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300 anni dell’ospedale San Gallicano Roma, 3 secoli di ricerca e cura 

Tre secoli di storia e impegno nel campo medico. A Roma si è tenuta una celebrazione speciale per ricordare i 300 anni dalla posa della prima pietra dell’Antico Ospedale San Gallicano. Questo evento è stato un momento importante per riflettere non solo sulla sua fondazione, ma anche sui valori umani e sociali che continuano a guidarne la missione. Conosciuto affettuosamente come “ospedalone” dai romani e dai trasteverini, il San Gallicano è stato per secoli un punto di riferimento per la cura delle persone più vulnerabili. Fin dalle origini, si è distinto nella dermatologia e nella venereologia, oltre a rappresentare un modello architettonico innovativo. Dal 1939, è riconosciuto come Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), e nel 2000 si è trasferito nella moderna sede dell’Eur per rispondere alle crescenti necessità di ricerca e assistenza specialistica.

Le origini del nome risalgono agli Acta S. Gallicani, che narrano la storia di Flavio Gallicano, console romano vissuto intorno al 330 d.C. La sua fede profonda lo portò ad abbandonare la politica per dedicarsi all’assistenza di poveri, infermi e pellegrini. Costretto a fuggire da Roma durante il regno dell’imperatore Giuliano, morì martire ad Alessandria nel 362. Nel corso del tempo, la sua figura si è intrecciata con tre realtà che collaborano oggi con l’ospedale: gli Istituti fisioterapici ospitalieri (Ifo), che gestiscono l’Irccs Istituto nazionale tumori Regina Elena (Ire) e l’Istituto dermatologico San Gallicano (Isg), l’Inmp e la Comunità di Sant’Egidio. Queste istituzioni, pur con missioni diverse, condividono un’unica visione: mettere al centro la persona e le sue fragilità, guardando a un futuro inclusivo e innovativo.

L’evento è stato inaugurato da figure di spicco come il ministro della Salute Orazio Schillaci, il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca e monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Tutti hanno sottolineato il valore dell’anniversario come legame tra passato e le nuove sfide della sanità e dell’assistenza sociale.

“Il San Gallicano non rappresenta solo una pagina della nostra storia sanitaria, ma è anche un simbolo dell’impegno verso la salute pubblica, che si rinnova costantemente per affrontare le sfide attuali,” ha dichiarato il ministro Schillaci. “Questo anniversario non è solo un tributo al passato, ma anche un’occasione per riaffermare i valori fondamentali del Servizio sanitario nazionale, che continua a evolvere.”

Il presidente Rocca ha aggiunto: “Celebrando i 300 anni del San Gallicano, ricordiamo la prima struttura al mondo dedicata alle malattie della pelle e alle persone fragili. Malgrado il progresso, il bisogno di cure e assistenza per poveri, migranti ed emarginati rimane una realtà. La storia di questa istituzione ci insegna l’importanza di riconoscere l’unicità di ogni essere umano.”

“Viviamo in un mondo frammentato e sempre più ripiegato su se stesso,” ha osservato monsignor Paglia. “Il San Gallicano è un esempio di passione e impegno verso i più deboli. Qui, nessuno è straniero.”

Livio De Angelis, direttore generale degli Ifo, ha sottolineato il ruolo pionieristico dell’ospedale: “Il San Gallicano è stato uno dei primi ospedali d’Europa a incarnare i principi di equità, gratuità e diritto alla salute. Questi valori sono ancora oggi alla base del nostro lavoro, supportati da una ricerca scientifica d’eccellenza.”

Nonostante il trasferimento nella nuova sede, il San Gallicano ha mantenuto la sua vocazione originaria. Al suo interno operano l’Inmp e la Comunità di Sant’Egidio, che continuano a offrire cure e inclusione sociale. “Preserviamo un’eredità importante,” ha affermato Cristiano Camponi, direttore generale dell’Inmp. “Lavoriamo ogni giorno per ridurre le disuguaglianze di salute, collaborando con enti pubblici e privati, sia a livello nazionale che internazionale.”

