Sanremo 2025: Iva Zanicchi, una vita di musica, un premio che sa di abbraccio
Sanremo, 14 febbraio 2025 – Che notte, ragazzi. Quella che non ti scordi più. L’Ariston in delirio, la gente in piedi, un applauso infinito. E lei, Iva. Uno sguardo che dice tutto, gli occhi lucidi, il sorriso che prova a contenere l’emozione… ma è impossibile. Perché dopo sessant’anni di carriera, sessant’anni di musica, è impossibile non sentirsi travolti da un’ondata d’affetto che ti fa tremare le gambe.
Il Premio alla Carriera “Città di Sanremo”, una targa, un riconoscimento ufficiale, sì. Ma è molto di più: è un grazie collettivo, è il pubblico che ti dice “sei parte della nostra vita”. E lei lo sa. Iva lo sente, lo vive, lo respira.
Vestita di nero, elegantissima, quasi a voler ricordare a tutti che la classe non ha età, non ha tempo. Ottantacinque anni e la voce che ancora sa graffiare, accarezzare, far venire i brividi. “Non pensavo di emozionarmi così“, dice stringendo il premio, mentre il pubblico la ricopre d’amore. L’Aquila di Ligonchio ha spiccato il volo ancora una volta. E nessuno ha avuto il coraggio di farla atterrare.
Un riconoscimento alla carriera da record
Il Premio alla Carriera è stato consegnato a Iva Zanicchi direttamente dal conduttore e direttore artistico Carlo Conti, affiancato dal maestro Pinuccio Pirazzoli. Si tratta di un tributo prestigioso, una sorta di “blasone” per una vera signora della musica italiana – come Conti stesso l’ha definita – che vanta ben tre vittorie al Festival di Sanremo (nel 1967, 1969 e 1974). “Che emozione!”, ha esclamato Iva appena ricevuto il premio, visibilmente emozionata di fronte al teatro gremito. Conti l’ha presentata al pubblico sottolineando la sua statura artistica – “una donna straordinaria” – e ricordando con affetto di aver condiviso con lei un’esperienza televisiva a Domenica In molti anni fa.
Discorsi, ringraziamenti e ironia sul palco
Durante il suo discorso di ringraziamento, Iva Zanicchi ha più volte espresso gratitudine. “Grazie, sono veramente onorata”, ha dichiarato con semplicità, rivolgendosi sia a Conti che al pubblico dell’Ariston. L’artista non ha nascosto la propria emozione per essere celebrata nella “sua” Sanremo: “Sono passati 60 anni dal mio primo Festival… quando ritirerò questo premio rivivrò tutta la mia vita, perché io sono nata qua”, aveva confidato alla vigilia, ricordando il suo esordio sanremese nel 1965. Sul palco, Zanicchi ha voluto dedicare simbolicamente il riconoscimento alle due persone a lei più care, rendendo omaggio alla madre – che fin da giovane l’aveva sostenuta con grandi sacrifici – e al compagno di una vita, Fausto Pinna, scomparso pochi mesi fa: “Lo dedico a mia mamma… E a Fausto, mio marito, da poco scomparso”.
Fedele al suo carattere gioviale, Iva ha saputo stemperare la solennità con l’ironia che da sempre la contraddistingue. “Come mi hanno detto in tanti, meglio un omaggio da viva che da morta”, ha scherzato la cantante, strappando sorrisi e applausi durante i ringraziamenti finali. Un momento divertente si è avuto quando Conti le ha chiesto di regalare al pubblico un assaggio dei suoi brani più celebri: inizialmente Iva ha risposto ridendo che avrebbe preferito ascoltare i Duran Duran (ospiti internazionali della serata) piuttosto che esibirsi. Convinta dall’entusiasmo del teatro, ha poi accettato con un sorriso, pronta a cantare per il suo pubblico.
Non sono mancati piccoli fuori programma scherzosi: al momento della consegna fisica del trofeo, quando il maestro Pirazzoli è salito sul palco per porgerle il premio, la cantante – nel salutarlo affettuosamente – si è lasciata sfuggire una battuta sulla sua età: “Sei un po’ rincogl”, gli ha detto ridendo. La frase colloquiale, rivolta a un amico di vecchia data, ha creato un attimo di sorpresa divertita in platea, testimonianza dello spirito vivace di Iva anche in diretta televisiva.
