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Limite di aborto a sei settimane, ma un terzo delle donne scopre di essere incinta dopo
Un terzo delle donne non sa di essere incinta prima di sei settimane. Questo è quanto ha rilevato il nuovo studio del Guttmacher Institute, un think tank statunitense sui diritti sessuali e riproduttivi, che ha analizzato la correlazione tra consapevolezza e presa di coscienza del proprio stato di gestazione e i limiti imposti sul diritto d’aborto.
In quattro Stati americani il limite per abortire è proprio di sei settimane, ma “il 37% delle donne scopre dopo la gravidanza”.
“Vietato abortire dopo sei settimane”
Il divieto di abortire dopo sei settimane è in vigore in quattro Stati degli Stati Uniti. Secondo i risultati del Guttmacher Institute, però, circa il 37% delle donne che hanno abortito nel 2021 e nel 2022 hanno scoperto di essere incinte dopo sei settimane o anche di più.
Ciò che porta a riflettere è che i ricercatori hanno scoperto che il fenomeno riguarda le giovanissime: circa il 44% delle ragazze di 18 e 19 anni ha scoperto di essere incinta dopo sei settimane di gestazione, la percentuale più alta tra tutte le fasce d’età prese in analisi.
Questi risultati arrivano a pochi giorni dalla sentenza della Corte Suprema della Georgia che ha ripristinato il divieto di aborto proprio dopo quel periodo. L’ordinanza rimarrà in essere fino a quando non verrà discusso l’appello presentato dalle autorità dello Stato. La legge antiaborto in vigore in Georgia, approvata nel 2019, era in ‘standby’ fino alla decisione del 2022 della Corte Suprema degli Stati Uniti, che aveva cancellato il diritto all’aborto a livello nazionale, rimandando la legislazione ai singoli Stati.
Decisione che ha destato non poche perplessità sui diritti riproduttivi in America e sulla capacità di autodeterminarsi delle donne. Uno studio aveva rilevato che, al seguito della decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti, era aumentato anche il numero di donne che ha fatto ricorso alla sterilizzazione, costatando un possibile nesso tra il (non) diritto d’aborto, o diritto limitato, e la volontà di procreare. Anche Florida, Iowa e Carolina del Sud hanno introdotto leggi che vietano l’aborto dopo la sesta settimana.
Lo studio
“I divieti di abortire dopo sei settimane di gestazione rendono particolarmente difficile per le persone ricevere assistenza per accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, in parte perché quasi quattro donne su 10 non scoprono di essere incinte così presto“, ha scritto il team guidato da Doris Chiu, dottoressa e ricercatrice associata al Guttmacher Institute. “Anche in quel caso, sapere di essere incinte non garantisce l’aborto entro la scadenza delle sei settimane”.
Da quando la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato la sentenza Roe contro Wade, 13 Stati hanno vietato del tutto l’aborto e altri otto hanno imposto delle restrizioni alla procedura.
Per realizzare lo studio, i ricercatori hanno analizzato i dati tratti da un sondaggio condotto su circa 58.000 pazienti che avevano abortito in 54 cliniche statunitensi nel 2021 e nel 2022. Lo studio ha inoltre scoperto che meno di un quarto (24%) delle donne che sapevano di essere incinte prima di sei settimane sono riuscite ad abortire prima del raggiungimento della sesta settimana.
“Dopo aver scoperto la gravidanza, le donne che stanno pensando di abortire devono anche prendere una decisione, trovare un medico, ottenere finanziamenti e fissare un appuntamento prima del limite delle sei settimane“, hanno osservato i ricercatori.
Ciò è dovuto anche al fatto che i quattro Stati con divieti di sei settimane hanno anche altre restrizioni che impediscono un accesso tempestivo all’aborto, come periodi di attesa di oltre 24 ore per un appuntamento con un medico.
Le donne che non riescono a organizzarsi in tempo, o che non sanno nemmeno di essere incinte entro sei settimane, devono organizzare un viaggio fuori dal proprio Stato per ottenere un aborto. Ciò può significare centinaia di chilometri di viaggio attraverso più confini statali.
“Capire in tempo di essere incinta e quali siano le tempistiche per accedere ad un aborto è fondamentale per alcune persone in determinate legislazioni – hanno spiegato i ricercatori -. I divieti di aborto a sei settimane, quindi, sono particolarmente limitanti perché proibiscono l’aborto prima che molte persone sappiano di essere incinte”.
