Harry e Netflix: Nessun progetto per una serie su Diana
Harry, duca di Sussex, non ha stabilito alcun accordo con Netflix per la produzione di un documentario in tre episodi dedicato alla scomparsa di sua madre, la principessa Diana. Questa affermazione, riportata dall’Independent, smentisce le indiscrezioni diffuse dai tabloid britannici che, durante il fine settimana, avevano avanzato l’ipotesi di una nuova serie proposta dalla piattaforma di streaming in occasione del 30° anniversario della morte della principessa.
La collaborazione quinquennale, dal valore di 100 milioni di dollari, tra il principe Harry e Meghan Markle con Netflix, avviata nel 2020, dovrebbe concludersi entro la fine di quest’anno. Il Daily Express, citando una fonte di rilievo a Hollywood, aveva riportato che il documentario in tre parti sarebbe stato trasmesso nel 2027, in coincidenza con il trentennale della tragica scomparsa di Diana, avvenuta nel 1997 a seguito di un incidente automobilistico a Parigi. Secondo la fonte, “il progetto avrebbe rappresentato un’iniziativa personale per Harry, che avrebbe ricoperto il ruolo di co-produttore esecutivo, oltre a curare la presentazione e la narrazione della serie”. Inoltre, la fonte aveva aggiunto che il duca sarebbe stato in una posizione privilegiata per offrire un’analisi approfondita non solo sulla madre, ma anche sul suo impatto come icona sociale e culturale, amata universalmente.
Le immagini del funerale di Diana, seguite da milioni di persone in tutto il mondo, rimangono vivide nella memoria collettiva. In particolare, la scena di un giovane Harry, allora dodicenne, e di suo fratello William, quindicenne, che seguivano la bara della madre durante la processione pubblica, ha lasciato un segno indelebile. Secondo quanto riportato dall’Express, “questo eventuale programma televisivo potrebbe persino essere visto da Harry come un’opportunità per ricostruire i rapporti con William e con il resto della famiglia reale”.

Cerchi qualcosa in particolare?
Pubblichiamo tantissimi articoli ogni giorno e orientarsi potrebbe risultare complicato.
Usa la barra di ricerca qui sotto per trovare rapidamente ciò che ti interessa. È facile e veloce!
Notizie
La nuova opera musicale e cinematografica di Michele Bravi: un omaggio ai nonni

“Lo ricordo io per te” è un brano dal profondo significato emotivo, dedicato alle figure centrali nella vita di Michele Bravi: Nonna Graziella e Nonno Luigi. Questa canzone rappresenta un viaggio intimo attraverso i ricordi, intrecciando le fragranze della campagna, i giochi dell’infanzia scanditi dal frastuono della guerra e i segni lasciati da un paese piegato dall’assurdità del fascismo. Con una delicatezza unica, Bravi descrive l’amore eterno del nonno Luigi, il quale non ha mai smesso di innamorarsi dell’essenza della vita rurale, affrontando con dignità una malattia che lentamente cancellava ogni memoria.
Questa storia d’amore immortale ha trovato espressione attraverso tre linguaggi artistici distinti: musica, cinema e letteratura. È l’urgenza di trasmettere un messaggio potente di speranza e amore che ha spinto Michele Bravi a creare questa testimonianza. La canzone, dal titolo evocativo, è già disponibile in pre-order al link https://michelebravi.bfan.link/loricordoioperte e sarà ufficialmente fruibile su tutte le piattaforme digitali a partire da venerdì 4 aprile. Oltre alla versione musicale, l’opera si completa con un cortometraggio che segna il debutto alla regia dello stesso Michele Bravi.
Il cortometraggio, che accompagna il brano, ha come protagonisti due attori d’eccezione: Lino Banfi, nel ruolo di Nonno Luigi, e Lucia Zotti, nei panni di Nonna Graziella. La sceneggiatura, curata dallo stesso Bravi, si sviluppa nei luoghi reali che hanno fatto da sfondo alla vita di Luigi e Graziella, nella suggestiva cornice di Città di Castello.
Secondo quanto dichiarato dall’artista, questa canzone rappresenta un rifugio simbolico dove i suoi nonni possono rivivere la promessa d’amore che il nonno Luigi aveva fatto alla nonna Graziella, nei giorni in cui l’Alzheimer iniziava a velare i suoi occhi con una fitta nebbia. Bravi descrive con toccante sensibilità un luogo immaginario dove i suoi nonni possono ancora sentire il profumo della campagna, scambiarsi un ultimo tenero bacio e camminare insieme lungo il sentiero dei ricordi che hanno costruito negli anni trascorsi fianco a fianco.
Esteri
L’arresto di Imamoglu e le implicazioni politiche in Turchia

