Morto Alberto Franceschini, fondatore delle Brigate Rosse e figura chiave della lotta armata
Alberto Franceschini, figura centrale nella storia delle Brigate Rosse, si è spento l’11 aprile scorso, come confermato dall’avvocato Davide Steccanella. La notizia della sua morte è stata resa nota soltanto oggi, suscitando reazioni tra coloro che, nel corso degli anni, hanno avuto modo di incrociare il suo percorso. L’avvocato Ambra Giovene, che in passato lo aveva assistito, ha espresso il proprio rammarico, ricordando l’intensità di quell’incontro e la disponibilità di Franceschini al confronto umano e personale.
Origini e formazione
Nato a Reggio Emilia il 25 ottobre 1947, Franceschini proveniva da una famiglia con profonde radici nella tradizione comunista e partigiana. Nel 1969, dopo aver interrotto i rapporti con la Fgci, prese parte a una manifestazione contro le basi Nato e contribuì alla formazione del cosiddetto Gruppo dell’appartamento insieme ad altri giovani reggiani. La sua scelta di sottrarsi alla leva militare lo portò a trasferirsi a Milano, dove frequentò il Cpm di via Curtatone e si avvicinò agli ambienti della Sinistra Proletaria.
Fu proprio nel capoluogo lombardo che, dopo il convegno di Costaferrata, maturò la decisione di fondare, nel settembre 1970, le Brigate Rosse insieme a Renato Curcio e Mara Cagol. La prima azione riconducibile al gruppo fu l’incendio dell’autorimessa dell’ingegner Giuseppe Leoni, direttore del personale della Sit Siemens, avvenuto il 17 settembre dello stesso anno.
Attività e condanne
Nel corso degli anni successivi, Franceschini si distinse per il suo ruolo operativo all’interno dell’organizzazione. Tra le azioni che lo videro protagonista, si annoverano il sequestro lampo di Idalgo Macchiarini, immortalato in una celebre fotografia con la scritta “colpiscine uno per educarne 100!”, e la gestione del rapimento del giudice genovese Mario Sossi nel 1974, episodio che ebbe ampia risonanza pubblica.
Il suo coinvolgimento nelle attività delle Brigate Rosse portò all’arresto, avvenuto l’8 settembre 1974 insieme a Renato Curcio. Durante la detenzione, Franceschini si impose come uno degli esponenti più attivi nei penitenziari speciali, promuovendo iniziative quali il processo guerriglia a Torino e la rivolta dell’Asinara del 1979. In questo periodo contribuì anche alla redazione di testi che segnarono profonde divisioni interne al movimento, tra cui L’ape e il comunista, L’albero del peccato e Gocce di sole nella città degli spettri.
Le scissioni e la detenzione
Durante la permanenza in carcere, Franceschini aderì al Partito Guerriglia di Senzani, in seguito alla scissione da Moretti, e si fece promotore di una linea dura contro i sospetti di delazione, arrivando a minacciare personalmente Toni Negri nel cortile del carcere di Palmi. Nel dicembre 1983, presso il carcere di Nuoro, intraprese insieme ad altri detenuti politici uno sciopero della fame volto a protestare contro le restrizioni dell’articolo 90, anticipatore del regime 41 bis.
Un cambiamento radicale si verificò con l’introduzione della legge sulla dissociazione del 17 febbraio 1987. Franceschini fu tra i primi a sottoscrivere l’impegno a Rebibbia, rendendo pubblica la propria scelta anche attraverso una pubblicazione personale. Nel gennaio 1988 ottenne la semi-libertà, dopo aver trascorso anni di detenzione caratterizzati da una costante attività politica e intellettuale.
Gli ultimi anni e la scarcerazione definitiva
Il 29 giugno 1992, dopo un periodo di lavoro presso la cooperativa Ora d’aria, il Tribunale di Cagliari dichiarò estinta la pena a suo carico. Tuttavia, il 29 ottobre dello stesso anno, la Procura Generale di Venezia ne ordinò il nuovo arresto, ritenendo che dovesse scontare ulteriori anni di reclusione per il duplice omicidio di Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, avvenuto a Padova nel 1974. La vicenda suscitò numerose interrogazioni parlamentari e portò Franceschini a minacciare un nuovo sciopero della fame. L’intervento del parlamentare comunista Ugo Pecchioli contribuì alla decisione della Corte di Assise di Venezia che, il 9 novembre 1992, confermò la scarcerazione definitiva dopo diciotto anni di detenzione.
Le ultime notizie lo davano presente a Milano lo scorso anno, in occasione della commemorazione di Alexei Navalny, dissidente russo deceduto in un penitenziario siberiano.

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