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Umbria, Agabiti (Coldiretti): “Promuovere accesso a mercato per reddito imprese agricole”

Il presidente Coldiretti Umbria intervistato da Adnkronos nell'ambito dello speciale 'Regioni al voto'

Umbria, Agabiti (Coldiretti):

"Per sostenere al meglio lo straordinario settore dell'agricoltura e dell'agroalimentare dell'Umbria è necessario promuovere al massimo le nostre produzioni, arrivare sul mercato e portare a casa reddito per le imprese agricole". Così Albano Agabiti, presidente Coldiretti Umbria, intervistato da Adnkronos nell'ambito dello speciale 'Regioni al voto', dedicato al prossimo appuntamento elettorale in Umbria ed Emilia-Romagna. "Il valore aggiunto della produzione viene dal mercato: non ci sono altre scelte e tutte le politiche pubbliche devono essere indirizzate a sostenere le imprese per potersi innovare, digitalizzarsi e quindi essere in grado di arrivare al mercato e accorciare la filiera", ha spiegato. Essenziale, però, alleggerire le imprese dagli oneri burocratici che oggi le affliggono: "La burocrazia è l'ostacolo peggiore che oggi un'azienda agricola deve affrontare. Occorre semplificare al massimo, anche con una sussidiarietà tra organizzazioni professionali, penso a quello che può svolgere Coldiretti rispetto al pubblico, proprio per dare respiro all'imprenditore. In Umbria abbiamo fatto, negli ultimi tempi, dei passi da gigante da questo punto di vista perché siamo riusciti a portare a casa una serie di norme sulla semplificazione molto importanti che vanno a semplificare otto aspetti strategici del rapporto tra agricoltore e pubblica amministrazione", ha osservato Agabiti.

Altro elemento cruciale per l'agricoltura è l'organizzazione di filiere che consentono alle aziende di programmare le proprie attività e i propri investimenti. "La prima questione per un imprenditore non è solo avere successo, avere redditività, ma poter programmare gli investimenti e avere continuità nelle azioni che si vanno a mettere in campo. Ed è per questo che da anni come Coldiretti ci stiamo spendendo sui contratti di filiera e sul dare tutti i sostegni possibili alle filiere. Ad esempio, la filiera del tabacco è stata una filiera apripista che ha dato risposte vere agli agricoltori. E' stata la prima filiera che oggi, da un settore che doveva scomparire circa 12 anni fa, sta diventando un comparto in crescita costante nel nostro territorio. Questo per dimostrare quanto sia utile per le aziende la programmazione e la politica di filiera", ha aggiunto.

E per il futuro governo regionale, la sfida è - secondo Agabiti - accreditare sempre più la regione e i suoi prodotti sul mercato. "La priorità è fare promozione dell'Umbria. La regione, negli ultimi anni, ha acquisito un valore piuttosto importante sul mercato e questo si sta vedendo sia sulle produzioni che hanno un valore maggiore sia nell'aumento del flusso turistico in entrata che abbiamo avuto in Umbria nel periodo post Covid. Occorre, quindi, implementare tutte le misure necessarie per andare a valorizzare questi asset strategici, ricettività e qualità dei nostri prodotti, attraverso progetti di filiera", ha concluso il presidente di Coldiretti Umbria.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Politica

Francia, Follini: “Il populismo assedia i palazzi...

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Il punto di vista di Marco Follini per Adnkronos

Marco Follini - Fotogramma /Ipa

"S’è detto che la crisi francese 'italianizza' la politica d’Oltralpe, generando instabilità e disfacendo quella robusta tela istituzionale con cui a suo tempo il generale De Gaulle aveva cercato di mettere in sicurezza le istituzioni della Quarta Repubblica.

Quattro governi in un anno, alleanze che vanno e vengono, combinazioni fin troppe fantasiose e la più assoluta incertezza sulle prospettive possono dare l’idea che i nostri cugini abbiano importato alcuni dei più tipici difetti che vengono ascritti al nostro 'esprit florentine', come a suo tempo lo chiamava Mitterrand. Ma forse invece, andrebbe detto il contrario.

E cioè che a loro manca proprio quella capacità di districarsi in mezzo alle difficoltà politiche che il più delle volte è servito a metterci al riparo da alcune delle nostre stesse tentazioni. Un antico luogo comune descriveva un tempo la politica italiana come un tentativo di imitazione di quella francese. Tentativo quasi mai riuscito, ma spesso riproposto al modo di una tentazione, se non addirittura di un complesso.

