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Elon Musk e gli altri, il sostegno di big tech è una ‘cambiale’ per Trump
Da Zuckerberg a Bezos, da Cook a Pichai: hanno tutti bisogno di un mercato globale e di un presidente degli Stati Uniti che non vada contro i loro interessi globali
Elon Musk è considerata l'ombra di Donald Trump. O, meglio, per molti è il presidente ombra degli Stati Uniti. Il patron di Tesla, Space X e X ha finanziato e sostenuto in ogni modo la corsa alla Casa Bianca del 'cavallo' su cui ha scelto di puntare. L'ha fatto con i suoi mezzi, praticamente illimitati, e con le sue abitudini, costantemente sopra le righe e fuori da qualsiasi regola di comportamento. Fino a diventare ingombrante per lo stesso Trump, che non è ancora insediato ma deve già rendere conto della pressione, interna ed esterna, che l'uomo più ricco del mondo ha impresso sul suo secondo mandato.
Musk ha messo un'ipoteca sulla nuova amministrazione Trump e spingerà tutti i giorni per farla rendere il più possibile, a suo vantaggio, a vantaggio delle sue aziende e a vantaggio della sua visione del mondo. Trump difficilmente avrebbe vinto senza Musk e ora dovrà governare gli Stati Uniti tenendo conto di Musk e delle sue aspettative.
Ma non è solo con Musk che Trump dovrà fare i conti. Il presidente degli Stati Uniti, per il suo ruolo e per come funziona la società americana, ha bisogno del sostegno, o quantomeno della collaborazione, dei grandi poteri economici. E questo è ancora più rilevante se ci si chiama Donald Trump, se si hanno alle spalle i fatti di Capitol Hill e se si vogliono portare avanti politiche che non durino lo spazio di sei mesi.
I segnali che i big dell'economia americana, in particolare quelli del settore tech, hanno lanciato dalla vittoria delle elezioni a oggi sono particolarmente significativi. Nella scia di Musk, con maggiore o minore disinvoltura, si stanno mettendo tanti protagonisti fino a oggi 'insospettabili' che, non va dimenticato, sono tutti player globali. Basti pensare a Mark Zuckerberg, l'uomo che guida Meta-Facebook, che ha appena annunciato, insieme al 'padrone' di Amazon Jeff Bezos di aver donato un milione di dollari per le celebrazioni dell’Inauguration Day del 20 gennaio. Zuckerberg e Bezos, fino a due mesi fa, erano considerati due imprenditori miliardari solidamente ancorati nel campo progressista. A cosa si deve la conversione? A semplici ragioni di opportunismo? In parte, sì. Ma c'è anche altro. C'è anche il legame strutturale tra le big tech e il potere, di qualunque colore sia, che è fatto di reciproca convenienza e di interessi che inevitabilmente convergono. Per questo, anche altri due mostri sacri come Tim Cook, Apple, e Sundar Pichai, Google, si sono sostanzialmente accodati.
Quali sono le conseguenze di questi movimenti di denaro e di potere a favore di Trump? Da una parte, soprattutto nel breve termine, ne rafforzano il potere e il prestigio, contribuendo anche a 'ripulire' la reputazione di Trump di fronte all'opinione pubblica. Da un'altra parte, però, sono anche i beneficiari di una cambiale firmata, più o meno consapevolmente, dal presidente degli Stati Uniti. Più crescono i sostenitori e più crescono anche i vincoli e si rafforzano gli argini rispetto al raggio di azione che potrà avere la seconda amministrazione Trump. Soprattutto per una ragione. Le big tech, includendo anche Elon Musk che della tecnologia fa la sua risorsa principale, hanno bisogno di un mercato globale e di un presidente degli Stati Uniti che non vada contro i loro interessi globali. (Di Fabio Insenga)
Esteri
Italia-Usa, Tirelli (Cpi): “Rafforzare asse...