L’esibizione: un medley di successi intramontabili
Dopo la premiazione, Iva Zanicchi ha incantato l’Ariston con la sua voce, dimostrando una volta di più la forza interpretativa che l’ha resa celebre. Su invito di Conti, ha proposto un medley dei suoi brani più amati, in particolare le tre canzoni con cui conquistò Sanremo negli anni ’60 e ’70. Dal palco sono risuonate le note di “Non pensare a me” (vincitrice nel 1967), “Zingara” (trionfo del 1969) e “Ciao cara come stai?” (primo posto nel 1974). L’artista ha accennato anche qualche altro motivo del suo repertorio e di colleghi a cui è legata: ad esempio ha intonato poche note de “L’arca di Noè” di Sergio Endrigo, omaggiando un grande della musica italiana che aveva condiviso con lei il palco in passato.
La performance ha messo in luce l’intonazione e la potenza vocale di Zanicchi, rimaste impressionanti nonostante l’età. La cantante, 85 anni compiuti a gennaio, ha dominato il palco con una presenza scenica energica “che ha più energia di alcuni giovani”, come notato ironicamente da commentatori in rete. La sua voce calda e inconfondibile ha suscitato grande nostalgia nei fan di lunga data e sorpresa nelle nuove generazioni, regalando al Festival uno dei momenti musicali più alti e celebrativi della serata.
Ovazioni del pubblico e applausi della critica
L’omaggio a Iva Zanicchi si è trasformato in una vera festa collettiva. Già al suo ingresso, il pubblico dell’Ariston l’ha accolta scandendo a gran voce il suo nome (“Iva, Iva, Iva!”) in un coro affettuoso. Al termine del medley, l’intera platea si è alzata in piedi tributando all’artista una calorosa standing ovation. È stato un tributo spontaneo e prolungato, con Zanicchi visibilmente commossa mentre stringeva al petto il premio appena ricevuto.
Le reazioni entusiaste non si sono limitate al teatro. Sui social network, durante e dopo l’esibizione, sono fioccati i commenti ammirati: molti utenti hanno celebrato la “voce incredibile che Iva ha ancora alla sua età”, lodando la sua grinta e la sua vocalità senza tempo. Tweet e post con l’hashtag #Zanicchi hanno sottolineato come l’artista ottantacinquenne abbia saputo tenere testa – in fatto di talento e carisma – a colleghi ben più giovani, ribadendo il suo status di icona amata da generazioni.
Anche la critica e gli addetti ai lavori hanno riconosciuto quello di Iva come uno dei momenti clou di Sanremo 2025. Nella sala stampa dell’Ariston, tradizionalmente severa, l’omaggio alla Zanicchi ha scatenato addirittura un’insolita ondata di entusiasmo: i giornalisti si sono lasciati andare a una “ola” collettiva mentre la cantante si esibiva, un fatto mai visto nelle serate precedenti. “Standing ovation anche per la Iva nazionale, icona del nazional-popolare”, ha titolato efficacemente un commentatore, a rimarcare il sentimento unanime di stima verso un pilastro della musica leggera italiana. Nel complesso, stampa e pubblico hanno concordato nel definire la premiazione di Iva Zanicchi come un momento storico e toccante del Festival, capace di unire generazioni davanti alla TV e di ricordare a tutti l’importanza della memoria musicale collettiva.
Un tributo alla carriera e alla storia della musica italiana
La serata del 13 febbraio non ha celebrato solo l’artista Iva Zanicchi ma anche il suo contributo indelebile alla cultura popolare italiana. Con oltre sei decenni di carriera, Zanicchi ha attraversato epoche e mode, restando sempre fedele a se stessa e conquistando successi in ambito musicale, televisivo e perfino politico. Le sue interpretazioni hanno segnato la storia del Festival di Sanremo – è l’unica cantante donna ad aver vinto tre edizioni, record che la iscrive nell’albo d’oro della manifestazione – e brani come “Zingara” o “Ciao cara come stai?” fanno parte del patrimonio della canzone italiana. Non a caso, questo Premio alla Carriera all’Ariston ha voluto riconoscere proprio l’impronta lasciata da Zanicchi nella musica italiana, celebrandone il timbro potente, la personalità vulcanica e la capacità di emozionare il grande pubblico attraverso le generazioni.
