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La storia del telefono cellulare: Dal sogno alla rivoluzione delle comunicazioni

Proviamo a immaginare com’era la vita senza i telefoni cellulari. Strano, vero? Oggi sembra quasi impossibile pensarci, ma c’è stato davvero un tempo in cui tutto questo semplicemente non esisteva. Immaginate di voler parlare con qualcuno e dover per forza trovare un telefono fisso, o magari aspettare di tornare a casa per fare quella chiamata. Magari eravate per strada, sotto la pioggia, cercando una cabina telefonica che funzionasse e spesso le monete finivano proprio sul più bello. Niente messaggi veloci, niente videochiamate, niente selfie da mandare al volo. Insomma, era un altro mondo. Nessuna possibilità di prenotare un taxi all’ultimo momento o di chiedere indicazioni semplicemente guardando lo schermo del vostro telefono.

Tutte queste piccole comodità che oggi diamo per scontate, un tempo erano sogni irraggiungibili. Gli smartphone che ormai ci portiamo dietro ovunque sono il risultato di anni di prove, errori, fallimenti e sogni grandi. Ci sono stati momenti di successo, ma anche tanti fallimenti e ognuno di questi ci ha portato più vicini a quello che oggi consideriamo normale. Ma da dove è partito tutto? Andiamo a scoprirlo passo dopo passo, tra storie pazze e momenti epici. Prendetevi un po’ di tempo, la storia è più incredibile di quanto si possa immaginare.

Dove tutto comincia: i primi esperimenti

Allora, la storia del telefono cellulare inizia con tentativi che sembrano quasi pazzie. Parliamo degli anni ’40, quando c’erano questi pionieri, veri e propri visionari, che facevano esperimenti senza neanche sapere se sarebbero riusciti. Tutto comincia nei laboratori della Bell Labs, una divisione di AT&T. Immaginate questi scienziati, chiusi in stanze piene di cavi e valvole, roba strana che forse manco noi capiremmo. Già negli anni ’40, stavano provando a inventare qualcosa che somigliasse alla telefonia mobile. Ma lasciate perdere: era tutto rudimentale, un disastro. Nel 1946, Bell mise insieme la prima rete mobile, ma non pensate ai cellulari che conosciamo oggi: erano enormi, installati sulle automobili, pesanti e scomodissimi. Altro che metterli in tasca, impossibile!

Nel frattempo, in altre parti del mondo, nessuno stava con le mani in mano. Negli Stati Uniti, la RCA stava facendo esperimenti con nuovi sistemi di comunicazione radio. In Europa, la Plessey cercava di migliorare la copertura e la qualità del segnale. Ma qual era il problema più grande? La “banda”. Non c’era abbastanza spazio per tutte le chiamate, una specie di ingorgo telefonico continuo. L’idea di avere una piccola scatoletta in tasca per parlare con qualcuno dall’altra parte del mondo? Beh, scordatevelo. Era pura fantascienza, un sogno lontanissimo.

Il momento storico: Martin Cooper e il primo vero cellulare

Per arrivare a parlare di telefoni cellulari veri e propri, dobbiamo spostarci negli anni ’70. E qui entra in gioco Martin Cooper, uno di quei tipi che cambiano tutto. Martin Cooper, ingegnere in Motorola, viene ricordato come il “padre” del telefono cellulare. Siamo al 3 aprile 1973 e sapete cosa fa? Prende questo enorme aggeggio, un mattone di nome DynaTAC 8000X, pesante come un dannato chilo e chiama il suo rivale, Joel Engel di Bell Labs. Una cosa tipo: “Hey Joel, ce l’abbiamo fatta!”. Provate a immaginarvi la scena: un telefono che pesava più di una bottiglia d’acqua, con un’autonomia ridicola di 30 minuti dopo 10 ore di ricarica… eppure, era magia pura.

Cooper e il suo team ci avevano messo l’anima in quel progetto. Tre anni di ricerca, prove e tanti problemi da risolvere. Dovevano capire come rendere più piccoli tutti quei componenti elettronici, come far sì che la batteria durasse abbastanza da fare almeno una chiamata decente. Non era facile, affatto. Ma alla fine ce l’hanno fatta. Quel giorno d’aprile ha cambiato tutto. La telefonia mobile, che fino a quel momento sembrava da film di fantascienza, stava diventando realtà.

