Elezioni Germania, oggi si vota: seggi aperti dalle 8
Cittadini alle urne per rinnovare il Bundestag. Olaf Scholz, Friedrich Merz, Robert Habeck e Alice Weidel i candidati cancellieri dei principali partiti

La Germania va alle urne oggi domenica 23 febbraio 2025 per rinnovare il Bundestag, la Camera federale. Seggi aperti dalle 8. Il voto era in programma per il 28 settembre prossimo, a 4 anni dal precedente: è stato anticipato al mese di febbraio a seguito della crisi politica scoppiata nel Paese. Ecco chi sono i candidati cancellieri dei principali partiti.
Olaf Scholz. Quando il Bundestag lo ha eletto nel 2021 per succedere alla cancelliera Angela Merkel, vantava già una lunga carriera politica: entrato al Bundestag nel 1998, Scholz è stato segretario generale del Partito socialdemocratico (SPD) (2002-2004), ministro federale del Lavoro (2007-2009), sindaco della città-stato di Amburgo (2011-2018), ministro federale delle Finanze e vice-cancelliere del governo Merkel (2018-2021). Nato a Osnabrueck, in Bassa Sassonia, nel 1958, avvocato del lavoro, sposato con l’esponente politica socialdemocratica Britta Ernst, amante della corsa e del canottaggio, aspirante cancelliere fin dall’età di 12 anni – secondo quanto raccontato dal padre – dopo la vittoria elettorale del 2021, Scholz ha dato vita alla prima ‘coalizione semaforo’ federale in Germania, composta da Spd, Liberali e Verdi, un’esperienza che si è conclusa il 6 novembre scorso con la cacciata del ministro delle Finanze liberale Christian Lindner decisa dallo stesso Scholz e l’uscita dei ministri Fdp dal governo.
L’inizio della fine per un esecutivo che si era trovato fin dal principio a governare in una stravolta realtà politica internazionale: Scholz aveva giurato da cancelliere l’8 dicembre 2021, meno di tre mesi prima dell’invasione dell’Ucraina. Tre giorni dopo l’inizio della guerra, il cancelliere annunciava in parlamento una ‘Zeitenwende’, o svolta epocale, per la politica estera e di difesa tedesca. Dal punto di vista geopolitico, prometteva un ripensamento radicale delle relazioni della Germania con la Russia. Dal punto di vista geostrategico, annunciava un importante potenziamento delle forze armate tedesche, proponendo di creare un fondo fuori bilancio di 100 miliardi di euro. Dal punto di vista geoeconomico, si impegnava a ridurre drasticamente la dipendenza del Paese dall’energia russa.
Friedrich Merz, 69 anni. E’ il principale sfidante di Scholz, il candidato cancelliere per l’Unione (cristianodemocratica e cristianosociale, Cdu/Csu), il favorito, secondo i sondaggi. Aspirante candidato cancelliere alle elezioni del 2002, gli fu preferito il cristianosociale Edmund Stoiber, che perse contro Gerhard Schoeder. Nato a Brilon, nel NordReno Westfalia, il facoltoso avvocato aziendale, appassionato pilota di aerei e proprietario di un jet privato, sposato con una giudice e padre di tre figli, ha esperienza come parlamentare ma non ha mai rivestito un incarico di governo. E’ stato membro del Parlamento europeo tra il 1989 e il 1994, quindi deputato al Bundestag tra il 1994 e il 2009 e poi di nuovo dal 2021, e presidente del gruppo parlamentare Cdu/Csu tra il 2000 e il 2002 – quando lascia il posto a Angela Merkel ed inizia ad allontanarsi progressivamente da ogni incarico – e poi di nuovo dal 2022, dopo il suo riavvicinamento alla politica. Per molti anni è stato considerato l’avversario conservatore di Merkel all’interno dell’Unione cristianodemocratica.
