Umbria, Laureti (Pd): “Cinque anni per rendere regione ‘cuore verde’ d’Europa”
'Ci sono molte opportunità offerte dall'Europa, bisogna saperle cogliere. Ma credo che questo sia difficile dato che l'attuale presidente regionale è in un partito che non crede nell'Ue'
"Abbiamo uno slogan nella nostra regione che è 'Umbria, cuore verde d'Italia'. Mi piacerebbe poter lavorare nei prossimi anni con Stefania Proietti per unire l'Europa e l'Umbria e far sì che l'Umbria possa diventare cuore verde d'Europa. Per far questo però bisogna crederci nell'Europa, mentre parte dei partiti che sostengono Donatella Tesei non hanno questa idea dell'Europa, delle sfide che dobbiamo affrontare e vincere tutti insieme, altrimenti perderemo tutti". Così Camilla Laureti, eurodeputata del Pd e responsabile dem per le Politiche agricole e alimentari, intervistata da Adnkronos nell'ambito dello speciale 'Regioni al voto', dedicato al prossimo appuntamento elettorale in Umbria ed Emilia Romagna.
"Ci sono molte opportunità offerte dall'Europa ma bisogna saperle cogliere, avere una visione, una strategia sia sulle emergenze sia sul medio e lungo termine. Ma credo che questo sia difficile dato che l'attuale presidente della regione Umbria, Donatella Tesei, è in un partito che non crede nell'Europa, che parla di più Italia e meno Europa", ha osservato Laureti. "Stiamo discutendo proprio in queste settimane la nuova programmazione della Politica agricola comune (Pac). Il problema delle aziende agricole - e lo abbiamo visto nelle proteste degli scorsi mesi - riguarda il reddito degli agricoltori. Quindi io credo che la politica agricola comune possa aiutare le aziende se arriva veramente a tutti gli agricoltori della nostra regione. Però, dato che molto spesso non è così, io sono al lavoro al Parlamento europeo per far sì che questo, nei prossimi anni, avvenga", ha aggiunto.
"La nostra regione ha una grande opportunità che però deve essere colta: quando parliamo delle aree interne, parliamo di aree deboli soggette a spopolamento e invece noi dobbiamo investire - ha proseguito Laureti -. Lo abbiamo letto anche nel rapporto di Letta, l'importanza della 'restanza': soprattutto i giovani devono poter scegliere se restare o se partire. Purtroppo, nella nostra regione, negli ultimi cinque anni 15mila giovani hanno lasciato l'Umbria. E allora come aiutiamo le aree interne? Le aiutiamo con un altro dei programmi europei che è la politica di coesione che vale un terzo del bilancio europeo, sono oltre 300 miliardi di euro. Tra l'altro sono al lavoro su questo perché sono nel coordinamento del patto rurale che è un pezzo della visione strategica delle aree interne. Anche qui, però, il punto nodale è che quei fondi devono arrivare in ogni area dell'Umbria e noi, con la regione, dobbiamo lavorare per questo in futuro".
E, per i prossimi cinque anni, la priorità è la sanità, secondo Laureti: "Tesei in questi cinque anni di governo regionale ha smantellato il servizio sanitario pubblico. La nostra era una delle regioni benchmark per la sanità mentre oggi i dati della fondazione Gimbe ci dicono che l'Umbria è tra le peggiori regioni su migrazione sanitaria e quint'ultima su persone che rinunciano alle cure. Il 9,2% degli umbri ha rinunciato a curarsi, la media nazionale è il 7%. Perché dico questo? Dico questo perché per far andare i cittadini verso la sanità privata basta smantellare quella pubblica, invece per fortuna nel nostro Paese il servizio sanitario nazionale è un diritto universale sancito anche dalla nostra Costituzione. Penso, quindi, che votare per Stefania Proietti presidente significhi votare una sanità pubblica che sia un diritto per tutte e per tutti", ha concluso.
Politica
Francia, Follini: “Il populismo assedia i palazzi...
Il punto di vista di Marco Follini per Adnkronos
"S’è detto che la crisi francese 'italianizza' la politica d’Oltralpe, generando instabilità e disfacendo quella robusta tela istituzionale con cui a suo tempo il generale De Gaulle aveva cercato di mettere in sicurezza le istituzioni della Quarta Repubblica.
Quattro governi in un anno, alleanze che vanno e vengono, combinazioni fin troppe fantasiose e la più assoluta incertezza sulle prospettive possono dare l’idea che i nostri cugini abbiano importato alcuni dei più tipici difetti che vengono ascritti al nostro 'esprit florentine', come a suo tempo lo chiamava Mitterrand. Ma forse invece, andrebbe detto il contrario.