“L’Italia ha l’opportunità di assumere un ruolo più incisivo nella politica estera del Mediterraneo, grazie a una ritrovata intesa e collaborazione strategica con Washington. Questo potrebbe consolidare la posizione italiana come interlocutore privilegiato nell’area, in un contesto dove Francia e Regno Unito continuano a essere percepiti da molti paesi mediorientali come vecchie potenze coloniali, con tutte le difficoltà diplomatiche che ne derivano”. E' questo il punto di vista di Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere penali del diritto europeo e internazionale, nonché dell’Istituto di Politica Internazionale e Studi Geostrategici (Ipisg), centro di ricerca dedicato all’analisi degli sviluppi geopolitici globali e delle dinamiche di sicurezza internazionale. Tirelli, in una intervista all'Adnkronos, prova a tracciare una prospettiva sui nuovi possibili equilibri in Medio Oriente, nel Mediterraneo e il ruolo dell’Italia che potrebbe assumere all'indomani dell'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.
“Nonostante l’Italia rimanga una forza di ‘terza fila’ dietro Stati Uniti, Francia e Regno Unito, il nostro paese ha la possibilità di distinguersi nella competizione per l’influenza nel Mediterraneo - spiega Tirelli - La vera sfida geopolitica nella regione, infatti, non è più tra le vecchie potenze coloniali, ma tra l’Italia e la Turchia, che si sta affermando come una forza regionale di primo piano". Secondo il presidente di Ipisg "la Turchia sta consolidando la propria presenza in maniera aggressiva: in Albania, Ankara sta ristrutturando le forze armate di Tirana e ha un forte appeal sulla popolazione albanese, rafforzando il proprio peso nei Balcani. In Libia, la Turchia ha stabilito basi militari e una presenza significativa, contribuendo alla frammentazione politica e militare del paese, ma anche proiettando il proprio potere sul Mediterraneo centrale. Questa strategia evidenzia come Ankara non si limiti più a un ruolo balcanico, ma aspiri a una posizione dominante anche nel Mediterraneo. Il governo guidato da Giorgia Meloni, da parte sua, sta cercando di contrastare questa espansione turca attraverso un’opera meritoria di rilancio della presenza italiana nel Mediterraneo. L’obiettivo è non solo limitare l’influenza di Ankara, ma anche riaffermare il ruolo dell’Italia come forza stabilizzatrice nella regione".
"La Turchia, pur essendo un partner nella Nato, rimane un paese con fragilità democratiche e un crescente pericolo di islamizzazione politica, che potrebbe destabilizzare ulteriormente il Mediterraneo. In questo contesto, l’Italia potrebbe rappresentare per gli Stati Uniti un alleato più affidabile e democratico, capace di bilanciare l’ascesa turca”, precisa Tirelli. In questo contesto "il rafforzamento dell’asse Roma-Washington, all’interno dell’armonia della Nato, è una mossa strategica che gli Stati Uniti potrebbero favorire per mantenere la stabilità della regione. L’Italia, infatti, grazie alla sua storia e alla sua posizione geografica, potrebbe fungere da interlocutore credibile e non percepito come minaccioso dai paesi arabi. In definitiva, il rilancio del ruolo italiano nel Mediterraneo è una sfida cruciale per contrastare la crescente islamizzazione politica e per preservare gli equilibri nella regione. Un’alleanza più stretta con gli Stati Uniti rappresenta una grande opportunità per rafforzare la posizione dell’Italia e garantire un Mediterraneo più stabile e sicuro”.
Esteri
TikTok, Trump congela divieto negli Usa per 3 mesi
"La proroga di 90 giorni è qualcosa che molto probabilmente verrà fatta, perché è appropriata"
Il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump "molto probabilmente" concederà a TikTok una proroga di 90 giorni per evitare il bando negli Stati Uniti.
