Il cuore di Roma e la voce di un addio: l’ultimo saluto a Papa Francesco
Oggi, un po’ tutti, abbiamo guardato Roma con occhi diversi. Un senso di vuoto nell’aria, eppure una folla incredibile che non voleva saperne di disperdersi. Un cerchio di persone e volti fin dalle prime luci del mattino, poi diventato un fiume in piena verso la Basilica di San Pietro. Voi lo avete visto, vero? Tutti, in silenzio o con sussurri di preghiera, ci siamo ritrovati a vivere una giornata che resterà incastonata nella memoria. Un addio solenne, eppure sorprendentemente vicino al nostro quotidiano. Si respirava un’aria di rispetto profondo e di semplice commozione, come se il Papa arrivato “dalla fine del mondo” fosse, in fondo, uno di casa.
Un viaggio tra la gente: la città in raccoglimento
La città eterna non si ferma quasi mai, ma in questo giorno si è fermata per davvero. Niente frenesia, niente caos assordante. Alle prime ore dell’alba, ci siamo mossi tutti verso il cuore della cristianità, attraversando varchi di sicurezza rigidi e attenti. Migliaia di agenti e volontari, tutti schierati, pronti a garantire che la processione fosse ordinata e pacifica. Alcuni parlavano sottovoce, altri stringevano un rosario tra le mani, e in tanti si scambiavano sguardi di conforto. Sapevamo che stavamo vivendo un istante di storia e lo sentivamo nelle ossa. Roma pareva avvolta in un velo di solennità, e in Piazza San Pietro si entrava quasi in punta di piedi.
Attorno a noi, una composizione umana che veniva da ogni parte del mondo. Donne e uomini di culture differenti, governanti, persone comuni, persino alcune figure note che non ti aspetteresti di vedere in una celebrazione religiosa. Julian Assange, in piedi in via della Conciliazione, scorto da chi aveva l’occhio più attento. E poi presidenti, reali, personaggi pubblici che si sono ritrovati allineati, fianco a fianco, per rendere l’ultimo omaggio al Pontefice che aveva messo la misericordia al centro di tutto.
Il rito essenziale: un cerimoniale che parla di umiltà
Non c’è stato spazio per i fronzoli. La celebrazione, iniziata alle 10:00 sul sagrato di San Pietro, ci ha ricordato che Papa Francesco amava la sobrietà e la concretezza. Il Cardinale Giovanni Battista Re è stato chiamato a presiedere la liturgia esequiale, e per noi è stato come chiudere un cerchio: fu lui, anni fa, a guidare il conclave che scelse Jorge Mario Bergoglio. Sentire la sua voce, in questa occasione, ci ha portato alla mente l’eco di un pontificato iniziato con lo storico “buonasera” dalla loggia centrale.
Voi avrete certamente notato il feretro di legno chiaro, così semplice da spiccare in mezzo a tutto il resto. Sopra, una mitria bianca e l’anello in argento che per anni ha accompagnato il Papa. Era vestito con la casula rossa – il rosso che segna eventi di grande rilevanza, quasi a ricordarci un martirio d’amore – e con il pallio bianco, a sottolineare il suo ruolo di pastore universale. In mano, un rosario: simbolo di quella devozione mariana che lo ha portato così spesso a sostare davanti all’icona della Vergine Salus Populi Romani.
Le parole del Cardinale Re hanno squarciato il silenzio. Brevi, intense, dedicate a un pontefice che, anche nella malattia, ha insistito per restare in servizio fino all’ultimo. Abbiamo ricordato la sua apparizione pasquale, fragile ma determinata: un’immagine che ci racconta la forza di un uomo che ha scelto di rimanere con la sua gente fino a quando le energie lo hanno sorretto. E, mentre l’omelia proseguiva, avvertivamo la sensazione di essere parte di qualcosa di irripetibile.
Delegazioni oltre i confini: un cordoglio mondiale
Abbiamo assistito a un raduno di rappresentanze internazionali che raramente si vede riunito in un’unica piazza. Più di 160 delegazioni, tra cui presidenti, sovrani e leader religiosi. Proprio in prima fila, l’Argentina che gli ha dato i natali e l’Italia che l’ha accolto come vescovo di Roma: da un lato il Presidente argentino Javier Milei con la sorella Karina, dall’altro il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Poi, scorrendo le altre delegazioni, spiccavano re, regine, presidenti di tanti Paesi e perfino il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, accolto da un applauso spontaneo, in memoria degli appelli incessanti di Papa Francesco per la pace in quell’area tormentata.
Qualcuno di voi si sarà chiesto come fosse possibile che tutte queste personalità, di estrazione così diversa, si ritrovassero unite. Eppure, è successo. Insieme, con lo stesso rispetto. Abbiamo visto persino messaggi di cordoglio provenienti da Israele, a testimonianza di un Pontefice che è stato capace di allacciare legami con comunità molto differenti, sempre sul filo del dialogo e dell’inclusione.
