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‘Busiate’, il foto-racconto del giornalista Giovanni Franco

Una immagine del libro di Franco

Nell'immaginario collettivo se si fa riferimento a Matteo Messina Denaro si pensa quasi automaticamente al territorio trapanese dove il boss mafioso ha vissuto da latitante facendo affari e imponendo il suo potere illegale. Quei luoghi, raccontati adesso, in un viaggio attraverso le immagini e le parole, sono invece, ricchi di storia, di monumenti, di siti archeologici: posti che rimandano alla memoria anche a fatti legati al contrasto alla criminalità organizzata. E alla cultura con, ad esempio, Gibellina, proclamata Capitale italiana dell'arte contemporanea 2026. È ciò che intende documentare un fotoracconto realizzato seguendo i sentieri e le strade di quel territorio con le immagini scattate dal giornalista Giovanni Franco e arricchito dai testi di, in ordine alfabetico, Fabrizio Carrera, Nicola Cristaldi, Mariza D'Anna, Giovanni Isgrò, Gianfranco Marrone e Vito Orlando, saggisti e scrittori che conoscono bene quelle realtà. Con un disegno di Franco Donarelli. È questo in sintesi "Busiate", un volume edito dalla casa editrice Libridine diretta da Francesco Sferlazzo. (220 pagine, 170 foto 20 euro).

Il titolo del volume si riferisce ad un tipo di pasta tipico di questa parte della Sicilia occidentale. Scrive Giovanni Franco nella prefazione: "Percorrere una strada in penombra e improvvisamente, come se avessero acceso dall'alto mille fari, ritrovarsi immersi nella luce. Ecco la sensazione che provo quando, con la macchina fotografica, arrivo nel Trapanese". Sostiene Carrera: "Il trapanese è una delle province dal territorio sufficientemente vasto per offrire tanti microclimi e paesaggi diversi ma anche tramonti suggestivi.Tutta la provincia ormai è sempre più una destinazione turistica. Grazie anche al suo appeal gastronomico".

E chiarisce Marrone: "Cassatelle a Castellammare, genovesi a Erice, cannoli a Dattilo. Ecco il triangolo dolciario del trapanese. Che ho sentito pronunciare la prima volta, tempo fa, quando mi capitava più spesso, per i casi della vita, di frequentare quella provincia a tutto tondo". Fulcro della provincia è Trapani che D'anna descrive così: "Cosa c'è di più bello di una città sul mare, adagiata su una striscia di terra curvilinea dove l'Europa finisce, dove la strada ferrata si fa piccola e silenziosa e dove non si è mai di passaggio. Trapani è accomodata nel cuore di un Mediterraneo, avamposto proteso verso il Nord Africa, terra di mezzo tra due continenti, conquistata, dominata, complessa, assuefatta ma geograficamente fortunatissima". Luoghi che hanno visto anche la nascita di tanti periodici. Scrive Orlando: "La stampa trapanese ha una storia antica, segno di una vivacità culturale diluitasi solo negli ultimi sessant'anni. Il primo foglio di cui si ha memoria risale addirittura al 1818, con "Il giornale dell'intendenza di Trapani", mensile che fu pubblicato fino alla fine dell'epoca borbonica nel 1860". Questo lembo di Sicilia è anche ricco di tradizioni tra fede e storia. Come il festino molto sentito di San Vito a Mazara del Vallo la cui direzione artistica è di Isgro. "Dall'inizio della mia esperienza capii subito che - afferma - Bisognava alzare il livello culturale dell'evento, scavando nella memoria sei-settecentesca che lo aveva generato". Quei territori fanno nascere nei visitatori il desiderio di immergersi con l'immaginazione in un mondo di misteri e di leggende. Ed è questo lo spunto per un racconto ambientato a Calatafimi Segesta scritto da Cristaldi che conosce bene quel posto essendone stato sindaco per dieci anni. "Arrivò un dio dalle penne bianche come la neve, con un potere straordinario: poteva trasformarsi in uccello a suo piacimento. Quando voleva esplorare le terre alte e osservare il mondo dall'alto, si trasformava in un'aquila imponente".