Nel 2009, dopo il ritiro dalla vita politica, Merz è tornato a svolgere incarichi di avvocato aziendale, tra cui quello di presidente del Consiglio di vigilanza di BlackRock Germany. Dopo la rinuncia di Angela Merkel alla guida della Cdu, Merz ha annunciato che avrebbe concorso alle elezioni per la leadership del partito nel dicembre 2018. Sconfitto da Annegret Kramp-Karrenbauer, dopo la rinuncia di quest’ultima nel febbraio del 2020, annuncia di voler correre una seconda volta. Sconfitto nel gennaio del 2021 da Armin Laschet, dopo le dimissioni di quest’ultimo a seguito dell’insuccesso del partito alle elezioni federali, viene eletto Presidente del Partito. All’interno del suo stesso schieramento, a Merz – considerato un brillante oratore – viene attribuito il merito di aver riunito la Cdu dopo la sconfitta del 2021 e di aver favorito la riconciliazione con la Csu dopo le divisioni sulle aperture di Merkel in materia di politica migratoria. Se eletto, il 69enne sarebbe il cancelliere più anziano ad assumere l’incarico dai tempi di Konrad Adenauer.
Robert Habeck, candidato cancelliere per i Verdi, nato a Lubecca nel 1969, è stato vice primo ministro e sottosegretario per l’energia, l’agricoltura, l’ambiente e le aree rurali nel governo dello Schleswig-Holstein dal 2012 e tra il 2017 e il 2018. In quanto rappresentante del suo stato al Bundesrat, ha fatto parte della commissione per la politica agricola e la protezione dei consumatori; la commissione per l’ambiente, la protezione della natura e la sicurezza dei reattori; la commissione per gli affari economici; e la commissione per i trasporti. Dal 2014 al 2016, Habeck è stato uno dei membri della Commissione nazionale temporanea per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi della Germania. In qualità di vice-cancelliere e ministro dell’Economia e del Clima della Germania nel governo Scholz, è stato profondamente coinvolto nella transizione del Paese verso un futuro più sostenibile.
È stato co-leader del partito Buendnis 90/Die Gruenen (2018-2022) assieme a Annalena Baerbock. Habeck ha promosso politiche ambientali ambiziose che prevedono l’eliminazione graduale dei sistemi di riscaldamento a combustibili fossili, un piano che ha suscitato resistenze, in particolare da parte di settori preoccupati per i costi e la praticabilità di tali cambiamenti. Habeck è entrato tardi in politica, e si è unito ai Verdi nel 2002 a causa della mancanza di una pista ciclabile nel suo Land natale, lo Schleswig-Holstein, come ama ricordare. In soli due anni è diventato presidente regionale del partito e poi ministro regionale per la transizione energetica, l’agricoltura, l’ambiente e le aree rurali. Ministro dell’Economia, di recente ha dovuto rivedere nuovamente al ribasso le previsioni di crescita per il 2025 dopo due anni di recessione. Habeck ha studiato filosofia e linguistica e ha conseguito un dottorato di ricerca. Ha scritto romanzi e libri per bambini con la moglie e diversi libri di saggistica politica.
Alice Weidel. Nata nel 1979 a Guetersloh, è il primo vero candidato cancelliere dell’AfD nei suoi dodici anni di storia: alle ultime elezioni federali, nel 2021, Weidel e Tino Chrupalla erano stati scelti come coppia ‘di punta’ espressa dal partito in vista del voto. Soprannominata ‘Lille’, Weidel è cresciuta con due fratelli a Harsewinkel, nello Stato tedesco occidentale del NordReno Westfalia, in una famiglia di imprenditori. Dopo il diploma e gli studi di economia, ha lavorato presso la banca d’investimento Goldman Sachs, ha trascorso diversi anni in Cina e ha conseguito il dottorato con una tesi sul sistema pensionistico cinese.
