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Salute, con screening diabete bimbi -94% complicanze, 450 l’anno le eviteranno

Foto di repertorio - FOTOGRAMMA

La diagnosi precoce del diabete di tipo 1 riduce del 94% il rischio di gravi complicanze associate alla malattia. E grazie allo screening, è prevedibile che ogni anno oltre 450 bambini eviteranno la chetoacidosi che del diabete 1 è la conseguenza più pericolosa, a volte fatale. La buona notizia, in vista della Giornata mondiale del diabete che si celebra il 14 novembre, arriva dagli esperti della Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica (Siedp), che hanno messo a confronto i risultati di 2 studi pubblicati su 'Diabetologia'. Uno è guidato dal presidente Siedp Valentino Cherubini, referente per il ministero della Salute e l'Istituto superiore di sanità per lo screening pediatrico del diabete di tipo 1, e ha valutato la frequenza di chetoacidosi nei bimbi in cui la malattia viene scoperta alla comparsa della complicanza. Il secondo studio, condotto da ricercatori tedeschi nell'ambito del progetto Fr1da per la diagnosi precoce, ha analizzato invece la frequenza di chetoacidosi in piccoli sottoposti a screening.

In tutto il mondo - spiega la Siedp - sono 8,4 milioni le persone con diabete di tipo 1, con mezzo milione di nuovi casi diagnosticati in età infantile. Uno scenario allarmante che riguarda anche l'Italia, dove si stima che siano presenti oltre 20mila bambini con diabete 1, con una prevalenza di chetoacidosi tra le più alte. "Questa grave complicanza si sviluppa quando l'organismo non riesce a produrre abbastanza insulina e inizia a scomporre i grassi per alimentare i processi metabolici, con un accumulo nel sangue di acidi chiamati appunto chetoni, provocando nei bambini colpiti alterazioni neurologiche che, nelle forme più gravi, possono arrivare a metterne in pericolo la vita", ammonisce Cherubini.

"Dallo studio che abbiamo condotto su 59mila bambini in 13 Paesi su 3 continenti, tra il 2006 e il 2016 - riferisce il presidente Siedp - è emerso che in Italia, dove la scoperta della malattia avviene spesso con la comparsa dei sintomi, la frequenza di chetoacidosi arriva al 41,2% nei bimbi più piccoli, con un secondo picco intorno ai 10-12 anni. Confrontando i nostri risultati con quelli ottenuti dal progetto tedesco di screening Fr1da, nei bimbi risultati positivi al test è emersa un'incidenza molto più bassa di chetoacidosi, pari al 2,5%, con una riduzione del 94% del rischio rispetto al nostro studio. Dati che confermano l'essenziale e straordinaria importanza della legge 130/2023, approvata poco più di 1 anno fa, che ha istituito in Italia - primo Paese al mondo - un programma nazionale di screening pediatrico, proprio con l'obiettivo principale di prevenire la chetoacidosi". Scoprire il diabete 1 per tempo, sottolineano inoltre gli specialisti, permette anche di intervenire con nuove terapie come teplizumab, il primo farmaco capace di ritardare la comparsa dei sintomi della patologie. Un trattamento ora disponibile anche in Italia per uso compassionevole.

Dall'approvazione della legge 130/2023, un progetto pilota in 4 regioni ne ha confermato la fattibilità - ricorda la Siedp - ed entro il prossimo anno sarà possibile estenderlo su scala nazionale. "Il progetto, partito a marzo 2024, ha finora coinvolto 3.600 bimbi e quelli risultati positivi, sulla base dei dati più aggiornati, sono stati lo 0,23% - riporta Cherubini - Considerato che lo screening sarà effettuato in bimbi tra i 2 e i 3 anni e ripetuto tra i 5 e i 7 anni di età, se tutti effettueranno i test, si prevede che 1.113 bimbi saranno positivi a 2 o più anticorpi, con rischio certo di sviluppare la malattia. E grazie alla riduzione al 2,5% della comparsa di chetoacidosi, resa possibile con l'introduzione dei test pediatrici in tutto il Paese, oltre 450 bimbi ogni anno potranno evitare la terribile complicanza".