Gli anni ’80: la prima commercializzazione

Dopo quella chiamata epica di Cooper, passano altri dieci anni… dieci anni! Prima che il primo cellulare vero e proprio finisse nelle mani del pubblico. Arriva il Motorola DynaTAC 8000X, nel 1983. E sapete qual era il prezzo? Tenetevi forte: circa 4.000 dollari. Cioè, una piccola fortuna per quei tempi, roba da pochi eletti. E infatti, nonostante il prezzo assurdo, il DynaTAC diventò subito un simbolo di status. Lo vedevi nelle mani di uomini d’affari e di quei pionieri digitali pieni di soldi che volevano far vedere che erano avanti.

E questi telefoni, in quegli anni, erano proprio dei mattoni: enormi, pesanti, con pochissime funzioni. Facevano una cosa sola e facevano pure fatica: le chiamate vocali. Niente messaggi, niente app, niente fotocamere. Praticamente era un telefono fisso, ma senza il filo, che però potevi portarti dietro… sempre che avessi abbastanza forza per farlo!

Il boom degli anni ’90: GSM e la democratizzazione del cellulare

Gli anni ’90… che anni! I telefoni cellulari cambiarono completamente. Le vecchie reti analogiche? Un disastro: limitate, piene di interferenze. Piano piano, però, queste reti vennero sostituite dal GSM (Global System for Mobile Communications) e fu un vero punto di svolta. Era il 1991 e l’Europa per prima disse: “Facciamo qualcosa di diverso, rendiamo queste reti standard per tutti!”. E il GSM permise proprio questo: ora potevi usare il cellulare anche fuori dai confini del tuo Paese. Tutto questo fece decollare la produzione di massa e i costi iniziarono a scendere. Fu un momento decisivo.

E poi, sempre negli anni ’90, i telefoni stessi cominciarono a cambiare aspetto: sempre più piccoli, leggeri e finalmente un po’ meno costosi. Nokia, Ericsson e altri brand iniziarono a creare modelli che non erano più dei mattoni, ma qualcosa che la gente poteva usare senza troppi problemi. Chi se lo dimentica il Nokia 3210, uscito nel 1999?? Quello sì che era un telefono: robusto, con il mitico Snake che ci ha fatto perdere ore intere. Subito un successo tra giovani e adulti, un pezzo di storia.

Ma già qualche anno prima, nel 1996, Motorola aveva fatto parlare di sé con un altro colpo di genio: il Motorola StarTAC. Il primo telefono a conchiglia, piccolo, leggero, finalmente qualcosa che potevi davvero infilare in tasca senza sembrare un cyborg. Era un simbolo, un oggetto che faceva dire a tutti: “Wow, guarda che roba!”. Non era solo pratico, era figo. La gente impazziva per questo telefono. Non più un mattone, ma qualcosa di davvero portatile. Il StarTAC ha segnato un passaggio importante, quasi un anticipo dei telefoni moderni. È stato un successo enorme e ha dato il via a tutto ciò che è venuto dopo.

E poi, il Nokia 3310… chi non se lo ricorda? Snake, la resistenza infinita, cadute che avrebbero distrutto qualsiasi altra cosa, ma non lui! Era diventato un’icona e senza dubbio ha contribuito alla diffusione dei cellulari come pochi altri modelli.

E poi, negli anni ’90, c’è un’altra piccola rivoluzione. Gli SMS. Sì, i messaggini. Allora, pensate un attimo: il primo messaggio di testo venne mandato nel 1992. Sì, era un semplice “Merry Christmas”. Roba semplice, niente di epico. Mandato da un computer a un cellulare. Una cosa piccola, ma se ci pensate bene, era l’inizio di qualcosa di enorme. Niente di che, vero? Ma fu solo l’inizio. Da lì in poi, i messaggi di testo diventano uno dei modi più popolari per comunicare. Un “dove sei?”, un “ti voglio bene”, tutto in pochi caratteri. Qualcosa che cambia le relazioni, il modo di parlare, tutto quanto.

