Papa Francesco, un addio intenso al Pontefice venuto dai margini del mondo
Oggi ci troviamo in un momento che avremmo voluto rimandare all’infinito. La scomparsa di Papa Francesco ci lascia scossi e un po’ più soli. Chissà se anche voi sentite questo vuoto improvviso. Stiamo parlando di un uomo che, passo dopo passo, è entrato nelle nostre vite con un sorriso disarmante e parole che sapevano di quotidianità. Abbiamo perso un testimone di semplicità e coraggio, un pastore che non ha avuto paura di chiamarsi Francesco per ricordarci che i poveri, i migranti e gli “scartati” non sono mai un contorno ma il cuore pulsante di ogni comunità cristiana e umana.
La fine di una vita, l’inizio di una memoria

Stamattina, 21 aprile 2025, ore 7:35. A Casa Santa Marta il respiro di Jorge Mario Bergoglio si è fermato. Ottantotto anni vissuti col fiato corto, diremmo noi. Il cardinale Kevin Farrell lo ha annunciato in due parole secche, il minimo indispensabile per farci tremare le ginocchia: Papa Francesco se n’è andato e fino all’ultimo ha voluto restare sul marciapiede, gomito a gomito con la gente. Pensateci bene: si tiene l’appartamento minuscolo, tira fuori il portafogli per saldare il conto dopo il conclave, lascia quei saloni del palazzo apostolico a prendere polvere. Diteci la verità, voi, chi avrebbe puntato un centesimo su gesti così fuori copione?
E invece lui, dal 2013, ci ha insegnato che le tradizioni possono essere spezzate in nome di un’umanità più schietta. E adesso? Adesso noi ci chiediamo come sarà domani, senza quel volto un po’ segnato, il passo malfermo ma sempre deciso a ripetere che la Chiesa esiste per chiunque cerchi un po’ di speranza. La Sede Vacante è cominciata con il rintocco a lutto delle campane di San Pietro e tra qualche settimana un nuovo conclave ci porterà un successore. Ma di ciò che Francesco ha lasciato, nessuno potrà fare a meno: la sua insistenza sui poveri, la voglia di riformare la Curia, la mano tesa alle periferie del mondo.
Dalle ferrovie argentine ai progetti in Giappone che non avvennero mai

Facciamola semplice, voi che ci leggete, venite con noi un istante più indietro. È 17 dicembre 1936, l’estate australe arroventa Buenos Aires e fra le strade polverose di Flores, arriva al mondo Jorge Mario.
Papà Mario timbra biglietti alle ferrovie, portandosi dietro l’inflessione piemontese; mamma Regina Maria riempie la casa di profumo ligure e di racconti salmastri. E poi i nonni: 1928, valigie leggere, risparmi cuciti nel cappotto, un naufragio schivato per un soffio — già lì il destino segnava la rotta. Da quel semi‑miracolo in avanti, ogni passo di Jorge sa di coraggio e di strada in salita, ma lui parte lo stesso, a testa bassa, cuore aperto.
Noi immaginiamo quel ragazzino soprannominato el flaco, magro e magari anche un po’ impacciato a giocare a calcio, tifoso del San Lorenzo de Almagro, sognando gol che spesso non arrivavano. A 12 anni scrive una lettera alla vicina di casa, Amalia, dichiarandole un amore infantile e aggiungendo che, se fosse stato rifiutato, si sarebbe fatto prete. Una specie di scherzo del destino? Forse no. Nel 1953, infatti, qualcosa lo colpisce in modo radicale. Durante una confessione, avverte un senso di chiamata, un “incontro con qualcuno che mi stava aspettando”. E da lì, la direzione è segnata: non sarà un medico, come la madre sperava, ma un novizio della Compagnia di Gesù.
Tra chimica, buttafuori e Compagnia di Gesù