Sul palco, Iva stessa ha sottolineato il legame profondo con Sanremo, definendolo il luogo dove artisticamente è “nata” e cresciuta. “Qui c’è il cuore”, ha confessato parlando della città dei fiori, “è sempre molto emozionante tornare”. Sanremo per lei non è solo un palco. È casa. È vita. È quel posto che l’ha vista crescere, cambiare, diventare un pezzo di storia della musica italiana. Ma Iva non si è fermata lì. Negli anni ’70 e ’80 ha fatto cantare gli italiani in TV, li ha emozionati nelle loro case, ha portato la sua voce forte e vera ovunque. E non è finita lì: è stata anche all’Eurovision nel ‘69, ha calcato i teatri, ha scritto libri, ha persino vissuto un’esperienza in politica, sempre con quella grinta che la rende unica. Però, diciamocelo, la musica… la musica è sempre stata il suo cuore, la sua anima. E quello non l’ha mai tradito.
La celebrazione di Sanremo 2025 ha dunque suggellato un percorso artistico ricchissimo. Ma Iva Zanicchi guarda ancora avanti. Dopo aver spento 85 candeline il mese scorso, l’inarrestabile artista ha rivelato di avere nuovi progetti musicali in cantiere: “Sto preparando un nuovo album con brani del passato ma anche canzoni nuove, inedite”, ha confidato, a testimonianza di un entusiasmo creativo che non si è affievolito col tempo. La serata della premiazione si è conclusa tra applausi scroscianti, fiori e abbracci, con Iva che lascia il palco felice e visibilmente emozionata, ringraziando ancora una volta Sanremo – il palcoscenico dove tutto ebbe inizio – per averle regalato un’altra notte indimenticabile.
“Ci sono voci che non appartengono solo a chi le possiede ma a un intero popolo. Iva Zanicchi ha dato voce ai battiti del cuore di generazioni intere. E mentre la sua voce si alza ancora, vibrante e intensa, ci ricorda che la musica non ha età, ma solo emozioni da donare. Perché leggende come lei non si ascoltano soltanto: si sentono dentro, per sempre.” (Junior Cristarella)

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Attualità
Truman Capote e la ferita di un delitto: il nuovo sguardo di “Pagine” su Rai 5

Avvertiamo sempre un brivido, quasi un sussurro inquieto, quando pensiamo a quei delitti che scuotono intere comunità. Voi vi siete mai chiesti che cosa spinga uno scrittore a immergersi così a fondo in un omicidio da farne un romanzo-capolavoro? In “A sangue freddo” Truman Capote fece esattamente questo, scavando nella tragica vicenda della famiglia Clutter e finendo per portarsi dietro un peso enorme. Adesso, questo stesso racconto torna sotto i riflettori grazie al documentario di Julien Gaurichon e Frédéric Bas, che lunedì 24 marzo verrà proposto in seconda serata su Rai 5, all’interno di “Pagine”.
La voce di Federica Sciarelli: dal crimine narrato al crimine reale
Nel nuovo programma di Rai Cultura, ci affacciamo su scenari di letteratura che spesso s’intrecciano con la cronaca. Ed è proprio Federica Sciarelli, popolare volto di “Chi l’ha visto”, a introdurre il mondo di “A sangue freddo”. Sentiamo tutta l’intensità di chi ha familiarità con storie difficili, perché la Sciarelli di crimini ne ha raccontati tanti e sa bene quanto possa pesare l’eco di un fatto violento.
Noi immaginiamo la vita a Holcomb, in Kansas, nel 1959. Un posto tranquillo dove improvvisamente accade qualcosa di mostruoso: quattro membri della famiglia Clutter vengono trovati assassinati il 15 novembre. Capote, ancora noto soprattutto per “Colazione da Tiffany”, resta catturato dalla notizia letta sul “New York Times”. Un crimine così efferato lo spinge a passare cinque anni tra interviste e ricerche, fino alla pubblicazione di “A sangue freddo” nel 1965 sulle pagine del “New Yorker”. Nel 1966 esce il romanzo completo, e quel successo esplode al punto da cambiare la sua vita e quella di una certa narrativa true crime.
