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In Italia “L’infinito” di Leopardi è di D’Annunzio e 7×8 non fa 56

L’Italia, da sempre fucina di grandi pensatori e artisti, è conosciuta in tutto il mondo per il suo patrimonio culturale e storico. Le sue città sono custodi di opere che segnano la storia dell’umanità, dai capolavori del Rinascimento alle scoperte scientifiche che hanno rivoluzionato il pensiero mondiale. Eppure, oggi, questo stesso Paese sembra lacerato tra il passato, che lo ha reso celebre, e un presente dove, paradossalmente, l’ignoranza dilaga a dispetto della sua straordinaria eredità. Come è possibile che la nazione che ha dato i natali a geni come Leonardo da Vinci, Galileo Galilei, Dante Alighieri e Michelangelo Buonarroti non riesca a trasmettere alle nuove generazioni una conoscenza elementare dei suoi stessi fondamenti storici? Lo dimostrano i dati di vari studi, dai sondaggi internazionali sulle percezioni storiche ai report nazionali che tracciano un quadro inquietante delle competenze di base degli italiani.
Italia ‘fabbrica di ignoranti’
Il report Censis 2024 fotografa un’Italia che pare smarrita nelle sue fondamenta storiche, che rischia di diventare una “fabbrica degli ignoranti”, una definizione tanto provocatoria quanto preoccupante. L’ignoranza, seppur non più quella “pura” dell’analfabetismo, è diventata un pericolo diffuso. Mentre il numero di laureati cresce, la formazione di base – quella che serve per comprendere il mondo e prendere decisioni consapevoli – continua a essere un obiettivo lontano per troppi. Nonostante gli 8,4 milioni di laureati, che rappresentano il 18,4% della popolazione adulta, il 24,5% degli alunni non raggiunge i traguardi di apprendimento in italiano alla fine della scuola primaria, e questa percentuale sale addirittura al 43,5% all’ultimo anno delle scuole superiori. La matematica non va meglio: il 31,8% degli alunni delle scuole primarie non arriva ai livelli minimi, e questo numero aumenta fino all’81% negli istituti professionali.
Se la deficienza nelle materie scientifiche e linguistiche è già grave, un altro aspetto ancora più preoccupante emerge dalle lacune storiche e culturali. Il 55,2% degli italiani, ad esempio, non sa che Mussolini è stato arrestato nel 1943, e il 30% non sa chi fosse Giuseppe Mazzini, uno dei protagonisti dell’Unità d’Italia. A livello mondiale, la situazione non è migliore: il 49,7% degli italiani non sa quando è scoppiata la Rivoluzione francese (1789 ndr), il 42,1% non conosce l’anno in cui l’uomo è sbarcato sulla Luna (1969), il 25,1% degli italiani non sa quando è caduto il muro di Berlino (1989), il 22,9% non riconosce Richard Nixon come presidente degli Stati Uniti (confondendolo con un grande calciatore inglese, come crede il 2,6%), il 15,3% non ha idea di chi fosse Mao Zedong e il 13,1% non sa che cosa è stata la guerra fredda.
Il gap culturale riguarda anche la letteratura e l’arte italiana, con il 41,1% degli italiani che erroneamente attribuisce a Gabriele D’Annunzio la paternità di “L’infinito” di Leopardi, per il 35,1% Eugenio Montale potrebbe essere stato un autorevole presidente del Consiglio dei ministri degli anni ’50, il 18,4% non può escludere con certezza che Giovanni Pascoli sia l’autore de I promessi sposi e il 6,1% crede che il sommo poeta Dante Alighieri non sia l’autore delle cantiche della Divina Commedia; e ancora, il 35,9% degli italiani crede erroneamente che Giuseppe Verdi abbia composto l’Inno di Mameli, e ben il 32,4% non sa che la Cappella Sistina è stata affrescata da Michelangelo, confondendo l’autore con Giotto o Leonardo da Vinci.
Non si tratta solo di un problema di conoscenze storiche, ma anche di geografia: il 23,8% degli italiani non sa che Oslo è la capitale della Norvegia, mentre il 29,5% ignora che Potenza è il capoluogo della Basilicata. Le difficoltà con le operazioni matematiche non sono da meno, se il 12,9% degli italiani non è in grado di moltiplicare correttamente 7 per 8 (56).