Riguardo a teplizumab, dopo essere stato approvato dalla Fda Usa nel novembre 2022, l'anticorpo monoclonale 'scudo' è ora disponibile in Italia per uso compassionevole a partire dai bimbi di età pari o superiore a 8 anni con diabete di tipo 1 di stadio 2, positivi a 2 o più autoanticorpi caratteristici della malattia e con condizione di disglicemia. L'utilizzo per uso compassionevole sarà consentito anche nei centri di diabetologia pediatrica che ne faranno richiesta, precisa la Siedp.

"Si tratta di un anticorpo monoclonale che si somministra per via endovenosa e che permette di ritardare l'insorgenza del diabete di tipo 1 in chi manifesta i primi segni di questa patologia consentendo ai pazienti di vivere mesi o anni senza il peso della malattia - evidenzia Cherubini - Il farmaco prevede la somministrazione una volta al giorno per 2 settimane ed è capace di rallentare la progressione della malattia legandosi a specifiche cellule del sistema immunitario che, normalmente, agiscono nella difesa dell'organismo contro molti patogeni, ma che nelle persone con diabete di tipo 1 sono tra le responsabili della risposta autoimmune errata che contraddistingue la patologia. Come emerso da uno studio su 76 pazienti con diabete di tipo 1 in stadio preclinico, dopo circa 51 mesi dalla somministrazione del farmaco, il 45% dei 44 pazienti che hanno ricevuto l'anticorpo monoclonale è stato diagnosticato con diabete di tipo 1, rispetto al 72% dei 32 pazienti che hanno ricevuto un placebo, con un ritardo significativo nell'esordio della malattia".

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Salute e Benessere

L’indagine, 63% dei post online su cancro al polmone...

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Fondo farmaci innovativi italiano modello in Ue ma 35% risorse inutilizzato

 - Afp

Online, 6 utenti su 10 che parlano di tumore del polmone sono uomini, hanno fra i 25 e i 44 anni e sono soprattutto caregiver, familiari, in cerca di informazioni sul trattamento. Il 63% delle conversazioni riguarda infatti le terapie, le opzioni di cura e le aspettative di vita, seguite dal supporto psicologico, visto che il 31% delle discussioni in rete è orientato proprio al sostegno emotivo. I dati emergono dall’indagine di Bva Doxa ‘Il tumore al polmone, tra bisogni di conoscenza e fake news’, presentata oggi a Roma al Convegno nazionale ‘Inventing for lung. Il contributo dell’innovazione per il trattamento del tumore al polmone’, promosso da Msd Italia.

Al Convegno è stato presentato anche il report di Ihe - The Swedish Institute for Health Economics - sull’accesso ai farmaci oncologici innovativi in Italia (Cancer Dashboard for Italy – Access to Cancer Medicines). Il nostro Paese ha un tasso di rimborsabilità delle nuove terapie anticancro pari all’83%, superiore alla media europea. Anche i tempi di accesso alle cure innovative, dopo l’approvazione di Ema, Agenzie europea dei medicinali, sono migliori della media continentale (417 giorni rispetto a 559). Risultati a cui ha contribuito il Fondo per i farmaci innovativi, che rappresenta un modello in Europa. Resta, però, il nodo delle risorse del Fondo inutilizzate ogni anno, che arrivano fino al 35%. Nel 2023 - si legge in una nota - a fronte di un budget di 1 miliardo e 200 milioni di euro, sono stati spesi ‘solo’ 770 milioni. Per migliorare la gestione, gli esperti propongono, da un lato, di includere nel Fondo i farmaci a innovatività condizionata (finora non rimborsati dal Fondo) a condizioni simili a quelle dei trattamenti a innovatività piena, riassegnando ogni anno una parte delle risorse non utilizzate per finanziarli. In secondo luogo, chiedono di mantenere gli incentivi del Fondo affinché le aziende farmaceutiche concentrino le ricerche sull’innovazione, valorizzando i benefici clinici delle nuove terapie.

