Ucraina, media Usa: “Ipotesi esilio Zelensky in Francia”
Lo scrive il New York Post citando fonti vicine al presidente americano Donald Trump. In corso con Usa colloqui su terre rare.

Il presidente ucraino Volodymyr ”Zelensky ha sempre meno sostenitori alla Casa Bianca, se non addirittura nessuno” e secondo la ”cerchia ristretta di Trump” dovrebbe lasciare il suo Paese e ”trasferirsi in esilio in Francia”. Anche perché ”il peggioramento dei rapporti” tra Trump e Zelensky ”rischia di indebolire la posizione di Kiev nei colloqui di pace con la Russia”. Lo scrive il New York Post citando fonti vicine al presidente americano Donald Trump.
Sebbene il peggioramento dei rapporti tra Washington e Kiev sembri improvviso, una fonte a conoscenza delle discussioni alla Casa Bianca ha dichiarato al Post: “Per me non è una novità. Ho sentito mesi fa che è giunto il momento di indire elezioni e di formare una nuova leadership” in Ucraina. Un’altra fonte vicina a Trump concorda e suggerisce che ”la soluzione migliore per Zelensky e per il mondo è che se ne vada immediatamente in Francia”.
Zelensky ha rifiutato una prima proposta degli Stati Uniti di cedere il 50% delle terre rare del suo paese e nei giorni scorsi Trump lo ha definito un “dittatore”. Zelensky, da parte sua, ha accusato Trump di vivere in uno “spazio di disinformazione”, ma successivamente ha affermato che Kiev è pronta ad un accordo con gli Stati Uniti, che puntano ad un’intesa per lo sfruttamento delle risorse minerarie dell’Ucraina dopo la conclusione della guerra con la Russia.
In corso con Usa colloqui su terre rare
E a questo proposito, secondo quanto rende noto l’Afp citando un alto responsabile ucraino a condizione di anonimato, funzionari americani e ucraini hanno avviato negoziati. “C’è uno scambio costante di bozze di documenti, ne abbiamo inviata un’altra ieri” e “stiamo aspettando una risposta americana”, ha aggiunto la fonte informata sull’andamento dei colloqui.
Cina: “Pronti a ruolo costruttivo per risoluzione crisi”
“La Cina è disposta a continuare a svolgere un ruolo costruttivo nella risoluzione politica della crisi” in Ucraina. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi nel corso di un incontro dei ministri degli Esteri del G20 a Johannesburg. Wang ha incontrato il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov a margine del G20 e ha affermato che le relazioni tra Mosca e Pechino si stanno “muovendo verso un livello superiore e una dimensione più ampia”. I due si incontreranno presto a Mosca, aveva affermato in precedenza Lavrov.
Scholz: ancora molto lontani da cessate il fuoco
L’Europa dovrà garantire che l’Ucraina continui a essere in grado di difendersi anche dopo un eventuale cessate il fuoco. Lo ha dichiarato il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, intervistato durante un programma della Zdf. “Siamo ancora molto lontani da un cessate il fuoco – ha ammesso Scholz – La guerra continua a svolgersi ogni giorno con la massima brutalità”. Nel frattempo, ha detto, la Germania e l’Europa devono garantire che l’Ucraina non sia lasciata sola. Per il cancelliere resta da vedere se, in caso di cessate il fuoco, le truppe internazionali potranno svolgere un ruolo in Ucraina, “e se questo debba accadere”.

Cerchi qualcosa in particolare?
Pubblichiamo tantissimi articoli ogni giorno e orientarsi potrebbe risultare complicato.
Usa la barra di ricerca qui sotto per trovare rapidamente ciò che ti interessa. È facile e veloce!
Esteri
Ucraina e Russia, rotte diplomatiche in evoluzione: Trump rilancia l’idea di fermare Putin

Guardate, è tutto un groviglio. Un labirinto infinito di strade, senza fine. Ci sta Trump che dice di essere lui l’unico capace di spegnere sta guerra, che è lui quello giusto per fermare Putin. Un’affermazione forte, ma forse anche un po’ troppo convinta, no? Dall’altra parte c’è il Cremlino che frena: calma, calma, non aspettatevi miracoli improvvisi, non è mica tutto facile. E in mezzo? Gente che si incontra in Arabia Saudita, riunioni fitte, incontri lunghi, parole su parole. Speranze sì, tante, forse pure troppe. E noi qui, con mille dubbi e qualche briciolo di speranza vera, che ci domandiamo: voi, voi davvero ci vedete una via d’uscita? Un piccolo spazio, almeno una minima luce concreta in fondo a questo labirinto?