Ancora più preoccupante è l’incapacità di molti di comprendere i meccanismi istituzionali: oltre il 53% della popolazione non sa che il potere esecutivo è attribuito al Governo e non al Parlamento o alla magistratura. In questo “limbo” dell’ignoranza, dove si intrecciano convinzioni irrazionali e pregiudizi, cresce la possibilità che teorie antiscientifiche e stereotipi culturali prosperino. Tra le convinzioni più diffuse, troviamo il 26,1% degli italiani che crede che in Italia ci siano 10 milioni di immigrati clandestini, o il 20,9% che pensa che gli ebrei dominino il mondo tramite la finanza. Per non parlare delle idee più inquietanti: il 15,3% crede che l’omosessualità sia una malattia di origine genetica, il 13,1% ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia, mentre il 9,2% sostiene che la criminalità abbia una base genetica, e per l’8,3% islam e jihadismo sono la stessa cosa… ma del resto per il 5,8% degli italiani il “culturista” è una “persona di cultura”.
La distorsione della realtà e la nascita di convinzioni irrazionali
Il fenomeno dell’ignoranza non è solo una questione di lacune nella conoscenza storica, ma anche di percezione distorta della realtà. Secondo il Rapporto Ipsos sulle “Perception Gaps”, l’Italia è uno dei Paesi con il più ampio divario tra la percezione della realtà e i fatti oggettivi. Ad esempio, più della metà degli italiani ritiene che la criminalità sia aumentata rispetto agli anni 2000, quando in realtà i tassi di omicidi sono diminuibili del 39%. Allo stesso modo, la percezione dell’immigrazione è fortemente sovrastimata: gli italiani credono che circa il 21% della popolazione sia composta da immigrati, mentre la cifra reale si ferma a circa l’11%. Anche sul tema della ricchezza, la percezione è errata. Secondo il rapporto, gli italiani credono che l’1% più ricco della popolazione detenga il 51% della ricchezza totale, quando la quota effettiva è solo del 22%.
Il problema non riguarda solo l’accesso all’informazione o l’ignoranza scolastica. La distorsione della realtà ha ripercussioni dirette sulla democrazia. Secondo Ipsos, la sfiducia nelle istituzioni è crescente, e la manipolazione delle percezioni da parte di politici e media contribuisce ad alimentare una polarizzazione sociale che rende sempre più difficile il dialogo e la comprensione reciproca. L’ignoranza contribuisce a rafforzare visioni politiche semplicistiche, che non riescono a cogliere la complessità dei problemi e delle soluzioni.
In un contesto in cui le informazioni sono facilmente accessibili, ma sempre più frammentate e polarizzate, l’incapacità di decodificare correttamente ciò che accade intorno a noi mette a rischio il nostro stesso sistema democratico. È difficile prendere decisioni politiche informate o partecipare attivamente alla vita pubblica quando le percezioni individuali sono distorte da pregiudizi, miti e fake news. Il rischio è che i cittadini, invece di essere protagonisti di un processo democratico consapevole, diventino vittime di una manipolazione sociale che sfrutta la loro ignoranza percettiva

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Safer Internet Day 2025, teenager i più esposti ai rischi...


Che rapporto abbiamo con la tecnologia e come cambiano le nostre paure tra le diverse fasce della popolazione? Queste domande assumono un ruolo fondamentale in un periodo come questo caratterizzato dalla rapida diffusione dell’intelligenza artificiale.
Molte risposte arrivano dal Global Online Safety Survey presentato da Microsoft in occasione del Safer Internet Day 2025. L’indagine analizza la sicurezza online in 15 Paesi, tra cui l’Italia ed è stata condotta tra luglio e agosto 2024 su un campione di 14.800 persone.
I risultati dimostrano che gli italiani sono mediamente più consapevoli degli altri cittadini, con la disinformazione in cima alle preoccupazioni degli utenti. È emerso anche un importante divario generazionale nella capacità di gestione dei rischi digitali: mentre i giovani chiedono sempre più supporto, gli adulti fanno più fatica a reggere i ritmi dell’intelligenza artificiale.
Safer Internet Day 2025, focus sugli italiani
Secondo il report, il 59% degli italiani ha affrontato almeno un rischio online nell’ultimo anno, un dato inferiore alla media globale (66%) ma comunque preoccupante. I più esposti risultano i teenager, con una percentuale che sale al 62%, evidenziando la necessità di strumenti adeguati a proteggerli.