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Attualità

Notre-Dame: Il simbolo che torna a splendere

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Ci sono momenti che restano scolpiti nella memoria e quella sera di aprile del 2019, beh, è sicuramente è uno di quelli. Notre-Dame in fiamme. Chiunque abbia visto quelle immagini – e chi non le ha viste? – non può averle dimenticate. Parigi sembrava fermarsi, il mondo intero tratteneva il fiato. La guglia che crollava, il tetto ridotto a cenere, tutto sembrava irreale. Come se un pezzo dell’anima del mondo si stesse sgretolando sotto i nostri occhi. Era storia che bruciava. Arte, fede, bellezza che diventavano fumo nel cielo della sera. Ma oggi, sei anni dopo, non possiamo fare a meno di guardare a quel momento con occhi diversi. Perché, contro ogni previsione, Notre-Dame è tornata. Non solo intatta: viva. Più viva che mai.

Quel giorno che cambiò tutto

Era il 15 aprile 2019. Alle 18:20, un incendio si sviluppò nel sottotetto della cattedrale, la parte conosciuta come “la foresta” per via delle travi in legno secolare. In poche ore, 1.300 metri quadrati di storia vennero distrutti. La guglia, aggiunta nel XIX secolo, collassò sotto lo sguardo attonito del mondo. Le immagini fecero il giro del pianeta, portando con sé un carico di sgomento e tristezza.

Le cause? Beh, si è parlato di un corto circuito. Forse è andata davvero così. Ma – e non è facile ammetterlo – si sapeva già che la cattedrale aveva bisogno di cure, di mani esperte che la custodissero meglio. Era lì, fragile e bellissima, e per anni nessuno aveva fatto abbastanza. E poi, in quel caos di fiamme e disperazione, c’è stato un miracolo. Alcune reliquie sacre, come la corona di spine, sono state salvate. Salvate davvero. Ed è strano dirlo ma in mezzo a tutto quel disastro, avere qualcosa che si è potuto stringere al petto è stato un piccolo conforto. Un briciolo di luce in una giornata che sembrava buia come la notte.

La promessa: ricostruire in cinque anni

Pochi giorni dopo il disastro, Macron si fece avanti. Con quella sua aria decisa, quasi sfidando l’impossibile, promise: “Ricostruiremo Notre-Dame in cinque anni.” Cinque. Anni. Chiunque ascoltò quelle parole pensò: è pazzo, è solo politica. E invece qualcosa si accese. Era come se quella promessa avesse dato il via a un’energia collettiva incredibile. Donazioni? Arrivarono da ogni angolo del pianeta. 840 milioni di euro raccolti in un batter d’occhio. Un fiume di speranza e di solidarietà che travolse ogni cinismo.

Poi iniziarono i lavori. E qui la parola “eroico” non è sprecata. Stabilizzare quelle mura, quelle pietre antiche, non fu semplice. Operai e ingegneri si arrampicavano, sospesi nel vuoto, lavorando senza sosta, anche sotto il peso di un mondo che guardava. Ogni giorno era una lotta contro il tempo, una corsa tra tecnologia futuristica e maestria artigianale. Scanner 3D e modellazione virtuale per i dettagli, e poi mani esperte di falegnami, scalpellini, vetrai. Mille persone, mille storie, mille mani che ricostruivano un sogno.

La guglia? Tornata identica, orgogliosa, come l’aveva immaginata Viollet-le-Duc. Il tetto? Una magia che unisce vecchio e nuovo. Tradizione e innovazione che si incontrano e si abbracciano. Era chiaro: non si trattava solo di mettere insieme pietre e legno. Si trattava di ricreare un cuore, di farlo battere di nuovo. E ci sono riusciti.

Una cerimonia per il mondo intero

Il 7 dicembre 2024, un giorno che è destinato a rimanere nella memoria. Quel suono, le campane di Notre-Dame, che tornavano a riempire l’aria dopo anni di silenzio. Era come un respiro trattenuto troppo a lungo, finalmente liberato. La gente, accalcata fuori, sembrava trattenere il fiato mentre l’arcivescovo di Parigi, Laurent Ulrich, con un pastorale di legno di quercia in mano, bussava alla porta. Tre colpi, secchi, profondi. E poi, quella porta che si apriva. Era un momento che sembrava gridare al mondo intero che Notre-Dame era viva.

