Guerrina Piscaglia, omicidio riconosciuto ma nessuna successione senza certificato di morte
La vicenda di Guerrina Piscaglia si distingue per la complessità delle sue implicazioni giuridiche e amministrative, poiché, nonostante la condanna definitiva del responsabile del suo omicidio, la donna risulta ancora formalmente in vita agli occhi della burocrazia. L’assenza di un certificato di morte, dovuta al mancato ritrovamento del corpo, impedisce ogni procedura successoria e mantiene i beni della vittima in uno stato di inaccessibilità per i familiari.
Un limbo anagrafico e amministrativo
Secondo la sentenza della Corte di Cassazione, Gratien Alabi, noto come padre Graziano, è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di Guerrina, avvenuto il primo maggio 2014 a Cà Raffaello, nel territorio di Badia Tedalda (Arezzo). L’ex sacerdote, oggi detenuto, sta scontando una pena di venticinque anni di reclusione. Tuttavia, la mancata individuazione dei resti della donna ha generato una situazione di sospensione, in cui le questioni amministrative rimangono irrisolte.
L’istituto bancario presso cui Guerrina aveva depositato i propri risparmi si attiene scrupolosamente alle normative vigenti, richiedendo ai familiari il certificato di morte per poter procedere con la successione. Tale documento, però, non esiste, poiché la donna, pur essendo scomparsa dai registri anagrafici e priva di codice fiscale, non è stata ufficialmente dichiarata deceduta.
Le procedure legali per la dichiarazione di morte presunta
Per ottenere il riconoscimento formale del decesso, la normativa prevede un articolato procedimento denominato dichiarazione di morte presunta, che necessita di specifici passaggi giudiziari. In assenza di un cadavere o di resti identificabili, la legislazione italiana non consente di basarsi esclusivamente sull’esito del processo penale per aggiornare lo stato civile della persona scomparsa. La famiglia di Guerrina sta valutando le opzioni a disposizione per affrontare questa intricata situazione.
Le azioni civili contro l’istituzione ecclesiastica
Nel frattempo, si è conclusa presso il tribunale di Arezzo la prima delle due cause civili intentate dai familiari della vittima contro la Chiesa. Il giudice Fabrizio Pieschi, dopo aver ascoltato le parti, dovrà pronunciarsi sull’eventuale responsabilità dell’istituzione ecclesiastica e sulla possibilità di un risarcimento a favore dei congiunti della parrocchiana uccisa da un ministro della stessa. Gli Alessandrini, rappresentati dagli avvocati Francesca Faggiotto e Nicola Detti, hanno avanzato una richiesta di un milione di euro, fondando la loro azione su una responsabilità oggettiva dell’ente per il comportamento del suo rappresentante.
La decisione del giudice, attesa prima della sospensione estiva delle attività giudiziarie, potrebbe segnare un precedente significativo, poiché si tratta di una delle prime iniziative legali di questo genere a livello internazionale. Parallelamente, è in corso un’altra causa promossa dalla famiglia Piscaglia, che si aggiunge ai numerosi nodi burocratici e giuridici ancora da sciogliere.
Le motivazioni della condanna e le indagini
La sentenza ha attribuito a padre Graziano la responsabilità dell’eliminazione di Guerrina, motivata dal timore che la donna, con la quale aveva intrattenuto una relazione personale, potesse rivelare la natura del loro rapporto. Nonostante l’assenza di testimoni oculari e di prove materiali quali tracce ematiche, la condanna si è fondata sull’analisi degli spostamenti ricostruiti tramite le celle telefoniche e sugli errori commessi nel tentativo di depistare le indagini attraverso l’uso del cellulare della vittima, mai recuperato.
Permangono dunque numerosi interrogativi e questioni irrisolte, sia sul piano giudiziario che amministrativo, in una vicenda che continua a suscitare profonda attenzione e riflessione.

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