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Standa: un viaggio avventuroso tra grandi magazzini, cambi di rotta e impronte nella cultura pop

Sembra che in ogni angolo d’Italia ci sia almeno qualcuno che abbia sfiorato l’esperienza di entrare in un negozio Standa, o che ne abbia sentito parlare dai nonni, dai genitori, da un parente che ne elogiava il reparto alimentare. Eppure, oggi, se ci guardiamo intorno, questo nome gigantesco – un tempo simbolo di magazzini fornitissimi e supermercati all’avanguardia – si è ritirato dalle scene. Ma come è successo? Cos’ha portato la Standa a diventare un capitolo di storia del commercio italiano e allo stesso tempo, un piccolo frammento nella memoria collettiva del nostro Paese? Noi abbiamo deciso di rimettere insieme i pezzi e di condividere con voi le impressioni, i fatti, i retroscena e perfino qualche curiosità cinematografica che hanno segnato il cammino di questo marchio.

Abbiamo pensato di non seguire una linea temporale rigida, perché la Standa è stata di tutto di più, in un percorso costellato di scelte, acquisizioni, vendite, corse verso nuovi mercati e innumerevoli vicende societarie. Preparatevi, dunque, a un racconto con qualche andata e ritorno nel tempo e a una narrazione che prova a coniugare la nostra anima giornalistica con una voce calda, quasi intima ma comunque attenta alla precisione dei fatti. Iniziamo a immergerci in un viaggio che, in fondo, è specchio di un intero Paese che cambiava volto.

L’ingresso nella cultura pop e le curiosità cinematografiche

Perché mai partire da qui? In genere, quando si racconta la storia di un’azienda, si parte dal giorno in cui è nata. Noi, invece, vogliamo iniziare da come la Standa è apparsa al grande pubblico in momenti di svago, come nel cinema o in televisione. Strano, vero? Eppure, è emblematico del rapporto che si era instaurato tra questo marchio e la nostra quotidianità.

Chi di voi non ha mai visto, magari in una serata nostalgica, uno dei tanti film in bianco e nero o a colori degli anni Sessanta, Settanta o Ottanta, in cui improvvisamente compare una grande insegna Standa? In alcuni lungometraggi con Caterina Caselli, per esempio, la Standa faceva capolino mostrando reparti e scaffali carichi di prodotti. Per non parlare di certe commedie all’italiana con Tomas Milian o Jerry Calà, dove questi grandi magazzini erano diventati scenari perfetti, luoghi vivi, in cui poteva succedere qualunque cosa, dal classico inseguimento in stile poliziesco alla spesa spensierata di una famiglia numerosa.

Ma l’impronta più spassosa di tutte, forse, è nei film di Paolo Villaggio, dove il ragionier Fantozzi si muove goffamente tra scaffali e parcheggi di una Standa romana. Un marchio che compare al cinema non è soltanto un esercizio di stile: significa che, in un dato momento storico, quella catena di negozi aveva un legame con la popolazione. E quando la troviamo anche all’interno di concorsi televisivi o in sketch con conduttori popolarissimi, la sensazione è che fosse un marchio radicato, capace di fondersi col tessuto sociale.

Le prime mosse: dal bazar “33” ai supermercati

Adesso facciamo un salto indietro e torniamo al 1931, un momento cruciale: Franco Monzino, insieme ai fratelli e alla sorella, decide di mettere in piedi quella che allora si chiamava “Società Anonima Magazzini Standard”. Non ci poteva essere un nome più lontano dalla fantasia, ma è così che comincia il mito. Già allora, l’idea era quella di creare un punto di vendita poliedrico, che non si limitasse a un solo settore. C’era chi puntava all’abbigliamento, chi ai casalinghi, chi ai prodotti alimentari: la Standa voleva unire tutti questi mondi sotto un solo tetto.