Si è unita all’AfD nel 2013, anno della fondazione di un partito che inizialmente si voleva soprattutto euroscettico, frustrata dalla politica della zona Euro. Un tempo su posizioni diverse da quelle del leader di Afd in Turingia, Bjoern Hoecke, che voleva fuori dal partito, Weidel si è da tempo riconciliata con l’estrema destra del movimento. Ha beneficiato, in campagna elettorale, dell’appoggio dichiarato di Elon Musk con la sua piattaforma X. La co-presidente dell’AfD si divide tra la Germania e la Svizzera, dove cresce i due figli con la moglie.

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Esteri
Nuova proposta egiziana per il cessate il fuoco a Gaza e aggiornamenti sugli scontri

Il governo egiziano ha avanzato un’inedita proposta mirata a raggiungere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Secondo quanto riportato da una fonte vicina ai negoziati all’agenzia di stampa Al-Araby Al-Jadeed, il piano prevede che Hamas fornisca dettagli precisi, inclusi filmati, riguardanti gli ostaggi detenuti, sia vivi che deceduti. In cambio, Israele dovrebbe interrompere immediatamente le operazioni militari.
La proposta egiziana include inoltre l’avvio di negoziati più approfonditi una volta instaurata la tregua. Questi colloqui si concentrerebbero su un piano per il rilascio progressivo degli ostaggi ancora trattenuti a Gaza, accompagnato da un graduale ritiro delle forze israeliane. Tale approccio mira a stabilire una soluzione sostenibile e condivisa tra le parti in conflitto.
Nella notte, nuovi attacchi aerei israeliani hanno provocato la morte di sedici persone nella Striscia di Gaza, secondo quanto riferito da fonti mediche locali e dai media palestinesi, tra cui Al Jazeera. Poco prima, due individui erano stati uccisi in un bombardamento che ha colpito il campo profughi di Nuseirat, situato nel centro della Striscia.
Un ulteriore raid aereo israeliano ha preso di mira l’ospedale Nasser, la principale struttura sanitaria di Khan Younis. L’attacco ha causato la morte di un alto esponente di Hamas, identificato come Ismail Barhoum, responsabile degli affari finanziari del movimento. Secondo un rappresentante di Hamas, Barhoum stava ricevendo cure mediche presso l’ospedale dopo essere stato ferito in un attacco aereo quattro giorni prima. Anche un suo collaboratore è rimasto ucciso nello stesso episodio.
L’esercito israeliano ha dichiarato che l’operazione è stata condotta grazie a una “significativa attività di raccolta di informazioni” e ha sottolineato l’uso di munizioni di precisione per minimizzare i danni collaterali. Tuttavia, il ministero della Salute di Gaza, diretto da Hamas, ha riferito che molte altre persone, tra cui membri del personale medico, sono rimaste ferite. Gran parte del reparto colpito è stata distrutta, costringendo all’evacuazione dei pazienti.
Nel frattempo, nello Yemen, quattro persone hanno perso la vita e due sono rimaste ferite durante attacchi aerei statunitensi nelle città di Sana’a e Saada. Secondo il quotidiano qatariota Al-Araby Al-Jadeed, uno degli attacchi ha colpito un sito di approvvigionamento militare nei pressi della capitale Sana’a. La rete saudita Al Hadath ha riferito che un alto funzionario degli Houthi è stato eliminato durante il raid, senza fornire ulteriori dettagli sulla sua identità o posizione.
In Israele, un presunto attacco terroristico ha causato la morte di una persona e diversi feriti vicino alla città di Yokneam, nel nord del Paese. Secondo la polizia israeliana, l’aggressore avrebbe tentato di investire dei civili in attesa a una fermata dell’autobus, per poi scendere dal veicolo e aprire il fuoco con un fucile. L’assalitore è stato successivamente fermato e ucciso da un agente di polizia.
Tra le vittime, un uomo di 75 anni è deceduto dopo essere stato ricoverato in condizioni critiche, mentre un giovane di 20 anni, accoltellato durante l’assalto, versa in condizioni gravi. Anche altri civili che si trovavano alla fermata dell’autobus hanno riportato ferite dopo essere stati investiti. I paramedici hanno prestato soccorso immediato sul posto e stanno trasferendo i feriti al Rambam Health Care Campus di Haifa per ulteriori trattamenti.