“In un’epoca segnata da conflitti e disparità crescenti,” ha dichiarato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, “il San Gallicano è un vero ‘ospedale da campo’, dove si costruiscono relazioni e si offre supporto con un approccio personalizzato.”

Durante l’evento, la storica della medicina Maria Conforti ha ripercorso le tappe principali della storia dell’ospedale. Gli interventi di Maria Concetta Fargnoli, direttrice scientifica dell’Isg, Stefano Carmenati della Comunità di Sant’Egidio e Carmela Pierri dell’Inmp, hanno messo in luce il ruolo centrale dell’ospedale tra passato, presente e futuro.

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Ventotene e il Manifesto: un segnale di risveglio tra cultura e memoria

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Fabio Masi, proprietario della storica libreria Ultima Spiaggia a Ventotene, racconta l’importanza del Manifesto di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Questo documento, simbolo di una visione europea più unita, è al centro di un dibattito che, secondo Masi, merita maggiore attenzione e diffusione. Il libraio esprime preoccupazione per le difficoltà di trasmettere il messaggio del Manifesto, superando le polemiche politiche legate alle recenti dichiarazioni della premier Giorgia Meloni.

“Quando ho appreso dello scontro alla Camera sul Manifesto, sono rimasto stupito e colpito.” Masi, che in quel momento si trovava nella sua libreria di Camogli, racconta di essere stato sommerso da messaggi che lo informavano del dibattito politico in corso. “Ventotene è tornata a essere al centro del discorso pubblico, ma con toni divisivi che mi hanno rattristato.” Per lui, il Manifesto di Ventotene dovrebbe rappresentare un patrimonio condiviso, non un motivo di conflitto.

Nonostante ciò, la discussione sta portando a un effetto positivo: un crescente interesse verso il Manifesto. “Molti stanno acquistando il libro, mentre altri lo rileggono per comprendere meglio come sia stato strumentalizzato,” afferma Masi. Il Manifesto, che ha raggiunto il tredicesimo posto tra i libri più venduti su Amazon, evidenzia un rinnovato interesse per i suoi contenuti e il messaggio europeo che trasmette.

Riflettendo sul legame tra Ventotene e l’Europa, Masi sottolinea come l’isola stia lentamente recuperando la sua identità storica. “Negli anni ’80, molti isolani tendevano a nascondere la loro storia legata al confino politico,” spiega. Luoghi significativi come i cameroni, le mense e le botteghe, dove prese forma lo spirito europeo del Manifesto, sono stati abbattuti, e oggi manca sull’isola un museo o un percorso dedicato ai confinati. “C’è ancora tanto da fare per valorizzare questa storia.”

Un ulteriore problema è rappresentato dalla scarsa diffusione del Manifesto in Europa. “In molti Paesi non esistono traduzioni locali del documento,” sottolinea Masi. “Un tedesco può leggerlo online, ma non trovare una copia cartacea nella sua lingua.” Solo di recente, edizioni in inglese e francese sono state rese disponibili. Per Masi, è necessario intensificare gli sforzi per dare maggiore visibilità al Manifesto.

Commentando il flash mob organizzato dal Partito Democratico a Ventotene, Masi lo definisce un’iniziativa valida, ma invita a fare di più. “Non basta un evento isolato; occorre lavorare costantemente sul messaggio del Manifesto,” afferma. Secondo lui, sarebbe importante istituire un appuntamento annuale sull’isola, coinvolgendo la sinistra italiana ed europea, per promuovere una riflessione collettiva sul futuro dell’Europa.

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Villa Mondragone apre le porte per le Giornate di Primavera 2025

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Villa Mondragone, prestigioso centro congressi e di rappresentanza dell’Università di Roma Tor Vergata, sarà protagonista delle Giornate di Primavera 2025 organizzate dal Fondo Ambiente Italiano (FAI). L’evento, che celebra quest’anno il 50° anniversario del FAI e la sua 33ª edizione, si terrà sabato 22 e domenica 23 marzo, offrendo la possibilità di visitare la villa dalle 10:00 alle 18:00 (ultimo ingresso alle 17:30) senza necessità di prenotazione.