Gli anni 2000: la nascita degli smartphone

E poi, eccoci agli anni 2000. Il cellulare smette di essere solo per chiamare. Diventa molto di più. Iniziano a chiamarli smartphone. La vera svolta arriva con il BlackBerry: email sul telefono, internet sempre con te. Nokia, ovviamente, non rimane a guardare. Nel 1996 lancia il Nokia Communicator, qualcosa che cercava di unire le funzionalità di un computer con un telefono. Era strano, ma era un inizio. Un tentativo di fare qualcosa di diverso, di innovativo. E non era l’unico. Tutti volevano essere i primi a creare il vero smartphone.

Ma il vero spartiacque? Beh, arriva nel 2007. E chi c’era? Steve Jobs. Sale sul palco e presenta al mondo l’iPhone. Una presentazione pubblica e il pubblico resta senza parole. Jobs tira fuori questo dispositivo e non è solo un telefono: è un lettore musicale, un navigatore, tutto in uno. La reazione? Incredibile, la gente impazzisce. L’entusiasmo è immediato, le notizie esplodono ovunque, tutti ne parlano. Non è solo un salto tecnologico, è un fenomeno culturale.


La gente fa la fila fuori dagli Apple Store, ore e ore, persino giorni interi, pur di essere tra i primi a metterci le mani sopra. Questo dispositivo segna davvero l’inizio di qualcosa di nuovo, l’era degli smartphone. Cambia per sempre il nostro modo di vivere la tecnologia. Non era solo un telefono, era tutto: una fotocamera, un lettore musicale, un navigatore. Un piccolo computer in tasca, con quella interfaccia touch che cambiava tutto. L’iPhone ridefinisce cosa significa avere un cellulare. E poi, arriva l’era degli app store: puoi scaricare funzionalità, giochi, strumenti di lavoro, social network. Un mondo tutto nuovo e tutto a portata di mano.

Le reti 3G e 4G: connessione sempre più veloce

Ma, diciamocelo, uno smartphone senza una rete come si deve, non avrebbe cambiato molto. E qui entra in gioco il 3G. Prima, navigare in internet era una roba da matti, lento come una tartaruga. Poi arriva il 3G e finalmente la navigazione diventa qualcosa di sopportabile, più fluida, più veloce. Ma non ci fermiamo lì. Dopo un po’, ecco il 4G. Era il 2010 e all’improvviso tutto cambia ancora. Streaming di video in alta definizione, applicazioni che divorano dati senza problemi. E così il cellulare non era più solo per fare chiamate o mandare messaggini. No, diventava lo strumento per guardare contenuti multimediali, Youtube, Netflix, tutto a portata di mano. Insomma, lo smartphone diventa una finestra vera e propria sul mondo.

I giorni nostri: 5G e il futuro del cellulare

Oggi siamo nell’era del 5G. Roba veloce, velocissima. Promette cose mai viste prima, tipo la realtà aumentata, la realtà virtuale e poi tutte quelle applicazioni avanzate per l’Internet delle Cose. Pensateci un attimo: i telefoni di oggi, tipo gli ultimi iPhone o Samsung Galaxy, sono praticamente dei supercomputer che fanno sembrare i computer usati per andare sulla Luna negli anni ’60 delle calcolatrici giocattolo. Assurdo, no?

E il futuro? Dove andremo a finire? Qualcuno dice dispositivi indossabili, roba da tenere addosso tutto il tempo. Occhiali smart, auricolari che non ti togli mai, sempre connessi, senza neanche dover tirare fuori il telefono dalla tasca. Oppure, cose ancora più folli: chip sottopelle, comunicazione invisibile. Magari l’intelligenza artificiale farà tutto per noi, senza nemmeno accorgercene. Chissà… sembra fantascienza, ma piano piano, ci stiamo arrivando davvero.

Un cambiamento culturale profondo

Il telefono cellulare non ha solo cambiato come comunichiamo, ha stravolto il modo in cui viviamo. Negli anni ’80 era un affare per businessman, roba da gente con la valigetta. Poi, anni ’90 e 2000, boom: diventa un oggetto di massa, ce l’avevano tutti. E oggi? Beh è praticamente un pezzo di noi, una estensione del nostro corpo. Pensateci: quante volte al giorno lo controllate? È il nostro calendario, ci dice dove andare, ci fa da macchina fotografica, ci tiene in contatto con tutti. Non possiamo farne a meno.