Trump e la fiducia in se stesso
Trump lo ha detto apertamente, senza giri di parole: “Soltanto io posso fermare Vladimir Putin”. Sì, un’affermazione che suona forte e netta. L’ha ribadita mentre parlava con il sito Outkick, esprimendo la convinzione che le sue passate discussioni con il presidente russo possano rappresentare un ponte per risolvere l’impasse. Noi ci sentiamo a metà tra lo scetticismo e la curiosità. Da un lato, fa un po’ impressione vedere con quanta sicurezza si proponga come mediatore. Dall’altro, non possiamo ignorare che nei suoi trascorsi ha avuto contatti frequenti con Putin, e magari i due si rispettano abbastanza per provare a tessere un dialogo.
Le parole del Cremlino
Eppure, Mosca non si mostra particolarmente entusiasta. Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha messo in guardia dall’illusione di un accordo immediato. “Il cammino è appena all’inizio”, ha detto con espressioni che fanno pensare a una maratona, non certo a uno sprint. Del resto, quando la posta in gioco è una possibile tregua, ci si aspetta trattative complicate, piene di ostacoli e ritorni al punto di partenza. Noi restiamo qui ad attendere sviluppi, ben consapevoli che un processo di pace richiede tempo, volontà e diplomazia.
Gli incontri a Riad
Nel frattempo, in Arabia Saudita, qualcosa si muove per davvero. La delegazione americana e quella ucraina si sono incontrate a Riad. Rustem Umerov, ministro della Difesa di Kiev, ha spiegato in un post che i colloqui mirano a rafforzare la sicurezza delle strutture energetiche e di altre infrastrutture cruciali. Non è roba da poco, perché sappiamo quanto l’energia sia un tassello vitale in questo conflitto. Umerov è affiancato da esperti militari ed energetici, e sembra piuttosto determinato a portare a casa risultati tangibili.
Domani tocca ai russi e agli americani
Stando a quanto trapela, il giorno successivo sarà dedicato al confronto diretto tra funzionari russi e statunitensi. L’obiettivo principale? Definire i contorni di un’eventuale tregua, partendo da temi tecnici come la sicurezza nel Mar Nero, la movimentazione di grano e carburante. Qui la diplomazia si fa concreta, tangibile: noi immaginiamo quei tavoli di lavoro, pieni di carte e mappe, con le delegazioni che discutono una linea di controllo e i possibili meccanismi di verifica.
Delegazioni e protagonisti
Vorremmo tutti avere uno sguardo privilegiato su ciò che accade in quelle stanze. Per ora, sappiamo che per l’Ucraina sono presenti Umerov e il consigliere militare della Presidenza Pavlo Palisa, insieme a una squadra di specialisti in infrastrutture navali e aeree. Per la Russia, l’agenzia Tass riferisce di un diplomatico di spicco, Grigory Karasin, e di un consigliere del direttore dell’Fsb, Sergey Beseda. Per gli Stati Uniti, Keith Kellogg guida un gruppo che include Michael Anton, responsabile della Pianificazione politica presso il Dipartimento di Stato, e consulenti che fanno capo a Michael Waltz, consigliere per la Sicurezza nazionale.
L’ottimismo di Waltz
C’è chi parla di pace con toni che mescolano ottimismo e prudenza. Michael Waltz, infatti, sostiene che la situazione stia evolvendo nella direzione giusta: “Mai siamo stati così vicini alla pace”, ha dichiarato, condividendo l’idea che la nuova fase di dialogo possa portare risultati reali, soprattutto dopo le ultime telefonate tra Trump e Putin. Pare che un cessate il fuoco sulle infrastrutture aeree sia già in atto. Ora, aggiunge Waltz, si valuta una tregua marittima nel Mar Nero per consentire a entrambi i Paesi di spostare merci, grano e combustibili.