Tra le principali minacce segnalate dagli utenti italiani emergono:
- Disinformazione: rischio percepito dal 40% della popolazione, leggermente sotto la media globale del 47%;
- Cyberbullismo e discorsi d’odio: 31%, in linea con il 33% registrato in medio tra i Paesi analizzati;
- Contenuti violenti: 28%, una percentuale che rispecchia le tendenze internazionali;
- Deepfake e manipolazione digitale: il 75% degli italiani si dichiara preoccupato per l’impatto di immagini e video generati dall’intelligenza artificiale contro il 72% della media internazionale.
Se l’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità, la percezione pubblica evidenzia anche una crescente diffidenza. Il 79% degli italiani teme truffe e manipolazioni legate alla tecnologia, mentre il 76% ritiene che l’Ai possa essere usata per diffondere contenuti inappropriati. Nel panorama internazionale, il rischio deepfake è molto sentito in Sudafrica (81%) e India (78%).
Come reagiscono i giovani italiani ai pericoli del web?
Nonostante i rischi, i giovani dimostrano una crescente consapevolezza e adottano strategie di difesa più efficaci rispetto agli adulti:
- Il 65% dei teenager blocca o rimuove contatti indesiderati, superando la media del 58%;
- il 58% si confida con una persona di fiducia, spesso un genitore o un insegnante (scelta presa dal 55% dei giovani a livello internazionale);
- il 33% non segnala gli episodi di rischio perché ritiene che sia inutile;
- il 19% è convinto che non ci saranno conseguenze per i responsabili di cattive azioni online.
Dunque, i giovani italiani sono più pronti dei coetanei nel chiedere supporto in materia di rischi digitali, ma i genitori sono abbastanza pronti?
L’indagine di Microsoft dice che, a fronte di una maggiore proattività da parte dei giovani, solo il 22% degli adulti si sente preparato ad aiutarli nella gestione dei pericoli online, un dato inferiore alla media globale del 25%. “Questo divario sottolinea la necessità di fornire alle famiglie strumenti pratici e formazione mirata, affinché possano supportare i giovani nel navigare in sicurezza nel mondo digitale”, spiega l’azienda che per questo invita a “Rafforzare il dialogo tra genitori e figli rappresenta un passo essenziale per affrontare insieme le sfide del panorama online”. In questa direzione va il piano da 4,3 miliardi di euro annunciato da Microsoft in Italia.
Quali sono le paure sull’Ai?
L’uso dell’Ai generativa sta crescendo rapidamente in Italia, con un aumento dell’8% rispetto al 2023. Oggi quasi un italiano su quattro (22%) dichiara di aver utilizzato strumenti di intelligenza artificiale negli ultimi tre mesi. Grandi protagonisti sono i Millennials (25-44 anni) che rappresentano gli italiani più attivi in ambito di intelligenza artificiale: l’anno scorso il 41% di loro ha utilizzato strumenti di Ai generativa migliorando il 35% del 2023.
In generale, gli italiani hanno sempre più familiarità con gli strumenti di intelligenza artificiale generativa: oggi un italiano su cinque (20%) afferma di avere buona padronanza dell’Ai, rispetto al 15% del 2023. Parallelamente, la percentuale di chi ha provato ad usare l’Ai almeno una volta è passata dal 29% al 38%, mentre le persone che la utilizzano settimanalmente son passate dal 29% al 35%.
Questo non significa ignorarne i rischi: il timore che l’Ai possa essere strumento di frodi o manipolazioni digitali è alto (79%), a dimostrazione di un atteggiamento ambivalente verso questa tecnologia. Per garantire un utilizzo responsabile, diventa fondamentale affiancare alla diffusione dell’Ai un’adeguata formazione sulle sue implicazioni sociali e demografiche.
La sicurezza digitale e la dimensione demografica
L’indagine Microsoft evidenzia come la sicurezza digitale sia un elemento chiave per il benessere della società. La popolazione italiana, caratterizzata da un’età media elevata rispetto ad altri Paesi europei, mostra una maggiore difficoltà ad adattarsi alle nuove minacce del digitale. Il divario generazionale non si traduce solo in una questione di competenze, ma influisce direttamente sulla fiducia nelle istituzioni e nei media, con un impatto rilevante sulla tenuta sociale e sulla qualità dell’informazione.