Questa rivoluzione del cellulare è stata così profonda che ha cambiato tutto: cultura, relazioni, persino la psicologia. Ci ha reso dipendenti, ma allo stesso tempo ci ha dato opportunità incredibili di connessione e accesso all’informazione. Insomma, è una lama a doppio taglio. Ha cambiato le regole del mondo del lavoro, permettendo il remote working e nuove forme di business.

Un viaggio incredibile che continua

La storia del telefono cellulare è fatta di tutto: innovazione continua, tentativi assurdi, fallimenti, sogni, successi… un mix di tutto. Immaginate Martin Cooper, nel 1973, che chiama il suo rivale con un apparecchio enorme, un “mattone” che pesava un chilo. E da lì, passo dopo passo, errori su errori, alla fine siamo arrivati ai dispositivi di oggi, quelli che ti porti in tasca e sono più potenti di un computer da tavolo di vent’anni fa. È stato un viaggio lungo, strano, pieno di colpi di scena. Affascinante, insomma.

Ma non è finita qui: il viaggio continua. Ogni anno vediamo nuove funzionalità, nuove tecnologie, nuovi modelli. E chissà come sarà il telefono cellulare tra venti o trent’anni. Forse non avremo nemmeno più bisogno di un “telefono” come lo intendiamo oggi. Forse comunicheremo direttamente con la nostra mente. O forse torneremo a riscoprire il piacere della conversazione faccia a faccia, senza schermi a separarci.

D’ora in poi potrebbe succedere qualsiasi cosa. Ma una cosa è sicura: il cellulare, un oggetto che abbiamo sempre in tasca, ha davvero cambiato tutto. Una svolta epocale. Siamo solo all’inizio e questa tecnologia, non sappiamo neanche dove ci porterà ancora. Siamo all’alba di qualcosa di enorme e ci stiamo solo scaldando i motori.

Il telefono cellulare non è solo tecnologia, è l’evoluzione di un sogno che ha cambiato il nostro modo di vivere, comunicare e sognare il futuro.” – Junior Cristarella

Animato da un’indomabile passione per il giornalismo, Junior ha trasceso il semplice ruolo di giornalista per intraprendere l’avventura di fondare la sua propria testata, Sbircia la Notizia Magazine, nel 2020. Oltre ad essere l’editore, riveste anche il ruolo cruciale di direttore responsabile, incarnando una visione editoriale innovativa e guidando una squadra di talenti verso il vertice del giornalismo. La sua capacità di indirizzare il dibattito pubblico e di influenzare l’opinione è un testamento alla sua leadership e al suo acume nel campo dei media.

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Attualità

Truman Capote e la ferita di un delitto: il nuovo sguardo di “Pagine” su Rai 5

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Avvertiamo sempre un brivido, quasi un sussurro inquieto, quando pensiamo a quei delitti che scuotono intere comunità. Voi vi siete mai chiesti che cosa spinga uno scrittore a immergersi così a fondo in un omicidio da farne un romanzo-capolavoro? In “A sangue freddo” Truman Capote fece esattamente questo, scavando nella tragica vicenda della famiglia Clutter e finendo per portarsi dietro un peso enorme. Adesso, questo stesso racconto torna sotto i riflettori grazie al documentario di Julien Gaurichon e Frédéric Bas, che lunedì 24 marzo verrà proposto in seconda serata su Rai 5, all’interno di “Pagine”.

La voce di Federica Sciarelli: dal crimine narrato al crimine reale

Nel nuovo programma di Rai Cultura, ci affacciamo su scenari di letteratura che spesso s’intrecciano con la cronaca. Ed è proprio Federica Sciarelli, popolare volto di “Chi l’ha visto”, a introdurre il mondo di “A sangue freddo”. Sentiamo tutta l’intensità di chi ha familiarità con storie difficili, perché la Sciarelli di crimini ne ha raccontati tanti e sa bene quanto possa pesare l’eco di un fatto violento.

Noi immaginiamo la vita a Holcomb, in Kansas, nel 1959. Un posto tranquillo dove improvvisamente accade qualcosa di mostruoso: quattro membri della famiglia Clutter vengono trovati assassinati il 15 novembre. Capote, ancora noto soprattutto per “Colazione da Tiffany”, resta catturato dalla notizia letta sul “New York Times”. Un crimine così efferato lo spinge a passare cinque anni tra interviste e ricerche, fino alla pubblicazione di “A sangue freddo” nel 1965 sulle pagine del “New Yorker”. Nel 1966 esce il romanzo completo, e quel successo esplode al punto da cambiare la sua vita e quella di una certa narrativa true crime.

