La lipoproteina (a), conosciuta anche come Lp(a), è un importante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (Cv), che continuano a essere la principale causa di morte e disabilità a livello globale. Questa condizione ereditaria, presente nei geni di circa 1 persona su 5, fu scoperta nel 1963 da Kåre Berg. Il legame causale tra Lp(a) e malattia coronarica o infarto del miocardio è stato confermato nel 2009 grazie a uno studio genetico condotto dal consorzio europeo di ricerca Procardis. Successive ricerche prospettiche hanno ulteriormente dimostrato che livelli elevati di Lp(a) (>50 mg/dl) favoriscono lo sviluppo di aterosclerosi e stenosi aortica, entrambe condizioni che possono portare a infarto e ictus, rendendo cruciale il monitoraggio di questo parametro, soprattutto nella prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari. Questo argomento è stato recentemente trattato durante un evento organizzato da Novartis, in vista della Giornata mondiale della Lp(a), prevista per il 24 marzo.
La lipoproteina(a) è una particella sferica prodotta nel fegato, composta da una lipoproteina LDL legata all’apolipoproteina (a) attraverso un ponte disolfuro. Questa è geneticamente determinata dal gene Lpa, localizzato sul cromosoma 6q26-27, e i suoi livelli, che rimangono stabili durante la vita, non possono essere modificati tramite cambiamenti nello stile di vita, come dieta o esercizio fisico. Dal punto di vista epidemiologico, le donne sopra i 50 anni mostrano livelli di Lp(a) più alti, con un incremento medio del 17% rispetto agli uomini, un fenomeno che coincide spesso con la menopausa. Pertanto, chi ha dosato la Lp(a) prima della menopausa dovrebbe ripetere l’esame dopo la menopausa o entro cinque anni dal compimento dei 50 anni.
Un’indagine prospettica del 2022 ha rivelato che individui geneticamente predisposti presentano livelli elevati di Lp(a) già dalla nascita. Sebbene durante i primi anni di vita tali livelli siano generalmente bassi, il sangue del cordone ombelicale può fornire un’indicazione utile dei livelli neonatali di Lp(a). Valori superiori al 90° percentile possono segnalare neonati a rischio di sviluppare valori elevati di Lp(a) in seguito. Inoltre, livelli oltre 30 mg/dL sono stati associati a un rischio maggiore di ictus ischemico primario e ricorrente nei bambini e negli adolescenti.
“Il rischio cardiovascolare associato alla lipoproteina (a) sta guadagnando sempre più attenzione, soprattutto nei pazienti con una storia di eventi acuti o altre patologie cardiache”, spiega Claudio Bilato, direttore della Cardiologia degli ospedali dell’Ovest Vicentino e docente presso l’Università di Padova. Studi recenti indicano che alti livelli di Lp(a) possono aumentare il rischio di infarti o ictus fino al 20%, indipendentemente dai fattori di rischio tradizionali. Questo sottolinea l’importanza di includere il dosaggio della Lp(a) nella valutazione complessiva del rischio cardiovascolare, per evitare una sottostima del pericolo. Monitorare la Lp(a) è quindi essenziale per una corretta ridefinizione del rischio.
La Lp(a) rappresenta un fattore di rischio indipendente, non correlato ai tradizionali fattori di rischio cardiovascolare come dislipidemia, obesità o fumo. Tuttavia, livelli elevati di Lp(a) aumentano il rischio soprattutto nei soggetti con ipercolesterolemia, anche se non influenzano i livelli di LDL-C. Il dosaggio della Lp(a) è raccomandato in pazienti con rischio cardiovascolare medio-alto, in coloro che hanno vissuto eventi acuti recenti o ricorrenti, in pazienti con storia familiare di eventi Cv prematuri o con dislipidemie genetiche. Per chi ha recentemente subito eventi acuti, l’ospedalizzazione offre l’opportunità di valutare il rischio mediato dalla Lp(a), poiché i suoi livelli tendono a diminuire subito dopo l’evento ma possono triplicarsi nelle settimane successive.
“La Lp(a) è un indicatore che può anticipare e aggravare il rischio cardiovascolare. Questo evidenzia come lo screening sia una concreta opportunità per prevenire eventi acuti evitabili”, afferma Mario Crisci, dirigente medico presso l’ospedale Monaldi di Napoli. La misurazione della Lp(a) dovrebbe essere effettuata almeno una volta nella vita di ogni adulto, in particolare nei percorsi ospedalieri in seguito a sindrome coronarica acuta o ictus, con un controllo ripetuto a distanza di 1-3 settimane dall’evento.
Attualmente, la gestione dei pazienti con livelli elevati di Lp(a) è complicata dall’assenza di farmaci specifici approvati per ridurli. I medici si concentrano quindi su strategie indirette, come il controllo di altri fattori di rischio cardiovascolare, tra cui colesterolo LDL, ipertensione, diabete e infiammazione. Nei casi più gravi, si ricorre all’aferesi delle lipoproteine, una procedura invasiva simile alla dialisi che rimuove fisicamente la Lp(a) dal sangue. Tuttavia, la ricerca sta facendo passi avanti, con lo sviluppo di nuove terapie in fase di sperimentazione clinica. Tra queste, pelacarsen, un oligonucleotide antisenso in fase 3 di sperimentazione, sta mostrando risultati promettenti.
“In Novartis siamo consapevoli che le malattie cardiovascolari rappresentano ancora oggi un’emergenza sanitaria globale”, afferma Paola Coco, Chief Scientific Officer e Medical Affairs Head di Novartis Italia. “Il nostro obiettivo è sviluppare soluzioni terapeutiche innovative per affrontare questa sfida e renderle accessibili a un numero sempre maggiore di pazienti. Questo è il nostro modo di ripensare il futuro delle patologie cardiovascolari, per migliorare la qualità della vita e prolungare la sopravvivenza, affinché nessun cuore smetta di battere troppo presto”.