Esteri
Ucraina e Russia, rotte diplomatiche in evoluzione: Trump rilancia l’idea di fermare Putin

Guardate, è tutto un groviglio. Un labirinto infinito di strade, senza fine. Ci sta Trump che dice di essere lui l’unico capace di spegnere sta guerra, che è lui quello giusto per fermare Putin. Un’affermazione forte, ma forse anche un po’ troppo convinta, no? Dall’altra parte c’è il Cremlino che frena: calma, calma, non aspettatevi miracoli improvvisi, non è mica tutto facile. E in mezzo? Gente che si incontra in Arabia Saudita, riunioni fitte, incontri lunghi, parole su parole. Speranze sì, tante, forse pure troppe. E noi qui, con mille dubbi e qualche briciolo di speranza vera, che ci domandiamo: voi, voi davvero ci vedete una via d’uscita? Un piccolo spazio, almeno una minima luce concreta in fondo a questo labirinto?
Trump e la fiducia in se stesso
Trump lo ha detto apertamente, senza giri di parole: “Soltanto io posso fermare Vladimir Putin”. Sì, un’affermazione che suona forte e netta. L’ha ribadita mentre parlava con il sito Outkick, esprimendo la convinzione che le sue passate discussioni con il presidente russo possano rappresentare un ponte per risolvere l’impasse. Noi ci sentiamo a metà tra lo scetticismo e la curiosità. Da un lato, fa un po’ impressione vedere con quanta sicurezza si proponga come mediatore. Dall’altro, non possiamo ignorare che nei suoi trascorsi ha avuto contatti frequenti con Putin, e magari i due si rispettano abbastanza per provare a tessere un dialogo.
Le parole del Cremlino
Eppure, Mosca non si mostra particolarmente entusiasta. Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha messo in guardia dall’illusione di un accordo immediato. “Il cammino è appena all’inizio”, ha detto con espressioni che fanno pensare a una maratona, non certo a uno sprint. Del resto, quando la posta in gioco è una possibile tregua, ci si aspetta trattative complicate, piene di ostacoli e ritorni al punto di partenza. Noi restiamo qui ad attendere sviluppi, ben consapevoli che un processo di pace richiede tempo, volontà e diplomazia.
Gli incontri a Riad
Nel frattempo, in Arabia Saudita, qualcosa si muove per davvero. La delegazione americana e quella ucraina si sono incontrate a Riad. Rustem Umerov, ministro della Difesa di Kiev, ha spiegato in un post che i colloqui mirano a rafforzare la sicurezza delle strutture energetiche e di altre infrastrutture cruciali. Non è roba da poco, perché sappiamo quanto l’energia sia un tassello vitale in questo conflitto. Umerov è affiancato da esperti militari ed energetici, e sembra piuttosto determinato a portare a casa risultati tangibili.
Domani tocca ai russi e agli americani
Stando a quanto trapela, il giorno successivo sarà dedicato al confronto diretto tra funzionari russi e statunitensi. L’obiettivo principale? Definire i contorni di un’eventuale tregua, partendo da temi tecnici come la sicurezza nel Mar Nero, la movimentazione di grano e carburante. Qui la diplomazia si fa concreta, tangibile: noi immaginiamo quei tavoli di lavoro, pieni di carte e mappe, con le delegazioni che discutono una linea di controllo e i possibili meccanismi di verifica.
Delegazioni e protagonisti
Vorremmo tutti avere uno sguardo privilegiato su ciò che accade in quelle stanze. Per ora, sappiamo che per l’Ucraina sono presenti Umerov e il consigliere militare della Presidenza Pavlo Palisa, insieme a una squadra di specialisti in infrastrutture navali e aeree. Per la Russia, l’agenzia Tass riferisce di un diplomatico di spicco, Grigory Karasin, e di un consigliere del direttore dell’Fsb, Sergey Beseda. Per gli Stati Uniti, Keith Kellogg guida un gruppo che include Michael Anton, responsabile della Pianificazione politica presso il Dipartimento di Stato, e consulenti che fanno capo a Michael Waltz, consigliere per la Sicurezza nazionale.
