Un poliziesco che sconfina tra i ghiacci e attraversa l’oceano. Un vicequestore ironico e malinconico, costretto a lasciare Roma per infilarsi in un commissariato a un passo dalle piste innevate. Sembra una storia fatta apposta per scaldare la fantasia: eppure, Rocco Schiavone non è solo finzione ben girata, ma anche un racconto che svela luoghi autentici, vissuti, intrisi di un fascino aspro. Noi abbiamo deciso di entrare in punta di piedi in questa nuova stagione televisiva, stando attenti a ogni singolo cambiamento di panorama, a ogni vibrazione di freddo e a ogni passo che porta il protagonista lontano dalla sua comfort zone.
Un protagonista controcorrente
Di lui si dice che non si separi mai da quel giaccone Loden verde un po’ malandato, che possa camminare con le Clarks anche sulla neve e che non ami particolarmente il clima artico della Valle d’Aosta. Rocco Schiavone, interpretato da un Marco Giallini ormai perfettamente a suo agio tra le vette, è nato dai romanzi di Antonio Manzini e, stagione dopo stagione, si è affermato come uno dei personaggi più peculiari della fiction italiana. Non è un semplice poliziotto dal temperamento scontroso: è un individuo pieno di contraddizioni, che affronta i casi di cronaca con un piglio ruvido e, allo stesso tempo, con un’ironia disillusa.
Sorprende sempre di più la sua insofferenza verso il dovere, mascherata però da un grande senso di giustizia. Vedere Rocco aggirarsi per Aosta alla ricerca di indizi significa ammirarlo costantemente in bilico tra il desiderio di tornare nella sua amata Roma e la scoperta, ogni volta, di un nuovo frammento di sé. Una contraddizione vivente, insomma. E c’è un filo di struggimento che trapela in ogni inquadratura, quando i dialoghi si sospendono e il silenzio delle cime sembra quasi avvolgerlo.
L’abbraccio e il gelo della Valle d’Aosta
Per chi non c’è mai stato, la Valle d’Aosta può sembrare soltanto una distesa di neve e montagne aguzze. Ma appena si osservano gli episodi della serie, si intuisce quanto questa regione abbia un’anima stratificata: scorci storici, resti archeologici e borghi che spuntano come perle preziose in un paesaggio ostinatamente alpino.
Si parla spesso dell’ex acciaieria Cogne, luogo che fa da sfondo al commissariato di Rocco. Quel complesso, ricavato da vecchi ambienti industriali, simboleggia un contrasto affascinante: un poliziotto catapultato in una terra che non gli appartiene, in mezzo a colleghi e dinamiche locali del tutto diverse dalle sue. Nei dialoghi, si percepisce sempre la sua “romanità” che cozza con il territorio: un mix che rende questa fiction più reale che mai.
Palazzo Ansermin: un rifugio e un tormento

La domanda che qualcuno si pone, magari con un pizzico di curiosità voyeuristica, è: “Dove abiterà mai Rocco dopo una giornata trascorsa a sbrogliare crimini sulle Alpi?”. Ecco, la risposta è Palazzo Ansermin, una dimora seicentesca che, in scena, diventa il suo appartamento. Basta un’occhiata allo stemma sul portone per intuire che c’è una storia lunga secoli. Dentro quelle mura, Schiavone chiude (o prova a chiudere) le porte al mondo, sprofondando in riflessioni segnate da un lutto mai elaborato: la perdita di Marina, la moglie che ancora compare nei suoi pensieri e nei suoi sogni.
Nel silenzio di quelle stanze, si intrecciano i ricordi dolorosi del passato romano e i rumori ovattati di un presente circondato dalla neve. Una dicotomia così potente che, a volte, sembra quasi di sentirlo sospirare, come se volesse scappare da quel crocevia e nel contempo restarci. Curioso, no?
Il sapore di un caffè in piazza