“L’innovazione ha rivoluzionato la cura del cancro, anche di una neoplasia difficile da trattare come il carcinoma polmonare – spiega Silvia Novello, responsabile Oncologia medica all’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano, ordinario di Oncologia medica all’Università degli Studi di Torino e Presidente Walce (Women Against Lung Cancer in Europe) - quando il trattamento del tumore del polmone non a piccole cellule avanzato era rappresentato dalla sola chemioterapia, la percentuale di pazienti vivi a 5 anni era intorno al 5%. Oggi, gli studi condotti con l’immunoterapia nello stesso setting” mostrano che si arriva “al 30%. L’indagine di Bva Doxa – continua - evidenzia come pazienti e caregiver manifestino esigenze complesse e diversificate che vanno oltre il trattamento del tumore del polmone, comprendendo il supporto psicologico, la gestione della vita quotidiana, la comunicazione con i clinici e i rapporti con i centri di cura. Anche la componente psicologica è un bisogno fondamentale”.

Così, il 13% delle discussioni riguarda l’adattamento alla nuova realtà, bilanciando vita personale, lavoro e terapie e il 10% dei bisogni riguarda il dialogo con i clinici, mentre il 3% è legato all’esperienza con le strutture sanitarie. L’informazione rappresenta la prima medicina, ma molti pazienti e caregiver non sono a conoscenza delle ultime innovazioni e potrebbero non sapere che esistono nuovi trattamenti o approcci in fase di studio, anche per le difficoltà a comprendere termini tecnici. “Le associazioni di pazienti sono i principali attori impegnati nel sensibilizzare la popolazione, colmando non solo un gap informativo ma anche un importante vuoto emotivo – rimarca Adriana Bonifacino, presidente Fondazione IncontraDonna - Come emerge dall’indagine, i principali bisogni comunicativi sul tumore del polmone coperti dalle associazioni riguardano la corretta informazione e divulgazione di nuove scoperte scientifiche, farmaci ed esami diagnostici mirati (40%), la sensibilizzazione (25%), cioè campagne rivolte a tutta la popolazione o a segmenti specifici su sintomi e fattori di rischio, il supporto emotivo (15%), l’aiuto pratico (12%), cioè indicazioni su servizi e agevolazioni per il paziente o consigli per migliorare la vita quotidiana e il benessere psico-fisico, e l’advocacy (8%), ad esempio con la diffusione e il sostegno ad appelli per ridurre i fattori di rischio o in favore dei diritti dei pazienti”.

Nel 2023, in Italia, sono stati stimati circa 44mila nuovi casi di tumore del polmone, il terzo più frequente dopo quelli della mammella e del colon-retto. In due anni (ottobre 2022 – ottobre 2024), sono stati pubblicati 67.400 post in italiano sul carcinoma polmonare, con un milione di interazioni, like, commenti e share seguiti ai post originari. “La rete è ricca di contenuti sulla malattia – commenta Annalisa Mandorino, segretaria generale Cittadinanzattiva - Come rivela l’indagine di Bva Doxa, solo il 4% dei post afferisce a fake news rispetto, ad esempio, a circa il 15% nel tumore della mammella. Solo una forte alleanza tra gli attori coinvolti, cioè pazienti, clinici, industria e media, può costituire un argine contro le fake news”.