Così, quando sul finire degli anni cinquanta si affermava il gaullismo, anche da noi sembrò prodursi una piccola svolta a destra. E quando quasi vent’anni dopo si fece largo la gauche mitterandiana, anche il nostro asse politico accennò a spostarsi in quella direzione. Quasi che da parte nostra ci fosse una sorta di involontaria rincorsa delle tendenze in atto da quelle parti. Così oggi molto critici e commentatori sembrano quasi divertirsi a capovolgere le cose.

Raccontando il marasma di queste ore come una sorta di 'italianizzazione' della politica francese. Una deriva verso l’ingovernabilità che smentisce la tradizionale solidità della Quinta Repubblica e sembra precipitare i suoi eredi verso quei difetti che vengono tipicamente ascritti al nostro paese. S’intende che sarebbe meschino, e anche un po’ puerile, dare troppo retta a questa lettura delle cose. Tanto più che alcune delle cose che sono successe in questi giorni lungo la Senna erano già capitate anche nei paraggi del Tevere -pur con le differenze del caso.

E del resto la manovra parlamentare che ha appena disarcionato il governo Barnier mettendo insieme la destra estrema e la sinistra estrema, Le Pen e Melanchon, i rossi e i neri rivela qualche somiglianza con il governo Conte 1, l’improbabile coalizione tra grillini e leghisti. Espressioni, l’una e l’altra, di una sorta di consociativismo tra le estreme che viene favorito dal ribollire di malumori che attraversano la nostra società (e la nostra politica) al tempo del populismo. Di fronte a questo assedio che cinge ormai da anni i più blasonati palazzi della politica d’antan non sembra ci sia molto da fare. Poiché a dar loro torto e a prenderli di punta a quanto pare si amplia lo spazio delle loro suggestioni. Mentre a dar loro troppa ragione si finisce con l’edificare un involontario monumento alla loro lettura delle cose.

Una vera e propria alternativa del diavolo a cui nessuno, fin qui, ha saputo offrire una via d’uscita. Viene da dire, insomma, che tutto il mondo è paese e che in questi tempi di globalizzazione ogni cosa diventa globale -anche il da farsi delle grandi democrazie di una volta di fronte all’insorgenza di una protesta così inedita. Circostanza che ci costringe a questo punto a ripensare tutto di noi e delle nostre istituzioni. E che ci pone ora a confronto con uno di quei dilemmi che abbiamo sempre affrontato in ordine sparso. Dilemma che verte, per l’appunto, sulla rigidità e/o flessibilità dei nostri sistemi.

La Francia gaullista scelse a suo tempo di privilegiare la stabilità dopo la brutta esperienza della quarta repubblica. Così, il 'regnare' e il governare da quelle parti vennero largamente a coincidere, facendo fare all’inquilino dell’Eliseo un doppio lavoro. Ma infine è proprio quella doppiezza che rende oggi così difficile il compito di Macron. Rendendo anche così diversa, viene da dire, la loro situazione e la nostra. S’intende che ogni riferimento al dibattito sulle riforme istituzionali di casa nostra diventa a questo punto pressoché inevitabile. E’ la consociazione degli estremi. La fine del meno peggio". (di Marco Follini)

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Politica

M5S, Di Battista: “Grillo padre e padrone non solo...

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"Escludo di fare un partito con lui"

Alessandro Di Battista (Fotogramma)

Una volta "non era un padre e padrone, oggi lo è diventato". E' quanto ha detto Alessandro Di Battista, ospite di 'Accordi e disaccordi' sul Nove. "Non ricordo coloro che oggi accusano Grillo di essere un 'padre e padrone', e per certi versi a ragione, dire una parola quanto tutti vollero impedire la pubblicazione del numero di voti agli Stati generali del Movimento 5 stelle perché io avevo stravinto prendendo il triplo dei voti di Luigi Di Maio".

"Io detesto l'ipocrisia: andava bene quando doveva intervenire e posticipava su richiesta di molti il voto sul governo Draghi perché io avrei convinto molto cittadini a votare contro. Anche Virginia Raggi, che è una mia amica, fece l'endorsement", aggiunge. "Certe cose che stanno succedendo adesso nel Movimento 5 stelle, come la perdita di consensi, le disse qualcuno quattro anni fa. Io cammino a testa alta avendo ragione su tutto, loro non lo possono fare", aggiunge Di Battista.

