Schwarzenegger: “Voto per Harris, sono americano prima che repubblicano”
"Con Trump avremmo altri quattro anni di str..., considera i suoi avversari nemici più di Russia, Cina e Nordcorea"
"Sarò sempre un americano prima che un repubblicano. Ed è per questo che questa settimana voterò per Kamala Harris e Tim Walz". Così Arnold Schwarzenegger ha annunciato il suo sostegno alla democratica in un post pubblicato oggi su X. "Io solitamente non faccio endorsement, non sono timido sulle mie convinzioni, ma odio la politica e non mi fido dei politici", ha continuato l'attore che, va ricordato, è stato governatore repubblicano della California.
Nato in Austria e naturalizzato americano, Schwarzenegger ha rivendicato quanto fatto come governatore, ma ora i "repubblicani hanno dimenticato la bellezza del libero mercato, fanno aumentare il deficit e non riconoscono i risultati elettorali". Governator, come era soprannominato quando era in carica in riferimento al film Terminator, afferma di non essere entusiasta neanche delle politiche dem, ma dice che un ritorno di Trump alla Casa Bianca "sarebbe altri quattro anni di str....senza risultati, che ci renderebbero solo più arrabbiati, divisi e pieni d'odio".
Se torna alla Casa Bianca, Trump "dividerà, insulterà, troverà altri modi per essere più anti-americano di quanto sia stato", aggiunge Schwarzenegger che descrive il tycoon come qualcuno che "ha inviato i suoi ad attaccare il Campidoglio mentre li guardava in tv, che non ha nessuna abilità di varare politiche che non siano i tagli fiscali che aiutano i suoi finanziatori e i ricchi, che pensa che gli americani che non sono d'accordo con lui sono nemici peggiori di Cina, Russia e Corea del Nord".
Esteri
Ucraina, Zelensky: “Resistiamo all’assalto di...
"Stiamo resistendo a 50mila soldati russi nel Kursk". L'Ucraina si difende nel territorio della Russia, dice il presidente Volodymyr Zelensky, e non ha intenzione di abbandonare le posizioni nonostante la guerra si sviluppi soprattutto nel Donetsk, dove le forze di Mosca premono senza sosta. E' una strategia ponderata e valutata, dice il leader ucraino, convinto della necessità di mantenere le posizioni.
Le truppe ucraine hanno varcato il confine e invaso la regione di Kursk all'inizio di agosto, In 3 mesi, la Russia ha recuperato parte del territorio ma non ha ripreso il controllo totale della regione, nella quale dovrebbero entrare in scena anche i soldati nordcoreani che Kim Jong-un ha messo a disposizione di Vladimir Putin.
Nel Kursk, secondo analisi di esperti e think tank che monitorano il conflitto, l'Ucraina ha inviato brigate di primissimo livello. Tale decisione rischia di scoprire altre zone del fronte, in particolare nel Donetsk. Zelensky, però, difende la strategia.
L'operazione nel Kursk
"I nostri ragazzi bloccano un raggruppamento abbastanza significativo di truppe russe: 50.000 uomini dell'esercito occupante, che, grazie all'operazione Kursk, non possono essere destinati verso altre direzioni per attacchi russi sul nostro territorio. Apprezziamo molto il coraggio di tutti i nostri soldati, di ogni unità coinvolta in queste battaglie", dice il presidente, che rinnova il pressing sui partner occidentali, in primis sugli Stati Uniti che tra poche settimane saranno ufficialmente guidati dal presidente Donald Trump.
"Tutte le nostre forze che colpiscono le basi russe, la logistica e le retrovie. Gli attacchi contro gli arsenali russi hanno ridotto la quantità di artiglieria usata dall'occupante e questo è evidente sul fronte. Ecco perché abbiamo bisogno di soluzioni a lungo raggio dai nostri partner: dall'America, dalla Gran Bretagna, dalla Germania. E' di vitale importanza. Più lontano possono arrivare i nostri missili e i nostri droni, meno reale potenza di fuoco avrà la Russia", dice Zelensky.
Il pressing sugli alleati
Il messaggio pare diretto in particolare a Joe Biden, presidente uscente degli Stati Uniti. Prima di lasciare la Casa Bianca, Biden potrebbe dare il via libera a Kiev per usare i missili a lungo raggio per colpire obiettivi militari in territorio russo. L'ok potrebbe costituire un paletto difficile da rimuovere per Donald Trump che si appresta a irrompere sulla scena dopo la vittoria nelle elezioni americane e, tra news e smentite sui contatti diretti con il presidente russo Vladimir Putin, proverà a svolgere il ruolo di mediatore per porre fine alla guerra.
"Tra poco la guerra finisce"
L'avvento di Trump, che si insedierà a gennaio, cambierà ulteriormente il quadro complessivo. Zelensky, pertanto, è consapevole che le prossime settimane saranno determinanti per conquistare o consolidare posizioni che poi potrebbero risultare preziosi all'eventuale tavolo delle trattative.