Trump ha prospettato l'ipotesi in una intervista telefonica esclusiva alla Nbc News, spiegando che la proroga verrà concessa dopo il suo insediamento, lunedì 20 gennaio. Trump ha affermato di non aver ancora preso una decisione definitiva, ma sta valutando una proroga di 90 giorni della scadenza per la società madre di TikTok - ByteDance - con sede in Cina: domani scade il termine utile per vendere a un acquirente non cinese. Ieri la Corte Suprema degli Stati Uniti ha confermato all'unanimità la legge che prevede il 'ban', bocciando un ricorso presentato dalla piattaforma in nome della libertà di espressione.
"Penso che sarebbe, certamente, un'opzione che prenderemo in considerazione. La proroga di 90 giorni è qualcosa che molto probabilmente verrà fatta, perché è appropriata. Dobbiamo esaminarla attentamente. E' una situazione molto importante", ha detto Trump nell'intervista telefonica. "Se decido di farlo, probabilmente lo annuncerò lunedì", ha aggiunto il presidente, che ieri ha avuto anche un contatto telefonico con il presidente cinese Xi Jinping.
Esteri
Netanyahu e la tregua con Hamas: “Se fallisce...
Il premier parla per la prima volta dopo la firma dell'accordo e avverte: "Ci riserviamo il diritto di tornare in guerra con l'appoggio degli Stati Uniti"
Benjamin Netanyahu parla per la prima volta in pubblico dopo la firma dell'accordo per la tregua con Hamas in vigore da domani, 19 gennaio, alle 8:30, e avverte che se l'obiettivo fallirà Israele è pronta a scatenare una "tremenda forza" contro Gaza.
"L'accordo salta senza i nomi degli ostaggi liberi domani"
In una nota Netanyahu aveva già lanciato nel pomeriggio un avvertimento ad Hamas, affermando che ''l'accordo non andrà avanti fino a quando non si conosceranno ii nomi degli ostaggi che verranno liberati'' a partire da domani. "Non andremo avanti con l'accordo finché non riceveremo una lista degli ostaggi che verranno liberati, come concordato". "Israele non tollererà violazioni dell'accordo. La sola responsabilità ricade su Hamas", ha aggiunto.
"Trump ci darà le armi"
E se l'accordo dovesse fallire, il presidente eletto degli Stati Uniti Donald ''Trump farà in modo che noi avremo tutte le armi e le munizioni necessarie perché se non riusciamo a raggiungere questo obiettivo adesso, lo faremo con tremenda forza più avanti'', ha avvertito il premier israeliano. ''Dobbiamo mantenere la capacità di tornare a combattere se necessario'', ha aggiunto confermando l'appoggio degli Stati Uniti. Il presidente Joe Biden e il futuro inquilino della Casa Bianca Trump ''hanno parlato entrambi con me e si sono congratulati sottolineando che questa prima fase dell'accordo è un temporaneo cessate il fuoco prima della prossima fase. Sia Biden sia Trump hanno pienamente appoggiato questo obiettivo'', ha evidenziato Netanyahu.
"Noi ci riserviamo il diritto di tornare in guerra con l'appoggio degli Stati Uniti", ha aggiunto, sottolineando che ''tutti hanno ripetuto nella regione che è stato Hamas a non rispettare l'accordo in precedenza''.
Più soldati Idf nel corridoio Filadelfia
''Non ci ritireremo dal corridoio Filadelfia'', anzi ''aumenteremo la presenza lì'' perché ''avremo il pieno controllo della zona cuscinetto", ha chiarito poi Netanyahu.
"Ostaggi a casa vivi"
Israele ''riporterà a casa ostaggi vivi grazie alla nostra determinazione'' e li ''riporterà a casa tutti'', assicura Netanyahu. ''Siamo riusciti a raddoppiare il numero degli ostaggi vivi che torneranno a casa nella prima fase'' dell'accordo, abbiamo ottenuto ''un incremento'' rispetto a quanto era stato proposto da Hamas.