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Matrimoni gay in Thailandia, almeno duecento nozze nel...
Da ieri, 23 gennaio, in Thailandia sono legali i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Con l’entrata in vigore della legge il Paese è diventato il primo nel Sud-Est asiatico e il terzo in Asia, dopo Nepal e Taiwan, a riconoscere legalmente l’unione delle coppie omosessuali. Nella regione, Taiwan ha legalizzato i matrimoni gay nel 2019 mentre in Nepal il primo matrimonio Lgbtq+ è stato riconosciuto nel novembre 2023.
Dall’entrata in vigore della legge, almeno duecento coppie omosessuali si sono giurate amore eterno nel centro commerciale Siam Paragon a Bangkok. Tappeti rainbow, bolle di sapone, mazzi di fiori e coriandoli hanno accompagnato la festa delle coppie, di varie nazionalità, che sventolavano con orgoglio i loro certificati di nozze.
Matrimoni gay legali in Thailandia, l’emozione di Shinawatra
La prima ministra thailandese Paetongtarn Shinawatra, intervenendo al World Economic Forum di Davos, ha definito la legge “un successo collettivo” specificando che il provvedimento sul matrimonio ugualitario “segna l’inizio di una maggiore consapevolezza della società thailandese nei confronti della diversità di genere e della nostra accoglienza di tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale, dalla razza o dalla religione: tutti hanno diritto a uguali diritti e dignità”.
Dopo l’approvazione del Re Maha Vajiralongkorn, arrivata il 25 settembre scorso, gli attivisti per i diritti LGBTQ+ in Thailandia, avevano descritto questo traguardo come il coronamento di una lunga battaglia per l’uguaglianza. “Il diritto all’uguaglianza in Thailandia è iniziato,” dichiarò allora Danuphorn Punnakanta, portavoce del partito di maggioranza Pheu Thai e presidente del comitato che ha supervisionato la legge aggiungendo: “È solo l’inizio e seguiranno ulteriori leggi per i diritti e le libertà delle persone”.
Tra i primi a ufficializzare il proprio legame, gli attori Apiwat “Porsch” Apiwatsayree e Sappanyoo “Arm” Panatkool, che si sono uniti in matrimonio presso l’ufficio distrettuale di Phra Nakorn, nel cuore di Bangkok. “Possiamo amare, amare in modo equo e legale”, ha dichiarato Sappanyoo. “Ogni tipo di famiglia è bella così com’è”.
Cosa prevede la legge
La nuova legge rappresenta un passo avanti epocale per i diritti umani in Thailandia. Le coppie dello stesso sesso godono ora degli stessi diritti legali, finanziari e medici delle coppie eterosessuali. Sono garantiti diritti fondamentali come l’adozione, l’eredità, i benefici fiscali e la possibilità di prendere decisioni mediche per il partner. Cambiamenti significativi hanno interessato anche il Codice civile e commerciale: i termini tradizionali “uomini e donne” e “marito e moglie” sono stati sostituiti dai più inclusivi “individui” e “partner matrimoniali”.
Secondo Kittinun Daramadhaj, avvocato e presidente della Rainbow Sky Association of Thailand, “la Thailandia potrebbe diventare un modello per il mondo”, grazie alla sua legislazione inclusiva che promuove l’uguaglianza. Daramadhaj ha aggiunto che “in Thailandia esiste una vera uguaglianza nei matrimoni”, evidenziando l’importanza di questo risultato storico.
Impatti regionali e globali
La decisione della Thailandia ha un forte impatto non solo a livello nazionale, ma anche regionale e globale. Rappresenta un esempio per altri Paesi del Sud-Est asiatico, molti dei quali hanno legislazioni ancora restrittive nei confronti della comunità LGBTQ+. Inoltre, rafforza la reputazione della Thailandia come Paese progressista e leader nella tutela dei diritti umani.
“La bandiera arcobaleno sventola alta sulla Thailandia”, ha concluso la premier Shinawatra, invitando la comunità internazionale a seguire l’esempio thailandese per costruire società più inclusive. L’amore, ha dichiarato Sappanyoo Panatkool, è “equo e legale”, e ora può davvero riflettersi in tutti gli aspetti della vita, dalla creazione di una famiglia al pieno riconoscimento della dignità personale.