Le ombre dei colpevoli e le ferite interiori
Vi siete mai chiesti come reagiremmo davanti a chi ha commesso un massacro? Capote incontrò più volte i due responsabili, Perry Smith e Dick Hickock, ex pregiudicati in libertà vigilata. Ci sconvolge sentire che lui descriveva Perry come colto e sensibile, mentre Dick sembrava incredibilmente pacato. Eppure, nel 1960 furono entrambi arrestati e poi condannati a morte. Cinque anni dopo, Capote assistette alle impiccagioni. Da lì la ferita, un vuoto che lui stesso definì insopportabile: “Nessuno conoscerà mai il vuoto che A sangue freddo ha scavato in me. In qualche modo credo che questo libro mi abbia ucciso”.
Con filmati d’archivio e testimonianze, Gaurichon e Bas riportano alla luce la forza devastante di quella storia e mostrano quanto abbia segnato Capote. Noi ci ritroviamo quasi senza fiato, perché scopriamo un autore diviso fra la voglia di raccontare e il peso di un’esperienza troppo intensa. “Pagine” – curato da Silvia De Felice, Emanuela Avallone e Alessandra Urbani, per la regia di Laura Vitali – ci accompagna lungo questo percorso fra parole e immagini, invitandoci a esplorare la letteratura come specchio della realtà più crudele.
Non sappiamo se avremo mai risposte definitive, ma restiamo uniti in questa riflessione collettiva, mentre la Sciarelli ci introduce a un racconto che vibra ancora di tensione. E forse, alla fine, ci rendiamo conto che l’anima di Capote aleggia ancora su quelle pagine, come se il crimine avesse stretto uno strano patto con la sua penna.
Attualità
Processo Priebke: l’ombra del passato che ci parla ancora

Ci sentiamo afferrare alla gola ogni volta che riemerge un episodio legato ai crimini nazisti. Non è semplice, vero? Molti di voi, probabilmente, preferirebbero non rivivere certi ricordi. Eppure sentiamo il dovere di ripercorrere fatti come l’eccidio delle Fosse Ardeatine, perché non possiamo permettere che scivolino nell’oblio.
Un processo fra indignazione e memoria
Il nome di Erich Priebke rimane un simbolo del male: ex ufficiale delle SS, coinvolto in uno dei massacri più atroci del nostro Paese. Nel 1996 lo arrestano in Argentina e lo trasferiscono in Italia. Sembra quasi un film, ma è tutto drammaticamente reale. Il tribunale militare di Roma, in un’aula piccola e soffocante, diventa il palcoscenico di un dibattito giuridico infuocato. La prima sentenza riconosce la colpevolezza di Priebke ma, incredibilmente, dichiara prescritto il reato.
Vi immaginate la rabbia? Familiari delle vittime che protestano, che occupano l’aula, che non riescono ad accettare una conclusione tanto assurda. Eppure quei momenti di tensione hanno contribuito a riaccendere l’attenzione collettiva su un capitolo oscuro della nostra storia. Nel 1997, alla fine, arriva la condanna definitiva all’ergastolo, con un principio che ormai conosciamo bene: i crimini di guerra non vanno in prescrizione.
Sentiamo un fremito nel presentarvi La verità del male – Il processo Priebke, un documentario prodotto da Golem Multimedia, in collaborazione con Rai Documentari e Fondazione Museo della Shoah, che va in onda venerdì 21 marzo in seconda serata su Rai 3. Il racconto, scritto da Giancarlo De Cataldo e Alberto Ferrari, e diretto dallo stesso Ferrari, mette in scena le voci di chi ha vissuto quei giorni intensi: Francesco Albertelli (ANFIM), Giovanni Maria Flick (Ministro della Giustizia di allora), Antonino Intelisano (pubblico ministero del Tribunale Militare) e Riccardo Pacifici, protagonista delle proteste e oggi vice presidente della European Jewish Association. La narrazione di De Cataldo penetra nelle pieghe del passato, mentre la colonna sonora, firmata da Gabriele De Cataldo e il montaggio di Luca Mariani completano un quadro crudo e necessario.
