L’Orto Americano, intervista esclusiva ad Armando De Ceccon: “Vi racconto il mio viaggio con Pupi Avati tra cinema, teatro e vita”
Qualche domanda ad Armando De Ceccon, tra i protagonisti de L’Orto Americano, il nuovo film di Pupi Avati in uscita nelle sale il prossimo 6 marzo. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Armando, riassumiamo brevemente il percorso che l’ha portata a far parte de L’Orto Americano, il nuovo film di Pupi Avati.
“Dopo una prima fase di grandi spettacoli, soprattutto teatrali, sono stato coinvolto in serie televisive e soap opere come Centovetrine e vivere. Ho fatto un anno anche di partecipazione a delle televendite così chiamate. Ho partecipato a numerose fiction con Riccardo Donna, con una partecipazione regolare, e con altri registri come Alberto costa. Con Pupi Avati, il percorso è stato un po’ a macchia di leopardo, con situazioni marginali di partecipazione. Dopo aver partecipato a un suo film sulla vita di Dante Alighieri, dove mi sono conquistato un momento di attenzione maggiore con Pupi e Antonio, che mi ha portato alla proposta del ruolo Claudio Zagotto nel loro film. Mi sono sentito coinvolto in una grande opportunità in un momento post COVID e situazione piuttosto faticosa dal punto di vista professionale e personale. Come sempre, ho cercato di tirare fuori il possibile. In questo momento sento di poter dare il meglio di me”.
L’arte della recitazione quali tipo di sensazioni ha fatto nascere in lei?
“Direi che la mia attività, per quanto sia stata condizionata dal teatro, mi ha fatto sviluppare una curiosità intorno a tutto ciò che c’è in questo mestiere. Tanto che ho iniziato a riscrivere dei testi cercando di essere anche regista. Ho fatto doppiaggio facendomi coinvolgere nell’opera lirica come voce recitante e dal lavoro con l’orchestra e dalla musica”.
È anche un padre di famiglia, no?
“Sono anche un padre di famiglia. Mi piace evidenziarlo perché credo che questa condizione mi abbia aiutato anche ad essere un uomo migliore. A trovare sempre risorse dove sembravano non esserci. Mi ha fatto diventare un uomo con la U maiuscola. Io penso che sia un valore aggiunto, un impegno, una responsabilità. Un progetto di sviluppo per me stesso. È un esercizio vitale della vita reale che ti mette nella condizione di essere un esempio per gli altri così come nel teatro dove mettiamo in scena personalità, diventiamo dei modelli che devono aiutare a pensare”.
Ha ancora un desiderio da realizzare, professionale e no?
“Mi piacerebbe realizzare una fattoria didattica per bambini a Roma. Mi piacerebbe mettere in scena uno dei testi che sto scrivendo, in particolare un Caligola, e un testo di Cocto, una voce umana riscritta. Poi c’è un sogno nel cassetto che ho nelle mani. Penso sia un’idea urgente. Un’idea rielaborata sul tema di una messa in scena di quelli che sono i padri separati, che sono allontanati dai figli e che hanno perso tutto. Che hanno perso un’identità; una motivazione che possa incoraggiare le persone a dare il meglio di sé. Vorrei recuperare anche progetti che ho dovuto mettere da parte come le scritture per il cinema. Ho realizzato due cortometraggi dal titolo Non ho parole, Un Pigneto e Una gioia per te dedicata a mio figlio. Sono stato anche premiato tra i primi dieci ad un festival”.
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