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Trump e il futuro di Gaza: “Può essere meglio di Montecarlo”

L'ex presidente: "Potrebbe essere il posto più bello"

Donald Trump

"Gaza? Ancora meglio di Monaco" anche perché "è nella posizione migliore in Medio Oriente". Donald Trump ha risposto così in un'intervista a Hugh Hewitt rilanciata dalla Nbc alla domanda se Gaza, da un anno martellata dalle operazioni militari di Israele contro Hamas, possa un giorno rivaleggiare con Monaco con una ricostruzione "nel modo giusto". "Potrebbe essere il posto più bello", ha detto Trump, citando "clima, acqua, meteo".

Nell'intervista, il candidato repubblicano alla Casa Bianca ha attaccato come consuetudine Kamala Harris per le sue politiche sull'immigrazione. Trump accusa la vice presidente di "aver permesso alle persone di passare da un confine aperto, 13.000 delle quali erano assassini", ripetendo un'affermazione che distorce in modo significativo i dati ufficiali.

"Sapete, un assassino, credo sia nei loro geni - ha detto Trump - E in questo momento abbiamo molti geni cattivi nel nostro Paese. Sono entrate nel nostro Paese 425.000 persone che non dovrebbero essere qui, che sono criminali".

Trump e gli alleati hanno 'approfittato' di dati riportati il mese scorso dall'Immigration and Customs Enforcement, sostenendo dimostrino che l'Amministrazioen Biden abbia lasciato in libertà più di 13.000 migranti senza documenti con condanne per omicidio. Si arriva a circa 425.000 considerando tutte le condanne penali.

Ma i dati vanno indietro di anni, ben prima dell'insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, e includono persone condannate che potrebbero essere detenute al di fuori della giurisdizione dell'agenzia.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Esteri

Elezioni Usa, non solo America: il mondo aspetta la scelta...

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L'elezione dell'uno o dell'altra potrà avere profonde conseguenze globali: tra Ucraina, Medio Oriente, Europa, Nato e Cina, quali sono le posizioni dei due candidati sulla politica estera

Kamla Harris, Donald Trump e il loro sostenitori - Afp

Il mondo non vota per il presidente degli Stati Uniti, ma dovrà vivere con le profonde conseguenze globali che l'elezione di Kamala Harris o di Donald Trump potrà avere. Conseguenze per i conflitti in corso, in Ucraina e in Medio Oriente, per alleanze chiave come la Nato, i rapporti con gli alleati europei, e per contro Paesi avversari come la Russia e competitori come la Cina. Vediamo le posizioni dei due candidati a confronto sui dossier più caldi di politica estera.

Gaza e Libano

Sia Harris che Trump sono convinti che la guerra a Gaza, dopo oltre un anno, debba finire, ma hanno posizioni diverse su come questo debba avvenire. La democratica sostiene i negoziati che l'amministrazione Biden porta avanti da mesi, che prevede un ritiro delle forze israeliane dalla Striscia e un "chiaro percorso" verso la formazione dello stato palestinese, nell'ambito della soluzione dei due Stati costantemente ribadita da Joe Biden.

Durante la campagna elettorale ha anche assunto una posizione più netta rispetto all'amministrazione di sostegno alla popolazione di Gaza per le 43mila vittime, le sofferenze, la fame e la distruzione che sta vivendo. Ma non sostiene le richieste di uno stop all'invio di armi Usa ad Israele, cosa che le potrebbe creare problemi con il voto della sinistra dem e degli arabo americani.

Harris-Trump, ultimi sondaggi: tycoon in testa nei 7 Stati chiave, ma la dem recupera

Trump, invece, non si oppone alla vittoria militare di Israele a Gaza e non esclude una qualche forma di controllo o occupazione israeliana della Striscia, con il ritorno di coloni. Nella sua prima amministrazione non ha dato un sostegno attivo alla formazione dello Stato palestinese, ordinando il trasferimento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme e riconoscendo il controllo israeliano del Golan, occupato dalla Siria nella guerra dei sei giorni nel 1967.

Con un conflitto ormai da un mese allargato non solo a Hezbollah ma all'intero Libano, la politica verso l'Iran dei due candidati è importante, soprattutto alla luce del rischio di un conflitto aperto con Israele, dopo i recenti lanci di missili tra i due Paesi. Harris condanna l'appoggio dell'Iran ad Hezbollah e Hamas, ma Trump rivendica di aver abbandonato l'accordo sul nucleare con Teheran, firmato nel 2015 da Barack Obama, che non faceva abbastanza per fermare le "influenze negative" dell'Iran con il sostegno dei gruppi anti-Israele nella regione. L'abbandono del trattato ha permesso all'Iran di andare avanti con l'arricchimento dell'uranio, ingrediente chiave delle armi atomiche a cui Teheran punta.