Siamo convinti che un lavoro del genere non sia solo un prodotto televisivo. È un richiamo collettivo a guardare in faccia l’orrore e a non smettere di fare i conti con ciò che è stato. Voi siete pronti a rivivere tutto questo? Noi crediamo che non ci sia scelta: occorre ricordare, sempre.
Attualità
Mafie, corruzione e innovazione: un viaggio tra resistenza civile, politiche globali e...

È strano, vero, ritrovarci con tante storie diverse che si intrecciano? Ci fa un po’ girare la testa, perché passiamo dalla lotta contro le mafie qui in Italia a proteste in altre parti del mondo. Eppure, tutto ci appare connesso. Noi stessi sentiamo il bisogno di capire in profondità come questi eventi si influenzino a vicenda. Voi potreste chiedervi: perché accostare tecnologie futuristiche, vicende di repressione politica e corruzione? Forse perché, nel loro complesso, ci mostrano la direzione in cui stiamo andando.
La rincorsa all’AI: soglia del “Sovrumano”
Iniziamo da qualcosa che cattura l’attenzione di tutti: l’intelligenza artificiale. Fino a ieri ci chiedevamo se le macchine potessero mai pensare. Ora siamo arrivati a porci una domanda più inquietante: quando supereranno le nostre abilità? Abbiamo ascoltato il parere di Nello Cristianini, professore all’Università di Bath, che sembra convinto di una prossima svolta. Ci dice che le IA non si limiteranno a eguagliare le nostre competenze, ma potrebbero addirittura superarle. C’è un brivido che corre lungo la schiena. Siamo davvero pronti?
Eppure, questa corsa alla tecnologia non è così astratta. È connessa al modo in cui gestiamo il potere, le libertà individuali e persino la trasmissione del sapere. Senza rendercene conto, l’AI irrompe nella nostra vita con una velocità inaudita. Inquieta, appassiona, spaventa. Ci sentiamo sospesi: da un lato siamo entusiasti di scoprire fin dove possiamo arrivare, dall’altro ci domandiamo se stiamo perdendo di vista i nostri valori più umani.
Riflessioni dalla Sicilia: il coraggio di dire no
Parallelamente, entriamo in un mondo che abbiamo appena dietro l’angolo, ma che a volte fingiamo di non vedere: quello delle mafie. Oltre 40 miliardi di euro, un giro d’affari colossale qui in Italia. Lì, nella giornata dedicata al ricordo delle vittime di mafia, migliaia di persone hanno sfilato a Trapani insieme a Libera e Don Ciotti. E ci siamo commossi quando abbiamo incontrato i fratelli Lionti, imprenditori di Niscemi. Loro si sono opposti al pizzo e hanno rischiato di essere ammazzati. Vivono sotto scorta, non vogliono lasciare la Sicilia, e continuano a lavorare fianco a fianco con la federazione antiracket. Uno slancio di determinazione che ci fa sentire un po’ più speranzosi.
Il Procuratore di Caltanissetta, Salvatore De Luca, ha lanciato l’allarme: ci sono sequestri frequenti di armi da guerra. Armi pesanti destinate – dice – a gesti clamorosi. Parla di un mandamento di Cosa Nostra in mano a giovani reclutati con un compenso misero, poche migliaia di euro, per uccidere. Tutto questo scuote la nostra coscienza. E ci fa chiedere se stiamo facendo abbastanza per sostenere chi non si piega.
Corruzione e proteste: drammi condivisi
Potremmo spostarci lontano, in Macedonia, dove un incendio in una discoteca abusiva – un capannone privo di uscite di sicurezza – ha causato 59 vittime e 155 feriti. Una strage che ha scioccato il Paese e che ha scatenato proteste furiose contro la corruzione. Non sono bastati gli arresti dei responsabili e le dimissioni del sindaco. In Serbia, intanto, da quattro mesi non si fermano le manifestazioni iniziate dopo il crollo di una pensilina, costato la vita a 15 persone. Più proteste, più rabbia, più richieste di cambiamento. E noi ci chiediamo: quante altre tragedie dovranno avvenire prima che le istituzioni intervengano davvero?
