L’arresto di Imamoglu e le implicazioni politiche in Turchia
Secondo Aydin Adnan Sezgin, ex ambasciatore turco presso Roma e Mosca ed ex deputato del Buon Partito (Iyi), l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, rappresenta una mossa di carattere autoritario da parte del governo turco, che sembra percepire la perdita di consenso e appare disposto a ricorrere a qualunque mezzo per ostacolare il processo elettorale. Tuttavia, Sezgin ritiene che sia prematuro e forse eccessivo considerare le manifestazioni recenti come il preludio alla fine dell’era Erdogan.
Le proteste di massa, convocate dall’opposizione in risposta a tale arresto, riflettono un ampio malcontento popolare. Questa reazione, secondo Sezgin, è motivata dalla percezione diffusa che la detenzione di Imamoglu e di altri sindaci di città minori sia illegale e contraria ai principi democratici, poiché si tratta di figure elette dal popolo. Le accuse di corruzione mosse contro il sindaco di Istanbul, aggiunge l’ex ambasciatore, appaiono inconsistenti e non hanno convinto l’opinione pubblica. Inoltre, sottolinea un aspetto procedurale fondamentale: «Non è necessario trattenere queste persone; un procedimento legale può proseguire anche senza arresti.»
Sezgin evidenzia che la repressione dell’opposizione, che ha portato a oltre mille arresti secondo i dati del ministero dell’Interno, rappresenta un’ulteriore dimostrazione di un governo che si allontana sempre più dai principi dello stato di diritto e della democrazia. Questo approccio autoritario è percepito dalla popolazione come un segnale di una deriva politica sempre più accentuata.
Oltre agli arresti, Sezgin attribuisce il crescente dissenso popolare anche a un diffuso malcontento per le politiche economiche del governo in carica. La popolazione, in particolare i giovani, vive una profonda disillusione, attribuendo i problemi attuali alla mancanza di democrazia, al deterioramento dello stato di diritto e alla corruzione all’interno del governo. Questa situazione ha creato una frattura insanabile tra l’esecutivo e i cittadini, evidenziando come l’attuale leadership sembri consapevole di una perdita di consenso.
Sezgin, tuttavia, invita alla cautela nell’interpretare le proteste come un segnale immediato di un cambio al vertice del governo. Sebbene siano manifestazioni significative, ritiene che le elezioni rappresentino l’unico strumento per porre fine all’era Erdogan. «Le urne sanciranno la fine di questo governo – sottolinea – poiché la Turchia non è né la Russia né l’Iran. Tuttavia, il governo tenterà con ogni mezzo antidemocratico di ostacolare il processo elettorale, ma non avrà successo.»
Un altro elemento analizzato dall’ex ambasciatore è la reazione internazionale, che fino ad ora è apparsa timida di fronte alla repressione dell’opposizione in Turchia. Questo atteggiamento, secondo Sezgin, è attribuibile a due fattori principali: l’effetto Trump, che ha generato un clima di tolleranza verso atteggiamenti autoritari, e l’aumento dell’importanza strategica della Turchia nello scenario geopolitico attuale, specialmente in un contesto di crisi internazionale che interessa particolarmente l’Europa.
Guardando al futuro, Sezgin non si aspetta alcun tipo di concessione da parte del governo turco. Anzi, prevede un inasprimento delle misure repressive nei confronti dell’opposizione. Tuttavia, ribadisce la forza e la determinazione dei partiti di opposizione e della società civile nel continuare a reagire contro tali pressioni. «Il governo sta intensificando la sua pressione – conclude – ma l’opposizione e l’opinione pubblica hanno abbastanza forza per resistere e mantenere viva la lotta per la democrazia.»
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