Denatalità, Rago (Pertini): “Scelte personali devono tener conto dell’orologio biologico”
La denatalità in Italia è un problema gravissimo. Lo ha ribadito con decisione Rocco Rago, direttore dell’unità operativa di fisiopatologia della riproduzione dell’ospedale Sandro Pertini di Roma e direttore del dipartimento materno-infantile della Asl Roma 2.
In occasione della XVIII edizione delle giornate di andrologia e medicina della riproduzione, il più grande congresso di medicina della riproduzione che si tiene ogni anno a Sabaudia, Rago ha chiarito: “La situazione non è grave. È gravissima. Serve una cultura fisiologica della riproduzione”.
La denatalità in Italia
Negli ultimi anni, l’Italia ha registrato un costante calo della natalità. L’attuale media è di soli 1,2 figli per donna nel 2023, in diminuzione rispetto all’1,24 del 2022. Secondo l’Istat, nel 2023 sono stati circa 379mila nati, con un tasso di natalità sceso a 6,4 per mille, rispetto al 6,7 dell’anno precedente.
Questo declino è iniziato nel 2008 e ha portato a una perdita complessiva di 197mila nascite (-34,2%). Le coppie senza figli e i genitori single sono in aumento, mentre la maternità viene posticipata, con l’età media delle donne che ricorrono alla procreazione assistita che ha raggiunto quasi 37 anni. Le cause includono fattori economici, stili di vita e un cambiamento culturale che privilegia la carriera.
Si stima che nel 2024 il numero di nati potrebbe scendere ulteriormente, evidenziando una crisi demografica che richiede urgentemente interventi e una nuova cultura della fertilità.
“La situazione non è grave. È gravissima – ha spiegato Rago -. Innanzitutto, c’è da dire che l’età media delle donne che vanno alla ricerca di una tecnica di procreazione assistita è arrivata a quasi 37 anni e a oltre 42 se effettua un’eterologa. Il numero medio di figli per donna è oggi a 1.2 e rappresenta il dato più basso dal dopoguerra. Anche se è ancora una stima, quella del 2024 ci porta tra i 350 e i 360 mila nati, quindi verso un dato già fortemente negativo rispetto al 2021 che era di 399 mila nuovi nati. Teniamo presente che nel 1964 in Italia nascevano un milione e 350 mila nati. Nel 2024 quel milione ce lo siamo persi”.
Posticipare la maternità: quali rischi?
“L’età anagrafica in cui si ricerca una gravidanza si è spostata in avanti di dieci anni – ha continuato l’esperto – e a questa si aggiungono le patologie oncologiche, gli stili di vita e anche le abitudini culturali che sono cambiate nel desiderio di una gravidanza”. Tutti questi fattori, in sintesi, incidono sul concepimento e sull’infertilità di coppia rendendoli sempre più al centro dell’attuale dibattito.
Posticipare la maternità riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. Per cercare quindi di invertire questo trend negativo ha spiegato lo specialista “dobbiamo iniziare col diffondere una cultura della fisiologia della riproduzione, spiegando alle giovani generazioni che la donna ha un orologio biologico che ha una sua scadenza. Non tutti infatti sanno che sopra i 35 anni inizia un calo della fertilità e che, se si desidera avere un figlio, bisogna cominciare a pensarci prima di quell’età. Non sarà una cosa che faremo in un anno, ma nei decenni successivi, iniziando piano piano a modificare già da ragazzi quella che può essere la cultura della fertilità”.
Per il dottor Rago, la sfida è sensibilizzare l’opinione pubblica contro stereotipi e idee sbagliate: “Bisogna essere consapevoli che nella vita si fanno delle scelte: se si decide di avere una vita incentrata sul singolo va benissimo, ma se poi questa non combacia col desiderio di una gravidanza, allora è una cosa di cui si deve essere informati – e chiarisce -. Anche la stessa concezione della scienza come soluzione sempre e comunque efficace può portare a sottostimare elementi come il calo di fertilità legato all’avanzare dell’età”.
