La notizia della scomparsa di Papa Francesco ha attraversato continenti e confessioni, gettando un velo di mestizia che abbraccia anche la storica comunità delle femminelle di Napoli. Per chi ha condiviso con lui speranze di riscatto e dignità, il ritorno del Pontefice alla «casa del Padre» risuona come un commiato collettivo: un addio a un pastore capace di portare il Vangelo nelle periferie materiali e umane. Il lutto di oggi non è soltanto dolore: è la ricomposizione di una vicinanza che nessuna barriera religiosa o sociale aveva saputo scalfire. Lo ricorda ogni gesto con cui ha riconosciuto la piena umanità di quanti, troppo spesso vittime di etichette e pregiudizi, cercavano solo ascolto.
Una vocazione all’abbraccio universale
Sin dall’inizio del pontificato, Papa Francesco ha modellato il proprio servizio su una pastorale dell’incontro, senza deroghe né recinti. Egli ha tradotto in azione la convinzione che ogni creatura porta in sé l’impronta di Dio, affrontando povertà, malattia e detenzione con la stessa premura riservata alle aule solenni. Non era retorica, ma esercizio quotidiano di prossimità: nelle mense dei senza dimora, nei corridoi degli ospedali, fra i detenuti che vivono l’angustia della reclusione. A ciascuno ha offerto non semplici parole di conforto, bensì la certezza di essere accolto senza condizioni, in una Chiesa che si inginocchia prima di pronunciare giudizi.
Questa apertura radicale trovò una sintesi potente nel celebre interrogativo che rilanciò davanti ai cronisti: «Chi sono io per giudicare?». Con quelle cinque parole il linguaggio dottrinario si trasformò in alfabeto di misericordia, suscitando approvazione diffusa fra i fedeli ma anche riserve entro le mura vaticane. Numerosi porporati manifestarono perplessità, temendo che l’accoglienza estesa alla comunità LGBTQ+ incrinasse equilibri consolidati. Il Pontefice, tuttavia, mantenne la rotta con fermezza e tenerezza, ricordando che anche i gay sono figli di Dio e che la dignità non ammette graduatorie. La sua resilienza pastorale divenne così un manifesto di Chiesa in uscita.
La voce di Stefania Zambrano e delle trans napoletane

La testimonianza più vibrante di questa vicinanza giunge da Stefania Zambrano, figura di riferimento per le artiste e attiviste trans partenopee. Riecheggia l’immagine del corridoio del carcere di Poggioreale dove, lontano dai riflettori, il Pontefice pranzò con un gruppo di detenute trans. Quell’evento, apparentemente marginale nell’agenda istituzionale, divenne per le presenti una rivoluzione interiore: sentirono che la loro storia, troppo spesso ridotta a cronaca giudiziaria o folkloristica, assumeva valore sacramentale. Da quel giorno—ricorda Zambrano—nessuna di noi si è più percepita sola, perché l’autorità massima della Chiesa aveva scelto di condividere il pane con loro.
Non fu un gesto isolato. Nei mesi successivi i contatti con la segreteria papale si fecero costanti, alimentando iniziative di sostegno morale e spirituale promosse dallo staff di Miss Trans Europa. Oggi, mentre quell’équipe piange la perdita di una guida inattesa, si affida alla consapevolezza che la missione di inclusione non si interrompe con la sua morte. L’eredità lasciata da Francesco—sottolinea Zambrano—consiste nel rovesciare la logica della tolleranza per abbracciare la fraternità. Una lezione che ora spetta alle istituzioni, civili e religiose, tradurre in politiche e gesti quotidiani di rispetto.
Il grido di pace e l’urgenza di un cambio di rotta
Quando la salute si fece fragile, il Papa non smise di levare la voce contro i conflitti che dilaniano interi popoli. Fino all’ultima Pasqua, benché stanco, invocò la cessazione delle ostilità, denunciando il cinismo di economie basate sulle armi. Tuttavia la sua supplica rimase sospesa fra i palazzi del potere, spesso più interessati al tornaconto che all’umanità ferita. Il suo addio interroga ora la coscienza di chi, con le proprie scelte, può arrestare il ciclo di vendette che sacrifica vite di bambini e giovani. La pace era il sogno incompreso che lo accompagnava; la sua morte chiede di tradurlo in realtà.
L’assenza di Papa Francesco rischia di lasciare orfano un mondo in cui la vendetta e il denaro si ergono a divinità dominanti. Le nuove generazioni crescono alimentando rabbia, poiché la violenza osservata quotidianamente scava in loro un solco profondo. Il lutto odierno divenga allora un esame di coscienza collettivo: anziché piangere soltanto, occorre imboccare con decisione la strada della conversione sociale indicata dal Pontefice. Stefania Zambrano e l’intera comunità trans napoletana, pur affrante, scelgono di celebrare il suo ritorno alla casa del Padre con la promessa di portare avanti il suo messaggio. Buon viaggio, Papa Francesco: riposa in pace mentre il tuo seme di speranza germoglia.