Forse qualcuno si chiederà: “Perché ‘Standard’ e poi ‘Standa’?” La storia narra di un Mussolini che, durante una parata nella Roma del 1938, nota la scritta “Standard” e pretende un nome più italiano. E così, da un giorno all’altro, ecco “Standa”. Poi ci si è sbizzarriti a trovare un acronimo (“Società Tutti Articoli Nazionali Dell’Arredamento e Abbigliamento” e altre combinazioni simili). Ma poco importava la formula giusta: il punto era che il marchio stava iniziando a diffondersi in varie città d’Italia e, nonostante le turbolenze di quell’epoca storica, riusciva a mantenere un minimo di stabilità. Non era una passeggiata: la Seconda Guerra Mondiale distrusse magazzini, ridusse personale, ma la volontà di ricostruire fu più forte.

Le trasformazioni degli anni sessanta: dal self-service al parcheggio privato

In un’Italia che risorgeva dalla macerie del conflitto, l’azienda cominciò a spargere semi in diverse regioni, a rinnovare negozi e a sperimentare nuovi format. Nel quartiere Vomero a Napoli, per dirne una, fu inaugurato il primo grande negozio dopo la guerra. Ma la vera rivoluzione avvenne sul finire degli anni Cinquanta, quando la Standa decise di introdurre il reparto alimentare e, successivamente, adottare la formula del self-service. Pare che il primo esperimento in tal senso si sia tenuto a Milano, in via Torino, dove i clienti potevano finalmente muoversi in autonomia tra gli scaffali, scegliendo i prodotti senza dover chiedere ogni volta al commesso.

E non finisce qui: già nel 1962 a Torino, in corso Giulio Cesare, venne aperto il primo “magazzino” – forse, diremmo oggi, un supermercato vero e proprio – dotato di parcheggio riservato. A pensarci ora, sembra scontato, ma all’epoca era un’opzione che strizzava l’occhio al futuro. Si respirava voglia di modernità, di nuovi modi di fare la spesa, di auto private. L’azienda, in quegli anni, stava veramente spingendo sull’innovazione.

Le acquisizioni a raffica: Montedison, Carrefour e Fininvest

Da Montedison ai maxi progetti
Facciamo ora un balzo a quando, nel 1967, la Montedison decide di scommettere su questo gruppo di supermercati. Da quel momento, ci furono cambiamenti a catena. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, la Standa cominciò a inglobare altre catene minori. Prima fu il turno della “Multinegozi Spa”, poi arrivarono la “DIADI” e la “Rialto”. Ogni acquisizione voleva dire un’espansione geografica in varie regioni, nuove filiali, nuove insegne da trasformare. Venne anche il tempo del primo ipermercato, aperto a Castellanza, in provincia di Varese, sotto il nuovo marchio “Maxi Standa”.

Altra tappa importante fu la joint venture “EuroStanda”, che legò per alcuni anni il gruppo alla francese Carrefour. L’idea era di creare grandi ipermercati, e infatti sorsero punti vendita giganteschi a Paderno Dugnano e altrove. Poi, negli anni Ottanta, la Standa si allargò ulteriormente, finendo per rilevare l’intera proprietà di alcuni iper già avviati con i partner francesi. Erano tempi di fervore, di spinta, di ottimismo economico.

L’arrivo di Silvio Berlusconi e il marchio “Casa degli italiani”
Il vero salto mediatico, però, si registrò quando, nel 1987, entrò in campo la Fininvest di Silvio Berlusconi, che acquistò il 70% della società. I più nostalgici forse ricorderanno i jingle e gli spot martellanti in TV, con testimonial di grido, come Marco Columbro, Lino Banfi, Mike Bongiorno, Raimondo Vianello e Sandra Mondaini. La Standa divenne la “Casa degli italiani”, uno slogan che si piazzava in modo deciso nelle serate televisive di milioni di persone. Erano tempi in cui la pubblicità passava in modo massiccio dalla televisione, e la Fininvest aveva, ovviamente, il controllo di diverse reti private. Quello fu un periodo di grande esposizione mediatica, di cospicui investimenti, ma anche di qualche ombra.