I risultati dicono che il Paese deve lavorare per colmare il gap tra generazioni e promuovere una cultura della sicurezza digitale che coinvolga famiglie, scuole e istituzioni. Solo attraverso un’educazione diffusa e un utilizzo consapevole la tecnologia diventerà un grande alleato per tutti e non un ostacolo all’uguaglianza sociale.
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Nasce l’Ufficio della Fede alla Casa Bianca: Trump come un...


Nasce alla Casa Bianca l’Ufficio della Fede. La scorsa settimana il presidente Usa Donald Trump aveva detto che voleva rimettere al centro del Paese la religione, e lo sta facendo: oggi ha firmato un ordine esecutivo che istituisce un Ufficio apposito, affidandolo alla telepredicatrice Paula White, da anni sua consigliera spirituale.
Per suggellare il momento, Trump ha inscenato nello Studio Ovale una sorta di ultima cena e ha postato su X la relativa foto. C’è lui al centro, novello Messia, con una Bibbia di qua e White di là, circondato da pastori di varie congregazioni, dal cantante Kid Rock, dal marito della telepredicatrice, Jonathan Cain, e da alcuni collaboratori.
Un’immagine che parla già molto, ma che è accompagnata da parole ancora più chiare: “Come dice la Bibbia: ‘Beato chi porta la pace’. Alla fine, spero che la mia più grande eredità, quando tutto sarà finito, sarà essere conosciuto come un pacificatore e un unificatore”.
Da parte sua White, per la quale “opporsi a Trump equivale a opporsi a Dio”, è arrivata a dire che “ho l’autorità per dichiarare la Casa Bianca luogo santo. E’ la mia presenza che la santifica”.
“As the Bible says, ‘Blessed are the peacemakers.’ And in that end, I hope my greatest legacy when it’s all finished, will be known as a peacemaker and a unifier.” —President Donald J. Trump pic.twitter.com/ArXe38r1EY
— The White House (@WhiteHouse) February 8, 2025
Chi è Paula White, controversa pastora della ‘teologia della prosperità’
Paula White è una figura controversa. Nata nel 1966 a Tupelo, Mississippi, è una self-made preacher che parte da un’infanzia difficile e prosegue con la conversione al cristianesimo a 18 anni, con il successo come predicatrice, con il rapporto con Trump che la nota in tv, e ora con la consacrazione ufficiale nelle stanze del potere americano.
Pastora della ‘teologia della prosperità’, da molti cristiani conservatori è considerata un’eretica, a partire dallo stesso concetto che sta alla base della sua ‘dottrina’. Ovvero che Dio dà – premia – ricchezza e salute a chi ha una fede forte. Un’impostazione criticata perché addossa ai poveri la colpa di essere tali.
Ma ci sono anche altri motivi di polemiche, come la richiesta da parte di White di donazioni alla sua ‘chiesa’, con la ‘minaccia’ che, a chi non dona, Dio impedirà la realizzazione di ogni desiderio. Alla fine, la sua Without Walls International Church è diventata un impero, mentre la pastora parla, predica e influenza milioni di americani attraverso il suo show televisivo.
Cosa farà l’ufficio della fede
Al momento non è stato specificato cosa farà nel concreto l’Ufficio della Fede, ma la sua istituzione trova le sue radici nella convinzione di Trump che i democratici siano “contro la religione e contro Dio”: una convinzione ribadita giovedì scorso durante l’annuale evento religioso National Prayer Breakfast, al quale partecipano gruppi religiosi e leader governativi e durante il quale il presidente ha tenuto un discorso.
Trump tra le altre cose ha definito il suo predecessore Joe Biden, peraltro cattolico, un “persecutore dei credenti” e ha dichiarato di voler firmare un ordine esecutivo per istituire una nuova task force con il compito di colpire tutte le forme di anti-cristianità, nominando capo dell’iniziativa la procuratrice generale degli Stati Uniti Pam Bondi.
“La missione di questa task force sarà quella di fermare immediatamente tutte le forme di discriminazione e di attacco anticristiano all’interno del governo federale, incluso il Dipartimento di Giustizia, che è stato assolutamente terribile, l’Internal Revenue Service, l’Fbi e altre agenzie”, ha spiegato Trump.