“Un’altra attività su cui sarebbe necessario investire – ha poi concluso – sono le infrastrutture che dovrebbero essere messe a supporto della donna che vuole lavorare anche avendo uno o più figli. Oggi non abbiamo più quella famiglia allargata che avevamo una volta e che consentiva alle donne di tornare a lavoro lasciando i propri figli accuditi da nonni e parenti. Oggi c’è necessità di avere dei servizi accessibili, sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista della presenza di questi servizi”.
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Il Sistema 0, ovvero come l’Ai sta già cambiando il...
L’essere umano ha una parte irrazionale e una razionale, una parte rapida e una più lenta, ciò che il premio Nobel 2002 Daniel Kahneman ha individuato come Sistema 1 e Sistema 2, nella sua opera magna Pensieri lenti e veloci del 2012. Da dodici anni abbiamo trovato conferme e risposte molto dettagliate su come il nostro cervello risponda a determinati stimoli, ma l’intelligenza artificiale potrebbe cambiare le nostre convinzioni. O meglio i nostri cervelli.
La notizia arriva da una ricerca pubblicata su Nature che introduce una teoria rivoluzionaria sul pensiero umano mediato dall’intelligenza artificiale: il Sistema 0. In base a questo modello, ideato da un team di esperti multidisciplinari, l’interazione con l’Ai creerebbe un nuovo livello di elaborazione cognitiva, esterno al cervello umano ma strettamente legato al nostro processo decisionale. A differenza dei Sistemi 1 e 2 descritti dal Premio Nobel Daniel Kahneman, il Sistema 0 offre un “pensiero” automatizzato e inorganico, che affascina e al contempo spaventa: come l’Ai può cambiare (e sta già cambiando) la nostra cognizione e la nostra percezione della realtà?
Dai Sistemi 1 e 2 al Sistema 0: l’evoluzione della cognizione
Per comprendere appieno il concetto di Sistema 0, è utile guardare alla teoria dei due sistemi di pensiero di Kahneman. Secondo Kahneman, il Sistema 1 rappresenta un pensiero rapido e intuitivo, che consente risposte immediate in situazioni quotidiane; il Sistema 2 è invece più lento, analitico e riflessivo e viene usato per decisioni complesse.
Il Sistema 0 si distingue perché non è legato al corpo umano, ma è piuttosto un sistema esterno e inorganico, ovvero l’Ai, che svolge compiti cognitivi complessi. Questo sistema è capace di immagazzinare e rielaborare grandi quantità di dati, producendo risposte e suggerimenti che facilitano la nostra comprensione e decisione ma non ha la capacità di dare significato ai dati: la comprensione finale spetta a noi, che dobbiamo attribuire senso e valore alle sue risposte. Anche se si tratta di un sistema esterno, il Sistema 0 può influenzare il nostro modo di ragionare soprattutto quando le interazioni tra l’essere umano e i sistemi di Ai aumentano di frequenza.
L’Ai e il rischio di “Automation Bias”
Il Sistema 0 non è solo un dispositivo che raccoglie e organizza dati, ma un meccanismo che filtra e semplifica le informazioni, rendendole più fruibili. È come avere un assistente digitale che pre-elabora i dati per presentarceli in modo più chiaro e accessibile, ma che non ha capacità interpretative. Tuttavia, questa funzione introduce un rischio: abituarsi a ricevere risposte rapide e semplificate può indurre a passività nel pensiero critico, portando a una fiducia automatica nell’output dell’Ai senza esaminarlo. I software di Ai specificano, chi più chi meno, di non essere infallibili, “ChatGPT può commettere errori. Considera di verificare le informazioni importanti”, avverte il software di OpenAi, ma quanti lo fanno davvero?
Questo fenomeno, noto anche come “automation bias”, è stato studiato anche in ambito medico, dove i professionisti possono fare affidamento eccessivo sulle tecnologie di supporto diagnostico, anche quando presentano errori o limiti.