Da parte nostra, non possiamo fare a meno di notare quanto sia delicato riaprire corridoi di scambio nelle acque del Mar Nero. I porti e le rotte commerciali sono un nodo cruciale nella guerra in corso, e un’intesa in quel settore farebbe ben sperare sull’idea di portare avanti un cessate il fuoco più ampio. Si riesce a immaginare un lento ritorno alla normalità?
Lo spettro di una Terza Guerra Mondiale
Trump, nelle sue dichiarazioni, è tornato più volte su un punto: il timore che il conflitto ucraino-russo possa degenerare in qualcosa di molto più grave. “Non sono soldati americani, ma potremmo rischiare di precipitare verso la terza guerra mondiale”, ha affermato. Noi avvertiamo una certa tensione nelle sue parole, perché in fondo sa che un’escalation globale sarebbe devastante sotto ogni punto di vista.
Peskov su possibili contatti riservati
Intanto, dal Cremlino trapela che potrebbero esserci stati più contatti di quanti ne siano stati resi noti tra Putin e Trump. “Vi informiamo di ciò di cui siamo a conoscenza, ma non escludiamo il resto”, ha detto Peskov, gettando un velo di mistero su quelle che potrebbero essere state conversazioni private. Noi ci chiediamo se dietro le quinte si stia giocando una partita ancora più complessa di quella pubblica.
Le voci su una tregua entro Pasqua
Alcune fonti mediatiche, tra cui Bloomberg, riferiscono che l’amministrazione Trump stia puntando a una tregua entro il 20 aprile. E sappiamo che quest’anno, secondo il calendario, la Pasqua cattolica e quella ortodossa coincidono proprio in quella data. Un segnale simbolico, se vogliamo: una pace che arrivi in un giorno di festa condivisa. Tuttavia, gli stessi americani considerano questa scadenza ambiziosa. Effettivamente, mettere d’accordo due nazioni in guerra aperta non è questione di pochi giorni.
Noi cerchiamo di capire se davvero ci sia un margine concreto per arrivare a un fermo totale delle ostilità. Gli esperti di politica estera parlano di possibili “congelamenti delle linee” e di qualche forma di interposizione, magari con meccanismi di verifica o forze terze a sorvegliare il rispetto degli accordi. Nell’aria si respira una combinazione di cautela e speranza.
Tra scetticismo e desiderio di pace
Per un attimo, proviamo a metterci nei panni di chi vive queste giornate da protagonista, seduto a un tavolo di negoziazione a Riad o a Mosca. C’è chi non vorrebbe cedere un solo centimetro, temendo di mostrarsi debole. C’è chi anela a far ripartire gli scambi commerciali nel Mar Nero, perché il grano e il carburante sono fondamentali per la sopravvivenza della popolazione. C’è poi chi spera di arginare un conflitto che potrebbe coinvolgere progressivamente altri Paesi.
Forse, la vera grande incognita è la volontà politica di tutte le parti in causa. Trump ne è convinto: con la sua mediazione, Putin e Zelensky potrebbero trovare un accordo ragionevole. Il Cremlino, però, mette le mani avanti dicendo che la strada è lunga e faticosa. E intanto, a noi resta il compito di raccontarvi tutto questo, cercando di non perdere di vista la sostanza: una guerra in corso e la concreta possibilità di innescare processi di pace.
Noi incrociamo le dita, sperando che questi incontri in Arabia Saudita siano davvero l’inizio di qualcosa di più solido. Forse l’obiettivo di una tregua entro Pasqua è audace, ma non bisogna sottovalutare la forza simbolica di una data che unisce diverse comunità religiose. Se a Riad si comincia a parlare di corridoi sicuri e cessate il fuoco mirati, allora c’è un seme di speranza. Certo, nessuno vuole illudersi: sappiamo che i negoziati sulla linea di controllo e sul mantenimento della pace sono solo un primo passo. Però vale la pena rimanere con gli occhi puntati su queste trattative. Se davvero riuscissero a fermare il fuoco, anche solo per un giorno, sarebbe un piccolo miracolo diplomatico.
Esteri
Conflitto a Gaza: aggiornamenti sugli attacchi e le operazioni militari

Un attacco aereo lanciato da Israele nel sud di Gaza durante la notte ha causato la morte di Salah al-Bardawil, un importante esponente politico di Hamas. La notizia è stata confermata dal movimento stesso, come riportato dal Times of Israel.