Il commiato e il passaggio: un corteo che attraversa Roma
Verso la fine della Messa, attorno alle 12:00, un silenzio spesso ci ha fatti sussultare. L’Ultima commendatio e la Valedictio hanno segnato il congedo ufficiale. Poi, i sediari pontifici hanno preso in spalla il feretro e si sono mossi in processione all’interno della Basilica di San Pietro per un breve momento di preghiera. Lì, in quell’abbraccio solenne, abbiamo percepito un senso di sospensione, come se un pezzo di storia si fosse cristallizzato in un istante di raccoglimento.
Ma il viaggio non era finito. Subito dopo, il feretro ha lasciato la Basilica in un carro funebre. Erano le 12:28 e un corteo solenne si è incamminato verso la Basilica Papale di Santa Maria Maggiore. Lo sapevamo già: Papa Francesco aveva espresso il desiderio di riposare lì, accanto all’icona della Vergine a cui aveva dedicato più di cento visite nel corso del pontificato. Nessun protocollo standard, nessuna tumulazione nelle Grotte Vaticane. Una scelta di rottura, ma perfettamente in linea con il suo modo di essere.
Un tragitto tra storia e devozione
Noi tutti, davanti allo schermo o lungo le strade, abbiamo accompagnato il percorso del carro funebre attraverso il centro di Roma. Il tempo sembrava dilatato. Circa sei chilometri di marcia lenta, costeggiando luoghi simbolici come Piazza Venezia e il Colosseo, mentre un fiume di persone si affollava dietro le transenne. Stima di 150.000 presenti, cifre impressionanti se pensiamo alla quotidiana frenesia della Capitale. Ma, in quei momenti, la città ci è sembrata un grande santuario a cielo aperto, un insieme di volti commossi e voci sommesse.
Arrivati a Santa Maria Maggiore, verso le 12:55, ci siamo trovati di fronte a uno dei gesti più potenti di questa giornata: quaranta persone “ultime”, come lui stesso le definiva, in attesa sul sagrato. Poveri, detenuti, emarginati, migranti, tutti uniti nel tributare un omaggio finale. Avrebbero potuto restare in disparte, invece erano lì, con una rosa bianca tra le mani, come a dirci che la sensibilità di Papa Francesco non era retorica, ma vita vissuta.
Santa Maria Maggiore: la sepoltura e il silenzio
È stato un attimo, quasi un sussurro collettivo. Il feretro è entrato processionalmente, accompagnato dal canto del Magnificat. Noi, rimasti all’esterno o in ascolto, abbiamo immaginato quella scena: i canonici di San Pietro, i sediari pontifici che sostano davanti alla Cappella Paolina e quella carezza invisibile all’icona della Salus Populi Romani. Se chiudiamo gli occhi, riusciamo a vedere l’ultimo saluto di un pastore alla Vergine che aveva invocato in ogni passaggio cruciale del suo pontificato.
Alle 13:00, in forma privata, è iniziato il rito di tumulazione. Lo ha presieduto il Cardinale Camerlengo Kevin Joseph Farrell, con i familiari del Papa defunto e qualche persona indicata dal cerimoniale. In mezz’ora, tutto si è compiuto. La tomba di Papa Francesco adesso è lì, in un sepolcro di terra, coperto da una lastra di pietra ligure, con inciso semplicemente “Franciscus”. Nient’altro. A rimarcare uno stile che non sopportava eccessi o orpelli. Voleva “esequie come tutti i cristiani” e fino all’ultimo, ha ribadito la sua coerenza.
Tradizioni spezzate e nuovi orizzonti
Sappiamo che, con questa scelta, si è interrotta una tradizione lunghissima che prevedeva la sepoltura dei Papi nelle Grotte Vaticane. In passato, già alcuni pontefici avevano riposato a Santa Maria Maggiore, ma non certo in epoca recente. Ci colpisce la sua coerenza: 126 visite a quel luogo durante il pontificato, un amore profondo per quell’icona mariana che rappresenta la protezione per il popolo di Roma. Scegliere di rimanere lì per sempre è un messaggio chiaro e forse anche un modo per dirci di puntare alla semplicità del Vangelo.
La Sede Vacante: un momento di passaggio
Con la morte del Pontefice, si è aperta la Sede Vacante. Vi state chiedendo che cosa comporti? Anche noi abbiamo provato un po’ di smarrimento. Eppure, è un processo ben definito: il Cardinale Camerlengo – Kevin Joseph Farrell, come dicevamo – si occupa del governo ordinario della Chiesa, occupandosi solo delle questioni che non si possono rimandare. In un passato lontano, esisteva pure la tradizione di coniare monete con l’indicazione “Sede vacante” e lo stemma del Camerlengo, ma dal 2008 questa usanza si è interrotta, anche per decisioni di carattere economico e normativo.