Il Sistema 0 pone interrogativi profondi in termini di fiducia e trasparenza sugli output prodotti, mentre il pericolo di fake news e di disinformazione/propaganda politica aumenta a dismisura. Sempre più spesso il cervello umano avrà a che fare con elementi generati dagli algoritmi, nati e finiti all’interno di un contesto digitale, a differenza del Sistema 1 e Sistema 2 che partono dal contesto reale.
La crescente presenza di dati sintetici può distorcere la percezione dei fenomeni e influenzare negativamente le decisioni. È quindi necessario stabilire dei framework di valutazione che monitorino l’affidabilità e trasparenza dell’Ai e identifichino possibili bias, assicurando che l’output del Sistema 0 rimanga un supporto e non un sostituto del pensiero umano critico.
Introspezione mediata dall’Ai, un pericolo silenzioso
Un aspetto interessante e preoccupante del Sistema 0 è la sua capacità di influenzare il modo in cui percepiamo e comprendiamo noi stessi. Con Ai sempre più avanzate in grado di monitorare i nostri comportamenti e stati mentali, si apre la possibilità di usare queste tecnologie per analizzare la psicologia individuale. Tuttavia, questa analisi, seppur utile, non può realmente sostituire l’introspezione che deve restare un’esperienza soggettiva e riflessiva che permette di accedere a pensieri ed emozioni interiori; si tratta di una funzione profondamente legata all’identità individuale. Tra le righe della ricerca si evidenzia come la crescente fiducia nell’Ai per auto-analisi o per interpretare comportamenti potrebbe portare a una “depersonalizzazione” della nostra esperienza interiore, delegando a una macchina il compito di definire aspetti che dovrebbero restare strettamente personali.
La standardizzazione del pensiero
L’adozione del Sistema 0 e la diffusione dell’Ai nella vita quotidiana sollevano importanti questioni etiche. L’affidarsi a un sistema esterno per prendere decisioni può ridurre la capacità individuale di pensare criticamente e di analizzare le informazioni in modo autonomo. Se gli individui tendono ad accettare passivamente le risposte dell’Ai senza verificarle, si rischia una pericolosa standardizzazione del pensiero.
Questo non solo può ridurre la diversità di opinioni, ma ha anche implicazioni su larga scala, come la manipolazione delle informazioni e la perdita di autonomia nella gestione delle scelte collettive. La fiducia acritica in un sistema tecnologico potrebbe infatti rendere le società più vulnerabili alla disinformazione e all’influenza di attori con interessi economici o politici. Assicurare che il Sistema 0 resti uno strumento a disposizione degli utenti, e non viceversa, è quindi fondamentale per preservare l’autonomia decisionale e la trasparenza.
La cronaca getta ancora più ombra sugli strumenti di Ai dopo che, a febbraio, un ragazzo di 14 anni si è suicidato con tanto di “sostegno” da parte di un chatbot, come dimostrano le conversazioni riportate da The Telegraph. Al centro della bufera Character.AI, dove sono saltati fuori persino dei chatbot che parlano e scrivono come Giulia Cecchettin e Filippo Turetta.
Le opportunità del Sistema 0 nella ricerca (e non solo)
Il Sistema 0 offre anche enormi opportunità. La capacità dell’Ai di elaborare grandi quantità di dati e di offrire un supporto pre-elaborato è un valore aggiunto in molti campi, dalla ricerca scientifica alla gestione di sistemi complessi. In ambito scientifico, ad esempio, il Sistema 0 può contribuire all’analisi di dataset su larga scala, migliorando la velocità e la precisione delle scoperte come dimostra lo studio del Mit secondo cui l’Ai sarebbe in grado di rilevare il cancro al seno con cinque anni di anticipo rispetto ai metodi “tradizionali”. Nella gestione di sistemi sociali e ambientali complessi, il Sistema 0 può rivelarsi prezioso per identificare trend e ottimizzare risorse, supportando decisioni che vanno oltre le capacità umane.