L’ottimismo di Waltz
C’è chi parla di pace con toni che mescolano ottimismo e prudenza. Michael Waltz, infatti, sostiene che la situazione stia evolvendo nella direzione giusta: “Mai siamo stati così vicini alla pace”, ha dichiarato, condividendo l’idea che la nuova fase di dialogo possa portare risultati reali, soprattutto dopo le ultime telefonate tra Trump e Putin. Pare che un cessate il fuoco sulle infrastrutture aeree sia già in atto. Ora, aggiunge Waltz, si valuta una tregua marittima nel Mar Nero per consentire a entrambi i Paesi di spostare merci, grano e combustibili.
Da parte nostra, non possiamo fare a meno di notare quanto sia delicato riaprire corridoi di scambio nelle acque del Mar Nero. I porti e le rotte commerciali sono un nodo cruciale nella guerra in corso, e un’intesa in quel settore farebbe ben sperare sull’idea di portare avanti un cessate il fuoco più ampio. Si riesce a immaginare un lento ritorno alla normalità?
Lo spettro di una Terza Guerra Mondiale
Trump, nelle sue dichiarazioni, è tornato più volte su un punto: il timore che il conflitto ucraino-russo possa degenerare in qualcosa di molto più grave. “Non sono soldati americani, ma potremmo rischiare di precipitare verso la terza guerra mondiale”, ha affermato. Noi avvertiamo una certa tensione nelle sue parole, perché in fondo sa che un’escalation globale sarebbe devastante sotto ogni punto di vista.
Peskov su possibili contatti riservati
Intanto, dal Cremlino trapela che potrebbero esserci stati più contatti di quanti ne siano stati resi noti tra Putin e Trump. “Vi informiamo di ciò di cui siamo a conoscenza, ma non escludiamo il resto”, ha detto Peskov, gettando un velo di mistero su quelle che potrebbero essere state conversazioni private. Noi ci chiediamo se dietro le quinte si stia giocando una partita ancora più complessa di quella pubblica.
Le voci su una tregua entro Pasqua
Alcune fonti mediatiche, tra cui Bloomberg, riferiscono che l’amministrazione Trump stia puntando a una tregua entro il 20 aprile. E sappiamo che quest’anno, secondo il calendario, la Pasqua cattolica e quella ortodossa coincidono proprio in quella data. Un segnale simbolico, se vogliamo: una pace che arrivi in un giorno di festa condivisa. Tuttavia, gli stessi americani considerano questa scadenza ambiziosa. Effettivamente, mettere d’accordo due nazioni in guerra aperta non è questione di pochi giorni.
Noi cerchiamo di capire se davvero ci sia un margine concreto per arrivare a un fermo totale delle ostilità. Gli esperti di politica estera parlano di possibili “congelamenti delle linee” e di qualche forma di interposizione, magari con meccanismi di verifica o forze terze a sorvegliare il rispetto degli accordi. Nell’aria si respira una combinazione di cautela e speranza.
Tra scetticismo e desiderio di pace
Per un attimo, proviamo a metterci nei panni di chi vive queste giornate da protagonista, seduto a un tavolo di negoziazione a Riad o a Mosca. C’è chi non vorrebbe cedere un solo centimetro, temendo di mostrarsi debole. C’è chi anela a far ripartire gli scambi commerciali nel Mar Nero, perché il grano e il carburante sono fondamentali per la sopravvivenza della popolazione. C’è poi chi spera di arginare un conflitto che potrebbe coinvolgere progressivamente altri Paesi.