E cioè che a loro manca proprio quella capacità di districarsi in mezzo alle difficoltà politiche che il più delle volte è servito a metterci al riparo da alcune delle nostre stesse tentazioni. Un antico luogo comune descriveva un tempo la politica italiana come un tentativo di imitazione di quella francese. Tentativo quasi mai riuscito, ma spesso riproposto al modo di una tentazione, se non addirittura di un complesso.
Così, quando sul finire degli anni cinquanta si affermava il gaullismo, anche da noi sembrò prodursi una piccola svolta a destra. E quando quasi vent’anni dopo si fece largo la gauche mitterandiana, anche il nostro asse politico accennò a spostarsi in quella direzione. Quasi che da parte nostra ci fosse una sorta di involontaria rincorsa delle tendenze in atto da quelle parti. Così oggi molto critici e commentatori sembrano quasi divertirsi a capovolgere le cose.
Raccontando il marasma di queste ore come una sorta di 'italianizzazione' della politica francese. Una deriva verso l’ingovernabilità che smentisce la tradizionale solidità della Quinta Repubblica e sembra precipitare i suoi eredi verso quei difetti che vengono tipicamente ascritti al nostro paese. S’intende che sarebbe meschino, e anche un po’ puerile, dare troppo retta a questa lettura delle cose. Tanto più che alcune delle cose che sono successe in questi giorni lungo la Senna erano già capitate anche nei paraggi del Tevere -pur con le differenze del caso.
E del resto la manovra parlamentare che ha appena disarcionato il governo Barnier mettendo insieme la destra estrema e la sinistra estrema, Le Pen e Melanchon, i rossi e i neri rivela qualche somiglianza con il governo Conte 1, l’improbabile coalizione tra grillini e leghisti. Espressioni, l’una e l’altra, di una sorta di consociativismo tra le estreme che viene favorito dal ribollire di malumori che attraversano la nostra società (e la nostra politica) al tempo del populismo. Di fronte a questo assedio che cinge ormai da anni i più blasonati palazzi della politica d’antan non sembra ci sia molto da fare. Poiché a dar loro torto e a prenderli di punta a quanto pare si amplia lo spazio delle loro suggestioni. Mentre a dar loro troppa ragione si finisce con l’edificare un involontario monumento alla loro lettura delle cose.
Una vera e propria alternativa del diavolo a cui nessuno, fin qui, ha saputo offrire una via d’uscita. Viene da dire, insomma, che tutto il mondo è paese e che in questi tempi di globalizzazione ogni cosa diventa globale -anche il da farsi delle grandi democrazie di una volta di fronte all’insorgenza di una protesta così inedita. Circostanza che ci costringe a questo punto a ripensare tutto di noi e delle nostre istituzioni. E che ci pone ora a confronto con uno di quei dilemmi che abbiamo sempre affrontato in ordine sparso. Dilemma che verte, per l’appunto, sulla rigidità e/o flessibilità dei nostri sistemi.
La Francia gaullista scelse a suo tempo di privilegiare la stabilità dopo la brutta esperienza della quarta repubblica. Così, il 'regnare' e il governare da quelle parti vennero largamente a coincidere, facendo fare all’inquilino dell’Eliseo un doppio lavoro. Ma infine è proprio quella doppiezza che rende oggi così difficile il compito di Macron. Rendendo anche così diversa, viene da dire, la loro situazione e la nostra. S’intende che ogni riferimento al dibattito sulle riforme istituzionali di casa nostra diventa a questo punto pressoché inevitabile. E’ la consociazione degli estremi. La fine del meno peggio". (di Marco Follini)
Politica
M5S, Di Battista: “Grillo padre e padrone non solo...
"Escludo di fare un partito con lui"
Una volta "non era un padre e padrone, oggi lo è diventato". E' quanto ha detto Alessandro Di Battista, ospite di 'Accordi e disaccordi' sul Nove. "Non ricordo coloro che oggi accusano Grillo di essere un 'padre e padrone', e per certi versi a ragione, dire una parola quanto tutti vollero impedire la pubblicazione del numero di voti agli Stati generali del Movimento 5 stelle perché io avevo stravinto prendendo il triplo dei voti di Luigi Di Maio".
"Io detesto l'ipocrisia: andava bene quando doveva intervenire e posticipava su richiesta di molti il voto sul governo Draghi perché io avrei convinto molto cittadini a votare contro. Anche Virginia Raggi, che è una mia amica, fece l'endorsement", aggiunge. "Certe cose che stanno succedendo adesso nel Movimento 5 stelle, come la perdita di consensi, le disse qualcuno quattro anni fa. Io cammino a testa alta avendo ragione su tutto, loro non lo possono fare", aggiunge Di Battista.