C’è un aspetto sorprendente della vita di Bergoglio che spesso non ci ricordiamo. Prima di entrare in seminario, aveva studiato da perito chimico e lavorato perfino come buttafuori in un locale argentino. Sembra quasi impossibile, pensando a quell’uomo mite che poi diventerà pastore universale. Eppure è un tratto di concretezza che, se riflettiamo, gli è rimasto appiccicato addosso. Nel 1958 entra nel noviziato dei gesuiti e mette nel cassetto un progetto ambizioso: avrebbe voluto andare in missione in Giappone, ma i suoi problemi di salute glielo impediscono.
Già, la salute. All’età di 21 anni, affronta un intervento per l’asportazione di parte del polmone destro, a causa di un’infezione seria. Un handicap che non gli impedirà di andare avanti, ma che resterà un campanello d’allarme costante e si farà sentire più volte negli anni a venire. Eppure non lo vediamo mai fermarsi davvero. Studia filosofia e teologia, diventa sacerdote il 13 dicembre 1969 e si lega in maniera definitiva all’Ordine nel 1973, proprio mentre l’Argentina entra in uno dei periodi più bui della sua storia.
Anni difficili: la dittatura e le ferite ancora aperte

Sappiamo bene come dal 1976 al 1983 il paese abbia vissuto la dittatura militare. Bergoglio, nominato provinciale dei gesuiti in Argentina, finisce nel mirino di controversie. Alcune accuse lo hanno addirittura indicato come colluso col regime nel rapimento di due confratelli gesuiti. Lui ha sempre negato, e diversi testimoni, fra cui il Nobel per la Pace Pérez Esquivel e lo stesso padre Jalics, hanno difeso la sua figura, raccontando degli sforzi per salvare i perseguitati. Sono pagine di storia tormentate, in cui la verità ha più sfumature di quante ne vorremmo. Ciò che a noi interessa, oggi, è che questi fatti non hanno mai offuscato del tutto la sua reputazione di uomo di preghiera e di dedizione.
Dopo il periodo da provinciale, Bergoglio sceglie un passo indietro, ritirandosi a momenti di riflessione. Diventa rettore del Collegio di San Giuseppe e lontano dai clamori, si nutre di quella “teologia del popolo” propria di tanti gesuiti argentini. Rimangono gli interrogativi, ma per lui la missione procede dritta verso nuove responsabilità.
Buenos Aires: un vescovo fra i bus e le baraccopoli

1992. Giovanni Paolo II punta il dito e affida a Jorge la panchina da vescovo ausiliare di Buenos Aires. Da quel momento, ragazzi, qualcuno schiaccia «avanti veloce»: ’97 coadiutore, ’98 arcivescovo – il cardinale Quarracino saluta e se ne va. E noi, spettatori col biglietto dell’autobus in mano, restiamo a bocca aperta: lui continua a timbrare, rientra in un appartamento che sembra una scatola di scarpe, si infila nelle villas miserias a respirare polvere e storie che graffiano.
Arriva il 2001. Roma lo veste di porpora mentre l’Argentina barcolla per la crisi, e Bergoglio risponde con un gesto che stringe lo stomaco: lava e bacia i piedi a dodici malati di AIDS. Vi ricordate? Le piazze urlavano, lui stava in ginocchio.
Poi le scintille con i governi Kirchner. La legge sulle unioni omosessuali fa rotta verso il Parlamento, e Bergoglio alza la mano, difende la sua idea di Vangelo e dei piccoli, costi quel che costi. Conclave 2005: Benedetto XVI esce dall’urna, ma nei corridoi si mormora che i voti per Bergoglio correvano veloci. Segno che, prima o poi, quelle volte alte della Sistina avrebbero bussato di nuovo al nome di quel gesuita con il passo da pendolare.
Una sera di marzo, un nome inedito: Francesco

Il 13 marzo 2013, quando i cardinali si ritrovano a eleggere il nuovo Papa dopo la rinuncia di Benedetto XVI, tutto accade in fretta. Al quinto scrutinio, ecco il nome di Jorge Mario Bergoglio che emerge. Primo Papa sudamericano, primo gesuita, un pontefice che sceglie di essere Francesco, come il santo di Assisi. La gente in piazza San Pietro non dimenticherà mai quel semplice “Buonasera”, né la richiesta di pregare per lui prima che fosse lui stesso a benedire i fedeli. Un momento che ci ha quasi commosso.
Da lì inizia una storia fatta di gesti inediti: rifiutare la residenza papale tradizionale, preferendo Casa Santa Marta; mantenere la croce pettorale di metallo anziché in oro; viaggiare in un’utilitaria invece di utilizzare auto di lusso. E soprattutto, parlare di “Chiesa in uscita”. Cosa significa? Significa che, secondo Francesco, la Chiesa doveva smettere di stare raggomitolata nei propri riti, aprendosi a chiunque viva ai margini.
Misericordia, riforme e qualche scossone alla Curia