Gli anni novanta tra turbolenze, attentati e nuovi tentativi di lancio

Entriamo in un decennio complicato. L’inizio degli anni Novanta fu segnato da una serie di attentati dinamitardi in varie filiali della Standa, alcuni di matrice mafiosa (come a Catania), altri meno chiari. C’era un clima di tensione sociale in alcune aree del Paese, e i grandi magazzini potevano rappresentare un bersaglio. E in quegli anni, c’era questa frenesia di spingere oltre, di allargarsi, di fare sempre di più. Nuove aperture a Grugliasco, Anzio, Sesto San Giovanni. Sembrava quasi un sogno, no? Ma poi, come spesso accade, non tutto filò liscio. Qualche progetto rimase al palo, un po’ come quelle idee che sembrano geniali a tavolino ma, nella realtà, si scontrano con muri invisibili. E c’erano gli investimenti: pesanti, enormi, forse pure esagerati. La Fininvest, che fino a poco prima sembrava inarrestabile, si ritrovò a dover fare i conti con costi che salivano alle stelle e un mercato della grande distribuzione che non era più quello di prima. Una turbolenza, la chiamano, ma per chi era dentro dev’essere sembrata una vera tempesta.

La parentesi “Five Viaggi” e altri esperimenti
Forse alcuni ricordano la comparsa di stand promozionali, in certe filiali selezionate, dove era possibile acquistare pacchetti turistici. Un’iniziativa, questa, che tentò di unire il concetto di supermercato alla vendita di viaggi, grazie alla “Five Viaggi”, altro ramo Fininvest. Un esperimento insolito e forse troppo spericolato per i tempi. L’idea era di ampliare la gamma di prodotti offerti al consumatore, includendo perfino le vacanze. Ma non portò grandi frutti e, anzi, fu abbandonata di lì a poco.

Colpita dalla crisi, la Standa fu costretta a dismettere il settore degli iper Euromercato, cedendo tutto al gruppo GS. In quegli stessi anni, cercò anche di estendere il raggio d’azione ad altri settori, investendo in joint venture con catene di giocattoli o aprendo nuovi spazi all’estero (come a Budapest). Di fatto, però, il marchio cominciava a perdere pezzi e a ritirarsi su se stesso. Le aperture record degli anni Settanta e Ottanta sembravano lontane.

Lo smantellamento e le ultime mosse: da Coin a Billa

La vendita divisa in due e la scomparsa del marchio nei grandi magazzini
Nel 1999, la Fininvest decise che era arrivato il momento di tagliare definitivamente il cordone. La Standa venne scorporata: il ramo non alimentare finì al gruppo Coin, il ramo alimentare a un’altra società guidata da Gianfelice Franchini (con la partecipazione del Mediocredito Lombardo). Coin, naturalmente, aveva già le sue insegne forti, come OVS, e non si fece problemi a sostituire l’insegna Standa con il proprio marchio in gran parte dei punti vendita. In altre filiali ex Standa, spuntarono firme diverse, come Fnac o Benetton. Insomma, i magazzini di abbigliamento e prodotti vari che avevano fatto la fortuna del gruppo scomparvero quasi nel nulla. Se a qualcuno veniva in mente di andare a comprare un paio di pantaloni in una filiale Standa, improvvisamente non la trovava più, o trovava un OVS fresco di inaugurazione.

Il ramo alimentare prosegue (ancora per poco)

Il settore alimentare rimase, almeno inizialmente, con il marchio Standa in alcune regioni del centro-nord. Nel centro-sud, i supermercati furono assorbiti da Conad, e anche lì l’insegna subì un po’ di confusione, perché in alcuni casi veniva usata la scritta “Standa”, in altri prevaleva “Conad”. Silvio Berlusconi, in seguito, dirà che decise di vendere la Standa per via di alcuni ostacoli amministrativi legati al suo ingresso in politica. Altre voci sostengono che la vendita fosse un modo per generare liquidità e salvare la Fininvest da un momento di pesanti debiti con le banche. Forse la verità sta nel mezzo, o forse si tratta semplicemente di questioni strategiche più complesse.

L’arrivo del gruppo Rewe e la sostituzione con Billa

Nel 2004, anche il settore alimentare rimasto in piedi passò di mano all’austriaca Billa (controllata dal colosso tedesco Rewe Group). In alcune regioni del nord-est, i supermercati presero l’insegna Billa, in altre zone mantennero per qualche tempo la dicitura “Standa Supermercati” o “IperStanda”. Ma era una soluzione di transizione, destinata a finire. Nel 2012 la Rewe rimpiazzò le insegne Standa con il marchio Billa anche in altre aree geografiche, finché, in un susseguirsi di risultati poco soddisfacenti, furono ceduti decine di punti vendita a Conad e poi a Carrefour. In pratica, la storia del marchio Standa si chiuse.

