Meglio Trump o Harris? Elezioni Usa sono sfida tra uomini e donne
Il tycoon vince tra gli elettori, mentre Harris ha fino a 17 punti di vantaggio tra le elettrici
L’America è a ogni elezione sempre più polarizzata e divisa, quest’anno ancora di più tra donne e uomini, mogli contro mariti. Le donne sono da tempo una componente chiave della coalizione elettorale che manda i dem alla Casa Bianca, ma mai come quest’anno, con Kamala Harris vs Donald Trump, motore primo delle decisioni che hanno portato all’abolizione del diritto costituzionale all’aborto, il ‘gender gap’ appare decisivo.
Se nel 2016 Hillary Clinton ebbe l’11% di vantaggio tra le donne, Joe Biden nel 2020 il 12%, oggi i sondaggi parlando di un vantaggio di Harris tra le donne fino a 17 punti, il 53% contro il 36% secondo il poll Usa Today/Suffolk University. A cui corrisponde un vantaggio sempre a due cifre, tra gli 11 e 16 punti, del tycoon tra gli elettori maschi.
Julia Roberts e l’elettorato femminile
E in questo scenario sta accendendo gli animi lo spot che ‘Vote Common Good’, associazione che cerca di sottrarre ai repubblicani il controllo del voto evangelico e cattolico, ha affidato alla voce convincente di Julia Roberts, per suggerire alle donne, in particolare le bianche del ceto medio dei sobborghi, a ‘tradire’ nel segreto dell’urna i loro mariti – che in modo paternalistico le esortano a votare ‘è il tuo turno, cara” – scegliendo Harris invece che Trump.
“Nell’unico posto in America dove le donne hanno ancora il diritto di scegliere, potete votare quello che volete, e nessuno lo saprà mai“, si sente dire Roberts nello spot, una battuta che, a parte il riferimento ai diritti riproduttivi delle donne sotto attacco, ha fatto infuriare tanti repubblicani, che sono arrivati a paragonare una donna che non dice al marito per chi vota a “una che ha una relazione extraconiugale”.
Un nervosismo che indica il reale timore che un ‘surge’ del voto delle donne il prossimo 5 novembre possa essere decisivo per contrastare il sostegno che Trump raccoglie tra gli uomini, e non solo quelli bianchi senza laurea, tradizionale zoccolo duro del Maga. “Se guardo ai dati, se votassero solo gli uomini, Trump vincerebbe, ma le donne stanno rendendo questa elezione competitiva”, afferma Jackie Payne, del gruppo di donne moderate Galvanize Action. Tanto più che gli strateghi dem sperano nelle ‘ghost voter’, elettrici, in particolare giovani, che magari votano per la prima volta.
Per motivarle, Harris ha messo al centro della sua campagna la difesa dei diritti riproduttivi, come ha fatto nel rally insieme a Beyoncè a Houston, ma sin dal primo momento della sua discesa in campo, il 21 luglio scorso dopo la rinuncia di Joe Biden, non ha mai voluto enfatizzare la natura storica della possibilità di diventare prima presidente donna. A differenza di quanto fece 8 anni fa Clinton che puntò moltissimo – a cominciare dallo slogan della sua campagna ‘I’m with Her’, sono con lei – sulla sfida all’ultimo soffitto di cristallo del potere politico americano.
“Chiaramente sono una donna, ma il punto che veramente interessa alla gente è avere qualcuno che sa fare il lavoro e ha un piano effettivamente concentrato su di loro“, ha detto la vice presidente in una recente intervista a Nbcnews, affermando di non essere preoccupata del fatto che l’America possa essere meno pronta di quanto si pensi ad essere guidata da una donna. Un timore però che strateghi dem non esitano a confermare, spiegando alla Bbc che quando nei sondaggi gli intervistati dicono di non considerare Harris “pronta” o con abbastanza “personalità” per la presidenza, in realtà si riferiscono al suo genere.
Biden e gli Obama
Non è certo un caso che recentemente Joe Biden abbia affermato: “Una donna può fare ogni cosa che può fare un uomo, e di più, compreso essere la presidente degli Stati Uniti”. Ma il segnale più diretto e esplicito è arrivato, in due momenti diversi, da Barack e Michelle Obama che continuano a essere le superstar del partito democratico.