Dentro, un’atmosfera che ti toglieva le parole. Canti gregoriani che si alzavano verso le volte, riempiendo ogni angolo con un suono antico, quasi sacro. Non era una celebrazione pomposa, no, era qualcosa di diverso. Era come se quelle note volessero abbracciare chiunque fosse lì, ricordare a tutti che c’è qualcosa di più grande, qualcosa che unisce. Tra gli ospiti, leader da ogni parte del mondo – Macron, Zelensky, tanti altri. E per un attimo, anche in un mondo che sembra sempre sull’orlo di spezzarsi, c’era un senso di unità. Speranza. Perché è questo che Notre-Dame riesce a fare: ricordarci che è possibile ricominciare.

Un futuro per tutti

Prima dell’incendio, erano milioni. Dodici, per essere precisi, quelli che ogni anno varcavano quelle porte, che camminavano sotto le sue volte altissime, che si perdevano tra la luce filtrata dai rosoni. Adesso? Le previsioni dicono quindici milioni. Quindici milioni di cuori pronti a lasciarsi incantare. Ma come fai a gestire un flusso così enorme? Hanno dovuto ripensare tutto. Prenotazioni online, controlli biometrici – sì, hai capito bene, impronte digitali e tutto il resto – perché oggi il mondo è così, tra bellezza e tecnologia. Si stanno preparando. Perché Notre-Dame non può permettersi di chiudere le porte a nessuno.

Cosa offre oggi Notre-Dame? Percorsi guidati in 12 lingue, esperienze di realtà aumentata per rivivere la cattedrale com’era prima del disastro e spazi finalmente accessibili a tutti, grazie ad ascensori e rampe.

Il significato di questa rinascita

Notre-Dame ha sempre rappresentato qualcosa di più grande: è un simbolo che resiste, che lotta. Con i suoi 850 anni di storia, ha visto tutto: guerre, rivoluzioni, e ora persino un incendio che sembrava averla distrutta. Ma è ancora qui. Nonostante tutto, con le sue pietre che raccontano storie e il suo spirito che batte ancora più forte.

Macron, quel giorno, lo ha detto chiaramente: “Notre-Dame è il cuore della nostra nazione“. E sai una cosa? Non si sbaglia. Perché guardarla oggi, dopo tutto quello che ha passato, è una lezione. È la prova che anche quando sembra finita, quando sembra che non ci sia più nulla da fare, si può ricominciare. Non si tratta di tornare a com’era ma di essere qualcosa di nuovo, di più grande. Notre-Dame è rinata. E con lei, c’è una nuova scintilla di speranza per tutti noi.

Ci sono momenti in cui sembra che tutto sia perduto ma è proprio allora che si scopre la forza di ricostruire. Perché dalle ceneri nascono le storie più straordinarie.” (Junior Cristarella)

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Cultura

“L’intelligenza artificiale al servizio...

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Il contributo dell'Head of Global Services di Enel nella 34esima edizione del volume

Stefano Ciurli - Enel

"Umano, mai troppo umano: dalla governance alla formazione, l’intelligenza artificiale al servizio dell’energia". Questo l'intervento nel Libro dei Fatti 2024 di Stefano Ciurli, Head of Global Services di Enel, autore del contributo presente nel volume giunto quest'anno alla 34esima edizione.

L'intervento di Stefano Ciurli

"C’è un filo rosso che unisce il percorso di transizione energetica, la competitività sui mercati globali e l’offerta di servizi sempre più efficienti e su misura: è la capacità di innovarsi, e di porsi sulla frontiera della tecnologia rimanendo al contempo coerenti con la propria visione strategica. Vale per ogni azienda, specialmente se multinazionale, ma è tanto più vero per chi si occupa di un bene essenziale qual è l’energia.