Ricordate quei giorni in cui Francesco spingeva il motore a tavoletta? Ci mette sul tavolo il C9 – nove cardinali, un piccolo cantiere mobile – e comincia a svitare bulloni nella Curia. Tutto finisce in Praedicate Evangelium (2022), fogli che ancora profumano d’inchiostro, mappa nuova di ruoli e corridoi. E i numeri? Apre finestre, rovescia registri, scrolla lo IOR. Trasparenza, sobrietà, coerenza: vuole farci camminare leggeri.
Intanto piazza argini contro gli abusi: Commissione per la Tutela dei Minori, motu proprio Vos estis lux mundi, regole fresche che pizzicano. Qualcuno borbotta – il nodo del vescovo Barros in Cile brucia ancora – ma lui tiene la barra, linea dura, sempre.
Molte delle sue parole si sono concretizzate in tre documenti cardine. Laudato si’ (2015), un’enciclica sull’ambiente e i poveri, ci ha ricordato che la terra è di tutti e non va sfruttata come un prodotto usa e getta. Amoris laetitia (2016) ha portato dibattiti roventi su matrimonio e famiglie “irregolari”. E Fratelli tutti (2020) ha sottolineato l’urgenza di una fratellanza universale. In queste pagine, noi abbiamo visto un pastore che non si è fatto intimorire dalle correnti tradizionaliste. In particolare, Amoris laetitia ha suscitato divisioni evidenti, con alcuni cardinali che hanno espresso dubbi ufficiali (i famosi dubia), ma Francesco ha continuato a ripetere che la misericordia è l’architrave della Chiesa.
Una carezza per chi non ha voce

Ricordiamo bene il suo primo viaggio a Lampedusa, nel 2013, per sensibilizzare sul dramma dei migranti. Stiamo parlando di un uomo che ha speso parole forti contro la “globalizzazione dell’indifferenza”, chiedendo più accoglienza e canali legali. E non si è fermato lì: dalle visite in Iraq ai gesti simbolici in Bangladesh o nella Repubblica Democratica del Congo, Francesco si è sempre messo in viaggio per incontrare i popoli dimenticati, quelli che raramente fanno notizia sulle prime pagine.
Questo pontificato ha visto anche passi avanti nel dialogo ecumenico ed interreligioso. Lo storico incontro con il Patriarca russo Kirill nel 2016, la firma del “Documento sulla Fratellanza Umana” con l’imam di Al-Azhar nel 2019, e l’appello costante per la pace in Siria o Ucraina mostrano un Papa intenzionato a ridurre le distanze. Non tutti hanno apprezzato il suo approccio: alcuni lo hanno definito troppo cauto verso regimi complessi, dalla Cina al Venezuela. Ma il dialogo, per lui, è sempre stato meglio dell’incomunicabilità.
La malattia: un compagno di viaggio fastidioso
Le condizioni di salute di Francesco ci hanno spesso preoccupati. Un solo polmone parzialmente funzionante fin da ragazzo, alcuni interventi chirurgici (al colon e alla parete addominale), l’artrosi al ginocchio che lo ha costretto più volte alla sedia a rotelle… Tutto faceva presagire un pontificato non sempre facile. Eppure, è rimasto tenacemente alla guida della Chiesa, continuando a sottolineare priorità che per lui non potevano aspettare. Nei primi mesi del 2025, la situazione è peggiorata con una bronchite polimicrobica che ha portato anche a una polmonite bilaterale, obbligandolo a un lungo ricovero al Policlinico Gemelli. Nonostante la fragilità evidente, si è affacciato ancora una volta dalla Loggia di San Pietro per le celebrazioni pasquali, regalando ai fedeli un ultimo gesto di vicinanza.
L’eredità e la prossima pagina da scrivere