Durante queste giornate sarà possibile esplorare luoghi di grande fascino e importanza storica, tra cui la Sala degli Svizzeri, la Sala Rossa, il Giardino segreto, il Giardino all’italiana, il Teatro delle Acque, noto anche come Teatro della Girandola, e la Fontana dei Draghi. Villa Mondragone, la più grande tra le ville tuscolane, fu costruita alla fine del XVI secolo da Marco Sittico Altemps e successivamente ampliata e arricchita da Scipione Borghese, il celebre “cardinal nepote”. Grazie al suo intervento, la villa divenne la residenza estiva del papato fino al 1626, quando fu sostituita da Castel Gandolfo.

La storia di Villa Mondragone è una testimonianza di continuità attraverso i secoli. Costruita su una villa romana del I secolo a.C., appartenuta alla famiglia dei Quintili, fu trasformata tra il 1568 e il 1579 dal cardinale Marco Sittico Altemps per ospitare Papa Gregorio XIII. Il nome della villa, Mons Draconis, deriva dal dragone alato presente nello stemma della famiglia Boncompagni. Qui, nel 1582, Papa Gregorio XIII promulgò la bolla Inter gravissimas, introducendo il Calendario Gregoriano, che sostituì il precedente Calendario Giuliano.

Nel 1613, la villa passò al cardinale Scipione Caffarelli Borghese, che ne curò l’ampliamento e la valorizzazione artistica. La proprietà rimase alla famiglia Borghese fino al 1863, quando Marcantonio V Borghese e sua moglie Thérèse de La Rochefoucauld decisero di affidarla ai Gesuiti. Questi trasformarono la villa nel prestigioso Nobile Collegio di Mondragone nel 1865. Nel 1981, la villa fu acquistata dall’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, che la restaurò e la adattò a sede di rappresentanza e centro congressi.

Villa Mondragone custodisce un ricco patrimonio che abbraccia archeologia, arte, architettura e paesaggio. Grazie a strumenti multidisciplinari, questi tesori vengono continuamente studiati e valorizzati. Recentemente, un rilievo con laser scanner 3D ha rivelato che la villa romana su cui è costruita ha una superficie maggiore rispetto alla villa attuale. Sono stati mappati dettagliatamente gli ambienti, la facciata e il complesso sistema idraulico, inclusa un’ampia cisterna romana (35×25 metri) ancora in uso.

Tra le opere di rilievo, spiccano gli affreschi fiamminghi del Palazzetto della Retirata e la Cappella di San Gregorio Magno, attribuiti alla fase Altemps. L’architetto Vasanzio, al servizio di Scipione Borghese, lasciò il suo segno nel Portico, nel maestoso Teatro della Girandola e nella Fontana dei Draghi, recentemente restaurata grazie a fondi della Regione Lazio.

La villa conserva anche arredi, macchinari e documenti legati al Nobile Collegio, oltre a una copia del Codice Voynich, il misterioso manoscritto venduto dai Gesuiti nel 1912, oggi conservato presso l’Università di Yale.

Numerosi eventi scientifici e culturali hanno avuto luogo a Villa Mondragone. Nel 1611, Galileo Galilei effettuò qui esperimenti con il cannocchiale, osservando il paesaggio insieme agli accademici dei Lincei. Nel 1932, Guglielmo Marconi installò un sistema radio di collegamento tra la villa e il Vaticano. Inoltre, sotto la guida dei Gesuiti, furono creati laboratori scientifici, tra cui l’Osservatorio Meteorologico Tuscolano, fondato nel 1868 da Padre Angelo Secchi, uno dei pionieri dell’astrofisica.