La sfida passa dal bilanciare il potenziale di questi strumenti con una gestione responsabile degli stessi, garantendo trasparenza, affidabilità e supervisione etica. La creazione di linee guida e framework di controllo può aiutare le persone a beneficiare delle capacità dell’Ai senza perdere di vista l’importanza del pensiero critico e dell’autonomia decisionale.
Da decenni sappiamo che la tecnologia è neutra, ma con l’Ai non ci sono mezze misure: può essere la più grande scoperta tecnologica o la peggiore. Tutto dipenderà da cosa vorremo farci noi esseri umani.
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Quanto influisce l’istruzione sull’essere genitore single?
Nel panorama europeo odierno, il fenomeno della genitorialità single non è più una novità. Tuttavia, la composizione socio-educativa delle famiglie single sta cambiando e solleva interrogativi cruciali sul futuro dei bambini e sulle disuguaglianze sociali emergenti. Negli ultimi decenni, infatti, si è osservato un legame sempre più stretto tra il livello di istruzione delle madri single e la probabilità di allevare i figli senza un partner. Questo divario ha portato a domandarsi se essere un genitore single rappresenti, oggi più che mai, un’esperienza prevalentemente riservata alle madri con un basso livello di istruzione.
Uno studio pubblicato su Demographic Research, basato su mezzo secolo di dati raccolti in otto paesi europei, mette in luce un quadro complesso, dove i livelli d’istruzione delle madri non solo influenzano le probabilità di crescere i figli da sole, ma ridefiniscono le condizioni sociali, economiche e psicologiche di queste famiglie. Ed è proprio nelle differenze di istruzione che si nasconde un crescente divario che rischia di ampliare le disuguaglianze sociali già esistenti.
Nel passato, essere una madre single poteva sembrare più una scelta individuale o una conseguenza delle vicende della vita; ora, le ricerche mostrano come questa condizione sia, per molte donne, strettamente legata al grado di istruzione e alle risorse a disposizione. Il fenomeno ha portato alcuni sociologi a parlare di “destini divergenti”: figli di madri con diversi livelli di istruzione sembrano seguire percorsi sempre più distinti, in cui i rischi di povertà e disagio familiare si concentrano nelle famiglie con meno strumenti educativi. Ma quali sono i meccanismi alla base di questa polarizzazione? E come varia in diversi paesi europei?
Il peso dell’istruzione
L’indagine, basata su dati raccolti in otto paesi europei tra il 1970 e il 2015, mostra che le madri meno istruite incontrano difficoltà sempre maggiori nel mantenere un equilibrio economico e familiare stabile, soprattutto se crescono i figli da sole. È in questa fascia che il rischio di povertà e di marginalizzazione aumenta, con effetti che si riverberano sulle generazioni future. Sebbene in paesi come l’Italia e l’Austria la correlazione tra istruzione e genitorialità single resti ancora debole, altrove la situazione è diversa: il Regno Unito e l’Irlanda, per esempio, mostrano una correlazione netta e crescente tra basso livello di istruzione e maggiore diffusione della genitorialità single.
In effetti, negli anni Settanta, il divario educativo tra madri single era inesistente o leggermente positivo in alcuni paesi (come Austria e Polonia). Solo in Norvegia – già allora modello di welfare avanzato – le madri meno istruite mostravano tassi più elevati di genitorialità single. Questo fenomeno non ha tardato a espandersi in altre aree, trasformando il basso livello di istruzione in un indicatore di vulnerabilità economica e sociale per chi sceglie o è costretto a crescere i figli senza un partner.
Un aspetto cruciale emerso dalla ricerca è la specifica vulnerabilità delle madri meno istruite con figli piccoli, tra 0 e 4 anni. Queste donne non solo affrontano le difficoltà della genitorialità single, ma si trovano spesso a corto di risorse economiche, di sostegno familiare e di tempo da dedicare allo sviluppo dei figli. In un’Europa sempre più divisa da disparità educative, il divario è particolarmente evidente in paesi come Irlanda e Regno Unito, dove il sistema di supporto sociale, pur offrendo benefici su base economica, non riesce a colmare le disuguaglianze di accesso al mercato del lavoro e alla cura dei figli. Questo doppio svantaggio – bassa istruzione e figli piccoli – rende spesso difficile rompere il ciclo della povertà, consolidando quella che sembra ormai una condizione sociale ereditaria.
