche e metodologiche. Egli sottolinea che le indagini di parte contenute in consulenze non possono essere equiparate alle analisi eseguite in un ambiente in cui è garantita la partecipazione di tutte le parti in contraddittorio, come è stato fatto dal Ris di Parma. In altre parole, i dati prodotti in un contesto esclusivo dovrebbero essere confrontati criticamente con quelli ottenuti in ambienti di discussione condivisa.
La questione delle analisi scientifiche
Per Capra, l’idea che le ultime analisi siano automaticamente le più affidabili equivale a una generalizzazione che porta a considerare l’intero lavoro investigativo come rivelatorio. Il ragionamento porta alla conclusione sorprendente che, se tutte le nuove evidenze fossero da ritenersi superiori, bisognerebbe rifare ogni indagine legata a qualsiasi omicidio, indipendentemente dalle prove già raccolte. Tale deduzione evidenzia una criticità fondamentale del processo investigativo se si perdono di vista i metodi tradizionali e collaudati.
Capra mette in evidenza anche il caso specifico del DNA prelevato dalle unghie di Chiara Poggi, sottolineando che mettere in discussione questo elemento evidenziale vuol dire gettare in dubbio l’intero lavoro investigativo svolto dal Ris di Parma. Se da un lato certi elementi, come le impronte, sono stati giudicati in passato come non idonei o irrilevanti, oggi si computa diversamente il loro valore. Questa evidente ambiguità porta a serie domande: se è possibile riconsiderare il valore delle impronte, perché non si potrebbe fare lo stesso con il DNA di un altro elemento probatorio, come quello attribuito a Bossetti? Questa domanda, pur essendo provocatoria, vuole stimolare una riflessione profonda sull’affidabilità e la consistenza dei metodi adottati.
Il genetista propone dunque una visione duale e ben definita: o un certo elemento probatorio, come l’impronta rinvenuta, è considerato utile e attribuibile oppure non lo è. Tale binarietà, precisano le sue parole, deve guidare il procedimento investigativo e il conseguente utilizzo del denaro pubblico. In conclusione, se uno degli elementi viene rivalutato mentre un altro rimane irreversibilmente accettato, emerge una discrepanza importante che solleva interrogativi sul criterio di spesa e sulla gestione delle risorse statali.
Attraverso queste considerazioni, Marzio Capra richiama all’importanza di mantenere un approccio equilibrato e metodico nell’analisi delle prove. L’obiettivo è garantire che ogni elemento, sia esso una moderna analisi o una tradizionale indagine condotta in pieno contraddittorio, venga valutato con criteri uniformi per preservare la cortesia e la correttezza del sistema giudiziario. La riflessione proposta mira a far emergere il valore della precisione scientifica e la responsabilità nell’impiego dei fondi pubblici, temi sempre attuali e imprescindibili in un sistema investigativo complesso.