La villa è anche legata alla memoria della Seconda Guerra Mondiale, quando i Gesuiti offrirono rifugio a famiglie ebree, guadagnandosi il titolo di House of Life dalla Fondazione Wallenberg. Inoltre, Padre Lorenzo Rocci, docente del Collegio, completò qui il celebre Vocabolario Greco-Italiano.

Oggi Villa Mondragone è un luogo di incontro tra passato e futuro. Ospita un museo, laboratori di ricerca e progetti di valorizzazione del patrimonio storico. Tra le iniziative recenti, spiccano il nuovo percorso delle fondazioni della villa romana dei Quintili e i lavori di restauro del Teatro delle Acque, che riportano in vita una complessa opera idraulica rinascimentale. La cisterna romana, continuamente restaurata, rimane una testimonianza viva del passato.

Partecipare alle Giornate di Primavera FAI è un’occasione unica per scoprire la bellezza storica, artistica e paesaggistica di Villa Mondragone, un luogo che ha attraversato i secoli come centro di cultura, scienza e storia.

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Delitto di Garlasco: nuovi sviluppi nelle analisi di DNA e impronte

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I tamponi custoditi presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Pavia, insieme alle impronte raccolte nella villetta di via Pascoli a Garlasco, tornano al centro delle indagini. Questi reperti, già analizzati in passato dal RIS di Parma, potrebbero ora offrire nuove informazioni grazie all’utilizzo di kit avanzati per l’analisi del DNA. L’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007, aveva portato alla condanna definitiva del fidanzato Alberto Stasi a 16 anni di carcere.

Le nuove indagini della Procura di Pavia si concentrano sul DNA. Si attende la decisione del gip per autorizzare ulteriori approfondimenti sul caso, che ora coinvolge Andrea Sempio come indagato. Sempio, amico del fratello della vittima, era stato escluso dalle indagini otto anni fa. Secondo quanto dichiarato dal procuratore Fabio Napoleone, il DNA rinvenuto sotto le unghie di Chiara Poggi potrebbe essere compatibile con quello di Sempio, suggerendo un contatto diretto. Tuttavia, questa conclusione entra in conflitto con le prove che portarono alla condanna di Stasi.

Il DNA analizzato è associato al cromosoma Y, fattore che rende impossibile un’identificazione certa dell’individuo. Inoltre, la traccia genetica non permette di stabilire una datazione precisa. La Procura ha intenzione di rianalizzare le impronte non attribuite a carabinieri, soccorritori o familiari, utilizzando la procedura dell’incidente probatorio. Particolare attenzione è rivolta agli oggetti che potrebbero essere stati toccati dall’assassino, come la porta della cantina. Quest’ultima, smontata e analizzata nei laboratori del RIS di Parma, non ha però rivelato impronte utilizzabili.

Tra gli elementi centrali della condanna di Alberto Stasi vi sono le tracce sul dispenser portasapone e l’impronta insanguinata sul tappetino del bagno. Sul dispenser, localizzato nel bagno dove l’assassino si sarebbe lavato o specchiato, erano state rilevate impronte di Stasi e altre tracce mai identificate. Tuttavia, il dispenser è stato distrutto in seguito alla chiusura del processo, lasciando disponibili solo i para-adesivi con le impronte rilevate.

Le impronte di Stasi e le scarpe insanguinate (numero 42) trovate sul tappetino del bagno furono decisive per la sua condanna. È complesso ipotizzare una presenza di Sempio sulla scena del crimine, dato che calza scarpe di numero 44, diverso da quello riscontrato durante le indagini.

Con il materiale genetico prelevato dalle unghie di Chiara Poggi ormai esaurito, l’attenzione si concentra sui tamponi conservati all’Università di Pavia. L’indagine deve però affrontare le difficoltà legate alla distruzione di alcuni reperti o alla restituzione di beni alla famiglia della vittima. Gli oggetti personali di Chiara, come braccialetti, collane, orecchini e il cellulare, furono analizzati subito dopo l’omicidio, ma non fornirono elementi utili per risolvere il caso.

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