Al contrario, in Italia e Austria, dove il supporto per le madri single è ancora limitato, le differenze nella genitorialità single tra le fasce educative restano modeste. Qui, la scarsità di benefici pubblici sembra scoraggiare la genitorialità single tra le madri meno abbienti, che preferiscono unirsi a reti familiari estese o formare nuove unioni, una strategia che mitiga le difficoltà economiche e psicologiche della genitorialità solitaria.
Destini familiari e prospettive: cosa dicono i dati
I dati ci raccontano che nei paesi con un alto livello di sostegno finanziario basato sui mezzi, come Regno Unito, Irlanda e Polonia, il divario educativo è maggiore. Qui, le madri meno istruite, rispetto a quelle con livelli più elevati, trovano più agevole prendere la decisione di crescere un figlio senza partner o di uscire da una relazione problematica. Norvegia e Francia, invece, offrono un quadro diverso: grazie a un’infrastruttura di assistenza all’infanzia accessibile e ben sviluppata, l’equilibrio tra lavoro e famiglia risulta meno ostico anche per le madri meno istruite. Questo contesto riduce parzialmente il peso del basso livello educativo, permettendo una gestione autonoma delle sfide della genitorialità single.
Che cosa suggeriscono questi risultati per il futuro delle politiche sociali? La necessità di un supporto più mirato per le famiglie più vulnerabili è evidente. In particolare, un sistema di assistenza all’infanzia flessibile e accessibile, come pure congedi parentali che garantiscano un sostegno adeguato anche per le madri meno qualificate, potrebbe alleviare molte delle difficoltà affrontate da queste donne. Le politiche di affidamento condiviso potrebbero inoltre sostenere un contatto continuo con entrambi i genitori, elemento vitale per il benessere dei bambini. Nel complesso, è chiaro che misure come i sussidi per l’infanzia si rivelano tra gli strumenti più efficaci per ridurre il rischio di povertà tra i genitori single e i loro figli.
Questa indagine non solo getta luce su un fenomeno sociale sempre più rilevante, ma apre anche la strada a nuove ricerche. Sebbene limitato da dati trasversali, lo studio suggerisce che indagini su panel o con storie di vita retrospettive potrebbero approfondire ulteriormente il quadro, monitorando i percorsi delle madri single e i fenomeni di ‘ripartnering’ e formazione di famiglie allargate. Inoltre, l’inclusione di variabili legate alla migrazione e al background etnico potrebbe aggiungere nuovi elementi a un fenomeno in continua evoluzione, specie in una società europea dove la mobilità e le diversità culturali sono in crescita.
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Il viaggio della speranza nel mondo della maternità...
Due cittadini italiani sono stati bloccati all’aeroporto di Buenos Aires mentre cercavano di tornare in Italia con una bambina. La neonata è venuta al mondo gravidanza surrogata. A darne la notizia è stato il quotidiano spagnolo La Nacion, venerdì scorso, e il caso è diventato di interesse internazionale anche in seguito al divieto “universale” italiano di ricorrere alla gestazione per altri, sul territorio nazionale e su quello estero.
Cosa rischiano i due genitori adesso?
La storia
In Argentina la materia non è regolamentata e non è ancora chiaro di quale reato si tratti o chi sia il responsabile. La testata argentina, infatti, ha chiarito che i due cittadini italiani non sarebbero tecnicamente sul banco degli imputati, ma che – insieme alla donna che si è prestata alla maternità surrogata -sarebbero le vittime. Dietro questo episodio, pare possa esserci un’organizzazione che sfrutta le donne in situazione di estrema vulnerabilità, da un lato, e chi intende diventare genitore dall’altro. La bambina è stata affidata alla coppia di italiani che nel frattempo ha affittato un appartamento a Buenos Aires e si è impegnata a non portarla fuori dal Paese, ha detto a La Nacion l’avvocato che li rappresenta.
