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Roma in crisi, Gasparri: “Tutta colpa dei Friedkin, ora serve Ranieri”

"Gli americani se ne devono andare, perché non hanno nessun amore per la città e nessun rispetto per la società e i suoi tifosi...''

Maurizio Gasparri

"Tutta colpa dei Friedkin". Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato e acceso tifoso giallorosso, è sconfortato per la sua Roma, sconfitta oggi in casa dal Bologna e sempre più in basso in classifica. ''Abbiamo vissuto altri momenti difficili ma nel lontano passato. Ricordo da ragazzino l'arbitraggio di un Roma-Inter, che fece andare su tutte le furie la curva Sud e finì con un lancio di lacrimogeni della polizia... Ora che posso dire: il menefreghismo dei Friedkin raggiunge vette davvero temerarie. Se ne devono andare loro, perché non hanno nessun amore per la città e nessun rispetto per la società e i suoi tifosi...'', dice raggiunto al telefono dall'Adnkronos al termine della partita all'Olimpico conclusasi con l'esonero del tecnico della sua squadra del cuore, Ivan Juric. L'esponente azzurro punta il dito sulla proprietà americana e invoca il ritorno di Claudio Ranieri come allenatore, bocciando invece la candidatura di Roberto Mancini.

''I Friedkin -avverte Gasparri- hanno raggiunto alcuni risultati con Mourinho, poi quando l'hanno cacciato è iniziata la china di una discesa tragica. Prima hanno usato De Rossi, simbolo del romanismo ma non era maturo come allenatore per una prova del genere, molto impegnativa. De Rossi era l'unico che la gente avrebbe accettato e dopo averlo esposto, i Friedkin hanno cacciato pure lui in malo modo sostituendolo con uno sventurato, Juric, che doveva dire 'No grazie, la Roma non è per me', ma lui stesso si è sopravvalutato, accettando l'incarico''.

''Ma -ci tiene a precisare Gasparri- non è colpa dello sventurato se siamo ridotti così. La colpa, lo ripeto, è de Friedkin. Adesso non so proprio cosa faranno, spero però che non prendano Mancini, perché ha abbandonato la nazionale di calcio per soldi senza avere il coraggio di dirlo. Avrebbe dovuto dire 'ho avuto una offerta irresistibile' e non lo ha fatto. Mancini a me non piace, ha fallito anche in un calcio finto. Quindi, francamente, anche no. La Roma ora ha bisogno di una rifondazione morale. Per come siamo conciati, io penso a Ranieri: bisogna con garbo chiamarlo e convincerlo. Lui è un romano doc, che ama la Roma, che ha salvato il Cagliari, è un signore vero, un uomo inossidabile. Se poi i Friedkin non hanno più soldi -ironizza l'ex ministro- allora vuol dire che chiederemo ai tifosi romanisti che possono permettersi una colletta pere aiutare la squadra...''.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Politica

“Ucraina ha perso la guerra, si arrenda”: il...

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"Kiev ha perso la guerra, non ha margine di manovra"

Gianni Alemanno

"Qui è quello che pensiamo tutti, ormai quella guerra è persa, Kiev si deve arrendere. Oppure lei pensa che la guerra nucleare sia una opzione migliore?". Fa la sua sintesi all'AdnKronos Fabio Filomeni, braccio destro di Roberto Vannacci e presidente dell'associazione 'Mondo al contrario' durante il coffee break del convegno 'No all'escalation del conflitto in Ucraina, organizzato dal CeSem (centro studi Eurasia e Mediterraneo), dove prendono la parola Gianni Alemanno, segretario di Movimento indipendenza e dove, poco dopo, verrà trasmesso un contributo video dello stesso generale Roberto Vannacci.

Filomeni dà così forza a quanto detto poco prima dal palco del centro congressi Cavour di Roma, dal generale Francesco Cosimato, presidente Centro Studi Sinergie, altro ospite del meeting, che ha detto senza troppi fronzoli che "l'Ucraina non ha margini di manovra e si deve arrendere", incassando l'applauso più forte della cinquantina di presenti in sala.