"Non mi ha chiesto di fare un partito"
"Contattato da Grillo per partito? No, non ci sentiamo per telefono da quando litigammo a causa del governo Draghi" spiega Di Battista. "Secondo me Grillo non fa un nuovo movimento" aggiunge. "Qualora io dovessi ritornare a fare battaglie politiche al di fuori delle istituzioni, e ora non ho deciso e non ci sto pensando, lo farei con qualcuno di nuovo. Quello che stiamo facendo con 'Schierarsi' è molto utile - aggiunge -. Escludo di fare un partito con lui, io non sono contattato da nessuno".
"Rivoterei il M5S? Con il Pd no"
"Il Movimento 5 Stelle, con il Partito Democratico, ho difficoltà a votarlo" dice Di Battista. "Se andasse da solo? Dipende dal programma, dalla campagna elettorale. Non si vota domani", aggiunge. "E' comunque lo stesso movimento che al governo il primo pacchetto di armi all'Ucraina l'ha votato, oggi combatte giustamente alcune oscene battaglie, insomma non dimentico", conclude Di Battista.
"Cose migliori fatte da M5S al governo con Lega, nonostante il Carroccio"
"Le cose migliori che ha fatto il Movimento 5 stelle le ha fatte al governo con la Lega, non grazie ma nonostante la Lega, perché aveva una grande forza prorompente dovuta al 33% e al numero maggiore dei ministri" sostiene. "Io non ero contro neanche il governo con il Pd perché comunque il M5s aveva la maggioranza dei ministri. Con Draghi era minoranza", aggiunge.
"Se il Movimento 5 stelle avesse mantenuto la barra dritta, che ha mantenuto nei primi due governi di alleanza, negli ultimi due anni avrebbe avuto più consenso. La Caporetto è stata il governo Draghi", conclude Di Battista.
Politica
Cicchitto: “Socialista dopo invasione Ungheria 1956,...
"Sentendomi sotto attacco, reagii affiliandomi a quel club. Se sono ancora vivo oggi, è solo grazie alla mia viltà" dice in un'intervista al 'Corriere della Sera'
"Influenzato dai settimanali che leggevo, ero diventato totalmente anti-democristiano. Leggevo il Mondo, l’Espresso, il Borghese di Longanesi e il Candido di Guareschi: grazie ai primi due, criticavo la Dc da sinistra; con i secondi, la attaccavo da destra. Socialista lo sono diventato nel 1956, passando dal primo Partito radicale di Carandini, dopo i fatti di Ungheria: alle manifestazioni contro l’Unione sovietica, i fascisti ci accompagnavano fino quasi a sotto Botteghe Oscure ma poi, arrivati in prossimità della sede del Partito comunista italiano, scappavano via lasciando a noi ragazzini l’onere di prendere le botte". Lo dice Fabrizio Cicchitto in un'intervista al 'Corriere della Sera'.
"Quando vennero fuori gli elenchi" della P2, racconta, "Cossiga, che mi era amico, mi disse: 'Se volevi fare affari, affiliarsi al gruppo di Gelli era la scelta giusta; se non volevi fare soldi, allora sei stato un coglione'. Gli dissi la verità. Che ero stato un coglione. Proprio in quel periodo, iniziai a sentirmi spiato. Mi avevano detto che era una sorta di club di persone autorevoli, con legami coi grandi giornali. Sentendomi sotto attacco, reagii affiliandomi a quel club. Se sono ancora vivo oggi, è solo grazie alla mia viltà. Nel senso che spararmi un colpo in testa, per un certo periodo, m’era parsa l’unica soluzione. Non l’ho fatto per viltà. Quindi la viltà mi ha salvato la vita".
Quanto all'impegno politico più recente, "conobbi Berlusconi - afferma ancora Cicchitto, che di Fi fu capogruppo alla Camera - alle riunioni preparatorie dell’Udr, il partito di centro che Cossiga stava mettendo in piedi nel 1998. A un certo punto, Francesco mi disse che l’obiettivo era portare a Palazzo Chigi Massimo D’Alema; perché, cito lui, soltanto un ex comunista poteva portare il governo italiano a intervenire militarmente in Kosovo. A quel punto, i socialisti che partecipavano a quelle riunioni si avvicinarono a Berlusconi. Parlo di me, Gianni De Michelis, Margherita Boniver, Renato Brunetta, Maurizio Sacconi". Cicchitto conclude con un riferimento all'attualità: Giorgia Meloni "è di gran lunga la migliore del suo schieramento. Che però ha al suo interno tendenze filo Putin e anche filo Trump, che non fanno per me. Comunque, l’ora della verità sarà il suo atteggiamento sull’Ucraina".