Le ombre dei colpevoli e le ferite interiori

Vi siete mai chiesti come reagiremmo davanti a chi ha commesso un massacro? Capote incontrò più volte i due responsabili, Perry Smith e Dick Hickock, ex pregiudicati in libertà vigilata. Ci sconvolge sentire che lui descriveva Perry come colto e sensibile, mentre Dick sembrava incredibilmente pacato. Eppure, nel 1960 furono entrambi arrestati e poi condannati a morte. Cinque anni dopo, Capote assistette alle impiccagioni. Da lì la ferita, un vuoto che lui stesso definì insopportabile: “Nessuno conoscerà mai il vuoto che A sangue freddo ha scavato in me. In qualche modo credo che questo libro mi abbia ucciso”.

Con filmati d’archivio e testimonianze, Gaurichon e Bas riportano alla luce la forza devastante di quella storia e mostrano quanto abbia segnato Capote. Noi ci ritroviamo quasi senza fiato, perché scopriamo un autore diviso fra la voglia di raccontare e il peso di un’esperienza troppo intensa. “Pagine” – curato da Silvia De Felice, Emanuela Avallone e Alessandra Urbani, per la regia di Laura Vitali – ci accompagna lungo questo percorso fra parole e immagini, invitandoci a esplorare la letteratura come specchio della realtà più crudele.

Non sappiamo se avremo mai risposte definitive, ma restiamo uniti in questa riflessione collettiva, mentre la Sciarelli ci introduce a un racconto che vibra ancora di tensione. E forse, alla fine, ci rendiamo conto che l’anima di Capote aleggia ancora su quelle pagine, come se il crimine avesse stretto uno strano patto con la sua penna.

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Attualità

Processo Priebke: l’ombra del passato che ci parla ancora

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Ci sentiamo afferrare alla gola ogni volta che riemerge un episodio legato ai crimini nazisti. Non è semplice, vero? Molti di voi, probabilmente, preferirebbero non rivivere certi ricordi. Eppure sentiamo il dovere di ripercorrere fatti come l’eccidio delle Fosse Ardeatine, perché non possiamo permettere che scivolino nell’oblio.

Un processo fra indignazione e memoria

Il nome di Erich Priebke rimane un simbolo del male: ex ufficiale delle SS, coinvolto in uno dei massacri più atroci del nostro Paese. Nel 1996 lo arrestano in Argentina e lo trasferiscono in Italia. Sembra quasi un film, ma è tutto drammaticamente reale. Il tribunale militare di Roma, in un’aula piccola e soffocante, diventa il palcoscenico di un dibattito giuridico infuocato. La prima sentenza riconosce la colpevolezza di Priebke ma, incredibilmente, dichiara prescritto il reato.

Vi immaginate la rabbia? Familiari delle vittime che protestano, che occupano l’aula, che non riescono ad accettare una conclusione tanto assurda. Eppure quei momenti di tensione hanno contribuito a riaccendere l’attenzione collettiva su un capitolo oscuro della nostra storia. Nel 1997, alla fine, arriva la condanna definitiva all’ergastolo, con un principio che ormai conosciamo bene: i crimini di guerra non vanno in prescrizione.

Sentiamo un fremito nel presentarvi La verità del male – Il processo Priebke, un documentario prodotto da Golem Multimedia, in collaborazione con Rai Documentari e Fondazione Museo della Shoah, che va in onda venerdì 21 marzo in seconda serata su Rai 3. Il racconto, scritto da Giancarlo De Cataldo e Alberto Ferrari, e diretto dallo stesso Ferrari, mette in scena le voci di chi ha vissuto quei giorni intensi: Francesco Albertelli (ANFIM), Giovanni Maria Flick (Ministro della Giustizia di allora), Antonino Intelisano (pubblico ministero del Tribunale Militare) e Riccardo Pacifici, protagonista delle proteste e oggi vice presidente della European Jewish Association. La narrazione di De Cataldo penetra nelle pieghe del passato, mentre la colonna sonora, firmata da Gabriele De Cataldo e il montaggio di Luca Mariani completano un quadro crudo e necessario.

