HP e la questione “Dynamic Security”: la class action americana segna un punto di svolta
Ci siamo chiesti un sacco di volte come sia possibile. Cioè, davvero una roba così assurda. Aggiorni la stampante e bum: non funziona più niente. E sì, lo sappiamo che anche voi avete pensato “ma dai, sul serio?” Perché qui non parliamo di chissà quale mega innovazione, parliamo di cartucce, stampanti, roba da ufficio, roba che abbiamo tutti in casa. E invece, ecco che parte la guerra in tribunale. Così, dal niente, un giorno qualcuno si sveglia, accende la stampante e quella ti dice “no, cartuccia non originale, ciao”. Assurdo. E così inizia il caos, quello vero.
L’origine di tutto
Se proviamo a tornare indietro con la memoria, ci ritroviamo al novembre 2020. HP spinge un aggiornamento denominato “Dynamic Security” e, all’improvviso, molte stampanti smettono di accettare cartucce e toner di terze parti privi di un chip HP. Pareva una roba da manuale: difendere i propri interessi, sì, ma magari con un approccio un po’ aggressivo. Alcuni di voi, forse, si son sentiti ingannati e hanno deciso di unirsi a una class action contro l’azienda, convinti che la sicurezza non fosse il vero scopo.
L’accusa: ingiusto obbligo di cartucce ufficiali
Alla base della denuncia, presentata a dicembre 2020, c’è un’affermazione netta: HP “obbliga” i propri clienti a utilizzare solo cartucce originali e limita la concorrenza. Come? Installando di nascosto un firmware che mette in quarantena o rende inutilizzabili i prodotti non ufficiali. L’idea di proteggere i dispositivi da possibili falle di sicurezza aveva il suo fascino, ma alcuni esperti sostengono che non ci fosse nessuna reale minaccia. Insomma, si sarebbe trattato soltanto di un blocco a vantaggio del produttore.
Il meccanismo ruota intorno al chip incluso nelle cartucce HP. In assenza di quello giusto, la stampante si rifiuta di funzionare. Proprio questa politica ha scatenato la class action. Un lungo testa a testa in tribunale, con l’obiettivo di ottenere una condanna ufficiale e un risarcimento.
Accordo finale senza ammenda
Dopo un bel po’ di udienze e discussioni, a un certo punto la tensione si scioglie con un accordo transattivo: HP non ammette alcun illecito e non sgancia un indennizzo a favore di tutti i clienti. Però, per mettere la parola fine a questo capitolo complicato, l’azienda accetta di pagare le parcelle legali (si parla di 725mila dollari) e versa 5mila dollari a ciascuna delle due società che avevano avviato tutto. Fine? Più o meno.
Una libertà parziale sugli aggiornamenti
Le persone come noi si chiedono: abbiamo guadagnato qualcosa? Forse sì. Ora certe stampanti HP potranno rifiutare l’installazione di “Dynamic Security”, evitando quell’odioso blocco automatico. Però l’elenco non è infinito. Qualche modello rimane vincolato, mentre alcuni LaserJet e Color LaserJet Pro – ad esempio M183FW, M255DW, M404DN, M428FDW e altri ancora – rientrano nella cerchia fortunata. In pratica, se il vostro dispositivo fa parte di questa lista, potrete sottrarvi all’aggiornamento indesiderato.
Eppure, non andiamo troppo in là con l’entusiasmo: HP continua a specificare che le sue stampanti sono fatte per “funzionare solo con cartucce dotate di un chip HP nuovo o riutilizzato”. Questo significa che, se qualcuno vuole davvero utilizzare consumabili rigenerati, deve recuperare il chip originale HP e montarlo dentro la cartuccia non ufficiale. In quel modo, Dynamic Security non scatterà, e la stampante non si bloccherà.
Prospettive future
All’interno delle pagine prodotto, HP oggi dichiara in modo esplicito che il suo sistema di sicurezza bloccherà sempre cartucce con chip non HP. Si apre quindi uno scenario misto: da un lato, la class action ha introdotto un barlume di trasparenza (o forse di libertà?) per chi possiede uno dei modelli autorizzati a rifiutare l’aggiornamento; dall’altro, continua la strategia aziendale di protezione dei propri ricavi.
Noi speriamo che questa vicenda, almeno, serva a rendere più chiare le regole del gioco. Se compriamo una stampante, vogliamo sapere in anticipo se potremo fare un salto al negozietto sotto casa e comprare cartucce alternative, senza ritrovarci con la scritta “errore” sul display. Voi, magari, vorrete risparmiare su toner e inchiostro. Ma questa storia insegna che, dietro un semplice aggiornamento software, si nasconde un business enorme.
Ora la palla passa a voi: controllate il vostro modello, verificate se è incluso tra quelli compatibili con la disattivazione del firmware e poi decidete che strada prendere. Non è la libertà assoluta, ma è pur sempre un risultato. E chissà che, in futuro, non si possa parlare di un diverso equilibrio fra tecnologia e concorrenza.
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