Il tentativo della Spagna
Sul tema è intervenuta recentemente anche la Spagna, dove il matrimonio tra persone dello stesso sesso è legale dal 2005 e rappresenta uno dei traguardi più significativi per i diritti Lgbtq+. Dopo essere stato confermato alla guida del partito socialista (Psoe) con oltre il 90% delle preferenze, il premier spagnolo Pedro Sánchez, ha annunciato l’intenzione di introdurre il matrimonio ugualitario in Costituzione, insieme al diritto all’aborto e al salario minimo.
La costituzionalizzazione di questo diritto confermerebbe l’impegno del Paese verso l’uguaglianza e la lotta contro ogni forma di discriminazione secondo un percorso già intrapreso dall’amministrazione Sanchez.
Differenze tra i matrimoni gay in Thailandia e l’unito civile italiano
A differenza del matrimonio tra persone dello stesso sesso in Thailandia, che garantisce pari diritti rispetto alle coppie eterosessuali, in Italia le unioni civili regolamentate dalla legge Cirinnà (Legge n. 76/2016) prevedono alcune limitazioni significative.
Le coppie unite civilmente non possono adottare bambini, se non in casi molto particolari attraverso la cosiddetta stepchild adoption, limitata ai figli biologici di uno dei due partner e soggetta alla valutazione dei tribunali. Inoltre, nonostante il riconoscimento giuridico, le unioni civili non includono il concetto di “fedeltà coniugale” tra gli obblighi reciproci.
In Thailandia, invece, le coppie dello stesso sesso possono adottare senza restrizioni, godono degli stessi diritti successori, fiscali e legali delle coppie eterosessuali e hanno pieno accesso alla tutela sanitaria e alle decisioni mediche. Un’altra differenza risiede nella terminologia: mentre in Italia la parola “matrimonio” è riservata esclusivamente alle coppie eterosessuali, in Thailandia il termine viene esteso universalmente a tutti i cittadini.
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Generazione AI, ecco il nuovo volto della scuola
Avete mai pensato che il futuro della scuola potrebbe passare attraverso algoritmi e robot? Non è un’idea futuristica, ma il cuore pulsante del dibattito globale che si celebra oggi, 24 gennaio, in occasione della Giornata Internazionale dell’Educazione. Quest’anno, il tema scelto dall’Unesco è tanto ambizioso quanto cruciale: “Intelligenza artificiale ed educazione: preservare l’agire umano in un mondo di automazione”. Se da un lato l’AI promette di rivoluzionare l’apprendimento rendendolo più inclusivo e personalizzato, dall’altro ci interroga profondamente: quanto spazio resta per l’umanità quando il maestro è un algoritmo?
Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione e del Merito italiano, ha dichiarato su X che l’AI, se usata in sinergia con gli insegnanti, potrebbe abbattere barriere, creare opportunità e valorizzare i talenti di ciascuno.
Oggi, in occasione della Giornata Internazionale dell’Educazione, riflettiamo su come l’Intelligenza Artificiale possa apportare benefici concreti al nostro sistema educativo. Se usata come strumento al servizio dei docenti, mai come loro sostituto, può contribuire a rendere… pic.twitter.com/RwIBnjqlck
— Giuseppe Valditara (@G_Valditara) January 24, 2025
Ma attenzione: l’obiettivo non è rimpiazzare i docenti, bensì amplificarne le potenzialità, come sottolinea anche Audrey Azoulay, Direttrice Generale dell’Unesco. Ecco allora che l’intelligenza artificiale si trova al crocevia tra speranze e sfide, in un panorama mondiale dove oltre due terzi degli studenti di scuole superiori nei Paesi ad alto reddito già utilizzano strumenti generativi di AI per studiare, ma solo il 10% delle scuole dispone di linee guida chiare per il loro uso.
Educazione e intelligenza artificiale
L’intelligenza artificiale ha il potenziale di trasformare il modo in cui apprendiamo. Pensate a piattaforme che personalizzano i percorsi educativi in base alle competenze individuali, tutor virtuali che aiutano gli studenti a colmare le lacune in tempo reale, o simulazioni che permettono di esplorare la storia, la scienza e l’arte in maniera interattiva e coinvolgente. Questo scenario non è fantascienza, ma una realtà già in sviluppo in molte scuole del mondo.
