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Gioco d’azzardo in Italia: il governo tra innovazione, regolamentazione e responsabilità sociale

L’Italia si trova a un bivio cruciale in materia di regolamentazione del gioco d’azzardo. Il settore del gioco d’azzardo in Italia sta attraversando un’importante fase di trasformazione. L’obiettivo del governo è chiaro: modernizzare il comparto, garantire un quadro normativo trasparente e, allo stesso tempo, rafforzare la tutela dei cittadini. Le decisioni contenute nel disegno di legge di Bilancio 2025 e altre riforme annunciate, puntano a coniugare crescita economica, sicurezza per i consumatori e impegno nella lotta contro la dipendenza.

Questa visione ambiziosa arriva in un momento cruciale. Il gioco d’azzardo legale rappresenta una risorsa economica importante, con volumi di raccolta che hanno raggiunto 147,5 miliardi di euro nel 2023 e una proiezione di crescita fino a 160 miliardi entro il 2024. Tuttavia, la necessità di proteggere i giocatori vulnerabili e contrastare il gioco illegale impone interventi concreti e bilanciati, che però sembrano aver solo amplificato le contraddizioni esistenti.

Le principali novità introdotte: un sistema più moderno e controllato

Tra le misure annunciate dal governo spiccano interventi volti a riorganizzare e semplificare la gestione del settore:

  1. Una quarta estrazione settimanale del Lotto per rispondere alla crescente domanda di gioco legale. Questa iniziativa mira a contrastare l’espansione dei canali irregolari, riportando i giocatori verso piattaforme autorizzate e sicure.
  2. Riforma del sistema delle concessioni per i giochi online e le scommesse, con l’obiettivo di garantire trasparenza, competizione equa e una maggiore protezione dei consumatori. Le nuove regole renderanno il mercato più accessibile agli operatori che rispettano gli standard richiesti dallo Stato.
  3. Monitoraggio tecnologico avanzato: grazie all’uso di strumenti digitali e dell’intelligenza artificiale, sarà possibile individuare comportamenti di rischio, migliorare i controlli e contrastare più efficacemente il gioco illegale.

Queste azioni rappresentano un passo concreto verso una gestione più efficiente e sicura del settore, permettendo allo Stato di aumentare le entrate fiscali, stimolare l’innovazione e offrire ai giocatori un ambiente regolamentato e protetto, nonché bonus benvenuto scommesse studiati a tavolino.

Responsabilità sociale e tutela dei giocatori: un pilastro centrale

L’attenzione del governo non si ferma alla crescita economica. Al centro delle nuove politiche resta la tutela dei giocatori, con particolare riguardo alle categorie più vulnerabili. La lotta al disturbo da gioco d’azzardo (DGA) è una priorità, e le nuove misure prevedono azioni mirate per affrontare il fenomeno con strumenti più efficaci.

Secondo molte associazioni che combattono la ludopatia, la decisione del governo di sopprimere il fondo ministeriale e di abolire l’Osservatorio nazionale costituisce però una cesura grave. Si cancella non solo una risorsa economica fondamentale per il trattamento e la prevenzione, ma anche un’architettura istituzionale che ha reso possibile affrontare il fenomeno con continuità e competenza. In altre parole, un segnale chiaro di disimpegno da parte dello Stato nei confronti di un problema complesso e multidimensionale.

Dall’altro lato però il governo prevede un maggiore  coinvolgimento delle regioni nella gestione degli interventi di prevenzione. Questa decentralizzazione può rendere le politiche di supporto più capillari ed efficaci, adattandole ai bisogni specifici dei territori tramite un approccio multidisciplinare. La prevenzione e il monitoraggio della dipendenza devono infatti camminare di pari passo con la regolamentazione economica del settore.

Tecnologia e innovazione: la chiave per un gioco più sicuro

L’adozione di nuove tecnologie è un altro aspetto cruciale della strategia governativa. Sistemi digitali avanzati, come l’intelligenza artificiale, permetteranno di monitorare i comportamenti dei giocatori e di individuare tempestivamente segnali di rischio. Questo approccio non solo migliorerà i controlli, ma contribuirà anche a rendere il gioco più trasparente e responsabile.

Gli strumenti tecnologici potranno essere utilizzati per:

  • Identificare piattaforme non autorizzate e combattere il gioco illegale.
  • Garantire la protezione dei dati personali e finanziari dei giocatori, grazie a sistemi di sicurezza aggiornati.
  • Promuovere un approccio consapevole al gioco, fornendo ai consumatori informazioni chiare sui rischi e sulle modalità per giocare in sicurezza.

In questo contesto, l’Italia ha l’opportunità di posizionarsi come un modello europeo nella regolamentazione del settore, dimostrando come l’innovazione tecnologica possa contribuire a migliorare la sicurezza e la trasparenza.

Gioco d’azzardo e sviluppo economico: un equilibrio possibile

Uno dei temi più discussi riguarda la possibilità di reintrodurre le sponsorizzazioni delle società di scommesse all’interno del mondo dello sport, in particolare nel calcio. Questa misura, pur controversa, potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno per i club italiani, specialmente quelli più piccoli, che necessitano di nuove fonti di finanziamento.

Il governo sta valutando questa opzione con un approccio equilibrato, proponendo di destinare una parte dei proventi derivanti dalle sponsorizzazioni al contrasto della dipendenza da gioco. Si tratta di un compromesso che, se gestito correttamente, potrebbe sostenere il mondo dello sport senza trascurare la responsabilità sociale.


La riforma del settore del gioco d’azzardo potrebbe rappresentare una grande opportunità per l’Italia. Con un approccio basato su innovazione, controllo e responsabilità, il governo punta a costruire un sistema più moderno, sicuro e sostenibile.

Sebbene alcune scelte abbiano sollevato dubbi, il quadro generale delle riforme mostra una chiara volontà di bilanciare gli interessi economici con la tutela dei cittadini. La chiave del successo risiederà nella capacità di monitorare i risultati, coinvolgere tutti gli attori del settore e mantenere alta l’attenzione sui fenomeni di rischio.

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Attualità

Il grande schermo a febbraio 2025: tra emozioni,...

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Febbraio 2025 è alle porte, portando con sé una ventata di novità cinematografiche per tutti i gusti. Dalle grandi produzioni americane ai film d’autore, passando per il cinema d’animazione e le commedie italiane, questo mese si preannuncia variegato e coinvolgente. Scopriamo insieme cosa ci riservano le sale italiane nelle prossime settimane.

Uno sguardo d’insieme: la tradizione di febbraio

Prima di addentrarci nei singoli titoli, è utile sottolineare come il mese di febbraio abbia acquisito, negli anni, un proprio valore strategico per le case di distribuzione. Pur restando un periodo generalmente meno concorrenziale rispetto al “boom” delle feste e ai blockbuster estivi, febbraio si colloca tra i nuovi cicli d’uscita a cavallo tra l’inizio dell’anno e il periodo primaverile. Questa finestra diventa quindi la piattaforma di lancio ideale per film di vario genere: i thriller o i polizieschi adrenalinici, spesso la commedia legata a San Valentino, i titoli che puntano agli Oscar (con cerimonia solitamente tra fine febbraio e inizio marzo) e i lungometraggi d’autore di ritorno dai festival invernali.

In Italia, poi, febbraio rappresenta anche il mese in cui si avvia la distribuzione di alcuni dei film più acclamati o chiacchierati ai festival di gennaio, come il Sundance e in parallelo può capitare che qualche pellicola – forte delle nomination agli Oscar – trovi spazio per cavalcare il successo critico e la curiosità del pubblico.