Prendere un espresso in centro, ad Aosta, può diventare un momento di tregua anche per un uomo in costante lotta con il destino. Piazza Chanoux e i suoi dintorni vantano bar storici sotto i portici, come il Caffè Nazionale – meta in cui, nella fiction, Rocco e colleghi si concedono attimi di normalità tra un’indagine e l’altra. Vi siete mai fermati a immaginare quanto possano pesare certe inchieste sullo stato d’animo di chi deve condurle? In quei minuscoli istanti di pausa, si scorge l’umanità di Schiavone, un personaggio che non teme di rivelare i propri sbuffi e le proprie insofferenze.
E se si gira l’angolo, ci si imbatte nei resti romani che punteggiano la città: l’Arco di Augusto, la Porta Pretoria, l’Antico Teatro Romano. Tutti luoghi che, nella serie, compaiono in modo più o meno evidente, spesso mentre il protagonista, con quell’aria sempre un po’ stanca, percorre le strade del centro e ci regala qualche battuta sarcastica.
Indagini e neve: tra cime, ponti sospesi e funivie futuristiche

Non è solo Aosta a fare da scenario. La fiction si spinge tra villaggi e cimiteri, mostrandoci elementi architettonici e scorci di montagna davvero intensi. È il caso, ad esempio, del Chiostro della Collegiata di Sant’Orso, dove un suicidio misterioso diventa terreno d’indagine, oppure di Saint-Nicolas, piccola perla montana che si affaccia su panorami quasi fiabeschi. E poi ci sono le scene girate presso la Skyway del Monte Bianco, con la spettacolare salita a Punta Helbronner: un balzo verso il tetto d’Europa che, nelle puntate di Schiavone, trasmette tutta la maestosità di un ambiente naturale imponente.
Da non sottovalutare l’importanza narrativa di luoghi come il Castello Reale di Sarre o il Casinò di Saint-Vincent. Anche se appaiono solo di sfuggita, arricchiscono la percezione di una Valle che non è solo neve e silenzio, ma un mosaico di storie, passati, contraddizioni.