In Italia, tuttavia, il cammino è appena iniziato. Come rilevato dall’Unesco, solo una manciata di Paesi ha adottato linee guida nazionali sull’uso dell’AI in ambito educativo. Questo ritardo si scontra con una crescente pressione da parte degli studenti, che usano strumenti come ChatGPT per scrivere saggi, risolvere problemi matematici o migliorare le proprie competenze linguistiche. Ma l’assenza di un quadro regolamentare rischia di trasformare una straordinaria opportunità in un campo minato di rischi etici ed educativi.
Sfide etiche e sociali
Il grande nodo da sciogliere è: come bilanciare l’automazione con l’agire umano? Se da un lato l’intelligenza artificiale può semplificare il lavoro dei docenti, alleggerendo carichi burocratici e offrendo strumenti di analisi avanzati, dall’altro non possiamo ignorare il rischio di disumanizzare l’apprendimento. La scuola è un luogo di relazione, dove i docenti non si limitano a trasferire conoscenze, ma formano cittadini, trasmettono valori e favoriscono la crescita emotiva e sociale degli studenti.
Audrey Azoulay, nella sua dichiarazione per l’Unesco, ha sottolineato che l’AI deve restare uno strumento al servizio delle persone, non un sostituto. Questo è particolarmente importante in un momento in cui l’automazione rischia di escludere anziché includere, accentuando il divario digitale tra chi ha accesso alle tecnologie e chi ne è escluso. Basti pensare che ancora oggi, nel mondo, il 25% delle scuole primarie non ha accesso all’elettricità e il 60% non è connesso a Internet.
La sostenibilità come chiave per il futuro
Un altro aspetto centrale dell’educazione del XXI secolo è il suo legame con la sostenibilità. Qui l’intelligenza artificiale potrebbe giocare un ruolo cruciale. La Foundation for Environmental Education (FEE), organizzazione leader nell’educazione ambientale, promuove da anni programmi come Eco-Schools, che insegnano ai giovani a prendersi cura del pianeta. Immaginate cosa potrebbe fare l’AI in questo ambito: piattaforme educative che mostrano in tempo reale l’impatto delle nostre azioni quotidiane sull’ambiente, simulazioni climatiche avanzate o sistemi di monitoraggio che coinvolgano le scuole nella gestione consapevole delle risorse.
L’educazione ambientale e tecnologica, se integrate, potrebbero creare generazioni di studenti consapevoli e attrezzati per affrontare le sfide globali. Tuttavia, per farlo, serve un impegno concreto da parte dei governi, che devono garantire investimenti adeguati e una visione chiara su come implementare queste tecnologie nelle scuole.
Il ruolo dell’Italia e il futuro della scuola
L’Italia, come molti altri Paesi, si trova a un bivio. Da un lato, deve colmare il divario digitale e garantire l’accesso universale alle tecnologie; dall’altro, deve formare insegnanti e studenti a un uso responsabile dell’intelligenza artificiale. Questo significa non solo fornire infrastrutture adeguate, ma anche creare programmi di formazione che tengano conto degli aspetti etici, sociali ed educativi dell’intelligenza artificiale.
Come dimostrano i dati Unesco, i Paesi che stanno affrontando meglio questa sfida sono quelli che hanno investito sia nell’innovazione tecnologica che nella formazione dei docenti. La scuola del futuro non può essere un luogo in cui le macchine sostituiscono le persone, ma deve diventare un ecosistema in cui tecnologia e umanità collaborano per creare un’educazione più inclusiva, sostenibile e capace di valorizzare i talenti di ciascuno.
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Da oggi aumentano i prezzi delle sigarette, ecco i nuovi...
Da oggi, 23 gennaio 2025, aumentano i prezzi delle sigarette, dei tabacchi trinciati e dei sigari. Prosegue la politica di contrasto al fumo che sta portando a una lieve ma costante riduzione dei fumatori in Italia.
Gli incrementi variano in base alla tipologia di prodotto e non riguardano tutte le marche di sigarette e affini.
Nuovi prezzi sigarette
Il rincaro era già stato stabilito dalla legge di Bilancio 2023 prima di essere ritoccato dalla Manovra 2024 che ha previsto un incremento dell’accisa.
In particolare, la legge di Bilancio 2024 è intervenuta sulla componente fissa, salita da 28,20 euro ogni mille sigarette a 29,50 dal 2025. La Manovra 2023 prevedeva per lo scorso anno un aumento di “28,20 euro per 1.000 sigarette e, a decorrere dall’anno 2025, in 28,70 euro per 1.000 sigarette”. La successiva Legge di Bilancio ha portato l’incremento fino a 29,30 euro per 1.000 sigarette per l’anno 2024 e di 29,50 euro per 1.000 sigarette da quest’anno.