Produzioni americane di alto profilo

“Captain America: Brave New World” (Marvel Studios)

Data di uscita italiana: 12 febbraio 2025

“Captain America: Brave New World”. Già solo il titolo ti fa venire voglia di scoprire cosa succederà. Questa volta, lo scudo di vibranio non è più nelle mani di Steve Rogers. No, quella parte della storia si è chiusa. Ora c’è Sam Wilson, interpretato da Anthony Mackie, a portare avanti l’eredità. E diciamocelo, la pressione deve essere enorme.

Il film è diretto da Julius Onah, un regista che non ha paura di sperimentare. Ricordate “The Cloverfield Paradox”? Beh, questa volta si cimenta con uno dei personaggi più simbolici del Marvel Cinematic Universe. E poi c’è Harrison Ford. Sì, proprio lui. L’uomo che ha fatto la storia del cinema torna nei panni di Thaddeus “Thunderbolt” Ross. Sarà diverso, sarà nuovo, sarà potente. Ford porta con sé una gravità e una presenza che faranno scintille, soprattutto ora che il suo personaggio è destinato a giocare un ruolo centrale nel futuro dell’MCU.

Ma cosa aspettarsi davvero? Tensione geopolitica, intrighi, e quel sapore di thriller politico che abbiamo amato in “The Winter Soldier”. Questo non è un film che si limita all’azione. È una riflessione su cosa significhi essere un simbolo, su come portare il peso di un mondo che cambia sotto i tuoi piedi. Il tutto condito con un cast che promette di tenere incollati alla poltrona. Ford, Mackie, Liv Tyler e Tim Blake Nelson sono solo alcuni dei nomi che rendono questo film imperdibile. Preparati: “Captain America: Brave New World” non sarà solo un film, sarà un’esperienza che, se fatta bene, ci farà parlare per anni.

“The Brutalist” di Brady Corbet

Data di uscita italiana: 6 febbraio 2025

“The Brutalist”. Cavolo, che titolo, vero? Non ti prepara a qualcosa di semplice o leggero. Questo è uno di quei film che ti costringe a sederti, stare lì per ore – tre e mezza, per essere precisi – e affrontare una storia che ti resterà dentro, piaccia o no. Dietro la macchina da presa c’è Brady Corbet, un regista giovane, con un talento quasi spaventoso per catturare l’essenza della fragilità umana. Hai visto “Vox Lux”? Allora sai già che Brady non scherza.

E di cosa parla? Beh, è un viaggio. Un architetto europeo fugge dai fantasmi del dopoguerra e cerca di ricominciare tutto negli Stati Uniti. Ma puoi davvero fuggire dal passato? Puoi davvero chiudere la porta e lasciarti tutto alle spalle? Corbet sembra volerci dire che no, il passato ti segue, ti scava dentro, si nasconde tra le pieghe di una vita nuova. Anche quando provi a coprirlo con strati di cemento, con architetture perfette. E lui, il protagonista, lo vive sulla pelle.

E quelle tre ore e mezza? Sì, è lungo, lunghissimo. Ma sai, ci sono storie che non puoi comprimere. Ci sono emozioni che hanno bisogno di spazio per respirare, per stratificarsi. “The Brutalist” non è un film per tutti, questo è chiaro. Ma se ti piace un cinema che ti tormenta, che ti fa pensare, che ti accompagna nei giorni successivi, allora questo potrebbe essere il film che aspettavi. Un film che non guardi e basta: lo vivi.

La storia? È un viaggio. Un architetto europeo scappa dal caos del dopoguerra e si rifugia negli Stati Uniti, inseguendo un sogno di rinascita. Ma puoi davvero lasciarti tutto alle spalle? Puoi davvero cancellare il passato? Questo film sembra dirci di no, che il passato ti segue, si insinua nelle pieghe della tua vita nuova, anche quando cerchi di seppellirlo sotto strati di cemento e architetture perfette.

  • Cast: Non ancora del tutto rivelato, ma nelle note di produzione emergono nomi di attori di grande prestigio. La presenza di Jude Law era inizialmente vociferata, ma manca la conferma definitiva. Eppure il film ha già generato molto interesse nei circuiti festivalieri.
  • Aspettative: Chi ama il cinema d’autore, con ritmi dilatati e riflessioni sul dopoguerra, sull’identità e sull’arte, troverà in “The Brutalist” un progetto affascinante. La matrice storica e sociale, unita a un’estetica impeccabile, potrebbe catturare non soltanto i cinefili ma anche chi desidera un’opera visivamente e narrativamente potente.

Anime, cinema orientale e riedizioni

“Let Me Eat Your Pancreas”

Data di uscita italiana: 3 febbraio 2025

Hai mai sentito un titolo più strano? “Let Me Eat Your Pancreas”. Lo leggi e pensi: “Ma di che diavolo parla?”. Poi scopri che è un film giapponese, un dramma romantico diretto da Shô Tsukikawa e qualcosa cambia. Ti incuriosisce, ti attira. Sai già che non sarà un film facile, di quelli che dimentichi appena esci dalla sala.

La trama è di quelle che ti spezzano. C’è un ragazzo, timido, chiuso in se stesso e una compagna di classe con un segreto che pesa come un macigno: è gravemente malata. Eppure, tra loro nasce qualcosa. Un’amicizia? Qualcosa di più? È difficile dirlo, ma quel legame li porterà a guardare in faccia la vita e la morte con una dolcezza e una profondità che ti lasciano senza fiato. Non c’è spazio per la superficialità qui: ogni scena, ogni dialogo, ti fa sentire qualcosa.

E poi, questa riedizione nelle nostre sale. Perché proprio adesso? Probabilmente perché il pubblico italiano sta imparando ad amare sempre di più il cinema giapponese, non solo quello d’animazione. “Let Me Eat Your Pancreas” è un film per chi cerca storie che toccano l’anima, per chi vuole uscire dal cinema con il cuore un po’ più pesante, ma anche un po’ più pieno. Un consiglio? Portati i fazzoletti. E preparati a sentirti vivo.

“Hello! Spank – Il Film – Le pene d’Amore di Spank”

Data di uscita italiana: 13 febbraio 2025

I più nostalgici degli anni ‘80 e ‘90 avranno una certa familiarità con “Hello! Spank”, popolarissima serie anime che in Italia ha avuto un discreto passaggio in TV. “Le pene d’Amore di Spank” è un lungometraggio animato del 1982, diretto da Shigetsugu Yoshida, e ora riproposto nelle sale in edizione rimasterizzata.

  • Perché vederlo: Spank e la sua padroncina Aiko ci riportano a un periodo in cui l’animazione era caratterizzata da tematiche semplici e genuine: l’amicizia, l’aiuto reciproco, le piccole malinconie e gioie quotidiane. È un tuffo nella nostalgia per chi è cresciuto con queste serie, e un’occasione per i più giovani di scoprire un classico che parla di amore e affetti in modo delicato.
  • Target: Genitori con figli, appassionati di anime vintage, amanti di quella particolare estetica anni ‘80. Un titolo che non punta ai grandi incassi ma arricchisce la programmazione con una perla d’altri tempi.

Film d’autore italiani: tra documentari e commedie

“Pellizza – Pittore da Volpedo”

Data di uscita italiana: 4 febbraio 2025

Un documentario su Pellizza da Volpedo? Finalmente! Non capita spesso di vedere la vita di artisti come lui raccontata sul grande schermo. È un progetto ambizioso, questo di Francesco Fei, che si concentra su uno dei pittori più affascinanti e diciamolo, troppo spesso ignorati della nostra storia: Giuseppe Pellizza da Volpedo, il genio dietro quel capolavoro immortale che è “Il Quarto Stato”.