Salta invece il confronto tra Vannacci e Gianni Alemanno, perché solo l'ex sindaco di Roma è in presenza, mentre il generale manda un doppio contributo video registrato. "La Ue chiede di dedicare lo 0,25 del Pil a supporto dell'Ucraina, per noi si tratta di 5,6 miliardi. Mi domando se il cittadino, invece di spendere questi soldi per la sanità vuole darli all'Ucraina", si chiede l'erodeputato della Lega, non mancando di parlare di una Ue "schizofrenica", che vuole il cessate il fuoco in Medio Oriente e invece manda armi in Ucraina "per una guerra di cui non si intravede la fine".

Gianni Alemanno invece punta il dito contro il governo: "Se non finisce il governo Meloni l'Italia è destinata a diventare una nazione di serie C, altro che patrioti, che sovranisti...", è il suo monito. L'ex sindaco di Roma offre la sua soluzione, dopo aver anche lui spiegato che Zelensky non potrà vincere la guerra.

"Come dice Vannacci le guerre si concludono con un approccio realistico, intanto fai smettere questo massacro con il cessate il fuoco" perché il conflitto "non può avere un esito positivo per Kiev". Il segretario di Movimento indipendenza confida nei referendum per le terre contese tra Federazione Russa e Ucraina: "L'autodeterminazione -spiega- deve essere il principio, quei popoli vogliono stare con Russia e con l'Ucraina? Io credo che quelle popolazioni vogliono stare con la federazione russa".

Filomeni nel suo intervento in dieci punti avverte di sconfinare negli aspetti politici: "Vannacci nel suo libro dice che il mondo è al contrario, che non si riconosce nella sua normalità, ora abbiamo una Europa al contrario, l'Europa prende a schiaffi il buon senso". Il braccio destro di Vannacci condivide l'idea è che "la Russia è Europa, e il buon senso vorrebbe che questi popoli vivessero in pace, in modo unitario, per far fronte alle esigenze dei popoli europei". "Se dopo tre anni non si vedono risultati significa che dobbiamo tornare alla diplomazia -dice sulla guerra in Ucraina- e non come dice qualche leader europeo che dobbiamo aspettare il sacrifico dell'ultimo soldato ucraino o mandare soldati europei".

"Le truppe Nato ai confini della Russia sono una minaccia per Mosca", avverte ancora, negando la valenza difensiva delle forze Nato schierate nell'est dell'Europa. "Kiev è il paese più corrotto in Europa, non è una democrazia", dice poi riferendosi a Zelensky. Pace giusta? Non esiste, la pace giusta è quella raggiunta sul campo di battaglia, quella dove ci sono i soldati", dice poi rivolto ai politici italiani. "Andateci voi in trincea, che non avete mai preso in mano un'arma", è l'invito finale del vannacciano.

In sala tra chi li ascolta c'è pure chi parla russo, qualcuno avvicina Alemanno e lo invita a una conferenza per febbraio dal titolo 'Fine del disastro in Ucraina', "non è propaganda di Mosca", assicura chi distribuisce la scaletta dell'evento organizzato da 'The cenacle of critical thinking'.

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Politica

M5S, guerra Conte-Grillo su simbolo: da Lega a Forza Italia...

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Sinonimo di grande potere il 'marchio' scatena dispute infinite su chi è il proprietario, in ballo voti e leadership

Giuseppe Conte e Beppe Grillo (Fotogramma/Ipa)

La guerra interna ai 5 Stelle per il controllo del simbolo rinfocola l'eterno dibattito sui contrassegni dei partiti, ormai diventati dei veri e propri brand in ossequio alle leggi del marketing. Dal forte valore identitario, ma anche arma acchiappa voti del leader in una politica sempre più personalizzata dopo Tangentopoli e la discesa in campo di Silvio Berlusconi, il vecchio e caro logo esercita ancora un grande appeal. Basti pensare a cosa sta accadendo in casa M5S, dove è arrivato il momento del redde rationem tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte. Il garante del Movimento non ha nascosto il "disagio" nel vedere il logo della sua creatura politica nelle mani dei contiani e non esclude iniziative per sottrarlo all''avvocato del popolo'; per Conte, Grillo non può accampare alcuna pretesa, alla luce di una scrittura privata siglata tra il comico e il Movimento, che impegna 'l'elevato' a non intraprendere azioni legali circa l'utilizzo del nome e del marchio da parte dei pentastellati.