A proposito dei risultati di uno studio condotto sul valore del Fondo per i farmaci innovativi, “il sistema regolatorio italiano – sottolinea Anna Maria Mancuso, presidente Salute Donna Ovd e Coordinatrice del Gruppo ‘La salute un bene da difendere, un diritto da promuovere’ - ha caratteristiche uniche in Europa, perché dopo l’approvazione di Aifa richiede la valutazione delle Commissioni locali per l’inserimento dei nuovi farmaci nei Prontuari terapeutici regionali (Ptr): un passaggio ridondante rispetto alle approvazioni centrali di Ema e Aifa” che “determina ritardi nell’accesso alle terapie. Il Fondo per i farmaci innovativi, istituito nel 2017 anche grazie all’iniziativa delle associazioni dei pazienti, ha permesso di ridurre i tempi di latenza e una maggiore trasparenza e coerenza dei finanziamenti” oltre a “una chiara focalizzazione del loro valore terapeutico. Va però considerato il mancato utilizzo completo delle risorse allocate, visto che circa il 35% ogni anno resta inutilizzato”.

Aifa classifica i farmaci in 3 gruppi:‘innovatività piena, che dura 36 mesi; innovatività condizionata oppure non innovativi. Solo i primi 2 sono inclusi direttamente nei Ptr senza necessità di ulteriori valutazioni locali. Quelli a innovatività condizionata però non vengono rimborsati dal Fondo. Nel 2023, lo status di innovatività piena è stato assegnato a 11 indicazioni, quella condizionata a 19. Il 60% di tutte le decisioni riguarda farmaci oncologici.

“L’aspettativa di una vita in buona salute è collegata proporzionalmente alla disponibilità di soluzioni innovative – afferma Nicoletta Luppi, presidente e amministratrice delegata Msd Italia - Riconosciamo e apprezziamo l’attenzione del Governo nel rivedere il meccanismo del Fondo per i farmaci innovativi, in particolare utilizzando parte delle risorse previste per l’acquisto dei farmaci a innovatività condizionata. Tuttavia, è essenziale garantire che l’accesso alle cure innovative non sia limitato da vincoli temporali rigidi. Escludere dai benefici del Fondo le indicazioni terapeutiche per cui l’istanza di negoziazione viene presentata oltre 6 anni dalla prima attribuzione dell’innovatività, rischia di compromettere i progressi raggiunti fino ad oggi. Chiediamo che questa misura venga rivista per assicurare che tutta l’innovazione resti un’opportunità concreta per coloro che ne hanno bisogno, soprattutto per le patologie più gravi per le quali il fattore tempo è determinante. La prospettiva di non poter accedere ai benefici concessi dal Fondo rappresenterebbe, inoltre, un sostanziale disincentivo per le aziende innovative a investire in ricerca clinica in Italia. Auspichiamo che questo limite temporale, che non si basa su alcuna evidenza scientifica, possa essere quantomeno esteso o completamente rimosso”.

L’Italia “è tra i primi paesi in Europa nell’accesso ai farmaci oncologici innovativi - osserva Thomas Horfmacher, Research Director Ihe - grazie al ruolo decisivo del Fondo, il quale ha garantito un accesso equo e tempestivo ai trattamenti avanzati, ridotto le disparità nell’accesso e incentivato le aziende farmaceutiche a investire ancora di più in innovazione. Accogliamo con piacere la notizia che il Governo italiano intende includere nel Fondo i farmaci con innovatività condizionata, come raccomandato anche dal nostro studio, assicurandone di fatto la disponibilità. È tuttavia cruciale preservare gli incentivi che derivano dal Fondo lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti, così da promuovere la scoperta di nuove applicazioni cliniche e massimizzare l’impatto terapeutico dei farmaci già oggi disponibili”.

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Salute e Benessere

Giubileo Roma, dall’aviaria al Covid e Mpox: i...

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Lettera a 'Lancet' di alcuni scienziati italiani: "Mix di alta densità umana, viaggi internazionali e alloggi condivisi amplifica il rischio di nuovi focolai, piano in 7 pilastri detta le priorità"

Folla a san Pietro - (Afp)

Il Giubileo 2025 è ormai alle porte (mancano 20 giorni). Un evento mondiale che farà confluire a Roma milioni di persone da tutto il mondo. In una lettera inviata a 'Lancet', un team di epidemiologi e scienziati italiani (Francesco Branda e Massimo Ciccozzi dell'Università Campus Bio-Medico e Fabio Scarpa dell'Università di Sassari) ha analizzato e messo su carta i possibili rischi per la salute.