"Non mi ha chiesto di fare un partito"

"Contattato da Grillo per partito? No, non ci sentiamo per telefono da quando litigammo a causa del governo Draghi" spiega Di Battista. "Secondo me Grillo non fa un nuovo movimento" aggiunge. "Qualora io dovessi ritornare a fare battaglie politiche al di fuori delle istituzioni, e ora non ho deciso e non ci sto pensando, lo farei con qualcuno di nuovo. Quello che stiamo facendo con 'Schierarsi' è molto utile - aggiunge -. Escludo di fare un partito con lui, io non sono contattato da nessuno".

"Rivoterei il M5S? Con il Pd no"

"Il Movimento 5 Stelle, con il Partito Democratico, ho difficoltà a votarlo" dice Di Battista. "Se andasse da solo? Dipende dal programma, dalla campagna elettorale. Non si vota domani", aggiunge. "E' comunque lo stesso movimento che al governo il primo pacchetto di armi all'Ucraina l'ha votato, oggi combatte giustamente alcune oscene battaglie, insomma non dimentico", conclude Di Battista.

"Cose migliori fatte da M5S al governo con Lega, nonostante il Carroccio"

"Le cose migliori che ha fatto il Movimento 5 stelle le ha fatte al governo con la Lega, non grazie ma nonostante la Lega, perché aveva una grande forza prorompente dovuta al 33% e al numero maggiore dei ministri" sostiene. "Io non ero contro neanche il governo con il Pd perché comunque il M5s aveva la maggioranza dei ministri. Con Draghi era minoranza", aggiunge.

"Se il Movimento 5 stelle avesse mantenuto la barra dritta, che ha mantenuto nei primi due governi di alleanza, negli ultimi due anni avrebbe avuto più consenso. La Caporetto è stata il governo Draghi", conclude Di Battista.

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Politica

Cicchitto: “Socialista dopo invasione Ungheria 1956,...

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"Sentendomi sotto attacco, reagii affiliandomi a quel club. Se sono ancora vivo oggi, è solo grazie alla mia viltà" dice in un'intervista al 'Corriere della Sera'

Fabrizio Cicchitto  (Fotogramma)

"Influenzato dai settimanali che leggevo, ero diventato totalmente anti-democristiano. Leggevo il Mondo, l’Espresso, il Borghese di Longanesi e il Candido di Guareschi: grazie ai primi due, criticavo la Dc da sinistra; con i secondi, la attaccavo da destra. Socialista lo sono diventato nel 1956, passando dal primo Partito radicale di Carandini, dopo i fatti di Ungheria: alle manifestazioni contro l’Unione sovietica, i fascisti ci accompagnavano fino quasi a sotto Botteghe Oscure ma poi, arrivati in prossimità della sede del Partito comunista italiano, scappavano via lasciando a noi ragazzini l’onere di prendere le botte". Lo dice Fabrizio Cicchitto in un'intervista al 'Corriere della Sera'.

"Quando vennero fuori gli elenchi" della P2, racconta, "Cossiga, che mi era amico, mi disse: 'Se volevi fare affari, affiliarsi al gruppo di Gelli era la scelta giusta; se non volevi fare soldi, allora sei stato un coglione'. Gli dissi la verità. Che ero stato un coglione. Proprio in quel periodo, iniziai a sentirmi spiato. Mi avevano detto che era una sorta di club di persone autorevoli, con legami coi grandi giornali. Sentendomi sotto attacco, reagii affiliandomi a quel club. Se sono ancora vivo oggi, è solo grazie alla mia viltà. Nel senso che spararmi un colpo in testa, per un certo periodo, m’era parsa l’unica soluzione. Non l’ho fatto per viltà. Quindi la viltà mi ha salvato la vita".

Quanto all'impegno politico più recente, "conobbi Berlusconi - afferma ancora Cicchitto, che di Fi fu capogruppo alla Camera - alle riunioni preparatorie dell’Udr, il partito di centro che Cossiga stava mettendo in piedi nel 1998. A un certo punto, Francesco mi disse che l’obiettivo era portare a Palazzo Chigi Massimo D’Alema; perché, cito lui, soltanto un ex comunista poteva portare il governo italiano a intervenire militarmente in Kosovo. A quel punto, i socialisti che partecipavano a quelle riunioni si avvicinarono a Berlusconi. Parlo di me, Gianni De Michelis, Margherita Boniver, Renato Brunetta, Maurizio Sacconi". Cicchitto conclude con un riferimento all'attualità: Giorgia Meloni "è di gran lunga la migliore del suo schieramento. Che però ha al suo interno tendenze filo Putin e anche filo Trump, che non fanno per me. Comunque, l’ora della verità sarà il suo atteggiamento sull’Ucraina".

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