Gli ultimi echi: revival, aperture sporadiche e franchising

Vi starete forse domandando se è davvero finita così. In verità, negli anni successivi, si sono verificati episodi sporadici di utilizzo del marchio. Ad esempio, la Rewe aveva aperto un supermercato Standa in Germania, a Colonia, proponendo una vasta selezione di prodotti italiani. Ma non ebbe lunga vita e chiuse nel 2017. Nel sud Italia, invece, qualcuno ha ripescato la vecchia insegna “Supermercati Standa” con una grafica modificata, spesso solo in franchising locale. Non si tratta certo della catena storica che un tempo si espandeva capillarmente lungo la Penisola, ma più di un omaggio dal sapore nostalgico.

Loghi, pubblicità e testimonial: da Carosello alle grandi star

Facciamo una piccola digressione sulla comunicazione: i loghi Standa sono cambiati spesso, dal primo minimalista con la scritta “Standa” ai più moderni rifacimenti colorati. Le pubblicità storiche partivano già dai tempi di Carosello, ma è con il passaggio alla Fininvest che il brand ha beneficiato dei volti noti di televisione e spettacolo. Abbiamo già menzionato Marco Columbro, Lino Banfi e Mike Bongiorno ma ci piace ricordare anche i concorsi a premi abbinati a trasmissioni popolari, come “Ok, il prezzo è giusto!” o “Tra moglie e marito”.

Quei programmi televisivi, associati a sponsor come Standa, facevano sentire il pubblico a casa, trasmettendo l’idea che acquistare lì fosse conveniente, sicuro e perfino divertente. Diventa quasi un simbolo di affetto familiare, un luogo in cui le persone si sentivano a loro agio. E, in effetti, molti hanno un ricordo di quell’atmosfera tiepida e familiare nel fare la spesa, fra scaffali semplici ma ben forniti.

Standa e lo sport

Non tutti sanno che la Standa non si limitò a vendere prodotti: in certe epoche storiche sponsorizzò squadre di basket (femminili e maschili) o di baseball, come la Standa Milano nel campionato di Serie A o la Viola Reggio Calabria ribattezzata per un periodo “Standa Reggio Calabria”. Perfino nel calcio dilettantistico ci furono team che portarono il nome Standa. Erano mosse di marketing che aiutavano a radicare ancora di più il marchio nel cuore degli italiani e a farlo diventare, almeno in certe città, un riferimento non solo commerciale ma anche sportivo. Immaginatevi le maglie dei giocatori con la scritta Standa e i tifosi locali che, in un certo senso, associano il brand alla passione agonistica. Una trovata che, all’epoca, funzionava bene per farsi notare.

Un marchio che ha segnato un’era

A conti fatti, la Standa ha letteralmente attraversato le fasi salienti del Novecento e del Duemila italiano: la nascita negli anni Trenta, la Guerra, la ripresa, il boom economico, l’avvento delle televisioni commerciali, l’espansione dei grandi magazzini e infine, la chiusura a metà degli anni Duemila. Nel giro di ottant’anni, ha cambiato più volte assetto societario, ha adottato formule di vendita sempre nuove – dal tradizionale banco servito al self-service, passando per gli ipermercati – e si è inserita in un contesto mediatico e culturale di vasta portata.

C’è chi la ricorda con affetto, come un simbolo di semplicità e convenienza e chi invece la vede come un colosso che si è sgretolato per eccesso di ambizioni, cattiva gestione o congiunture sfortunate. Ma è innegabile che, se pensiamo a quante famiglie italiane sono entrate in un negozio Standa per comprare un televisore, un vestito o il pane per la colazione, la Standa sia stata anche un trait d’union intergenerazionale.