Ma di cosa si parla, esattamente? Di arte, certo, ma anche di vita. Di lotte, di ideali, di un’Italia che stava cambiando. Fei promette di portarci non solo nel mondo di Pellizza, ma anche nel suo tempo, con interviste a storici dell’arte, immagini delle sue opere più iconiche e persino materiale d’archivio che ci farà vedere questo artista sotto una luce nuova. “Il Quarto Stato”, con quelle figure che avanzano fiere, rappresenta molto più di un quadro: è un simbolo. Di resistenza, di speranza, di futuro.

Perché vale la pena vederlo? Perché in un panorama dove si parla sempre di Michelangelo, Leonardo o Caravaggio, Pellizza merita uno spazio tutto suo. Perché ci racconta un pezzo di storia che è tanto nostro quanto universale. E poi, diciamocelo, immergersi nei colori e nelle emozioni della sua pittura su un grande schermo è un’esperienza che può toccare il cuore anche dei meno appassionati di arte. Un viaggio che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo.

“Fatti vedere”

Data di uscita italiana: 6 febbraio 2025

“Fatti vedere” è una commedia italiana del 2024, diretta da Tiziano Russo, con protagonisti Matilde Gioli e Pierpaolo Spollon.

  • Trama: Anche se la sinossi ufficiale è ancora stringata, sappiamo che la storia segue le vicende di una giovane donna alle prese con le sfide quotidiane: lavoro precario, questioni sentimentali, la difficoltà di credere in se stessa. Il tutto con il taglio scanzonato e un po’ dissacrante tipico di una certa commedia italiana contemporanea.
  • Interesse: Gli interpreti sono volti apprezzati in TV (pensiamo a fiction e serie di successo), quindi ci si aspetta un certo seguito anche nelle sale. La regia di Tiziano Russo potrebbe dare ritmo e originalità.

“Diva futura”

Data di uscita italiana: 6 febbraio 2025

Un altro dramma italiano, affidato alle cure di Giulia Louise Steigerwalt (già sceneggiatrice di pellicole premiate come “Come un gatto in tangenziale” o “Croce e Delizia”) e con protagonisti Denise Capezza e Pietro Castellitto.

  • Temi: L’ascesa di una giovane donna nel mondo dello spettacolo e della moda, con riflessioni sulla competizione, la mercificazione del corpo e il rapporto tra talento e immagine. Potrebbe rivelarsi un film graffiante e attuale, in grado di mettere in discussione i cliché del jet set.

Uscite fantasy e fantascienza

“Vampira umanista cerca suicida consenziente”

Data di uscita italiana: 4 febbraio 2025

Dal titolo bizzarro e provocatorio, questa commedia drammatica e fantastica diretta da Ariane Louis-Seize (produzione del 2023) è, almeno sulla carta, un’opera che mescola ironia e macabro, ponendo al centro una vampira con inclinazioni… “umaniste”.

  • Trama: L’eterna ricerca di sangue del vampiro, qui ribaltata dalla volontà di non provocare sofferenza, conduce la protagonista a cercare un suicida che consenta volontariamente a lei di cibarsi.
  • Perché intrigante: Il soggetto è al contempo dark e paradossale, e potrebbe avere un risvolto filosofico tutt’altro che banale, riflettendo su temi come la vita, la morte, il libero arbitrio e l’amore. Un piccolo film di nicchia, forse, ma che potrebbe sorprendere un pubblico curioso.

Uscite del 13 febbraio: tra arte, nostalgia e novità

“Queer” di Luca Guadagnino

Data di uscita italiana: 13 febbraio 2025

Hai mai provato quella sensazione strana, quasi scomoda, di essere osservato dritto nell’anima? Ecco, questo è “Queer”. Non è un film che ti accompagna dolcemente, è uno specchio spietato. Ti mette davanti quello che sei. O quello che hai paura di essere. Luca Guadagnino, con quel suo tocco unico, prende il romanzo di William S. Burroughs e lo trasforma in un viaggio. Sì, un viaggio. Crudo, disarmante. Ti scuote, ti fa a pezzi e poi prova a rimetterti insieme. E ci riesce? Forse. Forse no. Ma è questo il punto.

E tu stai lì, inerme. A guardare una storia che non è solo una storia, ma un pugno nello stomaco. Guadagnino non si limita a raccontare, lui ti trascina dentro. Ogni immagine è densa, viva. Ti fa male. Ma poi, in qualche modo, ti fa bene. Questo è “Queer”. E credimi, non è per tutti. Ma per chi si lascia trasportare, sarà indimenticabile.

Poi c’è Daniel Craig. Scordatelo in smoking, scordatelo agente segreto. Qui è un uomo distrutto, perso, che vaga in un Messico infuocato dagli anni ’50, cercando risposte che forse nemmeno esistono. Lo senti addosso quel peso, quella rabbia, quella disperazione. Ti entra dentro e non ti lascia più.

Guadagnino ti trascina, ti avvolge. Ogni scena è un frammento di qualcosa di più grande: i colori saturi, le luci che raccontano più delle parole, le atmosfere che ti fanno sentire fuori posto e incredibilmente a casa allo stesso tempo. Queer non è facile, non è comodo. Ma proprio per questo è necessario.

  • Cast: Si parla di Daniel Craig nel ruolo del personaggio principale, che si muove tra Messico e Stati Uniti alla ricerca della propria identità sessuale in un’epoca (anni ‘50) densa di pregiudizi. L’ufficialità della presenza di Craig è arrivata nel 2024 e ciò ha scatenato l’interesse di critica e pubblico.
  • Aspettative: Guadagnino è noto per il suo tocco elegante, che risalta la sensualità delle location e la complessità dei personaggi. Ha già dimostrato di saper trasporre opere letterarie con sensibilità (“Chiamami col tuo nome” ne è un esempio illustre). “Queer” promette di essere un viaggio introspettivo, probabilmente non privo di tensione emotiva.

“Tornando a Est”

Data di uscita italiana: 13 febbraio 2025

Dopo “Est – Dittatura Last Minute” (2020), il regista Antonio Pisu prosegue la narrazione con “Tornando a Est”, film ambientato nel 1991 e incentrato su tre amici che intraprendono un viaggio verso la Bulgaria post-comunista.

  • Perché vederlo: La pellicola precedente aveva raccolto buoni consensi, mescolando commedia e riflessione storica. Questo sequel punta a raccontare un’altra tappa della transizione dell’Est Europa dopo la caduta del Muro di Berlino. Un mix di nostalgia, ironia e accenni alle reali condizioni socio-politiche dell’epoca.

Altri possibili highlight

I re-show e i festival

Non dimentichiamo che in questo periodo arrivano spesso riedizioni di film classici o proiezioni-evento legate al San Valentino e al Carnevale. Alcune sale potrebbero programmare retrospettive su registi di spicco, o addirittura riportare in sala pellicole recentissime che hanno ricevuto nomination agli Oscar (la cerimonia di premiazione si terrà tra fine febbraio e inizio marzo 2025).

Inoltre, la Berlinale (Festival di Berlino) comincia proprio a febbraio: è possibile che alcuni film vincitori o presentati in anteprima possano essere acquistati e distribuiti in Italia entro la fine del mese, pur essendo una tempistica stretta. Più verosimile che alcuni dei titoli di maggior spicco alla Berlinale siano annunciati per marzo-aprile.