Secondo Aydin Adnan Sezgin, ex ambasciatore turco presso Roma e Mosca ed ex deputato del Buon Partito (Iyi), l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, rappresenta una mossa di carattere autoritario da parte del governo turco, che sembra percepire la perdita di consenso e appare disposto a ricorrere a qualunque mezzo per ostacolare il processo elettorale. Tuttavia, Sezgin ritiene che sia prematuro e forse eccessivo considerare le manifestazioni recenti come il preludio alla fine dell’era Erdogan.
Le proteste di massa, convocate dall’opposizione in risposta a tale arresto, riflettono un ampio malcontento popolare. Questa reazione, secondo Sezgin, è motivata dalla percezione diffusa che la detenzione di Imamoglu e di altri sindaci di città minori sia illegale e contraria ai principi democratici, poiché si tratta di figure elette dal popolo. Le accuse di corruzione mosse contro il sindaco di Istanbul, aggiunge l’ex ambasciatore, appaiono inconsistenti e non hanno convinto l’opinione pubblica. Inoltre, sottolinea un aspetto procedurale fondamentale: «Non è necessario trattenere queste persone; un procedimento legale può proseguire anche senza arresti.»
Sezgin evidenzia che la repressione dell’opposizione, che ha portato a oltre mille arresti secondo i dati del ministero dell’Interno, rappresenta un’ulteriore dimostrazione di un governo che si allontana sempre più dai principi dello stato di diritto e della democrazia. Questo approccio autoritario è percepito dalla popolazione come un segnale di una deriva politica sempre più accentuata.
Oltre agli arresti, Sezgin attribuisce il crescente dissenso popolare anche a un diffuso malcontento per le politiche economiche del governo in carica. La popolazione, in particolare i giovani, vive una profonda disillusione, attribuendo i problemi attuali alla mancanza di democrazia, al deterioramento dello stato di diritto e alla corruzione all’interno del governo. Questa situazione ha creato una frattura insanabile tra l’esecutivo e i cittadini, evidenziando come l’attuale leadership sembri consapevole di una perdita di consenso.
Sezgin, tuttavia, invita alla cautela nell’interpretare le proteste come un segnale immediato di un cambio al vertice del governo. Sebbene siano manifestazioni significative, ritiene che le elezioni rappresentino l’unico strumento per porre fine all’era Erdogan. «Le urne sanciranno la fine di questo governo – sottolinea – poiché la Turchia non è né la Russia né l’Iran. Tuttavia, il governo tenterà con ogni mezzo antidemocratico di ostacolare il processo elettorale, ma non avrà successo.»
Un altro elemento analizzato dall’ex ambasciatore è la reazione internazionale, che fino ad ora è apparsa timida di fronte alla repressione dell’opposizione in Turchia. Questo atteggiamento, secondo Sezgin, è attribuibile a due fattori principali: l’effetto Trump, che ha generato un clima di tolleranza verso atteggiamenti autoritari, e l’aumento dell’importanza strategica della Turchia nello scenario geopolitico attuale, specialmente in un contesto di crisi internazionale che interessa particolarmente l’Europa.
Guardando al futuro, Sezgin non si aspetta alcun tipo di concessione da parte del governo turco. Anzi, prevede un inasprimento delle misure repressive nei confronti dell’opposizione. Tuttavia, ribadisce la forza e la determinazione dei partiti di opposizione e della società civile nel continuare a reagire contro tali pressioni. «Il governo sta intensificando la sua pressione – conclude – ma l’opposizione e l’opinione pubblica hanno abbastanza forza per resistere e mantenere viva la lotta per la democrazia.»
Esteri
Hamdan Ballal rilasciato dopo l’arresto in Cisgiordania

Il co-regista del documentario premiato con l’Oscar ‘No Other Land’, Hamdan Ballal, è stato liberato martedì 25 marzo dalle autorità israeliane. L’annuncio è stato dato dal suo legale, Lea Tsemel, che ha confermato come Ballal sia tornato “a casa dalla sua famiglia”. Il regista, arrestato la sera precedente in Cisgiordania, ha denunciato di essere stato sottoposto a trattamenti duri durante la detenzione, raccontando di essere stato mantenuto al freddo, ammanettato, bendato e colpito ripetutamente per tutta la notte in una base militare israeliana.
La detenzione di Ballal, avvenuta nel villaggio di Susiya, a sud di Hebron, ha coinvolto anche altri due palestinesi, Khaled Shanran, di 33 anni, e Nasser Shariteh, di 50 anni. Testimoni oculari riferiscono che Ballal sarebbe stato vittima di un attacco da parte di decine di coloni israeliani, i quali, in alcuni casi, erano mascherati. Durante l’aggressione, gli assalitori avrebbero lanciato pietre, ferendo il regista alla testa. Eppure, secondo le testimonianze, i soldati israeliani presenti sul posto non sono intervenuti per fermare l’attacco.
Secondo la versione fornita dalle Forze di Difesa Israeliane (Idf), i palestinesi avrebbero reagito all’aggressione dei coloni, lanciando pietre a loro volta. A seguito di ciò, la sicurezza dei coloni avrebbe arrestato Ballal e gli altri due uomini coinvolti, consegnandoli poi alla polizia israeliana. Fonti locali riportano che anche un colono sarebbe stato arrestato nel corso degli eventi, come riportato dal quotidiano Haaretz.
Ballal ha spiegato al suo avvocato che, durante l’attacco, stava documentando gli eventi, ma sarebbe poi corso verso casa nel tentativo di proteggere la sua famiglia. In base alla sua ricostruzione, un colono, accompagnato da due soldati dell’Idf, lo avrebbe colpito al volto con un pugno, facendolo cadere a terra, per poi sferrargli un calcio. Successivamente, i soldati israeliani avrebbero proceduto al suo arresto, portandolo da un medico militare che, secondo quanto dichiarato dal regista, non avrebbe registrato le ferite subite e gli avrebbe fornito solo cure minime.
Dopo l’arresto, il regista ha raccontato di essere stato lasciato a terra, legato e bendato, sotto costante sorveglianza di due soldati. Ballal ha inoltre denunciato di essere stato picchiato e intimidito con due colpi di avvertimento sparati in aria. Anche Khaled Shanran e Nasser Shariteh hanno fornito testimonianze, descrivendo un attacco da parte dello stesso colono, accompagnato da circa 15 giovani mascherati, che li avrebbe aggrediti nelle loro abitazioni, mentre i soldati presenti non avrebbero preso alcuna iniziativa.