Alla vigilia del nuovo voto della Costituente nel weekend, Conte va ripetendo infatti quanto detto anche in tv: "Il simbolo è stato registrato da Di Maio prima che io arrivassi, per i partiti vale l'uso in maniera consolidata e dal Movimento è stato utilizzato in modo consolidato; quindi, non è di Grillo, ma non è neppure di Conte...". La partita, dunque, resta non aperta, ma apertissima. Ma perché tante polemiche? Semplice. Il 'marchio' di partito - non tutti lo sanno o lo dicono - è anche sinonimo di grande potere, non solo decisionale. I parlamentari interpellati dall'Adnkronos a mezza bocca lo confermano: un segretario senza 'l'emblema di famiglia' è come se fosse un'anatra zoppa o, peggio, un generale senza bandiera, la cui testa può cadere in qualsiasi momento. Per capire meglio, bisogna spulciare gli statuti e tener conto della prassi consolidata negli anni.

Forza Italia

Partiamo da un dato certo: solo una persona è legittimata ad usare il simbolo nelle competizioni elettorali: il depositario, che corrisponde alla figura del tesoriere (scelto tra i fedelissimi del 'capo') e ha le chiavi di un movimento politico, perché ne gestisce le finanze e l'amministrazione. A questo punto molti si chiedono: che prerogative spettano, invece, ai leader? Possono considerarsi titolari-proprietari del contrassegno e disporne a loro piacimento? Nel caso di Forza Italia (il 'partito azienda' come lo definivano i suoi detrattori ai tempi di Silvio Berlusconi) il logo si è sempre identificato con il suo fondatore e oggi, scomparso il Cav, resta aperto il dibattito, sia sul fronte politico che su quello tecnico-giuridico, su a chi appartenga l'ultima versione grafica del brand forzista, presentata alle scorse europee, ovvero, il tricolore cerchiato con la scritta Forza Italia, sotto la dicitura 'Berlusconi presidente' e sopra il riferimento al Ppe.

Secondo autorevoli fonti azzurre, venuto meno Berlusconi, il simbolo è nella disponibilità degli eredi, i suoi cinque figli: solo loro possono accampare pretese e supervisionare l'uso in campagna elettorale, che spetta per statuto all'amministratore nazionale di Fi (nelle vesti di depositario) l'avvocato civilista Fabio Roscioli, gradito alla famiglia dell'ex premier. La nomina di Roscioli, avvenuta nel giugno 2023, racconta un big azzurro, è stato un "chiaro segnale che i figli del Cavaliere intendono continuare ad 'investire' nel partito e a garantire la copertura dei debiti erediti dal padre tramite le fideiussioni bancarie".

Ignazio Abrignani, ex responsabile nazionale elettorale di Fi, su delega di Berlusconi presentò alle politiche del marzo '94 il contrassegno la cui titolarità spettava all'associazione non riconosciuta denominata 'Movimento politico Forza Italia' costituita davanti al notaio romano Francesco Colistra il 18 gennaio di 30 anni fa. In base al principio della precedenza, ovvero chi per primo usa il simbolo, riferiscono le stesse fonti azzurre, è anche il titolare e può decidere cosa farne. Poi tutto è cambiato da punto di vista giuridico (secondo la giurisprudenza elettorale prevalente) quando Berlusconi è diventato il principale creditore di Fi e di fatto il proprietario, perché 'garante' di circa 100 milioni euro di passivo.

Da quel momento, infatti, anche il logo è passato nelle mani del presidente-fondatore e, alla sua morte, è stato ereditato dai figli. Carte alla mano, il primo ottobre 2023 il Consiglio nazionale del partito presieduto dal neo segretario Antonio Tajani (circa 4 mesi prima, il 15 luglio, era stato eletto all'unanimità numero uno azzurro) ha deliberato la modifica dello statuto inserendo il cognome di Berlusconi nella descrizione ufficiale del simbolo riconoscendo all'ex presidente del Consiglio il titolo onorifico di 'presidente fondatore'.