Analisi e riflessioni

Guardando al quadro complessivo, emerge come febbraio 2025 sia un mese capace di offrire una significativa varietà di generi:

  • Action e supereroi: “Captain America: Brave New World” è sicuramente il colosso di riferimento, destinato a dominare il box office, almeno per il pubblico mainstream amante dell’MCU.
  • Cinema d’autore/drammatico: “The Brutalist” di Brady Corbet, “Queer” di Luca Guadagnino, i film italiani come “Diva futura” e “Fatti vedere” alimentano la programmazione “adulta”, orientata a spettatori in cerca di storie più intime o di riflessione.
  • Anime e live action giapponesi: “Let Me Eat Your Pancreas” e il recupero di “Hello! Spank – Il Film” dimostrano che l’animazione e le storie nipponiche (drammatiche o leggere) trovano sempre più spazio e attenzione.
  • Documentari e commedie italiane: “Pellizza – Pittore da Volpedo” si rivolge a un pubblico che apprezza il racconto dell’arte e della storia; “Tornando a Est” e “Vampira umanista cerca suicida consenziente” strizzano l’occhio a chi ama sperimentare generi ibridi o storie particolari.

Il ruolo della tecnologia e delle piattaforme

Non va dimenticato che, accanto alle uscite in sala, in Italia esiste un mercato streaming sempre più incisivo che spesso rischia di erodere i potenziali incassi cinematografici, specie per i film di nicchia o dal budget ridotto. Tuttavia, grazie a un inizio d’anno privo di colossi natalizi, febbraio potrebbe essere un momento favorevole per dare spazio in sala a opere che altrimenti avrebbero poca visibilità.

L’esperienza condivisa del grande schermo, unita a uscite variegate, rende febbraio 2025 un mese potenzialmente ricco di soddisfazioni per gli amanti del cinema. Inoltre, il pubblico italiano si sta lentamente riabituando a frequentare le sale con una certa costanza dopo la forte decrescita di presenze che c’è stata nel periodo 2020-2021.

Consigli pratici

  • Prenotazioni: Alcune pellicole come “Captain America: Brave New World” o “Queer” di Luca Guadagnino potrebbero richiamare grande afflusso di pubblico nella prima settimana di programmazione, quindi conviene pianificare in anticipo la visione, specialmente nei cinema di città medio-grandi.
  • Ricerche prima di andare al cinema: Per opere più di nicchia – ad esempio “Vampira umanista cerca suicida consenziente” – conviene verificare in quali sale verrà effettivamente proiettato. In alcune regioni, potrà essere relegato a circuiti d’essai o a cinema specializzati.
  • Open mind: Se desiderate sperimentare cinema nuovo e non convenzionale, febbraio si presta a scoperte interessanti. Il mese si configura come un “ponte” tra l’eredità delle feste e la primavera; spesso le sorprese più gradevoli si nascondono in film che non hanno ricevuto campagna promozionale massiccia.

Febbraio al cinema: il mese dell’emozione e della scoperta

Siamo quindi alla vigilia di un febbraio 2025 che, dal punto di vista cinematografico, appare florido di spunti per tutti i gusti. La programmazione spazia dai blockbuster mainstream alle pellicole d’animazione giapponese, passando per i documentari d’arte e le storie più sperimentali. A risaltare su tutte è senza dubbio “Captain America: Brave New World”, che – come da tradizione MCU – diventerà probabilmente l’epicentro della curiosità generale. Tuttavia, sarebbe un peccato considerare il mese di febbraio limitatamente a quest’unica uscita: i veri appassionati potrebbero trovare storie in grado di sorprendere in pellicole meno blasonate, ma non per questo meno meritevoli.

D’altro canto, la presenza di lavori come “Queer” di Luca Guadagnino e “The Brutalist” di Brady Corbet indica che ci sarà di che discutere e confrontarsi anche nei circoli cinefili più esigenti. Non mancano gli appuntamenti per chi cerca commedie leggere (“Fatti vedere”) o documentari di spessore (“Pellizza – Pittore da Volpedo”).

Il nostro suggerimento è di tenere d’occhio la programmazione e cogliere l’occasione di una pausa invernale per gustarsi il buio della sala: sia che siate fan di supereroi, sia che preferiate i toni più autoriali o le storie romantiche, la scelta non vi mancherà. D’altronde, febbraio è anche il mese dell’amore: chissà che il cinema non diventi una bellissima occasione per un appuntamento speciale, o per regalarsi un momento di svago dopo il lungo letargo post-natalizio.

Che siate cinefili incalliti o spettatori occasionali, preparatevi: febbraio 2025 è alle porte e con esso, un’offerta variegata che aspetta solo di essere esplorata. Buona visione e buon divertimento in sala, dunque, sperando di vivere un mese di sorprese, emozioni e grandi storie proiettate sul grande schermo.

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Attualità

Metropolitan di Napoli, addio a una leggenda: e adesso?

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Metropolitan di Napoli, addio a una leggenda: e adesso?

Certe volte, quando parliamo di una chiusura, usiamo termini che sembrano routine: fine di un’era, porta che si chiude, capitolo concluso. Ma, in questo caso, non è solo un’espressione di circostanza. Dal 15 gennaio 2025, uno spazio che faceva parte dell’identità stessa di Napoli – il Cinema Metropolitan, affacciato su via Chiaia – non esiste più. Giù la saracinesca, dentro il buio. E fuori, un senso di vuoto che si avverte come un colpo allo stomaco.

È un peso che non nasce solo dalla nostalgia ma dalla consapevolezza che se ne va un baluardo della cultura cittadina. Proviamo a tirare insieme i fili di questa storia, ricostruendo il passato e guardando in faccia un presente carico di incognite, con la speranza che il futuro non sia soltanto un freddo ricordo di un glorioso multisala.

Un simbolo che supera la soglia del tempo

La storia del Metropolitan parte da lontano, da un 1948 in cui Napoli tentava di riprendere fiato dopo le macerie della guerra. La città intera provava a rimettersi in piedi e in quel contesto nacque un progetto ambizioso: una sala cinematografica maestosa, con oltre tremila posti. Sembra quasi di immaginarseli, quegli imprenditori che puntavano a qualcosa di grande, coraggioso, perfino un po’ folle per l’epoca. Eppure, fu proprio quell’azzardo a trasformarsi in uno dei punti di riferimento del cinema napoletano. Per decenni, il Metropolitan è stato teatro di prime assolute, rassegne affollate, serate da tutto esaurito. Chiunque amasse la settima arte, anche solo di passaggio in città, finiva per affacciarsi a quell’ingresso e respirare un’atmosfera impossibile da replicare altrove.

Nel corso degli anni, l’edificio venne rimaneggiato, sistemato, adattato all’evoluzione tecnologica. Gli schermi si moltiplicavano, le poltrone diventavano più comode (o almeno ci si provava), e la gestione inseguiva i gusti di un pubblico sempre più esigente. Di fatto, però, la vera magia non cambiava: quando si spegnevano le luci e iniziavano i trailer, c’era quel fremito collettivo che ti ricordava di essere in un luogo speciale. Tra l’odore dei pop-corn e la sensazione di naso all’insù, la frenesia di via Chiaia restava fuori. E dentro si navigava in mondi nuovi, sospesi tra sogno e realtà.

La chiusura: un colpo di scena che sapeva di minaccia

Negli ultimi anni, la parola chiusura aleggiava già su questa sala. Qualcuno la prendeva poco sul serio, come un allarme destinato a rientrare. Altri, più pessimisti, dicevano che era solo questione di tempo. A un certo punto, però, non c’è stato più spazio per gli scongiuri. Il Metropolitan ha chiuso davvero. A decidere le sorti del locale è stata la proprietaria dell’immobile, Intesa Sanpaolo, che ha scelto di non rinnovare il contratto d’affitto. Inutile girarci intorno: quando una banca, cioè chi ha in mano i muri, dice stop, la faccenda diventa complicatissima.