"Le lezioni degli ultimi anni non devono essere dimenticate. Investire nella preparazione ad una possibile pandemia non è una opzione, ma una necessità etica e pratica. Si devono colmare le lacune nella conoscenza, promuovere la collaborazione e dare la priorità alla prevenzione", sono le loro conclusioni. I ricercatori hanno elaborato anche un piano "in 7 pilastri" che definisce le priorità per gli interventi da attuare.

Quali sono i rischi

"Stiamo tornando alla normalità dopo l'emergenza Covid, ma ci sono altri segnali d'allarme, ad esempio l'influenza aviaria, e dobbiamo rimanere vigili sull'Mpox (già vaiolo delle scimmie) - ricordano gli scienziati - Queste minacce alla sanità pubblica sottolineano una verità innegabile: la prevenzione e il monitoraggio epidemiologico sono essenziali per scongiurare il rischio locale di epidemie ed evitare che si trasformino in emergenze globali". Eventi mondiali come il Giubileo, "con l'immenso afflusso di pellegrini da tutto il mondo, e quindi la concentrazione di milioni di persone in spazi ristretti, creano un ambiente ideale per la diffusione delle malattie infettive, compresi i virus respiratori, le infezioni gastrointestinali e le malattie trasmesse da vettori. La combinazione di alta densità umana, viaggi internazionali e alloggi condivisi amplifica il rischio di nuovi focolai", avvertono i firmatari.

La lettera ricorda anche quanto già accaduto in passato con manifestazioni di dimensioni simili al Giubileo. "Storicamente, eventi di massa sono stati associati alla trasmissione di malattie. La pandemia di Mers-CoV durante il pellegrinaggio di Hajj (La Mecca-Arabia Saudita) del 2012, ad esempio, ha evidenziato il rischio di epidemie associate a grandi raduni religiosi. La trasmissione del virus è stata accelerata dalla concentrazione di pellegrini provenienti da diverse nazioni e la condivisione di spazi ristretti come dormitori e trasporto pubblico. Nel 2003 si diffuse la Sars (Sindrome respiratoria acuta grave) in modo significativo nei grandi raduni internazionali, come confermato da uno studio internazionale. Il Giubileo quindi, con la sua vasta circolazione di persone e la concentrazione di pellegrini, richiede una vigilanza speciale: soprattutto nel contesto dei patogeni emergenti e della crescente minaccia della resistenza agli antibiotici".

Il piano dei ricercatori

Il gruppo di ricerca ha sviluppato "un piano ad hoc, il 'Jubilee 2024 Pandemic Preparedness and Response Plan', basato sui principi di sorveglianza, innovazione e resilienza". Il progetto si compone di 7 pilastri fondamentali:

1) Sorveglianza epidemiologica, quindi monitoraggio continuo della diffusione delle malattie infettive, integrando la raccolta e l'analisi dei dati con quelli genetici di sequenziamento per individuare le tendenze emergenti; 2) Studi avanzati sulle origini, la patogenesi e la trasmissione delle malattie, utilizzando l'intelligenza artificiale (Ia) e la genomica con strumenti per sviluppare modelli predittivi e ottimizzare gli interventi; 3) Rafforzare la formazione e le capacità degli operatori sanitari e le comunità attraverso workshop, seminari e campagne di sanità pubblica; 4) Collaborazione e networking, ovvero rafforzare i collegamenti con i Paesi e le organizzazioni sanitarie internazionali per promuovere lo scambio di conoscenze e risposte coordinate; 5) Prevenzione e controllo, implementare le misure basate sull'evidenza, dai programmi di vaccinazione all'educazione sanitaria, adattata a specifici profili di malattia; 6) Risposta alle emergenze, trovare in temi rapidi le risorse per i piani di emergenza predefiniti; 7) Affrontare l'interconnessione tra la salute umana, animale e ambientale (One Health), per combattere efficacemente le zoonosi.