Forse, la vera grande incognita è la volontà politica di tutte le parti in causa. Trump ne è convinto: con la sua mediazione, Putin e Zelensky potrebbero trovare un accordo ragionevole. Il Cremlino, però, mette le mani avanti dicendo che la strada è lunga e faticosa. E intanto, a noi resta il compito di raccontarvi tutto questo, cercando di non perdere di vista la sostanza: una guerra in corso e la concreta possibilità di innescare processi di pace.
Noi incrociamo le dita, sperando che questi incontri in Arabia Saudita siano davvero l’inizio di qualcosa di più solido. Forse l’obiettivo di una tregua entro Pasqua è audace, ma non bisogna sottovalutare la forza simbolica di una data che unisce diverse comunità religiose. Se a Riad si comincia a parlare di corridoi sicuri e cessate il fuoco mirati, allora c’è un seme di speranza. Certo, nessuno vuole illudersi: sappiamo che i negoziati sulla linea di controllo e sul mantenimento della pace sono solo un primo passo. Però vale la pena rimanere con gli occhi puntati su queste trattative. Se davvero riuscissero a fermare il fuoco, anche solo per un giorno, sarebbe un piccolo miracolo diplomatico.
Esteri
Conflitto a Gaza: aggiornamenti sugli attacchi e le operazioni militari

Un attacco aereo lanciato da Israele nel sud di Gaza durante la notte ha causato la morte di Salah al-Bardawil, un importante esponente politico di Hamas. La notizia è stata confermata dal movimento stesso, come riportato dal Times of Israel.
La morte di Bardawil si aggiunge a quella di altri leader di Hamas uccisi nei recenti raid aerei israeliani. Tra questi, spiccano Essam Addalees, capo del governo de facto del gruppo, e Mahmoud Abu Watfa, responsabile della sicurezza interna, eliminati martedì scorso insieme ad altri funzionari di rilievo.
Secondo le autorità sanitarie di Gaza, gestite da Hamas, gli attacchi della notte hanno provocato almeno 19 vittime, tra cui lo stesso Bardawil. Il ministero della Salute di Gaza ha aggiornato il bilancio complessivo delle vittime del conflitto, che ora ammonta a 50.021 morti, mentre il numero dei feriti è salito a 113.274.
Le forze israeliane hanno annunciato di aver completato l’accerchiamento del quartiere di Tel Sultan, situato nella parte meridionale della Striscia di Gaza. L’operazione, avviata durante la notte, ha come obiettivo quello di distruggere le infrastrutture terroristiche e neutralizzare i militanti presenti nell’area, garantendo al contempo un maggiore controllo e ampliando la zona di sicurezza nel sud del territorio.
Durante questa operazione, le truppe israeliane hanno eliminato diversi militanti e sono penetrate in un complesso appartenente a Hamas. In mattinata, l’esercito aveva emesso un avviso di evacuazione immediata per i residenti palestinesi del quartiere, sottolineando l’urgenza della situazione.
Tel Sultan, come evidenziato dal Times of Israel, rappresenta un punto strategico per Hamas, con la presenza di numerosi complessi chiave e una rete di tunnel utilizzata anche per detenere ostaggi. Le forze israeliane avevano precedentemente condotto operazioni nella zona, ritirandosi durante il cessate il fuoco di due mesi iniziato a gennaio.
Parallelamente, l’esercito israeliano ha avviato operazioni di terra nel nord di Gaza, con particolare attenzione alla zona di Beit Hanoun. Questa offensiva mira a smantellare le infrastrutture di Hamas e a creare una zona cuscinetto lungo il confine. Durante l’operazione, gli aerei da combattimento israeliani hanno colpito diversi obiettivi strategici nella regione, come riportato dal Times of Israel.
Nel frattempo, sul fronte interno israeliano, il governo ha approvato una mozione di sfiducia nei confronti della procuratrice generale, Gali Baharav-Miara. Secondo quanto riferito da Haaretz, questa decisione rappresenta un primo passo verso la sua possibile destituzione. La mozione, presentata venerdì dal ministro della Giustizia Yariv Levin, segna un importante sviluppo politico interno.