A nulla è servito, almeno in questo momento, il vincolo di destinazione culturale apposto dal Ministero della Cultura, firmato all’epoca da Gennaro Sangiuliano: un tentativo di salvare l’anima di quello spazio, imponendo che non potesse trasformarsi in altro. Sulla carta, significa che l’immobile dovrebbe mantenere una finalità artistica o culturale. Nei fatti, non ha evitato lo sfratto. La serranda è rimasta chiusa e le chiavi sono state riconsegnate. Un paradosso che pesa come un macigno sull’umore di chi, fino all’ultimo, sperava in uno spiraglio.

Un investimento e un sogno spazzati via

Per mantenere vivo un multisala del genere, la gestione aveva buttato sul piatto cifre importanti. Gli stessi titolari, Giuseppe Caccavale e Nicola Grispello, avevano dichiarato di aver speso più di un milione di euro negli ultimi anni, per adeguare impianti, sedute, tecnologie, in modo da offrire un’esperienza competitiva. Il tutto perché, per quanto ci si illuda che i luoghi storici sopravvivano solo grazie ai ricordi, la verità è che occorrono risorse continue per stare al passo con il mercato. Eppure, non è bastato.

Lo sconforto riguarda anche i dipendenti: una ventina di persone, considerando collaboratori fissi e stagionali. Alcuni di loro avevano dedicato al Metropolitan venti, trent’anni di vita lavorativa. Non si tratta solo di posti di lavoro persi, ma di un bagaglio di esperienza che si sgretola. In una città come Napoli, legatissima alle proprie radici e alle proprie tradizioni, il contraccolpo è amplificato dal fatto che quelle facce dietro al bancone o in biglietteria erano parte integrante del rituale della serata al cinema. Sorrisi familiari che non rivedremo più in quelle stanze buie.

Il vincolo culturale: un’arma spuntata?

Il decreto ministeriale che legava il destino dell’edificio alla cultura pareva una scialuppa di salvataggio. Qualcuno pensava: “Se non si può trasformare in un altro negozio o in un parcheggio, allora il Metropolitan non morirà.” Ma la faccenda si è rivelata più intricata. L’addio alla vecchia gestione si è consumato comunque, e ora ci si chiede se qualcuno, in futuro, prenderà in mano la situazione.

Sulla carta, il vincolo obbliga la proprietà a mantenerne l’uso culturale. Ma le vie legali, si sa, possono diventare labirinti. E finché non ci sarà un nuovo progetto, l’ex tempio del cinema potrebbe restare malinconicamente vuoto o, peggio, entrare in un limbo di trattative. È un po’ come se ci fosse un luogo consacrato all’arte, che nessuno può profanare ma che resta chiuso a doppia mandata.

Napoli reagisce: indignazione e voglia di riscatto

La notizia non ha colto nessuno impreparato, eppure la reazione popolare è stata fortissima. Molti napoletani si sono sentiti defraudati di un pezzo della loro storia. Qualcuno ha paragonato la chiusura a una ferita collettiva. Non è strano che sulla Rete siano spuntate petizioni e appelli al Comune, alla Regione, perfino al Governo.

Da più parti, si sollecitano soluzioni alternative: un tavolo di confronto, un intervento diretto delle istituzioni, perfino l’idea di una cooperativa che rilevi la sala. Il Comune, con il Sindaco Gaetano Manfredi, si è detto disposto a partecipare a una trattativa, se Intesa Sanpaolo e la vecchia gestione accetteranno di sedersi a discuterne. Come va spesso in questi casi, tutto si giocherà sulla volontà politica e sulla concretezza economica. Perché la buona volontà, da sola, non basta.

L’analisi economica: la crisi delle sale cinematografiche

In molti si domandano: “Ma si poteva davvero salvare?” Siamo onesti: gestire un cinema nel cuore di una grande città non è una passeggiata. I costi lievitano: affitti alti, manutenzione continua, promozioni da realizzare per stare al passo con la concorrenza delle piattaforme streaming, che ormai tengono il pubblico incollato al divano di casa. Negli ultimi tempi, poi, la pandemia ha dato un’ulteriore spallata a un sistema già sotto pressione.

I numeri delle presenze nelle sale, pur con qualche picco di risalita, non raggiungono più i fasti di qualche decennio fa. Eppure, resta la sensazione che il Metropolitan, in quanto simbolo, avrebbe potuto provare un’ulteriore trasformazione: forse un cinema che diventa anche sala eventi, o spazio ibrido dedicato a concerti, mostre, dibattiti culturali, pur di restare in vita. Non c’è stata però la spinta – o l’occasione – per questa mutazione. O almeno non nei tempi necessari a scongiurare la chiusura.

Una perdita collettiva: più di un edificio

Pensare al Metropolitan come a un semplice immobile è riduttivo. Per decenni è stato un luogo di aggregazione, dove le differenze sbiadivano nel buio della proiezione. Varcare quella soglia voleva dire entrare in una dimensione protetta, dove la quotidianità si fermava per qualche ora. C’è chi, negli anni, vi ha festeggiato ricorrenze con gli amici, chi ha portato la persona amata a vedere l’ultimo film romantico, chi ci si è rifugiato per scappare dalla routine. Una sala cinematografica è sempre un mondo a parte, ma quando diventa parte di una città come Napoli, allora trascende il suo ruolo di spazio per proiezioni e diventa patrimonio condiviso.

Oggi via Chiaia sembra un po’ più spoglia. Quell’insegna, che per tanti anni ha illuminato l’angolo di strada con i cartelloni dei film in arrivo, non brilla più. E la hall, dove si acquistavano biglietti e pop-corn, è ridotta a un vuoto che mette addosso una certa tristezza. Tutti ne parlano, come di un lutto. Molti lo considerano un funerale culturale. E la domanda che serpeggia è: E adesso cosa ci metteranno? Un brand d’abbigliamento di lusso? Un negozio di accessori? O magari un parcheggio? L’ombra di un banale riutilizzo fa venire i brividi. Ma, per ora, è solo una triste ipotesi che nessuno vorrebbe veder realizzata.

Possibili sviluppi: speranze e interrogativi

Eppure, qualcosa si muove. Sottovoce, tra mille difficoltà, c’è chi non si arrende. Si parla, si discute, ci si guarda negli occhi sperando di trovare un modo, un varco, una soluzione per questo spazio che tutti sentiamo come “nostro”. Certo, la strada è tutta in salita. La politica dice la sua, le istituzioni si barcamenano, ma c’è chi crede davvero che il vincolo culturale imposto dal Ministero non sia solo un pezzo di carta. C’è voglia di non lasciarlo cadere, quel vincolo. Di usarlo come una leva, per smuovere tutto. Nel frattempo, si sentono nomi, idee, progetti.

E poi spunta questa proposta: trasformare il vecchio Metropolitan in un polo culturale polivalente. Bello sulla carta, vero? Una di quelle idee che ti fanno sognare: uno spazio che non sia solo cinema ma un po’ tutto. Proiezioni, concerti, eventi teatrali, magari laboratori per i ragazzi. Un posto vivo, dove ogni angolo vibra di emozioni, di gente. Ma è dura, ci vuole qualcuno che ci creda davvero. Uno con il cuore grande e le spalle ancora più larghe. Un progetto che non evapori al primo soffio di difficoltà. Per ora, tutto resta sul filo, sospeso tra speranza e paura di vedere svanire anche questa visione.

Domande aperte in una città che vive di cultura

A Napoli, la cultura non è un lusso. È un elemento essenziale per il cuore e la mente dei cittadini. Un teatro, un cinema, un’esposizione: tutto viene vissuto come qualcosa di profondamente identitario, perché qui l’arte è un modo di respirare. Eppure, capita che proprio questi luoghi vadano in crisi. La chiusura del Metropolitan è un segnale doloroso, un monito a non dare mai per scontato quello che si ha. Ricorda a tutti noi che senza un piano di tutela e valorizzazione, neppure i simboli più amati sono al sicuro.