La morte di Bardawil si aggiunge a quella di altri leader di Hamas uccisi nei recenti raid aerei israeliani. Tra questi, spiccano Essam Addalees, capo del governo de facto del gruppo, e Mahmoud Abu Watfa, responsabile della sicurezza interna, eliminati martedì scorso insieme ad altri funzionari di rilievo.
Secondo le autorità sanitarie di Gaza, gestite da Hamas, gli attacchi della notte hanno provocato almeno 19 vittime, tra cui lo stesso Bardawil. Il ministero della Salute di Gaza ha aggiornato il bilancio complessivo delle vittime del conflitto, che ora ammonta a 50.021 morti, mentre il numero dei feriti è salito a 113.274.
Le forze israeliane hanno annunciato di aver completato l’accerchiamento del quartiere di Tel Sultan, situato nella parte meridionale della Striscia di Gaza. L’operazione, avviata durante la notte, ha come obiettivo quello di distruggere le infrastrutture terroristiche e neutralizzare i militanti presenti nell’area, garantendo al contempo un maggiore controllo e ampliando la zona di sicurezza nel sud del territorio.
Durante questa operazione, le truppe israeliane hanno eliminato diversi militanti e sono penetrate in un complesso appartenente a Hamas. In mattinata, l’esercito aveva emesso un avviso di evacuazione immediata per i residenti palestinesi del quartiere, sottolineando l’urgenza della situazione.
Tel Sultan, come evidenziato dal Times of Israel, rappresenta un punto strategico per Hamas, con la presenza di numerosi complessi chiave e una rete di tunnel utilizzata anche per detenere ostaggi. Le forze israeliane avevano precedentemente condotto operazioni nella zona, ritirandosi durante il cessate il fuoco di due mesi iniziato a gennaio.
Parallelamente, l’esercito israeliano ha avviato operazioni di terra nel nord di Gaza, con particolare attenzione alla zona di Beit Hanoun. Questa offensiva mira a smantellare le infrastrutture di Hamas e a creare una zona cuscinetto lungo il confine. Durante l’operazione, gli aerei da combattimento israeliani hanno colpito diversi obiettivi strategici nella regione, come riportato dal Times of Israel.
Nel frattempo, sul fronte interno israeliano, il governo ha approvato una mozione di sfiducia nei confronti della procuratrice generale, Gali Baharav-Miara. Secondo quanto riferito da Haaretz, questa decisione rappresenta un primo passo verso la sua possibile destituzione. La mozione, presentata venerdì dal ministro della Giustizia Yariv Levin, segna un importante sviluppo politico interno.
Esteri
La Cina potrebbe unirsi alle forze di peacekeeping in Ucraina

La possibilità che la Cina possa schierare proprie forze di peacekeeping in Ucraina sta emergendo come scenario concreto, qualora si raggiungesse un accordo tra Kiev e Mosca per porre fine al conflitto in corso. Secondo quanto riportato dal quotidiano tedesco Welt Am Sonntag, tali informazioni provengono da fonti diplomatiche europee ben informate sulla questione.
Fonti europee hanno sottolineato che l’eventuale partecipazione della Cina a una cosiddetta “coalizione dei volenterosi” potrebbe rappresentare un elemento determinante per aumentare l’accettazione, da parte della Russia, della presenza di truppe destinate al mantenimento della pace sul territorio ucraino. Tuttavia, questa prospettiva viene descritta come una questione estremamente “delicata”.
La Russia, infatti, si è spesso dichiarata contraria alla presenza di forze di peacekeeping europee in Ucraina. Tuttavia, nelle scorse settimane, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dichiarato che il leader russo Vladimir Putin potrebbe non opporsi all’eventuale presenza di soldati europei, ma solo dopo la formalizzazione di un accordo di pace per porre termine al conflitto. Questo tema, però, non è stato più affrontato nelle dichiarazioni successive del presidente americano, nemmeno dopo la recente telefonata con Putin avvenuta all’inizio della settimana, durante la quale è stato concordato un cessate il fuoco parziale, con l’impegno a fermare gli attacchi contro le infrastrutture energetiche.
Nel frattempo, è stato confermato che il prossimo giovedì, 27 marzo, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sarà presente a Parigi per prendere parte alla riunione della Coalizione dei volenterosi, un incontro incentrato sulla pace e sulla sicurezza in Ucraina.