Come per altre sue iniziative, questa del presidente in realtà può portare a problemi costituzionali, innanzitutto in relazione al Primo emendamento, che stabilisce che il governo non può imporre una religione né interferire con la libertà religiosa. In sostanza, che debba esserci separazione tra Stato e Chiesa. Non solo, ma l’’Establishment Clause’ vieta al governo di istituire una religione ufficiale o favorirne una rispetto a un’altra.
Trump come un messia
Le iniziative di Trump rientrano in un contesto di più lunga data in cui il miliardario si dipinge come un messia, un salvatore, sfruttando anche l’immagine della crocefissione. A tal proposito ha contribuito il fallito attentato della scorsa estate a Butler, in Pennsylvania, quando il miliardario ha schivato la morte per un soffio e per molti grazie alla mano di Dio. L’episodio è stato narrato, da lui e non solo, come un quasi martirio. “È stata la volontà di Dio a salvarmi: un’esperienza che mi ha cambiato”, ha ribadito giovedì scorso al National Prayer Breakfast.
L’intersezione tra politica, religione e populismo non è nuova per l’America, ma il tycoon la sta sfruttando a piene mani per aumentare la polarizzazione della società americana e presentarla come una lotta tra bene e male. D’altronde non è passato troppo tempo dall’esplosione delle teorie cospirative che facevano capo a QAnon, secondo cui – tra le altre cose – il mondo è dominato da un gruppo segreto di pedofili che solo Trump può sconfiggere. Lui ovviamente aveva sguazzato in questo mare, e c’è da credere che possa tornare tutto di nuovo a galla.
Mentre aspettiamo di capire cosa farà l’Ufficio della Fede alla Casa Bianca, la sua istituzione fa presagire una sterzata ancora più conservatrice di quanto immaginato finora. Se non lo avete fatto, recuperate in streaming la serie tv ‘Il racconto dell’ancella’ o la serie di libri di Margaret Atwood da cui è tratta: quella che sembrava una storia distopica rischia di trasformarsi in realtà.
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Israele preleva lo sperma dai soldati morti per preservare...


Israele ha estratto lo sperma di oltre 200 soldati caduti in guerra. La Par (acronimo inglese di “riproduzione assistita postuma”) viene considerata una via per preservare l’eredità familiare e nazionale e la demografia del popolo ebraico. Molti Paesi non hanno leggi specifiche sulla riproduzione postuma assistita, altri (come Francia e Germania) la vietano esplicitamente, e altri ancora la permettono solo dietro consenso scritto della persona coinvolta (è quello che succede in Canada e Regno Unito).
In Israele, la Par era stata scarsamente utilizzata prima del 7 ottobre 2023, data dell’aggressione di Hamas e dell’inizio del conflitto con le milizie arabe. Da allora, questa tecnica di riproduzione ha assunto un ruolo importante e anche simbolico in un Paese dove il valore della famiglia, la tutela delle tradizioni e la crescita demografica sono temi di primaria importanza. Israele è l’unico Paese a consentire l’estrazione di sperma post mortem anche senza consenso preventivo: è sufficiente che non ci sia stata un’obiezione esplicita e dimostrabile della persona morta quando era in vita.
Cos’è la riproduzione assistita postuma (Par)?
La riproduzione assistita postuma si riferisce al prelievo di gameti – sperma, e in misura minore ovociti – da un individuo deceduto per utilizzarli successivamente in tecnologie riproduttive quali la fecondazione in vitro o l’iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (Icsi). In Israele, l’attenzione si è concentrata soprattutto sul prelievo di sperma da soldati caduti, con l’intento di consentire alle famiglie di onorare il sacrificio del proprio caro e perpetuare la sua eredità. Più in generale, lo Stato ebraico dà grande importanza alle tecniche riproduttive (il genocidio degli ebrei ha reso prioritari gli interventi a tutela della demografia israeliana). Il tasso di fertilità del Paese è di gran lunga il più alto tra i paesi dell’Ocse. Hanno profonde implicazioni politiche. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, Israele, che attualmente conta 9 milioni di abitanti, dovrebbe raggiungere i 13 milioni di abitanti nel 2050.