E allora, c’è chi si interroga: come fermare l’emorragia di spazi dedicati alla cultura, in una metropoli che ancora si nutre di musica, cinema, teatro, letteratura? Le piattaforme di streaming e il cinema casalingo hanno cambiato il nostro rapporto col grande schermo, è vero, ma l’esperienza collettiva di una sala buia rimane insostituibile. Chi ha mai conosciuto l’emozione di un applauso spontaneo alla fine del film, o la condivisione di un momento di suspense con sconosciuti seduti vicini, sa bene di cosa si parla.

Il futuro di via Chiaia

Al Metropolitan, per ora, si è spenta la luce. I manifesti delle ultime programmazioni sono rimasti come reliquie appese a un tempo che pare lontano, anche se sono passate poche settimane. E in tanti si domandano se questo addio resterà definitivo, o se c’è spazio per un ritorno, una resurrezione in chiave moderna. Il vincolo culturale, gli appelli delle associazioni, le petizioni popolari: tutto concorre a mantenere viva la fiammella di speranza. Ma chiunque abbia un occhio realista sa che, senza un accordo concreto o un progetto solido, il Metropolitan rischia di marcire nel silenzio o, peggio, diventare qualcos’altro del tutto estraneo alla sua natura originaria.

Noi, come redazione, continuiamo a seguire la vicenda perché riguarda tutti, non solo i nostalgici o i cinefili più accaniti. Quando chiude un cinema, una città diventa un pochino più povera. E la mancanza di un luogo storico come il Metropolitan non è soltanto una ferita per i lavoratori rimasti senza impiego, ma anche un buco nell’anima culturale di Napoli. Da parte nostra, promettiamo di non abbandonare l’argomento, di informare e dove possibile, di sostenere chi si sta battendo perché quella soglia d’ingresso, un giorno, possa essere di nuovo varcata per assistere a un film o a un qualunque evento capace di restituire dignità a uno spazio prezioso. Perché un the end definitivo non è detto che sia già scritto. Forse, siamo soltanto arrivati a un cliffhanger e di solito, dopo un cliffhanger, c’è sempre una nuova stagione. E noi, testardi, vogliamo crederci.

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Attualità

Donald Trump torna Presidente: cosa significa per...

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Ieri, 20 gennaio 2025, è successo qualcosa che, piaccia o no, ha fatto parlare il mondo intero: Donald Trump ha giurato di nuovo come Presidente degli Stati Uniti, diventando il 47º nella storia del Paese. È un ritorno in scena dopo quattro anni fuori dai giochi, un colpo di scena che ha ribaltato pronostici e aspettative. Ha battuto Joe Biden, sì, ma anche quel terzo candidato indipendente che per un po’ sembrava potesse sparigliare le carte in qualche stato cruciale. E così eccoci qui. Curiosità, tensioni, applausi, proteste… un mix esplosivo che ha reso questa giornata indimenticabile.

Ma sai cosa? C’è stato pure un imprevisto. Quel freddo gelido che ti entra nelle ossa e non ti lascia scampo: -10 °C. Un freddo che ha costretto tutti a ripiegare all’interno, nella Rotonda del Campidoglio. Una decisione presa in extremis, roba che non si vedeva dai tempi di Reagan, nel lontano 1985. È lì, in quell’atmosfera raccolta, quasi soffocante, che Trump ha iniziato ufficialmente il suo secondo mandato. Non il solito spettacolo grandioso del National Mall, niente folla oceanica, ma qualcosa di più intimo, ecco. Strano, forse un po’ malinconico ma comunque potente. Come a dire: “Sono tornato e ora si fa sul serio.”

Proviamo a capirci, no? Trump è tornato alla Casa Bianca e, diciamolo, non è successo per magia. Per capire come abbia fatto, dobbiamo tornare indietro e dare un’occhiata a quello che è successo negli ultimi anni. Quando ha lasciato la presidenza nel 2021, il clima era a dir poco esplosivo: c’era stata quella storia del Campidoglio, il 6 gennaio, un caos totale, con i suoi sostenitori coinvolti e accuse che lo hanno seguito ovunque. Insomma, non proprio il modo migliore per salutare la scena politica. Eppure, eccolo di nuovo qua.

Con Biden le cose non sono andate lisce, per niente. Pandemia? Ancora lì, con varianti meno letali ma che continuavano a fare danni. Economia? Un disastro, con una mini-recessione nel 2023 che ha colpito duro. Prezzi alle stelle, benzina, cibo, energia… la gente era esasperata, specialmente chi viveva già con l’acqua alla gola. E sai com’è, quando la vita si fa dura, la gente vuole risposte, soluzioni e Biden, secondo molti, non le ha date.

Trump, astuto com’è, ha preso al volo l’occasione. Ha parlato di “rimettere tutto a posto”, di fare di nuovo grande l’America, di proteggere i confini e ridurre le tasse. Ha girato in lungo e in largo stati chiave come Michigan e Pennsylvania, promettendo muri, sicurezza e lavoro. E poi c’era quella parte di elettori repubblicani che non hanno mai digerito la sconfitta del 2020, convinti che fosse stata una fregatura. Trump ha giocato su questo, lo ha usato per tenere viva la sua base.

Alla fine, nel 2024, Biden ha perso. Non solo per l’insoddisfazione generale, ma anche perché quel terzo candidato, moderato ma piuttosto inutile, ha tolto voti proprio a lui. E così, con margini risicati negli stati più in bilico, Trump si è ripreso la Casa Bianca. Un ritorno che, nel bene o nel male, ha lasciato tutti a bocca aperta.

Gli ospiti internazionali e i grandi assenti

Dentro la Rotonda si respirava un’atmosfera carica di tensioni e curiosità. Tra le personalità di spicco, tutti gli occhi erano puntati su Javier Milei, il presidente argentino. Sì, proprio lui, quello che in passato ha più volte elogiato Trump senza mezzi termini. Le telecamere lo pizzicavano ovunque: chiacchierava con i membri del Congresso repubblicano, gesticolava, sembrava a suo agio. Sembrava, in poche parole, che ci fosse una certa sintonia tra due leader visti come “outsider” nei loro rispettivi mondi.

E poi, un altro nome che ha fatto scalpore: Giorgia Meloni. Premier italiana, unica rappresentante ufficiale dell’UE all’evento. I giornali internazionali – dal New York Times a Le Monde – ne hanno parlato tanto. La vedono vicina a Trump, ideologicamente parlando. Ma dall’Italia? Fonti del Ministero degli Esteri smorzano subito i toni: “Un atto di rispetto istituzionale, niente di più.Certo, facile a dirlo.

E chi mancava? Gli Obama. Né Michelle né Barack. Nessuna sorpresa, davvero. Michelle, in una nota riportata da Politico, ha detto chiaro e tondo che “non avrebbe senso partecipare a un evento che rappresenta valori e visioni così lontani dai nostri”. E poi c’è stato Viktor Orbán, il premier ungherese, uno che con Trump si è sempre trovato in sintonia. Stavolta però, niente da fare: da Budapest dicono che aveva “altri impegni.” Impegni, eh? Suona quasi ironico.

Il discorso di insediamento

E il discorso? Ah, il discorso… Trump, dopo aver giurato sulla Bibbia come quattro anni fa, è salito sul palco e ha iniziato a parlare. Era atteso, tutti lo sapevano. Fox News, CNN, MSNBC… tutte le emittenti collegate, milioni di persone a guardare, chi con entusiasmo, chi con rabbia, chi solo per curiosità. Un discorso di venti minuti che per alcuni saranno sembrati un’eternità, per altri un soffio.