Tagli e repressione: gli Stati Uniti di Trump
Da un’altra parte del mondo troviamo un altro scontro. Trump vs Campus. Forse alcuni di voi hanno sentito parlare di Mahmoud Khalil, studente siriano di origine palestinese, con una famiglia, una green card e una laurea alla Columbia. La sua detenzione e la minaccia di espulsione hanno sollevato proteste accese a New York. Khalil paga per essere stato un leader delle dimostrazioni a favore della Palestina. E la Columbia rischia pure la perdita di 400 milioni di dollari di fondi federali. Pare che tutti i campus americani siano entrati nel mirino, costretti a tagliare corsi e ricerche su temi sgraditi a Trump: inclusione, riscaldamento globale, ogni cosa giudicata troppo “ribelle”. Sembra un attacco alla libertà di pensiero. A noi pare gravissimo.
Un rifugio per animali (e per noi)
Spostiamoci in Lazio, provincia di Viterbo. Due sorelle gemelle, una avvocata e una medica, hanno deciso di prendersi cura di cani, gatti, pecore non riproduttive e perfino cinghialetti. Hanno creato un rifugio per animali abbandonati, malati o capitati in eredità a chi non li voleva. Sembrava un sogno ingenuo. Invece, con un po’ di donazioni e tanta testardaggine, ci sono riuscite. Noi ammiriamo la loro scelta. Sì, perché ci dimostrano che esiste un modo diverso di vivere e trovare serenità, riscoprendo un contatto autentico con la natura.
I problemi del lago Trasimeno
Nel frattempo, in Umbria, il lago Trasimeno segna un metro e 25 centimetri sotto lo zero idrometrico. Poche piogge e cambiamenti climatici preoccupanti. Il turismo e la pesca ne risentono. Si parla di convogliare l’acqua dal lago Montedoglio, in Toscana, per evitare il peggio. Ma è un progetto da accelerare, prima che arrivi l’estate. Noi, se fossimo in voi, cercheremmo di capire quanto questo specchio d’acqua, il quarto lago d’Italia, rappresenti un patrimonio da non perdere.
Una pausa dai social?
In carne e ossa: secondo alcuni studenti della Civica scuola di cinema di Milano, i “reel” e i video brevissimi su TikTok o simili potrebbero non essere più così irresistibili. C’è voglia di stare insieme, di rallentare. Li vediamo correre e pedalare a mezzanotte per le strade della città, alla ricerca di un contatto vero. Rimane il fatto che, tramite i social, ci si organizza e si condivide ogni novità. È un paradosso che fa sorridere. Ma forse è solo la nostra natura, sempre in bilico tra tecnologia e desiderio di relazione.
Tradizioni giapponesi: spade e cicatrici dorate
Avete mai sentito parlare dei fabbri di katane? In Giappone ne sono rimasti solo 80, custodi di un’arte che esiste da mille anni. Le spade dei samurai non erano concepite come strumenti d’offesa, ma come protezione contro le forze negative. Poi c’è il kintsugi, la riparazione dei vasi rotti con oro fuso. Qualcosa che ci fa riflettere: le ferite si trasformano in elementi preziosi della nostra storia. E noi ci emozioniamo davanti a una cultura che, pur essendo proiettata al futuro, difende le proprie radici.
Come eravamo: Giappone 1963
Concludiamo con un salto indietro. L’archivio di TV7 ci mostra un Giappone del 1963 lanciato verso la modernità: treni rapidi, città in fermento, costruzioni vertiginose. Eppure il confronto con le tradizioni, il ruolo delle geishe e i ritmi antichi era già allora un enigma. Forse è sempre la stessa storia: un popolo in bilico tra evoluzione e rispetto delle proprie origini.
Alla fine di questo viaggio, abbiamo la sensazione di un’umanità che lotta, a volte soffre, e cerca risposte in mille direzioni. Siamo convinti che voi, come noi, abbiate bisogno di queste storie: per trovare il coraggio di resistere o per custodire un ricordo prezioso. Noi, tutti insieme, non dovremmo mai smettere di cercare un equilibrio tra innovazione e radici, tra legalità e libertà. Il resto è un percorso da costruire, un passo alla volta.
Tutto questo e molto altro nel prossimo appuntamento su Rai 1 con TV7, venerdì 21 marzo, a mezzanotte!