Ucraina e Russia

Queste elezioni potranno fare una netta differenza sul conflitto in Ucraina. Gli ucraini temono che, in caso di vittoria Trump, che non ha esitato a dire che è colpa di Volodymyr Zelensky l'invasione russa e nel dibattito di settembre non ha voluto dire se vuole la vittoria ucraina, li costringerebbe ad una pace veloce favorevole a Mosca, e per questo sperano nella vittoria di Harris e nella continuazione del sostegno militare Usa.

Trump da parte sua sin dall'inizio del conflitto, che con lui alla Casa Bianca, dice, non sarebbe mai scoppiato visto il suo rapporto con Vladimir Putin, afferma di essere in grado di chiuderlo nel giro di pochi giorni. Harris, invece, ha detto che se Trump fosse stato presidente al momento dell'invasione, "Putin ora sarebbe seduto a Kiev" e che la presunta affinità tra il tycoon e l'uomo forte di Mosca è un suo segnale di debolezza.

Trump non ha mai fornito dettagli su come intende mettere fine al conflitto, ma nei giorni scorsi il Financial Times ha scritto che il suo team lavora ad un piano per congelare la guerra, minimizzare il coinvolgimento degli Stati Uniti e trasferire sui Paesi europei gran parte dell'onere economico e la 'supervisione' del processo di pace. Questo significherebbe creare zone autonome e zone smilitarizzate su entrambi i lati del confine e senza che l'Ucraina entri nella Nato, soddisfacendo quindi richieste di Putin.

Con il quale, secondo le rivelazioni di un nuovo libro di Bob Woodward, Trump avrebbe parlato almeno sette volte da quando ha lasciato la Casa Bianca. Il Cremlino ha smentito questi contatti, ma, ad una domanda diretta, l'ex presidente ha risposto: "Non rilascio commenti in proposito, ma se avessi avuto quei colloqui, sarebbe stata una mossa intelligente"

Europa e Nato

Agli occhi degli alleati europei Harris arriva con la rassicurazione di far parte dell'amministrazione di Joe Biden che ha indirizzato la sua politica transatlantica allo slogan "America is back", l'America è tornata, dopo gli anni di Trump. Ma allo stesso tempo c'è una certa dose di incertezza su come, all'eventuale prova dei fatti, la democratica, che finora non ha preso decisioni di politica estera in proprio, si potrà muovere nello scenario geopolitico.

Sull'altro versante, gli alleati europei invece conoscono bene sulla loro pelle l'atteggiamento di Trump, gli attacchi continui all'Unione Europea - -con alcune eccezioni, come per esempio Viktor Orban, il premier sovranista ungherese vicino a Putin - e anche alla stessa Nato, tanto che alcuni esprimono apertamente il timore che una nuova presidenza Trump possa affrontare il tabù di un'uscita Usa dall'Alleanza.

Anche in uno dei suoi ultimi comizi, lunedì scorso in Pennsylvania, Trump - che è stato un grande sostenitore della Brexit - ha avuto parole ironiche verso "l'Ue, con tutti quei piccoli Paesi che si mettono insieme", minacciando di far pagare agli europei "un grande prezzo" in termini di dazi, se continueranno a "non comprare le nostre auto, i nostri prodotti agricoli, mentre vendono milioni e milioni di auto negli Usa". C'e' però da sottolineare quella che Politico definisce una "difficile verità", cioè che a prescindere da chi vinca, Trump o Harris, il 5 novembre "l'Europa ha già perso" dal momento che "l'interesse americano nel continente è andato diminuendo dalla fine della Guerra Fredda e nessuno dei due candidati potrà riportare l'era transatlantica dell'inizio degli anni novanta".

Cina

Trump e Harris hanno entrambi assunto una posizione severa nei confronti della Cina, la principale rivale nel commercio, nella difesa e nelle alleanze geopolitiche. Accusano Pechino di furto di proprietà intellettuali e di fornire in modo iniquo sussidi all'industria tech e manufatturiera a svantaggio del business americano.

Se rieletto, Trump promette di riprendere la 'guerra dei dazi' condotta contro la Cina quando era alla Casa Bianca, arrivando a tariffe fino al 60% sui prodotti cinesi. Ma al contempo, non nasconde l'ammirazione per Xi Jinping, come quella che nutre per tutti gli uomini forti e con un potere assoluto che lui, ha ammesso, vorrebbe avere anche se solo per un giorno. Il tycoon ha definito il presidente cinese "intelligente", ammirando il modo in cui governa "con il pugno di ferro": "Lui è per la Cina, io per gli Usa, ma a parte questo ci vogliamo bene".