Ecco perché i soldati ucraini non mollano Kursk, sebbene l'operazione non pare destinata a produrre ulteriori sfondamenti in territorio russo. "L'inverno sarà un momento critico, si spera che la guerra stia arrivando alla fine -dice una fonte di Kiev, come riferisce la stampa britannica-. Adesso si definiscono le posizioni di partenza nelle trattative".
Esteri
Tom Homan, chi è “zar confini” di Trump. A...
E' l'ex capo dell'Ice, la temuta polizia per l'immigrazione
"Ho un messaggio per i milioni di stranieri illegali che Joe Biden ha rilasciato nel nostro Paese in violazione della legge federale: fate meglio a preparare i bagagli". Così affermava sul palco della convention di Milwaukee Tom Homan, ex capo dell'Ice, la temuta polizia per l'immigrazione, che Donald Trump ha nominato "zar dei confini" della prossima amministrazione con il preciso incarico di "essere responsabile di tutte le deportazioni nei loro Paesi di origine degli stranieri illegali", come si legge sul post di Truth Social della notte scorsa.
Nella lista degli autori del Project 2025, il controverso documento pubblicato nei mesi scorsi in cui si delineava un'agenda di politica di estrema destra da applicare dopo la vittoria elettorale di Trump, Homan in una recente intervista con Cbs a chi gli chiedeva se con Trump sarebbero tornate le criticatissime divisioni delle famiglie al confine, ha risposto tranchant: "Le famiglie potranno essere deportate insieme".
Un concetto che aveva avanzato durante la prima amministrazione Trump, quando disse che i genitori devono essere presentati "fianco a fianco" con i loro figli in tribunale: "Metteremo come minimo i genitori sotto processo, questo è crudele? Non credo". Sempre allora, si parla del 2017, l'allora direttore ad interim dell'Ice, di fronte al Congresso rivendicò il fatto che con Trump alla Casa Bianca gli immigrati senza documenti "devono avere paura".
Homan lasciò l'incarico nel 2018 per andare in pensione, ma nell'anno e mezzo che fu alla guida della temutissima 'migra' - come i migranti ispanici chiamano l'Ice - fu il volto pubblico della campagna di deportazioni che già allora Trump condusse, difendendo la politica dell'agenzia di arrestare persone che vivevano anche da anni negli Usa e attaccando le cosidette "sanctuary city", città a guida democratica le cui autorità si rifiutarono di collaborare per individuare e deportare migranti senza documenti.
Il piano di Trump
Secondo quanto rivelato prima delle elezioni, il team di Trump starebbe preparando misure contro città e Stati a guida democratica che potrebbero opporsi al nuovo piano di deportazioni, considerando anche un blocco dei fondi federali ai loro dipartimenti di polizia. Dopo aver fondato l'intera sua campagna elettorale sulla promessa della più grande deportazione di migranti della storia americana, Trump potrebbe già nel primo giorno di mandato firmare un ordine esecutivo per avviare i rimpatri forzati di milioni di persone.
Non solo: ha anche promesso di firmare una misura per negare la cittadinanza americana ai figli di migranti irregolari nati in territorio Usa, cancellando così con un colpo di penna secoli di 'ius soli' nella nazione creata da immigrati. La misura provocherebbe immediati ricorsi legali.
Esteri
Harry e l’influenza di Meghan, il principe rinuncia...
Da cacciatore entusiasta qual era un tempo, il duca di Sussex dopo le nozze ha venduto due fucili realizzati a mano
Il principe Harry ha dovuto cambiare, e molto, dopo il suo matrimonio con Meghan Markle. Da cacciatore entusiasta qual era un tempo, il duca di Sussex - già fotografato con un bufalo d'acqua che aveva ucciso nel 2005 - prese la decisione etica di rinunciare agli sport sanguinari che la moglie non approvava, vendendo poco dopo le nozze due fucili realizzati a mano del valore stimato di 50.000 sterline (oltre 60.000 euro), rinunciando in questo modo a un regalo molto amato.
La vendita avvenne prima che Meghan e Harry lasciassero il Regno Unito per il Canada e si trasferissero successivamente a Los Angeles. Le armi da fuoco Purdey furono acquistate da un acquirente anonimo, un conoscente del quale ha riferito al Sun: "Le ha comprate perché le voleva, non perché appartenessero a Harry, ma è stato piuttosto contento quando l'ha scoperto. Sono esemplari bellissimi e lui ne è molto soddisfatto, ma non è il tipo di persona che vuole vantarsi del legame di questi oggetti con i reali".
Ad aprile 2020, la primatologa britannica Jane Goodall aveva affermato di credere che Harry avrebbe rinunciato definitivamente alla caccia grazie all'influenza di Meghan. La scienziata è un'amica della coppia ed è stata ospite nella loro ex casa, Frogmore Cottage a Windsor. Parlando a Radio Times, aveva affermato che il principe Harry e suo fratello il principe William sono paladini del mondo naturale, "tranne che cacciano e sparano. Ma penso che Harry smetterà perché a Meghan non piace cacciare, quindi sospetto che per lui sia finita".