La possibilità di una risposta militare automatica da parte della Nato in caso di attacco russo contro uno dei suoi Stati membri non è garantita. Lo chiarisce l’avvocato Marco Valerio Verni, esperto di diritto e referente dell’area giuridica di ‘Difesa Online’. Il dibattito si accende proprio mentre il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Mark Rutte, ha messo in guardia il presidente russo Vladimir Putin, sottolineando che un’aggressione a un Paese Nato potrebbe scatenare una “reazione devastante”.
Secondo Verni, la percezione diffusa secondo cui un attacco a un membro della Nato attiverebbe automaticamente l’intervento armato di tutti gli altri Stati non trova pieno riscontro nella normativa vigente. “L’articolo 5 del Trattato Nato non stabilisce con certezza che il ricorso alla forza sia obbligatorio”, spiega l’esperto.
Ma quali sono le implicazioni dell’articolo 5 e quale potrebbe essere la natura della risposta dell’Alleanza? Questo articolo prevede che un’aggressione armata contro uno o più membri, situati in Europa o Nord America, sia considerata un attacco contro tutti gli Stati aderenti. Verni illustra: “Ogni Stato, esercitando il diritto alla legittima difesa individuale o collettiva sancito dall’articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, offrirà immediatamente supporto al Paese colpito, attraverso azioni giudicate necessarie, tra cui, eventualmente, l’uso della forza militare. Lo scopo resta quello di ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione atlantica”.
Inoltre, ogni attacco e le misure adottate in risposta devono essere tempestivamente comunicati al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. “Tali misure rimarranno in vigore sino a quando il Consiglio di Sicurezza avrà implementato azioni idonee a ripristinare la pace e la sicurezza internazionali”, aggiunge Verni.
Di conseguenza, il ricorso alla forza, sottolinea l’avvocato, non è un obbligo né rappresenta l’unica opzione a disposizione. “L’eventualità di un intervento militare si inserisce in un quadro di azioni coordinate, che coinvolgono anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”.
Un tema di crescente preoccupazione riguarda gli attacchi cibernetici, che, in determinati scenari, potrebbero generare conseguenze paragonabili a quelle di un’aggressione militare convenzionale. “Anche gli attacchi cyber, se capaci di provocare danni significativi, potrebbero determinare una risposta analoga, inclusa, in alcuni casi, una possibile reazione militare”, conclude Verni.