E adesso, che lui ha chiuso la porta alle nostre spalle, restiamo tutti con il fiato sospeso e ci chiediamo, voi insieme a noi: che succede ora? Vediamo una Chiesa con le scarpe slacciate, pronta a scendere in strada, a parlare senza microfoni, a farsi vicina a chi ha la voce spezzata. Guardatevi attorno e dentro: quante volte, in questi dodici anni, abbiamo capovolto la nostra idea di fede? Quante volte l’abbiamo sentita come un motore che spinge verso la polvere dei marciapiedi invece che dentro muri di pietra?
Francesco amava i gesti che fanno rumore: accendeva discussioni, saltava protocolli, metteva insieme e divideva nello stesso respiro. Quelle crepe lo tengono vivo, vicino, imperfetto.
I prossimi giorni saranno carichi: funerale solenne, poi la discesa nella cripta di Santa Maria Maggiore, accanto alla Salus Populi Romani, la Madonna che baciava a ogni partenza. Intanto i cardinali si preparano: entro una ventina di giorni porte chiuse in Sistina e un nuovo nome soffierà dal camino. E noi, con voi, restiamo qui a stringere quest’eredità che brucia come brace, pronti a soffiarci sopra perché continui ad ardere.
Ci guardiamo attorno, sentendo che questa notizia ha sconvolto il panorama mondiale. Persone di ogni cultura, religione e tradizione si chiedono che cosa accadrà. Cambierà la linea della Chiesa? Proseguirà la traiettoria indicata da Francesco? Sono domande aperte, a cui nessuno di noi può rispondere con certezza. Di sicuro, il futuro Papa non potrà ignorare l’eredità di uno stile di vicinanza agli ultimi e di continua tensione riformatrice. Anche chi non è credente, forse, ha visto in lui un leader fuori dagli schemi.

Tutto considerato, la morte di Papa Francesco segna la fine di un capitolo avvincente e ancora pieno di sfide. Ora tocca a noi, come comunità, come società, come Chiesa, capire se abbiamo davvero recepito quel messaggio di tenerezza, di apertura, di servizio che ci ha regalato sin dal momento in cui, affacciato alla Loggia di San Pietro, ci ha augurato semplicemente una buona serata. Quasi fosse un vicino di casa, uno di noi, che non cerca formalità ma parole di sostanza. E allora sì, questa eredità si trasforma in impegno: chi raccoglierà il testimone? A noi resta il ricordo di uno sguardo, di un sorriso, e di una Chiesa che si è voluta fare povera, per stare accanto a chi non ha nulla.
Faremo fatica, nelle prossime ore, a convincerci che Papa Francesco ha davvero lasciato la scena. Eppure, se chiudiamo gli occhi, eccolo ancora: curvo sul banco di un carcere romano ad ascoltare un detenuto che non crede più al domani; impolverato lungo il Nilo Bianco, mentre spinge la sedia a rotelle di un bimbo sud-sudanese; fermo al confine di Lesbo, mano tesa fra i barconi e la sabbia che scotta. E in quel preciso istante capiamo che la sua voce continua a dirci qualcosa di semplice: siate anche voi, ciascuno a modo proprio, pontefici di ponti, costruttori di dialogo, portatori di speranza. In fondo, non è proprio questo il filo rosso che ci ha trasmesso? Sì, noi crediamo di sì. E non abbiamo intenzione di dimenticarlo.
«Aprite le braccia fin dentro la polvere delle periferie e lasciatevi ferire dal grido che lì nasce: in quel taglio scoprirete il respiro di Francesco che corre ancora sugli autobus di Buenos Aires, scuote le onde di Lampedusa, piega le campane di San Pietro al suo ritmo… e fa tremare ogni nostro cuore finché la speranza, ostinata, divampa più forte della morte.» (Junior Cristarella)

Cerchi qualcosa in particolare?
Pubblichiamo tantissimi articoli ogni giorno e orientarsi potrebbe risultare complicato.
Usa la barra di ricerca qui sotto per trovare rapidamente ciò che ti interessa. È facile e veloce!