Oggi Enel è presente in 28 Paesi e 5 continenti, e guida la transizione energetica dell’Italia – forte di oltre il 75% di produzione elettrica nel Paese da sole rinnovabili – anche perché dell’innovazione ha saputo fare la leva decisiva della trasformazione digitale del Gruppo. In un contesto in cui le evoluzioni tecnologiche si fanno sempre più repentine, il fenomeno dirompente dell’intelligenza artificiale si è trasformato in breve tempo da curiosa proiezione immaginifica a tema di stringente attualità, e con il boom di Chat GPT del novembre 2022 è assurto definitivamente a vero e proprio elemento consumer, sempre più presente nella vita quotidiana delle persone come delle aziende.

L’elefante nella stanza? Non per chi negli anni ha costruito un solido posizionamento digitale: Enel è un’azienda totalmente in cloud, e già oggi può contare su circa tremila persone attive nell’ICT. È la ragione per cui, proprio perché attecchivano su un terreno già fertile, abbiamo colto le opportunità innovative dell’intelligenza artificiale sfruttandone le straordinarie potenzialità lungo tutta la nostra catena del valore, dalla generazione alla distribuzione, dal mercato ai servizi: questo si traduce in modelli predittivi per gestire sempre meglio gli impianti, in algoritmi avanzati per individuare e risolvere subito le anomalie, ma anche in strumenti di salvaguardia della sicurezza sul lavoro e in agili piattaforme energetiche per i clienti. Non basta, però, perché oltre gli algoritmi, le questioni geopolitiche e la sicurezza, la partita decisiva nell’intelligenza artificiale si gioca sul campo della governance.

Un dato di fatto ormai assodato anche a livello europeo, come dimostra l’adozione dell’AI Act, il regolamento – in vigore da agosto – che, oltre a presentare proposte di stimolo all’innovazione e allo sviluppo, stabilisce obblighi inerenti all’intelligenza artificiale sulla base di possibili rischi e del livello d’impatto. Proprio per recepire con prontezza un quadro normativo in continuo divenire – europeo con l’AI Act, ma anche nazionale nell’ambito della Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-2026 –, Enel ha creato, prima tra le utilities, un Comitato per la governance dell’intelligenza artificiale tradizionale e generativa, con l’obiettivo di studiare e adottare un modello, inserito nelle varie unità di business ma unitario nel governo, che fornisca soluzioni a tutto il Gruppo.

Uno strumento per governare la complessità, ma anche per fare dell’intelligenza artificiale la leva ideale per far evolvere le competenze interne e rigenerare i talenti individuali, nella consapevolezza che è sempre l’uomo a dover essere alla guida di ogni processo".

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Cultura

Prima della Scala, Meyer: “Buuu a Netrebko perché...

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Il 'caso' dopo La forza del destino. Il sovrintendente: "Non c'è una Netrebko in ogni generazione e se abbiamo la fortuna di averla qua bisogna applaudirla"

Anna Netrebko

"Fare buuu ad Anna Netrebko perché russa è ridicolo". A dirlo, dopo la Prima della Scala 2024, è il sovrintendente del Teatro alla Scala, Dominique Meyer, nel backstage dell'opera 'La forza del destino' di Giuseppe Verdi che ha inaugurato la stagione scaligera. Il pubblico ha tributato un applauso di 12 minuti al termine dell'opera. Non è mancano qualche buuu, associato al soprano russo. "Non apprezzo che lo spettacolo sia preso in ostaggio così - ha sottolineato - non c'è una Netrebko in ogni generazione e se abbiamo la fortuna di averla qua in teatro bisogna essere calorosi e applaudirla"

Meyer subito dopo lo show ha incontrato Netrebko. "Lei è molto forte e non si lascia toccare da questo - ha ammesso -. Non ci si può nascondere sempre dietro a un dito… lo trovo molto ingiusto. Lei è una cantante di qualità, ci dà tanta soddisfazione alla Scala e siamo consapevoli di quello che abbiamo".

Se un'opera come 'La forza del destino' non è in cartellone al Piermarini da così tanto tempo e neanche alla Prima "ci sono dei motivi - ha ricordato Meyer - è perché non ci sono sempre cantanti adeguati. Noi non inventiamo i cantanti e quando abbiamo la fortuna di avere generazioni come questa" non bisogna lamentarsi.

Anche l'artista viene interpellata sul caso e la risposta di Netrebko è perentoria: "Non ci sono stati buh dopo la mie arie".

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