Ma cosa accadrà adesso ai due italiani quando torneranno nel nostro Paese?
Il viaggio della speranza
Dalle prime indiscrezioni emerse sull’identità dei due uomini, sembra che si tratti di un oncologo che lavora a Padova e del suo compagno, i quali dopo lo stop in aeroporto, dove volevano raggiungere Parigi, per uno scalo che li avrebbe condotti in Italia, sono stati fermati.
La coppia italiana aveva già provato a lasciare l’Argentina prima di essere fermata nella notte di sabato all’aeroporto di Ezeiza, secondo quanto ricostruisce La Nacion. Prima, insieme alla donna, uno dei due uomini ha tentato di ottenere l’autorizzazione a partire da solo, dallo scalo cittadino Aeroparque, a Buenos Aires, senza successo, I due ci hanno poi riprovato il giorno dopo, giovedì scorso, presso l’hub internazionale di Ezeiza. Ma la residenza argentina della donna e l’unico viaggio nel Paese di uno dei due uomini che avrebbe dovuto configurare come ipotetico compagno della stessa ha destato sospetti.
La federale che si occupa di Migrazione ha chiamato il Tribunale di Lomas de Zamora, competente per l’aeroporto, sporgendo denuncia, e il giudice Federico Villena ha assegnato il caso al procuratore Sergio Mola che ha chiesto l’apertura di un’indagine penale per tre possibili reati: traffico di persone, vendita di bambini o appropriazione di minori.
Il giudice ha firmato il divieto di lasciare il Paese e la neonata, con la mamma e i due uomini, sono stati fermati prima dell’imbarco, in quello che sarebbe potuto essere l’ultimo tentativo riuscito.
Cosa rischia la coppia in Italia?
La nuova legge italiana che vieta la maternità surrogata anche all’estero non è ancora in Gazzetta ufficiale. Per questo motivo, si potrebbe dire che i due non incorrono in nessuna conseguenza penale. Inoltre, la bambina è nata il 10 ottobre scorso, prima dell’approvazione della legge, perciò, in ogni caso, non ci sarebbero ripercussioni rispetto a questo determinato reato.
Quando surrogazione è uguale a disperazione
La storia della donna originaria di Rosario inizia su un gruppo Facebook. La madre della bambina ha dichiarato di essere stata contattata e di aver ricevuto un pagamento sei mesi dopo l’inizio della gravidanza: prima i test di idoneità, poi la firma del contratto, e infine, i 10 milioni di pesos, pari a circa 10 mila euro.
Questo genere di attività illegale è oggetto di diverse inchieste in molte parti del mondo e attualmente sono in corso le indagini su oltre 100 casi di tratta di essere umani.
La gestazione per altri retribuita è una pratica di procreazione assistita che sta diventando sempre più difficile da perseguire a causa dell’inasprimento dei controlli sui rischi di sfruttamento. Il costo può variare tra i 50mila e i 200mila euro, spingendo alcuni a rivolgersi a Paesi in via di sviluppo per trovare madri surrogate a prezzi più accessibili.
Solo pochi giorni fa, tredici donne filippine incinte sono state accusate di aver agito illegalmente come madri surrogate in Cambogia e potrebbero affrontare pene detentive dopo il parto. La polizia ha scoperto 24 donne straniere, tra cui 20 filippine e quattro vietnamite, durante un’irruzione in una villa vicino a Phnom Penh. Le donne sono state reclutate online e la legge cambogiana, aggiornata nel 2016, vieta la maternità surrogata commerciale.
Le autorità non considerano le donne vittime, ma piuttosto criminali che hanno cospirato per vendere i bambini. Le donne non incinte saranno deportate, mentre le incinte potrebbero essere incarcerate per due o cinque anni.
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