Il primo ha letteralmente strigliato gli elettori maschi, in particolare afroamericani: “Non stiamo vedendo la stessa energia e adesione in tutti i nostri quartieri che abbiamo visto quando io ero candidato, e questo riguarda i fratelli”, denunciando “tutta una serie di scuse” per nascondere il fatto “che, a voi, e sto parlando agli uomini, non piaccia l’idea di una donna presidente”.
Dietro la durezza del messaggio, emergeva la realtà dei sondaggi che mostrano come Trump sia riuscito a guadagnare terreno tra l’elettorato maschile di tradizionali riserve dem, afroamericani e ispanici. Qualche settimana dopo è stata la volta di Michelle, che dal palco di Kalamazoo, in Michigan, ha puntato il dito contro i maschi che, in maggioranza, scelgono Trump che minaccia la libertà e salute riproduttiva delle donne: “Se non votate bene in queste elezioni, le vostre mogli, figlie e madri saranno danni collaterali della vostra rabbia” ha detto l’ex first lady, riconoscendo che il voto per Trump può essere il modo di esprimere la propria “rabbia”. “Così come uomini siete pronti a guardare negli occhi delle donne e figlie che amate per dire loro che avete sostenuto questo assalto alla nostra sicurezza?”, ha poi concluso.
Nel mondo del post #metoo, Trump infine ha conquistato terreno non solo tra maschi afroamericani e ispanici, ma anche all’interno di un’altra componente fondamentale della coalizione dem: i giovani, in particolare i voti dei giovani maschi delle frat house universitarie, delle tifoserie sportive, il cosiddetto bro vote. “I giovani maschi spesso sentono che se fanno domande vengono etichettati come misogini, omofobi o razzisti – spiega alla Bbc John Della Volpe, direttore dei sondaggi del Harvard Institute of Politics – sentendosi frustrati e incompresi, vengono risucchiati nella bro culture di Trump e Elon Musk. Guardano alle priorità dei dem, donne, aborto, cultura Lgbt, e si domandano ‘e noi’?”.
Esteri
Eleonora Abbagnato: “Rinascita Notre-Dame sia segnale...
L'étoile internazionale e direttrice del corpo di ballo dell'Opera di Roma: "Un luogo di grande forza legato anche a uno dei balletti a cui sono più affezionata, 'Notre -Dame de Paris' di Roland Petit'
"Spero che la rinascita della Cattedrale di Notre -Dame sia un segno di speranza per il mondo intero. Troppe guerre, troppi conflitti: è quello che ogni mattina ascolto in tv. Come diceva Martha Graham, il futuro dell'umanità è nella condivisione degli obiettivi, legati soprattutto alla pace, alla fratellanza, alla solidarietà". E' quanto dichiara l'étoile internazionale e direttrice del corpo di ballo e della scuola del Teatro dell'Opera di Roma, Eleonora Abbagnato, 'stella' dell'Opéra di Parigi dal 2013 al 2021, commentando con l'Adnkronos l'apertura, dopo cinque anni di restauri, della Cattedrale di Notre-Dame nella capitale francese.
"Un luogo per me sacro - aggiunge - di grande forza, di profonda spiritualità. Un luogo simbolo della città e della sua identità. Accanto alla Tour Eiffel edificio imprescindibile. Quando vengono a Parigi i miei amici, soprattutto se non hanno mai visitato la città, sono i monumenti che andiamo a visitare sempre insieme". La Basilica di Notre -Dame è anche legata ad uno dei capolavori della letteratura coreografica del '900, 'Notre -Dame de Paris', creata da Roland Petit, e di cui ricorrono nel 2025 sessanta anni dal debutto. "Uno dei balletti ai quali sono più legata - prosegue l'étoile internazionale-. Ero a Parigi nel corpo di ballo di Palais Garnier il grande maestro francese mi vide e si ricordò che avevamo lavorato insieme nella 'Bella Addormentata, avevo solo 12 anni, ero Aurora bambina. Mi chiamava 'ma petite italienne', mi affidò il ruolo della protagonista, Esmeralda. Ricordo che qualche giorno prima di cominciare le prove - prosegue- ritornai a visitare Notre-Dame per captare e fare mia quell'energia intensa e fantastica che sprigiona la cattedrale, ma anche i suoi misteri. Sembra di sentirlo il povero e innamorato Quasimodo".