Harris dovrebbe mantenere le restrizioni commerciali imposte da Biden, che ha mantenuto ed aumentato alcuni dei dazi di Trump, compresi quelli del 100% per i veicoli elettrici, il 50% per i pannelli solari e il 25% per le batterie Ev. Ma critica il piano di tariffe a tappetto dell'avversario, affermando che queste alla fine si traducono in un tassa sui consumatori. La democratica continuerà il rafforzamento dei legami diplomatici con i Paesi dell'Asia Pacifico per contrastare l'influenza cinese nella regione, ed ha espresso il sostegno al mantenimento dello status quo a Taiwan, uno dei punti di tensione tra Washington e Pechino. Mentre il meno prevedibile approccio alla politica estera di Trump potrebbe creare tensioni con gli alleati asiatici, senza contare che non è chiaro come intende gestire le relazioni con Taiwan. Durante la sua prima amministrazione, Washington ha aumentato la vendita di armi e la cooperazione militare con l'isola. Ma allo stesso tempo, il tycoon ha detto che Taipei dovrebbe pagare gli Usa per la protezione militare.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Esteri

Russia attacca, contro l’Ucraina “una delle più...

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L'esercito ucraino arranca mentre al confine vengono schierati migliaia di soldati nordcoreani

Soldati ucraini - Fotogramma /Ipa

L'esercito ucraino arranca e ora fa i conti con "una delle più potenti offensive russe" dopo oltre due anni dall'inizio della guerra. Parola del generale Oleksandr Syrskyi, capo delle Forze Armate ucraine. L'annuncio arriva nel giorno in cui gli 007 ucraini lanciano un nuovo allarme sulle truppe di Kim e in cui il ministero della Difesa russo ha rivendicato la conquista di altri due altri villaggi nell'Ucraina orientale. Mosca ha infatti precisato che le sue forze hanno "liberato" il villaggio di Kurakhivka, vicino alla città industriale di Kurakhove, nella regione orientale di Donetsk, e quello di Pershotravneve, nella regione di Kharkiv.

"Ho informato i colleghi cechi della situazione sul campo, che continua a essere difficile", ha fatto sapere via Telegram il generale Syrskyi, riferendo di un incontro con una delegazione delle Forze Armate ceche. "Operazioni di combattimento, che proseguono in alcune aree, richiedono il rifornimento costante delle risorse delle unità ucraine - ha aggiunto nel post -. Attualmente le Forze Armate ucraine stanno impedendo una delle più potenti offensive russe dall'invasione su vasta scala" avviata il 24 febbraio del 2022, le parole allarmante del generale.

L'Ucraina è quindi in difficoltà, perde soldati mentre la Russia guadagna terreno giorno dopo giorno e si prepara a schierare anche i soldati nordcoreani nella guerra in corso da quasi 1000 giorni. Kiev arranca e il presidente Volodymyr Zelensky alza i toni, puntando il dito contro l'immobilismo degli alleati.

"Ora riusciamo a vedere tutti i siti in cui la Russia sta radunando i soldati nordcoreani sul suo territorio. Potremmo centrarli preventivamente, se avessimo la capacità di colpire abbastanza lontano. Tutto dipende dagli alleati", dice il presidente, ribadendo la richiesta di missili a lungo raggio e evidenziando ancora una volta la necessità di ottenere l'ok per colpire obiettivi militari in territorio russo.

Gli Stati Uniti hanno fornito a Kiev i missili Atacms ma Washington non autorizza il lancio in territorio nemico. In questo quadro, dice Zelensky, i partner di Kiev preferiscono "aspettare che l'esercito nordcoreano inizi a colpire gli ucraini invece di fornire le armi a lungo raggio di cui hanno estremo bisogno. L'America resta a guardare, il Regno Unito resta a guardare, la Germania resta a guardare".

"Chiunque al mondo - dice ancora - voglia veramente fermare la guerra della Russia contro l'Ucraina e evitare che si espanda dall'Europa ad altre regioni, non può limitarsi a guardare. Dobbiamo agire, è necessario che alle parole contro l'escalation e l'espansione della guerra corrispondano azioni".

"La Russia sta gradualmente aumentando i suoi attacchi quotidiani con i droni Shahed e con missili, ancora usando componenti occidentali per farlo", ha poi sottolineato Zelensky, spiegando che l'uso massiccio di questi droni "richiede circa 170mila componenti ai quali dovrebbe essere impedito di raggiungere la Russia".

"Arrivano da società in Cina, Europa e America, un sacco di piccoli ma costanti contributi al terrorismo russo" scrive ancora su X il presidente ucraino, affermando "l'urgente bisogno che il mondo aumenti il controllo delle esportazioni di componenti speciali. Alla Russia non dovrebbe essere permesso di aggirare le sanzioni che sono state imposte da molto tempo in risposta a questa guerra".