E cosa ha detto? Beh, ha promesso una “nuova età dell’oro” per l’America. Parole grosse, no? Ha parlato di proteggere il paese da ogni minaccia, interna o esterna. Ma non erano solo parole, erano come un grido di battaglia, qualcosa che o ti infuoca o ti fa alzare il sopracciglio. Per lui, tutto gira intorno a un’idea: rimettere l’America al centro, sempre al centro. Un po’ esagerato? Forse. Ma è Trump e lui sa come far parlare di sé.

Trump ha rimarcato che la sua priorità sarà “proteggere i confini” e “riportare l’ordine nelle città afflitte da criminalità e immigrazione fuori controllo.” Ha poi lanciato un monito ai Paesi alleati, soprattutto in ambito NATO, affermando che “l’America non intende più sostenere da sola il peso della difesa dell’Occidente.” Ha infine aggiunto: “Chi pretende l’aiuto degli Stati Uniti, deve essere pronto a condividere costi e responsabilità.” Un passo ulteriormente polemico ha riguardato le questioni climatiche, con l’annuncio che gli Stati Uniti usciranno definitivamente dal rinnovato Accordo di Parigi e che sarà cancellata ogni forma di adesione a progetti green ritenuti dannosi per la competitività industriale americana.

Nel passaggio finale, Trump ha ripetuto lo slogan che ha caratterizzato la sua nuova campagna elettorale, “America First, Always!” e ha concluso con un riferimento al suo passato: “Nel 2016 vi ho promesso di rendere di nuovo grande l’America. Abbiamo trovato ostacoli, tradimenti e bugie. Ma adesso, da qui, rifacciamo tutto e lo rifacciamo più in grande, meglio di prima”. Un discorso che per molti versi ricalca il registro nazional-populista di cui è stato maestro durante la sua prima avventura presidenziale.

Le prime misure: ordini esecutivi, politica estera e grazia ai coinvolti nell’assalto del Campidoglio

La sera del 20 gennaio, quando tutto sembrava essersi finalmente calmato dopo una giornata intensa, Trump ha fatto subito il botto. Senza perdere tempo, ha firmato una serie di ordini esecutivi che hanno lasciato tutti – chi esterrefatto, chi furioso, chi entusiasta – con qualcosa da dire. Il primo? L’uscita lampo degli Stati Uniti dall’OMS. Sì, hai capito bene. Boom! Una mossa che ha mandato la comunità scientifica su tutte le furie: “E adesso, chi coordina le prossime pandemie?” si chiedono in molti. Ma lui, niente, avanti come un treno.

E non è finita qui. Poco dopo, ha detto addio al Green Deal. Quell’accordo ecologista dei Democratici? Stracciato, via. Perché, secondo lui, le energie rinnovabili sono solo un freno all’America produttiva. E qui già c’era chi urlava al tradimento. Poi, ciliegina sulla torta, ha tagliato le tasse federali alle imprese. “Dobbiamo rimettere in moto il nostro motore interno,” ha detto. E, come se non bastasse, ha riaperto i rubinetti per completare quel famigerato muro col Messico. Il muro, sì, proprio quello. Nuovi fondi, più controlli e via di restrizioni sull’immigrazione. Da una parte applausi scroscianti tra i Repubblicani, dall’altra grida di “politiche divisive!” dai Democratici.

Ma la vera bomba? Quella che ha fatto alzare tutti dalle sedie, è stata la grazia. Ha concesso una sorta di amnistia a chi è stato condannato o attende giudizio per le violenze del 6 gennaio 2021. Sì, proprio quella giornata buia al Campidoglio. Ha detto che vuole “ricucire le ferite, lasciarci il passato alle spalle.” Ma la reazione è stata feroce. “Sta riscrivendo la storia!” hanno urlato in tanti, stampa liberal in testa. E chi lo ferma ora?

Il caso Elon Musk alla Capital One Arena

Una parentesi controversa ha riguardato Elon Musk, presente a Washington in occasione delle celebrazioni ma non invitato ufficialmente alla cerimonia. Il visionario imprenditore, CEO di Tesla, SpaceX e proprietario di alcune piattaforme social, era stato ospite di un evento parallelo organizzato alla Capital One Arena per discutere di nuove tecnologie legate alla difesa. Durante il suo intervento sul palco, Musk avrebbe alzato un braccio in un gesto equivocabile, che alcune testate, tra cui Sky TG24, hanno associato a un saluto di impronta neofascista. Nel giro di poche ore, sui social è esplosa una polemica internazionale. Musk ha respinto ogni accusa, descrivendo quel gesto come un semplice “cenno di saluto mal interpretato”, ma sul web c’è chi chiede che il miliardario venga messo sotto osservazione per l’influenza che esercita su milioni di utenti.

Secondo The Guardian, l’episodio testimonia la delicatezza del contesto politico statunitense attuale: un ambiente in cui i simboli e i gesti hanno un impatto mediatico enorme e possono infiammare il dibattito in pochissimo tempo. L’entourage di Trump ha commentato sbrigativamente la questione, dichiarando che Musk “non rappresenta in alcun modo il pensiero del Presidente e che eventuali malintesi sono solo frutto di superficialità nel giudicare una situazione privata.

Le proteste dentro e fuori Washington

Fuori dalla Rotonda, mentre i “pezzi grossi” si scambiavano sorrisi e strette di mano, la tensione si tagliava con il coltello. Giorni prima dell’Inauguration Day, già si sentiva l’aria pesante: cortei annunciati, cartelli pronti, gente stufa di sentire sempre le stesse promesse. E così è stato.

Un freddo cane, ma questo non ha fermato le duemila anime che si sono radunate al National Mall. “Not My President,” “Stop Dividing America” – slogan gridati, mani alzate, occhi che bruciavano più del gelo. E poi? Poi ci sono stati sguardi storti, urla da una parte e dall’altra. Sostenitori di Trump e manifestanti a pochi metri, come benzina e fiammiferi. Ma per fortuna la polizia, la Guardia Nazionale e pure agenti in borghese hanno fatto il loro, evitando che le cose degenerassero davvero.

E non era solo Washington. No, no. New York, Los Angeles, Chicago, Seattle… ovunque il malcontento si sentiva forte. In California, per esempio, femministe, ambientalisti e tante altre associazioni si sono messe in marcia, protestando contro politiche che sembrano voler fare un salto indietro nel tempo. E la stampa? Quella progressista è andata giù pesante. Editoriali duri, come quelli di The Nation e Mother Jones, hanno parlato di un’America sull’orlo di nuove fratture, pronte a diventare ancora più profonde. Insomma, mentre dentro si celebrava, fuori si lottava. Due mondi che si sfiorano ma che sembrano sempre più lontani.

La reazione della comunità internazionale

Sul fronte internazionale, le reazioni all’insediamento di Trump sono apparse discordanti. Da un lato, i leader di Cina e Russia hanno manifestato un cauto ottimismo per possibili distensioni: Pechino, in particolare, auspica di riaprire alcuni tavoli commerciali saltati con Biden, pur restando in allerta rispetto alla posizione di Trump sulla questione di Taiwan e sulla guerra tecnologica. Dall’altro lato, i partner storici degli Stati Uniti in Europa, eccezion fatta per l’Italia rappresentata da Giorgia Meloni, hanno adottato un profilo basso, inviando le classiche note di congratulazioni ma evitando discorsi ufficiali o delegazioni di alto livello a Washington.