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Salute e Benessere

EuHta-R, Rondena (Novartis): “Garanzia accesso a...

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Cosa cambia con il nuovo regolamento in vigore dal prossimo gennaio 2025

Roberta Rondena, Country Value & Access Head, NovartisRoberta Rondena, Country Value & Access Head, Novartis

"L'Health technology assessment (Hta) è una sorta di garante dell'equilibrio tra accesso all'innovazione e sostenibilità del sistema. Si tratta infatti di un processo multidisciplinare che consente un processo decisionale più trasparente e basato su evidenze scientifiche solide, supportando le autorità competenti e i decisori nella determinazione del valore dei farmaci". Così Roberta Rondena, Value&Access Head di Novartis Italia, in un articolo pubblicato nella sezione dedicata ai pazienti del sito dell'azienda farmaceutica, spiega che "l'Health technology assessment è una valutazione multidimensionale che prende in considerazione diversi aspetti che possono essere sia clinici (problema di salute e uso attuale della tecnologia, caratteristiche tecniche, sicurezza, efficacia clinica) sia non clinici (costi ed efficacia economica, analisi etica, aspetti organizzativi, aspetti sociali, aspetti legali). Pertanto, affinché il nuovo regolamento raggiunga gli obiettivi prefissati, è fondamentale la collaborazione di tutti gli stakeholders: associazioni dei pazienti, società medico-scientifiche, istituzioni e aziende farmaceutiche".

Il nuovo regolamento europeo (EuHta-R), in vigore dal 2025, ha l'obiettivo di "supportare l'innovazione farmacologica sanitaria - continua Rondena - e garantire, attraverso un approccio di valutazione comune e più completo, un accesso più tempestivo, ma anche una ottimizzazione nell'allocazione delle risorse sanitarie. Oggi, infatti, gli Stati membri effettuano la valutazione clinica dei farmaci con processi, metodologie e tempi diversi, che portano spesso a valutazioni difformi e che comportano, per gli sviluppatori dei farmaci, molteplici e divergenti richieste di dati ed evidenze scientifiche". Dal 2025 ciascun Paese sarà invece chiamato a "lavorare congiuntamente nella valutazione clinica delle tecnologie sanitarie (il Jca, Joint Clinical Assessment). Da gennaio 2025 si inizierà con i farmaci oncologici e con le cosiddette terapie avanzate, da gennaio 2028 si procederà con i farmaci orfani e, dal 2030, con tutti gli altri".

In Italia, la riforma in corso di Aifa, Agenzia italiana del farmaco, "favorisce l'Hta". Certo, "non mancano sfide e incertezze sulle tempistiche - sottolinea Rondena - ma sono fortemente convinta che il regolamento europeo Hta rappresenti un'opportunità per armonizzare e velocizzare le valutazioni delle tecnologie sanitari anche per l'Italia: oggi i tempi medi di rimborso, dall'approvazione, sono pari a 14 mesi, a cui vanno aggiunti fino a 10 mesi per l'accesso regionale". Per realizzare tutto questo è "indispensabile la volontà politica di fornire ad Aifa risorse adeguate sia in termini di addetti ai lavori sia di investimenti nella formazione e competenze, per supportare l'attuazione di questo regolamento anche perché - conclude Rondena - si stima che, nei prossimi 3 anni, arriveranno un'ottantina di nuovi farmaci oncologici. L'auspicio è che l'Aifa, sempre più protagonista in Europa, quando il regolamento diventerà operativo, sarà chiamata a contribuire e, talora, anche a guidare, le valutazioni cliniche congiunte sui farmaci".

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