Fratelli d'Italia

Più semplice la situazione in via della Scrofa dove non si registrano contese. L'emblema di Fratelli d'Italia appartiene all'associazione 'Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale' fondata nel 2012 da Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto e ogni sua modifica sostanziale è demandata all'Assemblea nazionale del partito. Il tesoriere Roberto Mele, in qualità di legale rappresentante di Fdi, ne esercita la tutela nei confronti di terzi e avverso ogni utilizzo indebito. Discorso a parte per quanto concerne la storica Fiamma tricolore: simbolo dell'Msi di Giorgio Almirante nato nel 1946, fu 'adottato' da Alleanza Nazionale creata da Gianfranco Fini nel 1995 con la cosiddetta svolta di Fiuggi. Solo nel 2014 Fdi ottenne dalla 'Fondazione Alleanza Nazionale' (che di fatto è il 'proprietario-custode') la possibilità di usare la Fiamma.

L'uso del logo di Fdi è autorizzato dal presidente nazionale del partito, ovvero da Giorgia Meloni, che, nella sola materia elettorale, ha la facoltà di apportarvi delle modifiche e delegare il segretario amministrativo o dei procuratori speciali al suo deposito presso gli uffici elettorali in occasione della presentazione delle liste.

Lega

In casa Lega il quadro appare complicato. E quello sul simbolo resta un nodo cruciale. Non sono mancati nel tempo i tentativi di appropriazione dello 'Spadone' da parte di fuoriusciti o espulsi dal partito di via Bellerio. Quello con Alberto da Giussano è l'emblema più antico presente in Parlamento. E' infatti il 'marchio' di fabbrica della vecchia Lega Nord, quella dura e pura delle origini, fondata da Umberto Bossi, oggi nei fatti 'sostituita' dalla 'Lega per Salvini premier'. Formazione, quella di Salvini, nata a fine 2017, che ha adottato il simbolo di proprietà della vecchia Lega, che - statuto alla mano - può concedere "in conformità ad un apposito regolamento" deliberato dal Consiglio federale del partito "l'utilizzo del simbolo" a soggetti che sono in campo "per il perseguimento delle finalità" indicate nell'atto fondativo della vecchia Lega.

In virtù di questo accordo, il nuovo partito di Salvini, nel suo logo, dove campeggia la scritta 'Salvini premier' in occasione delle elezioni, inserisce il cerchio racchiudente la figura del condottiero con lo spadone sguainato e la parola 'Lega' con quello stesso carattere tipografico. Una semplificazione del simbolo, descritto dall'art. 3 dello statuto della vecchia Lega Nord: "Costituito da un cerchio racchiudente la figura di Alberto da Giussano, così come rappresentato dal monumento di Legnano; sullo scudo è disegnata la figura del Leone di San Marco, il tutto contornato, nella parte superiore, dalla scritta LEGA NORD. Nella parte inferiore è la parola 'Padania'. Alla destra del guerriero è posizionato il 'Sole delle Alpi', rappresentato da sei petali disposti all'interno di un cerchio".

Simbolo che tuttora resta di proprietà della vecchia Lega che ha in Igor Iezzi, deputato milanese, il commissario eletto nel 2019 e in Bossi il presidente. Così come alla 'Lega per Salvini premier' appartiene il logo, in stile trumpiano, costituito "da un rettangolo di colore blu in cui campeggia la scritta 'Lega per Salvini premier' in bianco, circondata da una sottile cornice", anche qui come descritto nello statuto. In particolare, va segnalato che l'immagine di Alberto da Giussano è stata depositata da Salvini in persona nel 2018: il marchio è in attesa della scadenza del periodo di opponibilità.

Partito democratico

Statuto alla mano, nel Partito democratico, riferiscono fonti qualificate del Nazareno, c'è una 'donna sola al comando': tutto è concentrato nelle mani del segretario nazionale. Elly Schlein è il titolare del simbolo, ovvero di fatto il suo 'proprietario', ma nello stesso tempo è anche il depositario, perché ne cura l'utilizzo, anche ai fini dello svolgimento di tutte le attività necessarie alla presentazione delle liste nelle tornate elettorali.

Il caso scudocrociato

Come non ricordare poi il caso dello scudocrociato della vecchia Dc, un contenzioso che dura da anni e non vede una soluzione a portata di mano. Lo storico simbolo della Balena Bianca è periodicamente oggetto di dispute legali e alimenta una vera e propria guerra tra i democristiani sopravvissuti alla Seconda Repubblica che nella Terza sono ancora in cerca di una identità. L'utilizzo dello scudo bianco con croce rossa accompagnato dalla scritta Libertas è contesissimo tra l'Udc di Lorenzo Cesa e la 'Democrazia Cristiana Sicilia Nuova' di Totò Cuffaro (la Dc Nuova' dell'ex governatore siciliano, come viene chiamata, è una delle tante formazioni politiche che negli ultimi trent'anni si sono presentate come eredi del partito che aveva governato l'Italia dal dopoguerra fino a Tangentopoli). Proprio Cuffaro si era visto respingere dal Tribunale di Roma un ricorso: il giudice ha deciso che il diritto di utilizzare nelle competizioni elettorali lo scudocrociato resterà all'Unione di Centro che lo ha impiegato negli ultimi vent'anni.

