Pietro e Maria sono rientrati a casa, i neosposi erano scomparsi a Caserta
La notizia sul profilo Facebook di 'Chi l'ha visto?'. Aperta un'inchiesta. Il sindaco di Cesa: "Li incontrerò, abbiamo attivato i servizi sociali"
Sono rientrati a casa Maria Zaccaria e Pietro Montanino. A darne notizia è la trasmissione 'Chi l'ha visto?' sul suo profilo Facebook. I neosposi di Frattamaggiore, a Napoli, ma residenti a Cesa in provincia di Caserta erano scomparsi nel nulla martedì 29 ottobre.
I due erano usciti a piedi senza dire dove andavano, hanno lasciato i figli in compagnia dei nonni e hanno fatto l'ultima telefonata martedì alle 17 circa, per avvisare la sorella di lei che avevano avuto un imprevisto ed era necessario andare a riprendere il bambino al calcetto. Da quel momento il telefono di Pietro era stato irraggiungibile. Quello di Maria invece era stato lasciato a casa.
Aperta un'inchiesta
La Procura di Napoli Nord ha aperto un'inchiesta sulla scomparsa e il ritorno a casa dei neosposi. Dopo la denuncia di scomparsa presentata dai familiari, sul caso stanno indagando i carabinieri della stazione di Frattamaggiore, i quali stanno approfondendo le circostanze della scomparsa coordinati dalla procura di Napoli Nord.
Il sindaco di Cesa
''Non li ho ancora incontrati. Stasera ho sentito la mamma di lei e mi ha detto che nei prossimi giorni la figlia Maria verrà in Comune a parlare con me. Nel frattempo abbiamo attivato i servizi sociali e penso che già domattina si muoveranno per verificare l'idoneità genitoriale. Anche i Carabinieri faranno una segnalazione al Comune. Era doveroso farlo perché per alcuni giorni questi bambini sono stati di fatto abbandonati'' dice all'Adnkronos il sindaco di Cesa Enzo Guida. Un'idea di quello che è accaduto? ''Francamente no. Mi auguravo che, visto anche il clamore mediatico, chiarissero le ragioni del loro gesto, ma a quanto pare non hanno dato una motivazione ufficiale''.
Cronaca
Caramanna (procuratore minori): “Il 44,6% dei bambini...
"Divieti non sono strada giusta, bisogna educare figli a recuperare rapporto con la realtà"
"Il 44,6% di bambini nella fascia tra i 6 e i 10 anni quotidianamente utilizzano internet ed accedono a piattaforme come TikTok, Instagram o altro. E' chiaro che questo crea i presupposti per una dipendenza in età futura. Tutti gli studi internazionali sconsigliano fino ai due anni l'uso della televisione, immaginiamo cosa significa consegnare i cellulari a dei bambini senza rendersi conto dei danni che tutto questo crea nei minori perché genera una vera e propria dipendenza dai social". Così il procuratore del tribunale dei minori di Palermo Claudia Caramanna parlando a margine del forum 'Il contrasto alla criminalità tra l'utilizzo dei social, cybercrime e nuove dipendenze' organizzato a Palermo dalla Fondazione Magna Grecia.
Sulla possibilità di vietare i social ai minori, Caramanna è abbastanza scettica: "Dobbiamo essere chiari, onestamente non credo che di possa riuscire a farlo". La strada invece è quella di "cambiare l'impostazione culturale, cioè cercare di educare i nostri figli a recuperare il rapporto con la realtà. Quindi uno spazio maggiore per le relazioni vere, i rapporti con i propri genitori, con la natura, credo che questa sia la strada giusta".
L'utilizzo smodato dei social da parte dei giovani e altre forme di dipendenze, come l'uso di droghe, "sono fenomeni correlati, che vivono in parallelo, perché quello che li accomuna è l'isolamento di questi ragazzini, la fragilità delle nuove generazioni".
"Queste generazioni vivono in un contesto sociale assolutamente incerto - aggiunge - in cui quello che vale è l'apparenza, in cui devi primeggiare, in cui non c'è spazio per le fragilità e la diversità e questo vuoto interiore viene colmato, chiaramente in modo illusorio, con l'utilizzo smodato dei social, con la ricerca del like e del follower e anche con il consumo di sostanze stupefacenti".
Cronaca
Giulia Cecchettin, Turetta scrive dal carcere: “Per...