Marco Giallini: l’amico della Valle d’Aosta
A proposito di contraddizioni: fa sorridere immaginare un attore romano doc che, a furia di riprese in alta quota, finisce per diventare “Ami de la Vallée d’Aoste”. È avvenuto nel 2019, quando a Marco Giallini è stato consegnato questo titolo simbolico. E forse è un segno di riconoscimento dovuto, dato che, con la sua interpretazione, ha portato il capoluogo valdostano e i dintorni su scala nazionale. Lo si nota persino nei turisti che oggi si aggirano per Aosta cercando i luoghi della fiction, come se volessero respirare almeno un briciolo di quell’atmosfera intrigante e un po’ cupa.
La sesta stagione: un salto oltreconfine
Questa nuova annata televisiva segna un cambiamento enorme: per la prima volta, alcune riprese si svolgono all’estero, addirittura in Argentina. E allora, ecco che le nuvole bianche e i boschi si aprono a scenari completamente differenti, con lo sguardo di Rocco puntato su una realtà lontana migliaia di chilometri. È un viaggio nato da precise esigenze narrative: Schiavone cerca di fare luce su vicende legate ai suoi amici più stretti, in particolare Furio e Sebastiano, immersi in misteri che lo costringono a varcare l’oceano.
La sesta stagione attinge a diversi romanzi e racconti di Antonio Manzini – tra cui “Le ossa parlano”, “ELP” e “La ruzzica de li porci” – e si ritrova a intrecciare storie che spaziano dagli altopiani valdostani alla frenesia di Buenos Aires. Potrebbe sembrare una forzatura, eppure no: il vicequestore, con le sue ferite ancora aperte, sembra adatto a muoversi su un terreno straniero, in cerca di qualcuno che gli ha portato via una parte di sé. Nel frattempo, non mancano momenti di tensione: uno chalet a 2.200 metri, isolato dal mondo, e una festa che degenera in tragedia, come racconta l’episodio dedicato appunto a “La ruzzica de li porci”.
Le sfide dietro la macchina da presa
Girare a quote elevate non è un semplice colpo di scena televisivo, ma comporta difficoltà tecniche. Simone Spada, il regista subentrato dalla terza stagione, ha spesso sottolineato quanto sia complicato raggiungere alcune location dove le strade finiscono e iniziano solo piste innevate. Vanno utilizzati i gatti delle nevi per trasportare persone e attrezzature, si devono adeguare i tempi di ripresa ai capricci del meteo, e il freddo è un avversario costante. Eppure, lo spirito di questa serie sembra trarre forza proprio da tali ostacoli: la valle, con tutte le sue variabili climatiche, diventa parte integrante della narrazione, quasi un personaggio aggiunto che si confronta e si scontra con Rocco.
Un’altra sfida non da poco è stata la gestione delle riprese tra Aosta, Roma e l’Argentina. Si è passati dagli interni del commissariato ricreati in Valle, alle aule di tribunale romane dove si svolge il processo a Mastrodomenico, fino alle strade lontane di Buenos Aires. Tutto tenuto insieme da un filo conduttore ben preciso: la lotta interiore di Rocco, sempre in bilico tra il cercare giustizia e il voler dimenticare un passato doloroso.
Una storia che non smette di evolversi
Qualcuno potrebbe chiedersi se la vera anima di Rocco Schiavone non sia ormai ancorata più saldamente alla Valle d’Aosta che a Roma. Dopotutto, lui è arrivato lì come “punizione” disciplinare, ma in quelle terre inospitali ha costruito, suo malgrado, un nuovo percorso. È vero: ogni volta che sbuffa in mezzo alla neve, noi ci ricordiamo quanto desidererebbe tornare nei vicoli capitolini, a bere un caffè con gli amici di un tempo. Eppure, quell’ambiente alpino è diventato una seconda pelle che ancora lo irrita, ma che, a modo suo, lo protegge e lo spinge a crescere.
Nel momento in cui la serie si sposta oltreoceano, emergono nuove dimensioni del personaggio. Il dolore per la perdita di Marina si mescola alla determinazione di ritrovare chi ha tradito la sua fiducia. Una nuova prospettiva, insomma: lo spirito investigativo di Schiavone viene messo alla prova in territori lontani, ma sempre con quel bagaglio emotivo che lo rende riconoscibile.
Il fascino delle location reali
Non è un caso che sempre più produzioni televisive cerchino di girare in luoghi autentici, sfruttando le bellezze (e a volte le contraddizioni) del territorio. Nella serie dedicata a Rocco, ogni strada innevata, ogni ponte sospeso, ogni castello o funivia diventa un pezzo di racconto. La Valle d’Aosta assurge a protagonista, come un luogo che non perdona chi non sa adattarsi, ma che premia con scorci straordinari chi sa guardare oltre il primo impatto gelido. E se adesso Schiavone esplora anche Buenos Aires, è soltanto un ulteriore ampliamento di confini, un modo per ricordarci che l’avventura non conosce barriere geografiche.
Sguardo avanti: quel che resta e quel che verrà
Ci chiediamo dove andrà a finire quest’uomo ruvido e maledetto, così legato al ricordo di una moglie scomparsa e, al tempo stesso, calamitato da misteri che germogliano proprio nella neve. Se da una parte il successo della fiction sembra garantire ancora nuovi episodi, dall’altra chi segue la vicenda avverte che la crescita del personaggio ha preso una direzione profonda, capace di mescolare dramma personale e indagine di polizia.
Il bello di tutto ciò? Si continua a vivere questo doppio viaggio: uno geografico, tra la Valle e scenari lontanissimi, e uno emotivo, dentro la testa di un protagonista che sembra lottare costantemente con i suoi demoni. Noi rimarremo qui a osservarlo, pronti a farci sorprendere da ogni risvolto e a riconoscere, dietro la durezza apparente, l’umanità di chi ha perso molto e cerca di ritrovarsi.

In fondo, ogni montagna, anche la più ostile, ha i suoi passi segreti. E chissà, magari Schiavone riuscirà a scovare la via che conduce a una sorta di tregua interiore. Per ora, lo seguiamo con lo stesso fiato sospeso che si sente quando si calpesta la neve fresca al mattino, sperando di non affondare e di godersi, almeno per un attimo, la vista su un mondo incantevole. Un mondo che, tra indagini, picchi gelidi e itinerari sudamericani, non smette di stupire.
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