Siamo convinti che un lavoro del genere non sia solo un prodotto televisivo. È un richiamo collettivo a guardare in faccia l’orrore e a non smettere di fare i conti con ciò che è stato. Voi siete pronti a rivivere tutto questo? Noi crediamo che non ci sia scelta: occorre ricordare, sempre.

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Attualità

Mafie, corruzione e innovazione: un viaggio tra resistenza civile, politiche globali e...

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È strano, vero, ritrovarci con tante storie diverse che si intrecciano? Ci fa un po’ girare la testa, perché passiamo dalla lotta contro le mafie qui in Italia a proteste in altre parti del mondo. Eppure, tutto ci appare connesso. Noi stessi sentiamo il bisogno di capire in profondità come questi eventi si influenzino a vicenda. Voi potreste chiedervi: perché accostare tecnologie futuristiche, vicende di repressione politica e corruzione? Forse perché, nel loro complesso, ci mostrano la direzione in cui stiamo andando.

La rincorsa all’AI: soglia del “Sovrumano”

Iniziamo da qualcosa che cattura l’attenzione di tutti: l’intelligenza artificiale. Fino a ieri ci chiedevamo se le macchine potessero mai pensare. Ora siamo arrivati a porci una domanda più inquietante: quando supereranno le nostre abilità? Abbiamo ascoltato il parere di Nello Cristianini, professore all’Università di Bath, che sembra convinto di una prossima svolta. Ci dice che le IA non si limiteranno a eguagliare le nostre competenze, ma potrebbero addirittura superarle. C’è un brivido che corre lungo la schiena. Siamo davvero pronti?

Eppure, questa corsa alla tecnologia non è così astratta. È connessa al modo in cui gestiamo il potere, le libertà individuali e persino la trasmissione del sapere. Senza rendercene conto, l’AI irrompe nella nostra vita con una velocità inaudita. Inquieta, appassiona, spaventa. Ci sentiamo sospesi: da un lato siamo entusiasti di scoprire fin dove possiamo arrivare, dall’altro ci domandiamo se stiamo perdendo di vista i nostri valori più umani.

Riflessioni dalla Sicilia: il coraggio di dire no

Parallelamente, entriamo in un mondo che abbiamo appena dietro l’angolo, ma che a volte fingiamo di non vedere: quello delle mafie. Oltre 40 miliardi di euro, un giro d’affari colossale qui in Italia. Lì, nella giornata dedicata al ricordo delle vittime di mafia, migliaia di persone hanno sfilato a Trapani insieme a Libera e Don Ciotti. E ci siamo commossi quando abbiamo incontrato i fratelli Lionti, imprenditori di Niscemi. Loro si sono opposti al pizzo e hanno rischiato di essere ammazzati. Vivono sotto scorta, non vogliono lasciare la Sicilia, e continuano a lavorare fianco a fianco con la federazione antiracket. Uno slancio di determinazione che ci fa sentire un po’ più speranzosi.

Il Procuratore di Caltanissetta, Salvatore De Luca, ha lanciato l’allarme: ci sono sequestri frequenti di armi da guerra. Armi pesanti destinate – dice – a gesti clamorosi. Parla di un mandamento di Cosa Nostra in mano a giovani reclutati con un compenso misero, poche migliaia di euro, per uccidere. Tutto questo scuote la nostra coscienza. E ci fa chiedere se stiamo facendo abbastanza per sostenere chi non si piega.

Corruzione e proteste: drammi condivisi

Potremmo spostarci lontano, in Macedonia, dove un incendio in una discoteca abusiva – un capannone privo di uscite di sicurezza – ha causato 59 vittime e 155 feriti. Una strage che ha scioccato il Paese e che ha scatenato proteste furiose contro la corruzione. Non sono bastati gli arresti dei responsabili e le dimissioni del sindaco. In Serbia, intanto, da quattro mesi non si fermano le manifestazioni iniziate dopo il crollo di una pensilina, costato la vita a 15 persone. Più proteste, più rabbia, più richieste di cambiamento. E noi ci chiediamo: quante altre tragedie dovranno avvenire prima che le istituzioni intervengano davvero?

