Incendio devastante a Roma Est: Paura e famiglie evacuate nella notte
Una notte infernale a Roma Est, ancora una volta. Ancora un capannone abbandonato, ancora quelle maledette fiamme che spaccano il buio e riempiono l’aria di paura, di incertezza, di domande senza risposta. Questa volta è toccato alla Rustica, un quartiere che già conosce troppo bene il significato di degrado e abbandono. Era la notte tra il 24 e il 25 novembre, quando quel capannone industriale dismesso – 6.000 metri quadrati di niente e di troppo – ha preso fuoco. Le fiamme erano alte, altissime, si vedevano da chilometri di distanza, un bagliore che urlava “pericolo” a chiunque lo guardasse. Dentro c’era di tutto: plastica, pneumatici, vernici. Cose che, quando prendono fuoco, si trasformano in un inferno vero. E così è stato. Un inferno.
I vigili del fuoco sono arrivati subito, senza perdere un attimo, con otto squadre e sei autobotti, pronti a combattere contro quelle fiamme infernali. Hanno lottato per ore, tutta la notte, senza sosta, cercando di domare quel mostro impazzito. Non è stato facile, per niente. L’area era enorme, e quei materiali – così maledettamente infiammabili – sembravano non voler smettere di alimentare le fiamme, come se avessero una volontà propria. Dal rogo si è alzata una colonna di fumo nero, denso, pesante, che ha invaso ogni angolo dell’aria, preoccupando tutti. Sul posto sono arrivati anche i tecnici dell’ARPA Lazio, per monitorare la qualità dell’aria. Perché, diciamocelo, quell’incendio ha liberato sostanze nell’atmosfera che certo non fanno bene e questo lo sappiamo tutti.
Ma c’è di più. Quel capannone, anche se dismesso, non era affatto vuoto. Dentro c’erano decine di famiglie. Persone che cercavano un rifugio, un riparo, un posto dove stare. E invece, all’improvviso, si sono ritrovate a dover lasciare tutto, a scappare via, con il cuore in gola, nella fretta più totale. Immaginate la paura. Non solo per loro ma anche per chi viveva lì vicino, attorno a quel capannone. La paura è stata reale, intensa. Sui social sono apparsi messaggi, tanti messaggi di residenti. C’era chi lamentava l’odore acre del fumo, chi non riusciva a dormire, chi aveva paura per la propria salute. Fortunatamente, al momento non ci sono vittime. Ma quella tensione, quel senso di inquietudine, lo si sente ancora, pesante, nell’aria.
Le cause? Ancora non si sa con certezza cosa abbia scatenato tutto questo caos. Forse un fuoco acceso all’interno del capannone, magari solo per scaldarsi un po’ in una notte gelida. Gli inquirenti sono all’opera, esaminano ogni dettaglio, cercano indizi, cercano di capire se ci siano responsabilità, se qualcuno abbia colpa. E noi? Noi restiamo qui, ad aspettare risposte.
E qui torniamo a un problema che, purtroppo, non è affatto nuovo. Solo qualche mese fa, il 26 giugno, un altro capannone industriale abbandonato era finito in fiamme a San Basilio. Ancora una volta, un edificio dimenticato, pieno di materiali infiammabili, lasciati lì senza controllo, senza nessuno che se ne occupasse. Ancora una volta, fiamme altissime, paura, disperazione. Ma cosa stiamo facendo davvero per evitare che succeda ancora? Le autorità hanno avviato indagini, hanno fatto sopralluoghi ma serve di più, molto di più. Serve un piano serio per questi luoghi abbandonati, serve impedire che diventino bombe pronte a esplodere, rifugi precari che possono trasformarsi in trappole mortali.
Intanto, le raccomandazioni per i residenti sono chiare: fare attenzione alla qualità dell’aria, seguire le indicazioni ufficiali. Ma, diciamocelo, quanto ancora dovremo convivere con questi rischi? Quanto ancora dovremo aspettare prima che qualcosa cambi davvero?
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