Riflessioni conclusive

Vi è mai capitato di guardarvi indietro e pensare: “Caspita, quante cose sono cambiate”? Nel caso della grande distribuzione, il cambiamento è stato enorme. Forse oggi diamo per scontato i centri commerciali con decine di insegne differenti, ognuna specializzata in un settore, e i negozi online che ci consentono di acquistare con un clic. Un tempo, un’unica insegna come la Standa poteva avere al suo interno sia la sezione abbigliamento, sia quella alimentare, con reparti in cui trovare letteralmente di tutto, dal detersivo ai giocattoli. La concezione di “grandi magazzini” di fascia media, comodi e spesso situati nelle zone centrali delle città, era un modello quasi rivoluzionario.

Il destino di Standa ci insegna anche che la grande distribuzione non è solo vendita di prodotti ma un intreccio di relazioni, acquisizioni, strategie finanziarie, influenze politiche e accordi mediatici. E ci fa capire quanto tutto ciò possa essere fragile e legato alle vicende economiche di un Paese, alle scelte di pochi manager e ai venti di innovazione che, a volte, soffiano forti e senza tregua.

Uno sguardo al futuro (e al passato)

Ora, se per caso doveste incrociare un “Supermercati Standa” dalle parti di qualche località italiana minore, sappiate che non è che l’ombra di un colosso che fu. Può darsi che si tratti di un esercizio affiliato, con un’insegna che evoca un passato glorioso, ma la vera continuità storica si è spezzata. L’identità originaria di quell’impresa, con i suoi cambi di proprietà e le sue riorganizzazioni, si è perduta negli anni duemila.

Eppure, c’è ancora qualcuno che ne pronuncia il nome con un sorriso nostalgico. Magari perché ci ha lavorato, o perché da bambino si divertiva a salire e scendere con le scale mobili del reparto abbigliamento, oppure perché ricorda la voce di Mike Bongiorno dire: “Alla Standa, ogni giorno è un buongiorno!” in quei pomeriggi passati a guardare la tv. È una storia collettiva fatta di negozi reali e spot televisivi, di pacchetti promozionali e di macchine parcheggiate in fila davanti all’ingresso. E in un certo senso, possiamo dire che questo vissuto non scompare del tutto, ma rimane in qualche angolo della memoria, come un ritornello che fa riaffiorare un’epoca.

Chiudiamo con un pensiero: le grandi catene nascono e muoiono, le insegne si accendono e poi si spengono e noi, come testata giornalistica, cerchiamo di raccontarne l’evoluzione, i retroscena e le implicazioni. Speriamo che questa ricostruzione un po’ libera, vi abbia fatto sentire più vicini a quello che era la Standa, a come è cresciuta e come si è poi disciolta in mille rivoli. Del resto, certe storie meritano di essere narrate nel modo più sincero possibile, perché non tutto può essere ridotto a un elenco di date e di cifre.

Ed è proprio questa complessità che rende la Standa un pezzo di storia commerciale e sociale dell’Italia: un marchio che si è intrecciato con il cinema, lo sport, la televisione e la vita quotidiana di generazioni di persone. Un marchio che, quasi senza volerlo, ci ha insegnato che dietro le insegne luminose, le corsie di un supermercato o di un grande magazzino, si nascondono sogni, progetti, visioni del mondo e talvolta, le ombre della finanza e della politica. Forse è anche per questo che a volte, ripensando al passato, ci accorgiamo di quante verità possano rivelarsi dentro un carrello della spesa apparentemente banale: riflessi di un Paese che cambia, di un’economia che corre e rallenta, di un desiderio costante di rinnovarsi, inseguendo i sogni di modernità. Ecco, la Standa è stata tutto questo.

Animato da un’indomabile passione per il giornalismo, Junior ha trasceso il semplice ruolo di giornalista per intraprendere l’avventura di fondare la sua propria testata, Sbircia la Notizia Magazine, nel 2020. Oltre ad essere l’editore, riveste anche il ruolo cruciale di direttore responsabile, incarnando una visione editoriale innovativa e guidando una squadra di talenti verso il vertice del giornalismo. La sua capacità di indirizzare il dibattito pubblico e di influenzare l’opinione è un testamento alla sua leadership e al suo acume nel campo dei media.

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