"Non ho mai chiesto perdono e non mi sentirei di farlo neanche in questo momento e non perché non sono pentito di quello che ho fatto o perché possa non interessarmi. Penso che solamente pensarci in questo momento sarebbe ridicolo e fuori luogo"
Il doppio filo che lega Giulia Cecchettin a Filippo Turetta è teso tra la 'paura per lui' e la 'paura di lui' e quando la carta del suicidio come ricatto non funziona l'asfissiante manipolatore diventa assassino. "O lei o niente" è una delle frasi che qualche giorno prima del delitto dell'11 novembre del 2023 inizia a ronzare con insistenza nella testa del ventiduenne. "Faccio fatica a scriverlo - mette nero su bianco in carcere (IL TESTO) - perché adesso mi sembra ridicolo e brutto come pensiero, ma mi sembrava ingiusto che io avessi intenzione di suicidarmi e lei in questo non avrebbe vissuto e avuto alcuna conseguenza quando, secondo me, quei giorni - per la maggior parte - erano le sue scelte ad avermi portato a quella situazione. E' veramente difficile da ammettere ma la verità è che avevo pensato che avrei potuto toglierle la vita".
La relazione virata in amicizia è solo un compromesso per continuare a esercitare da vicino il controllo da parte di chi, timido e impacciato, teme di venire escluso. Giulia diventa un'ossessione: "Nella mia testa non ci sarebbe mai potuta essere una persona diversa da lei nella mia vita. O lei o niente". Lei "era tutto per me. Io avevo concentrato tutta la mia vita su di lei e in un certo senso tutto quello che facevo lo facevo perché la riguardava in qualche modo. (…) Lei era la prima ed unica per me a qualunque costo il nostro destino era di restare insieme per sempre ed era tutto quello che volevo e per cui avrei fatto qualsiasi cosa". Di fronte al nuovo rifiuto di tornare insieme, l'"egoista" Turetta - incapace di immaginare un dopo - si arma. "Non vedevo la minima luce a cui aggrapparmi. Lei si stava sempre più allontanando da me in quel momento e non vedevo nessuna possibile inversione di rotta all'orizzonte, anzi".
L'idea di dover partecipare insieme alle feste di lauree, gli causa "un'ansia insopportabile" scrive. "Dover festeggiare ed essere partecipativo e sorridente mentre nel frattempo dentro mi sentivo vuoto e pieno solo di emozioni negative e intanto essere in mezzo a così tante persone che mi vedevano e vedevano lei e sapevano che mi aveva lasciato e vedevano lei tranquilla e sorridente e io avrei dovuto sforzarmi al massimo invece. Mi sembrava tutto così pesante e insopportabile. Troppa vergogna e difficoltà a incrociare gli sguardi di tutti senza riuscirci". La capacità di Giulia di andare avanti senza lui appare a Filippo "un incubo totale" e allora decide di uccidere.
In carcere Turetta accumula pensieri sulla rabbia e il controllo, scrive scuse per alleggerire se stesso, resta ancorato alla mano tesa dei suoi genitori, sa che il perdono non può essere chiesto né accettato. "Le scuse mi sembrano così minuscole rispetto al dolore che ho causato a lei e a tante altre persone e all’ingiustizia gravissima che ho commesso. Per gli stessi motivi non ho mai chiesto perdono e non mi sentirei di farlo neanche in questo momento e non perché non sono pentito di quello che ho fatto o perché possa non interessarmi. Penso che solamente pensarci in questo momento sarebbe ridicolo e fuori luogo".
E aggiunge: "Quello che ho fatto è veramente terribile e grave e penso che sia molto, ma molto difficile perdonare delle azioni di questo genere. E semmai fosse ammissibile una minima apertura su un discorso di perdono io penso sia necessario tempo, molto tempo. (…) Io non mi sentirei affatto di volere o chiedere del perdono a nessuno in questo momento. Anche se fosse concesso io penso non sarebbe reale sentito ma sarebbe qualcosa che mi sembra un po' falso, superficiale. Mi dispiace. Mi dispiace infinitamente per tutto quello che ho fatto".
Cronaca
Violenza su donne, numerose le iniziative presentate...
Da oggi presso l’ateneo è attivo uno sportello a cui possono rivolgersi tutte le persone della comunità accademica
Sono state tante le iniziative presentate in occasione dell’evento “Gli strappi della violenza: riflessioni e azioni dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca”: da oggi presso l’ateneo è attivo uno sportello antiviolenza a cui possono rivolgersi tutte le persone della comunità accademica ed è stata avviata una campagna di sensibilizzazione che mira a raggiungere chiunque possa avere bisogno di aiuto. Durante l’incontro la rettrice dell’Università di Milano-Bicocca Giovanna Iannantuoni ha anche consegnato i premi in memoria di Sofia Castelli, la studentessa brutalmente assassinata lo scorso anno.