La procedura e le tecniche adottate
Il prelievo di sperma, ovuli o embrioni può essere fatto anche prima che l’individuo muoia o comunque entro le 24-48 ore dal decesso per aumentare le possibilità di successo. Il successo della Par dipende in gran parte dalla tempestività dell’intervento perché a vitalità del materiale genetico si deteriora rapidamente dopo la morte dell’individuo. Poi, il campione viene crioconservato a -196 °C in azoto liquido. Nel caso dell’estrazione di sperma da un morto, la procedura prevede la biopsia sul cadavere, l’incisione del testicolo, la rimozione di un pezzo di tessuto, l’isolamento delle cellule spermatiche vive e il loro congelamento.
I medici israeliani sono chiamati a operare nel più breve tempo possibile, utilizzando una serie di tecniche specifiche. Tra queste, l’aspirazione con ago – un metodo meno invasivo – e, se necessario, tecniche chirurgiche più complesse come la rimozione diretta del tessuto testicolare, oppure l’elettroeiaculazione, che sfrutta una sonda per stimolare l’eiaculazione.
Anche lo sperma con una ridotta motilità può essere impiegato con successo grazie alla tecnica Icsi, che prevede l’iniezione di un singolo spermatozoo direttamente nell’ovulo, rendendo possibile la fecondazione anche in presenza di anomalie nel materiale genetico.
Il prelievo degli ovociti da donne decedute, sebbene tecnicamente fattibile, risulta molto più complicato. Gli ovociti richiedono condizioni estremamente specifiche per maturare e rimanere vitali, e le tecniche di maturazione in vitro stanno ancora evolvendo, rendendo questa procedura meno comune e più sperimentale.
Estrazione dello sperma post mortem, cosa è cambiato dopo il 7 ottobre
L’interesse verso la Par ha visto un notevole incremento in seguito agli eventi drammatici del 7 ottobre 2023, quando, in un clima di emergenza nazionale, le autorità hanno temporaneamente allentato i requisiti legali per il prelievo, consentendo alle famiglie di procedere senza dover ottenere un ordine giudiziario. Questa sospensione temporanea ha accelerato notevolmente il processo, permettendo una risposta più rapida in un momento di grande dolore e necessità.
Per gestire la crescente domanda, il Ministero della Salute e l’esercito hanno istituito un’unità speciale, operativa ininterrottamente e a costo zero per le famiglie. Tale iniziativa sottolinea l’importanza che il governo israeliano attribuisce alla continuazione dell’eredità dei soldati caduti, in un Paese che da tempo promuove politiche pro-nataliste e sostiene la fecondazione in vitro attraverso finanziamenti statali generosi. Dall’inizio del confitto con Hamas, secondo i dati del ministero israeliano della Salute è stato estratto lo sperma dai cadaveri di più di 200 uomini israeliani, per lo più giovani soldati non sposati.
Spesso sono le stesse famiglie di origine o le mogli dei soldati caduti in guerra a richiedere di conservare lo sperma per preservare la progenie. Già quattro giorno dopo l’attacco di Hamas, l’11 ottobre 2023, la regista israeliana Shaylee Atary, chiese pubblicamente al governo di recuperare il più rapidamente possibile il cadavere del marito, l’attore e regista Yahav Winner, ucciso dai miliziani, per estrarne lo sperma e avere la possibilità di “continuare a far crescere la famiglia”. Secondo la sua testimonianza, “molte donne israeliane” stavano tentando di fare la stessa cosa con i loro mariti e figli deceduti.
Le radici culturali e demografiche della pratica
In Israele, la Par si inserisce in una tradizione culturale e demografica fortemente orientata verso la famiglia e la procreazione. Il Paese ha da sempre investito nella promozione della crescita demografica, vista come una necessità strategica in un contesto di continue minacce regionali e di memoria storica. Dopo le tragedie del passato, il desiderio di aumentare la popolazione ebraica è diventato un imperativo nazionale, e la riproduzione assistita postuma si presenta come uno strumento per onorare i sacrifici dei soldati caduti e per rafforzare la continuità delle famiglie.
Alcune famiglie cercano volontarie disposte a portare avanti la maternità, anche in assenza di un partner, per dare vita a un figlio che rappresenti il simbolo di una stirpe onorata e ricordata.