Tagli e repressione: gli Stati Uniti di Trump

Da un’altra parte del mondo troviamo un altro scontro. Trump vs Campus. Forse alcuni di voi hanno sentito parlare di Mahmoud Khalil, studente siriano di origine palestinese, con una famiglia, una green card e una laurea alla Columbia. La sua detenzione e la minaccia di espulsione hanno sollevato proteste accese a New York. Khalil paga per essere stato un leader delle dimostrazioni a favore della Palestina. E la Columbia rischia pure la perdita di 400 milioni di dollari di fondi federali. Pare che tutti i campus americani siano entrati nel mirino, costretti a tagliare corsi e ricerche su temi sgraditi a Trump: inclusione, riscaldamento globale, ogni cosa giudicata troppo “ribelle”. Sembra un attacco alla libertà di pensiero. A noi pare gravissimo.

Un rifugio per animali (e per noi)

Spostiamoci in Lazio, provincia di Viterbo. Due sorelle gemelle, una avvocata e una medica, hanno deciso di prendersi cura di cani, gatti, pecore non riproduttive e perfino cinghialetti. Hanno creato un rifugio per animali abbandonati, malati o capitati in eredità a chi non li voleva. Sembrava un sogno ingenuo. Invece, con un po’ di donazioni e tanta testardaggine, ci sono riuscite. Noi ammiriamo la loro scelta. Sì, perché ci dimostrano che esiste un modo diverso di vivere e trovare serenità, riscoprendo un contatto autentico con la natura.

I problemi del lago Trasimeno

Nel frattempo, in Umbria, il lago Trasimeno segna un metro e 25 centimetri sotto lo zero idrometrico. Poche piogge e cambiamenti climatici preoccupanti. Il turismo e la pesca ne risentono. Si parla di convogliare l’acqua dal lago Montedoglio, in Toscana, per evitare il peggio. Ma è un progetto da accelerare, prima che arrivi l’estate. Noi, se fossimo in voi, cercheremmo di capire quanto questo specchio d’acqua, il quarto lago d’Italia, rappresenti un patrimonio da non perdere.

Una pausa dai social?

In carne e ossa: secondo alcuni studenti della Civica scuola di cinema di Milano, i “reel” e i video brevissimi su TikTok o simili potrebbero non essere più così irresistibili. C’è voglia di stare insieme, di rallentare. Li vediamo correre e pedalare a mezzanotte per le strade della città, alla ricerca di un contatto vero. Rimane il fatto che, tramite i social, ci si organizza e si condivide ogni novità. È un paradosso che fa sorridere. Ma forse è solo la nostra natura, sempre in bilico tra tecnologia e desiderio di relazione.

Tradizioni giapponesi: spade e cicatrici dorate

Avete mai sentito parlare dei fabbri di katane? In Giappone ne sono rimasti solo 80, custodi di un’arte che esiste da mille anni. Le spade dei samurai non erano concepite come strumenti d’offesa, ma come protezione contro le forze negative. Poi c’è il kintsugi, la riparazione dei vasi rotti con oro fuso. Qualcosa che ci fa riflettere: le ferite si trasformano in elementi preziosi della nostra storia. E noi ci emozioniamo davanti a una cultura che, pur essendo proiettata al futuro, difende le proprie radici.

Come eravamo: Giappone 1963

Concludiamo con un salto indietro. L’archivio di TV7 ci mostra un Giappone del 1963 lanciato verso la modernità: treni rapidi, città in fermento, costruzioni vertiginose. Eppure il confronto con le tradizioni, il ruolo delle geishe e i ritmi antichi era già allora un enigma. Forse è sempre la stessa storia: un popolo in bilico tra evoluzione e rispetto delle proprie origini.

Alla fine di questo viaggio, abbiamo la sensazione di un’umanità che lotta, a volte soffre, e cerca risposte in mille direzioni. Siamo convinti che voi, come noi, abbiate bisogno di queste storie: per trovare il coraggio di resistere o per custodire un ricordo prezioso. Noi, tutti insieme, non dovremmo mai smettere di cercare un equilibrio tra innovazione e radici, tra legalità e libertà. Il resto è un percorso da costruire, un passo alla volta.

Tutto questo e molto altro nel prossimo appuntamento su Rai 1 con TV7, venerdì 21 marzo, a mezzanotte!

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