I vincitori dei premi di laurea “Sofia Castelli” sono Valentina Rinaldi con la sua tesi “La valutazione del rischio nelle situazioni di violenza domestica. Il Domestic Abuse Stalking and Honour-based violence (DASH) model come strumento innovativo nel contesto italiano” e Antonio Sibilia con la sua tesi “Cori antichi e narrazioni odierne: dalle voci supplicanti (ἱκέτης) di Eschilo al sistema di protezione internazionale”.
''Nel nostro ateneo da anni siamo in prima linea per combattere ogni forma di violenza e molestia, con iniziative di sensibilizzazione, formazione e soprattutto con azioni di supporto alle vittime. Va in questa direzione la creazione dei premi di laurea “Sofia Castelli” che considero un passo importante verso la promozione della consapevolezza e della ricerca su un tema cruciale per la società contemporanea. E anche un modo per tenere acceso il ricordo di Sofia la cui vita è stata spezzata in modo così atroce'', spiega la rettrice Iannantuoni.
''Per essere il più concreti possibile abbiamo anche attivato lo sportello antiviolenza che sarà un luogo sicuro al quale rivolgersi per chiedere aiuto''. A spiegare le modalità di accesso e di funzionamento del servizio è stata la professoressa Patrizia Steca, presidente del CUG, il Comitato Unico di Garanzia di Milano-Bicocca. Destinato a prevenire e contrastare ogni forma di violenza contro le donne, a ricevere le vittime, a offrire loro protezione e a predisporre percorsi di uscita dalla violenza, lo sportello è un traguardo per l’ateneo e sarà aperto a tutta la comunità accademica, dalle studentesse alle professoresse, alle ricercatrici e a tutto il personale che lavora all'università.
''Ci siamo convenzionati con due centri antiviolenza già attivi sul territorio, ovvero CADMI-Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano e l'associazione SVS-Donna Aiuta Donna Onlus'', ha spiegato Patrizia Steca. ''Questo ci permette di avere persone già formate e con grande competenza per offrire supporto in casi di violenza''. Manuela Ulivi, presidente del CADMI, e Alessandra Kustermann di SVS sono intervenute per spiegare quanto sia importante avere una rete con un esperto sempre reperibile e pronto a rispondere al telefono. Tutte le informazioni per accedere al servizio sono disponibili alla pagina web dedicata. Per essere sempre più vicini agli studenti e alle studentesse e per aiutarli a riconoscere le relazioni tossiche è stata realizzata anche una guida di autovalutazione messa a punto da Marina Calloni, direttrice del Centro di studi dipartimentale ADV (Against Domestic Violence). Come si può auto-valutare il rischio che si corre? E quando chiedere aiuto? Nel documento, scaricabile dalla cartella stampa, si possono trovare indicazioni utili per riconoscere i segni di manipolazione e di violenza anche quando è economica, psicologica e digitale. Inoltre è stata lanciata la campagna “Rifletti per cambiare” grazie alla quale saranno affissi sugli specchi delle toilette dell'università adesivi con frasi motivazionali per incoraggiare le vittime a chiedere aiuto. Alcuni esempi? “Nessuno ha il diritto di farti sentire meno di ciò che sei”; “L’isolamento è un segnale di controllo. Non permetterlo”; “Non lasciare che ti convincano del contrario. La violenza psicologica è reale”.
Durante l’incontro, la professoressa Patrizia Farina del dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale ha presentato le iniziative di indagine su violenze e molestie che si stanno svolgendo all’interno della comunità accademica di Milano-Bicocca, nella convinzione che conoscere più a fondo la realtà dell’ateneo sia fondamentale per creare un ambiente sempre più sicuro e inclusivo per tutti.
L’artista Patrizia Benedetta Fratus ha infine introdotto REMAKE, l’opera collettiva di arte sociale che ha coinvolto la comunità accademica e la cittadinanza per il resto della giornata al piano -1 dell’edificio Agorà. I visitatori sono stati invitati a tessere una grande rete in diversi toni di rosso con molti squarci al suo interno: ognuno ha potuto ripararli nella misura e nella modalità di cui era capace, generando così un nuovo segno e ricucendo a suo modo gli strappi della violenza. Le riflessioni conclusive sono state affidate alla professoressa Maria Grazia Riva, presidente dell’Osservatorio Pari Opportunità.