Nel frattempo, le celebrazioni del Novendiale – nove giorni di preghiere in suffragio del Papa – ci accompagneranno in un clima di raccoglimento. Subito dopo, ci sarà il Conclave. E così i cardinali elettori si raduneranno, sempre con i riti e i passaggi previsti dalla Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis, per scegliere il nuovo Successore di Pietro. Un momento che, ancora una volta, richiamerà l’attenzione del mondo sull’Urbe, pronta a vivere un’altra pagina di storia.
Sicurezza e protezione: la città sotto controllo
Forse qualcuno di voi si chiede come abbia fatto Roma a gestire un afflusso di questa portata. Beh, è stato un capolavoro di coordinamento. Il Prefetto di Roma, Lamberto Giannini, ha espresso grande soddisfazione: migliaia di agenti, sistemi anti-drone, tiratori scelti e la decisione di dichiarare una vasta zona rossa intorno al Vaticano. Tutto studiato nei dettagli, per consentire a centinaia di migliaia di persone di prendere parte alle esequie in modo sicuro. 250.000 fedeli solo in piazza e altri lungo i sei chilometri del tragitto. Numeri impressionanti, ma la sensazione era di ordine e compostezza. Chi ha vissuto il flusso dall’interno racconta di controlli intensi e di una pazienza collettiva che raramente si vede.
Un’eredità che continua: la forza dei gesti
Abbiamo visto con i nostri occhi una cerimonia rinnovata rispetto agli schemi tradizionali, una liturgia più essenziale che puntava sul silenzio e sul raccoglimento. Il Cardinale Re ha insistito sulla parola “semplicità”. Lo ha fatto con l’intento di restituire a tutti l’impronta spirituale di Papa Francesco, sottolineando che il Vangelo si comunica spesso con gesti più forti di tante parole. È stata celebrata in latino, ma non sono mancate letture in diverse lingue, come l’italiano, l’inglese, il polacco e persino l’arabo, segno di una Chiesa che guarda davvero a ogni angolo della terra.
Quando la Messa è terminata, l’In Paradisum ha accompagnato la bara, e in quel momento abbiamo colto un’unità di intenti grande quanto la piazza stessa. Toccante anche la testimonianza del tenore Andrea Bocelli, che ha voluto ricordare la “disarmante bontà” di Papa Francesco. Del resto, lo abbiamo percepito: Francesco è stato amato, anche da chi non si è mai sentito vicino alla Chiesa. Ed è proprio qui che risiede il segreto del suo pontificato: farci sentire tutti un po’ parte di una casa comune.
L’abbraccio degli “ultimi”
Non possiamo dimenticare il dettaglio più potente: quei quaranta senzatetto, detenuti, persone transgender o migranti che hanno accolto la bara all’ingresso di Santa Maria Maggiore, con una rosa bianca tra le mani. Un gesto che vale più di mille discorsi, perché riassume lo stile di un Papa che ha sempre teso la mano a chi si sente escluso. Un pastore che ci ha mostrato come la Chiesa dovrebbe aprire le porte e guardare i più fragili con occhi compassionevoli. Nel vederli lì, ci siamo resi conto di come i suoi insegnamenti rimangano vivi e concreti. Ora che il feretro di Papa Francesco riposa nella navata laterale della Basilica di Santa Maria Maggiore, noi avvertiamo un senso di gratitudine e di mancanza allo stesso tempo. Gratitudine per il suo esempio, che continuerà a ispirarci anche dopo il suo trapasso, e mancanza perché quella voce così diretta non risuonerà più nella piazza la domenica. Tuttavia, il suo messaggio di vicinanza agli emarginati, di servizio umile e di pace non scomparirà con lui. Continuerà a risuonare in ogni singolo angolo del mondo.
Chissà come reagirete voi a tutto questo. Forse qualcuno sentirà il bisogno di pregare, altri di riflettere sulla testimonianza di un pastore che ha saputo segnare un’epoca, in un momento storico così complesso. Forse, come lui ci ha insegnato, anche noi ci domanderemo che cosa significhi prendersi cura delle persone più fragili, senza inseguire i clamori e i riflettori. Siamo davanti a un passaggio cruciale, un periodo di Sede Vacante che ci porterà a un nuovo Pontefice. Eppure, non riusciremo a dimenticare l’impronta di Francesco, la sua passione per i “margini”, il suo invito a raggiungere la periferia dell’anima.
Potremo ricordare questa giornata come un addio formale, ma è stata molto di più: un momento in cui l’intera comunità umana si è unita attorno a un unico dolore e a un’unica speranza. Non c’è retorica che tenga, solo l’immagine di una folla immensa che si è stretta attorno a un feretro di legno chiaro e a una storia di fede vissuta con audacia. Ora che la luce del giorno si è spenta su Roma, resta viva la fiamma della gratitudine per un Papa che ha saputo parlare con onestà e amore a chiunque. Non è retorica: lo abbiamo visto con i nostri occhi. E finché custodiremo la sua eredità nel cuore, il ricordo di Francesco continuerà a camminare con noi, passo dopo passo, come una guida verso un mondo un po’ più umano.

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