Nonostante il grande ricorso a questa pratica, Israele non ha una legge ad hoc sulla Par, introdotta a metà degli anni Novanta. Il Paese regola l’estrazione dello sperma post mortem con una serie di direttive, emanate nel 2003 dalla procura generale per spiegare ai tribunali come accogliere le richieste delle famiglie in tal senso. Inizialmente queste linee guida stabilivano che la moglie o la partner abituale del defunto potessero presentare richiesta direttamente all’ospedale o a una clinica della fertilità, escludendo i genitori dalla possibilità di avanzare richiesta di Par. La guerra con Hamas ha spinto sempre più famiglie a chiedere questa pratica per i loro figli, spesso morti ancora prima di avere una moglie o una partner abituale. Le pressioni delle famiglie israeliane in tal senso si sono fatte sempre più forti e ha spinto anche la giurisprudenza a esprimersi in tal senso. De facto la possibilità di richiedere accesso alla Par è stata estesa anche ai genitori delle vittime.
Aspetti legali ed etici
Nonostante il sostegno culturale e demografico, la Par solleva importanti questioni etiche e legali. La pratica, che vede il suo primo caso israeliano nel 2002, ha visto una graduale accettazione e una successiva regolamentazione nel corso degli ultimi due decenni. Tuttavia, i dibattiti continuano riguardo ai diritti del defunto, al benessere del bambino e alla necessità di garantire il consenso, anche se in alcuni casi questo requisito è stato temporaneamente allentato per rispondere a circostanze d’emergenza.
Il sistema legislativo israeliano, noto per la sua flessibilità in campo medico e riproduttivo, ha introdotto norme specifiche che regolano il prelievo post mortem. Queste disposizioni mirano a bilanciare l’innovazione scientifica con la tutela dei diritti di tutte le parti coinvolte, ponendo particolare attenzione all’autonomia riproduttiva e al benessere dei futuri figli.
Restano dubbi sulla procedura, in particolare sulla legittimità di ritenere implicito il consenso del defunto e sul ruolo che l’autorità pubblica ha su questo tipo di decisioni.
Prelievo post mortem di sperma, cosa ne pensano gli uomini israeliani?
Numerosi esperti e studiosi hanno sottolineato il potenziale della Par come strumento per affrontare le sfide demografiche e culturali di Israele. Un importante contributo in questo campo è arrivato da ricercatori dell’Università di Tel Aviv, che hanno evidenziato come la pratica del prelievo post mortem possa rappresentare una risposta efficace alle preoccupazioni legate alla diminuzione della natalità in contesti in cui le pressioni demografiche sono particolarmente forti.
Ma cosa ne pensano i diretti interessati di questa procedura? Alcune risposte arrivano dallo studio condotto da Bella Savitsky, Talia Eldar-Geva, Rachel Shvartsur. I ricercatori hanno esaminato le opinioni degli uomini israeliani riguardo al consenso preventivo al prelievo post mortem di sperma avviata dal partner o dai genitori. Lo studio ha rilevato che la maggior parte degli uomini (71%) preferisce pre-documentare le proprie preferenze relative al prelievo, con il 70% che sostiene il consenso durante l’arruolamento per il servizio militare regolare e il 78% prima del servizio di riserva. Per quanto riguarda la Par (che implica non solo l’estrazione dello sperma, ma anche l’utilizzo a fini riproduttivi), il 37% si è opposto alla richiesta del proprio partner, mentre il 47% si è opposto alla richiesta dei propri genitori.
Lo studio conclude che, sebbene sia comprensibile che i genitori in lutto cerchino conforto attraverso il Pps, si dovrebbe ottenere il consenso dagli uomini stessi, poiché una parte considerevole non supporta il processo così come viene attualmente eseguito.
La riproduzione assistita postuma, o Par, rappresenta sicuramente una delle frontiere più complesse e controverse della medicina riproduttiva moderna. In Israele, questa pratica si è sviluppata in risposta a un insieme di fattori demografici, culturali e tecnologici, offrendo alle famiglie un modo per preservare l’eredità dei soldati caduti in un contesto pro-natalista e fortemente orientato alla continuità familiare. Gli avanzamenti nelle tecniche di prelievo, conservazione e fecondazione, uniti a un sistema sanitario che sostiene la fecondazione in vitro con finanziamenti statali, hanno reso possibile un’applicazione che fino al secolo scorso sembrava fantascientifica.
La paura dopo gli attacchi del 7 ottobre ha inciso profondamente sulle richieste di accedere all’estrazione dello sperma dai soldati morti, ma gli interrogativi importanti sui diritti del defunto, sul benessere del bambino e sull’autonomia riproduttiva persistono.