Nello stesso tempo, però, è in corso un'altra battaglia giudiziaria, ma solo sull'utilizzo del nome 'Democrazia cristiana', tra Gianfranco Rotondi e lo stesso Cuffaro. E' stata fissata per il prossimo 13 gennaio la prima udienza del processo al logo democristiano presso il giudice Beatrice del tribunale di Avellino, a seguito della denuncia presentata dall'ex senatore Cuffaro contro la Dc di Rotondi, che utilizza il nome del partito da venti anni a suo giudizio senza titolo. A resistere è Rotondi appunto, che ha già incassato numerose sentenze, ultima anche a Roma, a favore del proprio diritto all'uso del nome. "Usiamo questo nome ininterrottamente da venti anni, abbiamo avuto gruppi parlamentari, gruppi consiglieri in Regioni e Comuni, e abbiamo avuto ragione in tanti giudizi promossi sulla falsariga di quello presentato da Cuffaro", va ripetendo il parlamentare democristiano eletto alle ultime politiche tra le file di Fdi (quota centrista). (di Vittorio Amato, Antonio Atte e Franscesco Saita)

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Politica

Fratelli d’Italia, minacce social a Elena Donazzan:...

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L'eurodeputata aveva condannato le canzoni dei trapper Niky Savage e Simba La Rue

La deputata europea di Fratelli d’Italia Elena Donazzan - (Fotogramma)

“Spero che bruci, devi fare la fine degli ebrei negli Anni ‘40”. Oppure: “Ti auguro le peggiori cose”. E ancora: “Speriamo che ti chiudano la bocca”. Insulti, minacce, messaggi carichi di livore, odio e antisemitismo stanno travolgendo in queste ore i profili social della deputata europea di Fratelli d’Italia Elena Donazzan, vicepresidente della commissione Industria all’Eurocamera e membro sostituto della delegazione per le relazioni con Israele.

All’origine della vicenda, la ferma condanna dell’esponente del partito di Giorgia Meloni ai messaggi sessisti e violenti contenuti nei testi musicali di Niky Savage e Simba La Rue. I due trapper, già risaliti alla ribalta delle cronache, avrebbero dovuto esibirsi nel mese di dicembre a Bassano del Grappa e Castelfranco Veneto ma proprio la polemica sollevata da Donazzan ha spinto i gestori dei locali ad annullare i concerti.

“Non mi faccio di certo intimorire da insulti e minacce ma trovo allarmante il rigurgito antisemita che caratterizza le esternazioni di questi leoni da tastiera - commenta Donazzan-. Cosa c’entrano le persecuzioni subite dal popolo ebraico con la mia richiesta di annullare le esibizioni di due trapper che nelle loro canzoni esprimono attacchi violenti contro le donne o le forze dell’ordine?”, si interroga l’eurodeputata di Fratelli d’Italia.

“Probabilmente con la mia azione ho colto nel segno, perché oggi più che mai ritengo necessaria l’intrapresa di una battaglia culturale e di educazione di comunità - prosegue -. Ognuno nel proprio ruolo, a partire da famiglie e istituzioni, deve agire per proteggere le nuove generazioni dai cattivi maestri. Serve più fermezza contro i propalatori d’odio, quelli convinti che valgano solo le regole della strada, tra risse, accoltellamenti e sparatorie. Il rischio è che il fenomeno delle baby gang diventi sempre più consistente”, aggiunge Donazzan.

“Alcune delle minacce che sto ricevendo sui social provengono da account con nomi in arabo ma che parlano in italiano, probabilmente si tratta di giovani di seconda generazione. Ma dopo aver assistito alla rivolta di Corvetto a Milano non mi stupisco. Alle anime belle della sinistra, ai paladini dell’integrazione a tutti i costi dico: volete aprire gli occhi?”.

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