Concretamente, gli aumenti sono nell’ordine di 20-30 centesimi a pacchetto, meno del 5% rispetto ai prezzi di vendita attuali. Numeri ben lontani dall’aumento di 5 euro a pacchetto che era stato proposto dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), dalla Fondazione Aiom e da Panorama della Sanità per bilanciare i costi della sanità pubblica.
Qui la tabella pubblicata dal sito dell’Agenzia delle Dogane con i nuovi prezzi delle sigarette.
Qui i nuovi prezzi per il tabacco trinciato, utilizzato per le sigarette rollate (“drum” per i più giovani).
Qui i nuovi prezzi dei sigari.
Il divieto a Milano e la battaglia dell’Ue
Ancora prima dei nuovi prezzi delle sigarette in vigore da oggi, 23 gennaio 2025, il nuovo anno si era aperto con un’altra cattiva notizia per i fumatori. O almeno per quelli che si trovano a Milano, dove dal 1°gennaio è scattato il divieto di fumo all’aperto se non a una distanza di almeno dieci metri dalle altre persone. Una norma che riguarda la salute delle persone e dell’ambiente, dato che il 7% della CO2 presente nel capoluogo lombardo deriva dalle sigarette.
La stretta anti-fumo di Milano è in linea con il piano europeo di lotta contro il cancro che punta a creare, entro il 2040, una “generazione libera dal tabacco, nella quale meno del 5% della popolazione consumerà tabacco. Già nel 2009, il Consiglio Ue adottava la raccomandazione sugli ambienti senza fumo invitando i Paesi ad attuare leggi che proteggessero pienamente i cittadini dall’esposizione al fumo nei luoghi pubblici chiusi, al lavoro e nei trasporti pubblici.
Se l’esperimento milanese avrà successo, potrebbe ispirare analoghe politiche in altre città, ma il cambiamento è già iniziato in Ue dove ogni anno 700.000 persone perdono la vita a causa del consumo di tabacco. Di questi decessi, decine di migliaia sono provocati dal fumo passivo, come scrive la Commissione Europea sul proprio sito.
Lo scorso settembre Bruxelles ha avanzato la proposta di revisione della raccomandazione del Consiglio relativa agli ambienti senza fumo e ha incoraggiato gli Stati membri a rafforzare la cooperazione internazionale per massimizzare l’impatto delle misure adottate nel territorio.
Un divieto che non piace agli italiani
Nonostante questi numeri, i divieti di fumo non piacciono agli italiani. Una fotografia chiara sul tema arriva dalla ricerca realizzata in esclusiva per Adnkronos tramite la piattaforma Socialdata.
Dopo aver analizzato circa 40 mila post e oltre 3 milioni di reazioni, il team di analisi di Socialcom ha evidenziato che il rapporto tra post negativi (44%) e positivi (4%) è di 10 a 1. In pratica, meno di un cittadino su 20 mostra online un atteggiamento favorevole al provvedimento meneghino, mentre quasi la metà degli utenti esprime posizioni critiche a riguardo.
Per approfondire i risultati della ricerca: Divieti di fumo, il web li boccia: cosa dicono i social, i dati
Quanti fumatori in Italia?
I dati dell’Istituto Superiore di Sanità tracciano un quadro articolato dell’andamento del tabagismo in Italia. Tra il 2015 e il 2022, i fumatori sono diminuiti da 11,5 milioni (22% della popolazione) a 10,5 milioni (20,5%). Un calo contenuto ma costante. Le ragioni di questa contrazione sono molte: campagne di sensibilizzazione, aumenti progressivi dei prezzi, restrizioni normative sempre più stringenti.
Il costo sociale del fumo
Il fumo provoca oltre 93.000 decessi annuali in Italia, più delle morti combinate di alcol, droga, incidenti stradali, AIDS, omicidi e suicidi. Un dato che colloca il contrasto al tabagismo come priorità di sanità pubblica. Il dato del 2022 corrisponde al 20,6% del totale delle morti tra gli uomini e al 7,9% tra le donne.
In Italia, il fumo costa ogni anno 26 miliardi di euro sul sistema sanitario, mentre il guadagno da monopolio è di circa 15 miliardi di euro. Anche per questo è necessario intervenire sul costo delle sigarette.