L’Unione Europea, dalla quale non era presente alcun leader di spicco, rimane guardinga di fronte ai proclami protezionisti di Trump. Dalla Commissione Europea sono trapelate fonti che parlano di “grande preoccupazione” per i potenziali sviluppi sulle politiche commerciali e sulle sanzioni verso aziende europee ritenute troppo invadenti del mercato statunitense. In Medio Oriente, l’Arabia Saudita si è detta aperta a collaborare con la nuova amministrazione, mentre l’Iran ha condannato duramente l’atteggiamento di Trump sulla questione nucleare, rigettando la possibilità di sedersi a nuovi negoziati in queste condizioni.

Nel frattempo, sul piano diplomatico, è probabile che i primi viaggi internazionali della presidenza Trump siano in destinazioni considerate più amichevoli. Secondo alcuni analisti citati da Axios, i paesi del Golfo Persico e Israele potrebbero essere le prime tappe, ricalcando la logica del suo precedente mandato.

Prospettive economiche e di politica interna

Diciamolo chiaro e tondo: la prima vera sfida del nuovo Trump sarà l’economia. La recessione del 2023? Sì, finita, ma l’inflazione è ancora lì che morde… e la crescita? Lenta. Lui ha subito tirato fuori la carta del taglio delle tasse alle imprese. “Stimolare le aziende locali, riportare i soldi dall’estero.” Facile a dirsi, eh? Ma Paul Krugman e altri economisti dicono: “Occhio!” Perché? Perché il debito pubblico potrebbe esplodere e i ricchi potrebbero diventare ancora più ricchi. E i poveri? Peggio.

E poi, c’è la società. Spaccata come non mai. Obamacare, diritti civili, aborto… roba che potrebbe scoppiare da un momento all’altro, soprattutto se la Corte Suprema, che è tutta conservatrice, dovesse mettere mano a certi casi. Trump, nel suo discorso? Zitto su queste cose. Ma gli analisti sono pronti a scommettere che saranno la prossima polveriera. Immagina: California e New York, con governatori democratici, pronti allo scontro con Washington. Uno spettacolo.

E sai cosa c’è ancora? Il pallino di Trump. La riforma del sistema elettorale. Durante i comizi del 2024, ha urlato ai quattro venti: “Il sistema è truccato! Brogli ovunque!” Prove? Zero. Ma ci scommetti che proverà a convincere il Congresso repubblicano a mettere mano a tutto? Limitare il voto anticipato, il voto per posta… insomma, più che una riforma sembra un’ossessione. Vedremo se riuscirà a farla passare.

Il ruolo del Congresso e la sfida dei media

Con un Senato e una Camera dei Rappresentanti leggermente a vantaggio dei repubblicani, Trump parte da una posizione di discreta solidità politica, almeno per i primi tempi. La leadership del Partito Repubblicano sembra al momento intenzionata a sostenere le misure presidenziali, in quanto punta a consolidare il potere nelle istituzioni chiave e a disegnare nuovi equilibri a lungo termine. Tuttavia, esiste anche un’ala più moderata del GOP, che teme possibili derive estreme e ripercussioni su quell’elettorato indipendente che ha garantito ai repubblicani la vittoria in stati un tempo considerati in bilico.

Per quanto riguarda i media, lo scontro con Trump è già accesissimo. L’ex presidente ha più volte definito i grandi network di informazione “fake news,” con particolare acrimonia nei confronti di CNN e MSNBC. È noto che il tycoon ami comunicare direttamente con i suoi elettori attraverso piattaforme social, alcune delle quali, durante la sua assenza dalla Casa Bianca, gli avevano perfino limitato l’uso. Adesso, con un potere istituzionale rinnovato, potrebbe tentare pressioni per limitare la libertà di azione di tali piattaforme, accusate da lui di parzialità e di censura nei confronti di opinioni conservatrici.

Nelle prime conferenze stampa dei portavoce della nuova amministrazione, si è percepito un deciso cambio di tono rispetto all’era Biden. I rapporti con i giornalisti sono apparsi subito tesi, specie quando si è toccato il tema dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e della conseguente grazia concessa da Trump. Potremmo assistere a un conflitto istituzionale e mediatico che, se non gestito, rischia di compromettere ulteriormente la fiducia nell’informazione e nelle istituzioni.

Il futuro dell’America sotto il secondo mandato Trump

La giornata del 20 gennaio 2025, con la sua cerimonia a porte semi-chiuse e i tanti provvedimenti annunciati, apre a scenari che potrebbero ridefinire gli assetti geopolitici e interni degli Stati Uniti. Se da un lato molti americani sostengono con entusiasmo questa nuova fase, sperando che la politica economica di Trump rilanci la produzione nazionale e riduca disoccupazione e criminalità, dall’altro lato numerosi cittadini e oppositori temono un ritorno a politiche divisive, isolazioniste e potenzialmente lesive dei diritti civili.

Immagina la scena: piazze che si riempiono, gente che non riesce più a stare zitta. Le proteste partono piano, ma potrebbero trasformarsi in un fiume in piena, soprattutto se le politiche di Trump dovessero colpire duro le fasce più fragili o le comunità etniche. E sì, il Congresso è repubblicano, quindi potrebbe far passare un sacco di leggi. Ma attenzione: governatori democratici, attivisti e cittadini arrabbiati potrebbero trasformare questa legislatura in un campo di battaglia politico come non si è mai visto.

E fuori dagli USA? Altro che calma piatta. Trump, con il suo stile diretto, potrebbe ribaltare tutto: accordi commerciali saltati, alleanze globali traballanti, e un bel “me ne frego” sugli impegni climatici e sull’OMS. L’America prima di tutto, dicono. Ma a che prezzo? La stabilità di regioni già fragili potrebbe andare a farsi benedire e la politica estera americana diventare una partita giocata da solista, senza più preoccuparsi di essere il “leader del mondo libero”.

Ora che la cerimonia è conclusa e Donald Trump si è ufficialmente insediato, le prossime settimane saranno cruciali per comprendere se i toni utilizzati in campagna elettorale si tradurranno immediatamente in azioni concrete o se, come spesso accaduto nella storia americana, si assisterà a un leggero ammorbidimento dovuto ai meccanismi istituzionali di checks and balances.

Un giorno che cambia tutto

Il 20 gennaio 2025, dunque, sarà ricordato come una giornata che ha detto tutto e il contrario di tutto. Un freddo che gelava il respiro, una cerimonia spostata in extremis, un discorso che ha tirato fuori vecchie promesse con una voce che molti avevano quasi dimenticato. E poi quegli ordini esecutivi: una scure calata su anni di politiche opposte, una rottura netta che non lascia spazio a compromessi.

Alla Casa Bianca? Si respira aria di déjà vu. Facce conosciute, uomini d’affari che ritornano in scena, vecchi fedelissimi pronti a ricominciare da dove si erano fermati. Fuori, però, il clima è tutt’altro che disteso: c’è chi esulta, vedendo in Trump un salvatore, un baluardo di libertà e chi teme il peggio – passi indietro su diritti, ambiente, conquiste sociali. E il mondo? Il mondo guarda, incerto, sospettoso, chiedendosi quale ruolo vogliano giocare ora gli Stati Uniti.

Le prossime settimane saranno una prova del fuoco. Ogni scelta, ogni mossa, ogni silenzio saranno analizzati al microscopio. Grandezza promessa o disgregazione temuta: tutto è in gioco, tutto è incerto. Ma una cosa è sicura: con Trump non ci sono mezze misure. O lo ami, o lo detesti. E questa è, nel bene o nel male, la forza di una democrazia viva, caotica, appassionata.

Noi continueremo a raccontarvi tutto. Gli sviluppi, le sfide, i passi avanti o i passi falsi. Perché in momenti così, il nostro compito non è guardare altrove, ma osservare, capire, raccontare. La storia si sta scrivendo ora e spetta a noi leggerla con attenzione, col cuore e con la mente.

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