Eleonora Abbagnato ritorna a parlare dell'incendio che si sprigionò nella notte tra il 15 e il 16 aprile 2019. "Ricordo quel giorno, mi trovavo nella capitale francese - racconta ancora - Per tutti noi fu uno vero e proprio shock, immagini di un film che non avremmo mai voluto vedere. Pensavamo che una devastazione simile non sarebbe mai accaduta, Notre-Dame rimane per me un luogo inviolabile. Domani assisteremo alla sua rinascita", conclude.
Esteri
Trump presidente, Elon Musk ha investito 277 milioni per...
E' scritto nero su bianco nell'ultimo rapporto della Commissione elettorale federale sui finanziamenti politici
E' di almeno 277 milioni di dollari la somma che Elon Musk ha versato per la vittoria di Donald Trump e dei repubblicani nelle elezioni del 5 novembre. L'investimento del numero 1 di X e Tesla, destinato ad avere un ruolo di primo piano nella nuova amministrazione, è scritto nero su bianco nell'ultimo rapporto della Commissione elettorale federale sui finanziamenti politici: il documento dà la misura dell''all in' da parte dell'uomo più ricco del mondo nel ritorno alla Casa Bianca del tycoon.
Come è noto gran parte dei finanziamenti sono andati ad America Pac, il super Pac che Musk ha creato, senza grandi clamori, in primavera e che, con fondi esclusivamente suoi, è stato lo strumento cruciale nella fase finale della campagna per mobilitare gli elettori pro Trump negli stati chiave, anche con iniziative controverse come i soldi dagli elettori per firmare un manifesto pro Trump ed il milione di dollari che quotidianamente messo in palio tra i firmatari.
Dal rapporto emergono anche gli oltre 20 milioni che Musk ha donato - anche qui unico finanziatore - ad un gruppo poco noto che ha cercato di convincere gli elettori, in particolare le donne, che Trump non firmerà un divieto nazionale dell'aborto. Il gruppo si chiama Rbg Pac, con quello che sembra un riferimento Ruth Bader Ginsburg, tanto che la nipote della scomparsa giudice della Corte Suprema, simbolo delle femministe americane, ha dichiarato questa scelta "un'offesa alla memoria di mia nonna".
Esteri
Crisi governo Francia, Le Pen gela Macron: “Posso...
La capogruppo Rn all'Assemblea Nazionale francese: "Che nessuno pensi che d'ora in poi avrò le mani legate"
"Che nessuno pensi che d'ora in poi avrò le mani legate. Posso benissimo votare ancora una volta una mozione di censura". A dichiararlo è stata la capogruppo Rn all'Assemblea Nazionale francese, Marine Le Pen, in un'intervista a 'Le Figaro', dopo che ieri il presidente francese, Emmanuel Macron, nel discorso alla nazione all'indomani del voto di censura contro il governo di Michel Barnier, ha annunciato che la Francia avrà un nuovo premier nei prossimi giorni.
Le Pen ha giudicato il discorso del presidente francese "pericoloso" ed ha parlato di un "presidente alla deriva, isolato, che cerca di riprendere il controllo in un tentativo disperato, anche calpestando le nostre istituzioni".
Le linee rosse di Macron
Sono due le linee rosse di Macron per il nuovo governo, secondo quanto indicato dallo stesso presidente francese in un incontro con i suoi parlamentari. Ne riferisce Bfmtv, secondo cui Macron non vuole nominare un premier socialista fino a quanto il Ps continuerà a essere alleato de La France Insoumise di Jean-Luc Melenchon. In secondo luogo, l'altra condizione posta dal presidente è che non sia 'disfatta' la legge sulla riforma delle pensioni.
"Noi non parteciperemo in alcun caso a un governo con un premier di destra", ha detto il leader socialista francese, Olivier Faure, parlando dopo l'incontro all'Eliseo con Macron.
Per il presidente del partito centrista MoDem, François Bayrou, il cui nome è stato fatto tra quelli che potrebbero aspirare a Matignon, "il centro, solo, non può essere la risposta ma la scelta del centro può riunire gente diversa, si possono superare le divisioni, specialmente quando la situazione del Paese è molto inquietante e molto grave". "Quello che si impone sono unioni di personalità che conservano le loro idee ma decidono di lavorare insieme. E' la vocazione del centro a riunire", ha dichiarato parlando con Lci.