007 Kiev: "7mila truppe Kim al confine in 7 giorni"

Intanto l'intelligence di Kiev lancia l'allarme sulle truppe di Kim Jong un schierate al confine tra Russia e Ucraina. "L'ultima settimana di ottobre" la "Russia ha trasferito più di settemila soldati dell'esercito nordcoreano dalla zona di Primorsk, nella Federazione russa, verso regioni vicine all'Ucraina", quanto affermano gli 007 ucraini, il Gur, mentre continuano a susseguirsi le notizie della cooperazione tra Mosca e Pyongyang. Secondo il Gur, le truppe nordcoreane sarebbero state dispiegate con l'impiego di almeno 28 aerei da trasporto militari russi.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Esteri

Harris-Trump, ultimi sondaggi: tycoon in testa nei 7 Stati...

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L'analisi condotta dalla società brasiliana Atlas Intel: a livello nazionale l'ex presidente avrebbe il 49,6% dei voti, contro il 48,2% della vice di Biden

Harris e Trump - Afp

Donald Trump sarebbe in testa in tutti e sette gli Stati chiave di queste elezioni per la Casa Bianca. E' quanto emerge dagli ultimi sondaggi condotti dalla società brasiliana Atlas Intel, che nelle tornate elettorali americane del 2020 e del 2022 è stata accreditata come una delle società che ha diffuso i dati più accurati. Secondo la rilevazione condotta il 30 e 31 ottobre scorso, a livello nazionale l'ex presidente avrebbe il 49,6% dei voti, contro il 48,2% di Kamala Harris.

E Trump sarebbe in testa anche nei sette Stati che decideranno la corsa: in Arizona avrebbe il 51% contro il 46,8% della vice presidente democratica, in Georgia sarebbe 50,1% a 47,8%, in Michigan 49,3% contro 48,7%, in Nevada 50,6% contro il 47%, in North Carolina 50,7% contro il 47%, in Pennsylvania l'ex presidente sarebbe in testa con il 49,4% contro il 47,9% della Harris, mentre in Wisconsin sarebbero quasi in parità: 49-48,8%.

Rispetto al precedente sondaggio, però, condotto tra il 25 ed il 29 ottobre, la candidata dem ha rosicchiato qualche punto percentuale in tutti gli Stati, con Trump che ha perso qualcosa, tranne che in North Carolina, dove prima era in testa e negli ultimi giorni ha ceduto il passo all'ex presidente.

Gli Stati chiave e gli ultimi sondaggi, quanto pesano?

Sono 240 milioni gli elettori americani, ma le sorti del duello della Casa Bianca tra Kamala Harris e Donald Trump sarà deciso al fotofinish nei sette Stati chiave. Il sistema del Collegio elettorale - che prevede che vengano eletti in ogni stato i grandi elettori, in numero proporzionale alla popolazione, che poi voteranno per il presidente - impone quindi che ciascuno candidato disegni un 'path', un cammino attraverso gli Stati, quelli in cui sono favoriti e quelli in cui non c'e' un chiaro vantaggio, definiti appunto "battleground", terreno di battaglia, per raggiungere il 'magic number' di 270 voti elettorali che fa vincere la presidenza. Ecco la lista degli Stati chiave, con i sondaggi più recenti che descrivono un testa a testa.

ARIZONA (11 voti elettorali)

Quattro anni fa è stato conquistato da Joe Biden, che è stato dichiarato vincitore per appena 10mila voti di scarto, pari allo 0,3%, dopo una lunga fase di contestazioni e ricorsi legali da parte di Trump. Secondo un sondaggio pubblicato qualche giorno fa da Cnn, Harris ha un vantaggio di appena un punto su Trump, con il 48% contro il 47%, che statisticamente significa una situazione di parità.

Le sue centinaia di chilometri di confine con il Messico hanno reso la questione dell'immigrazione centrale nella campagna elettorale di Trump, con le sue promesse draconiane di deportazioni di massa di migranti. Per contro, i dem sperano di mobilitare la propria base elettorale con un referendum per la difesa dell'aborto.

GEORGIA (16 voti elettorali)

Quattro anni fa Biden si è aggiudicato lo stato con 150mila voti di vantaggio, diventando il primo democratico a vincere le presidenziali in Georgia dal 1992, soprattutto grazie al sostegno degli afroamericani che sono un terzo della popolazione dello Stato. Anche qui l'ultimo sondaggio Ssrs, pubblicato dalla Cnn, dà un testa a testa, con Trump al 48% e Harris al 47%. Da ricordare che Trump, insieme ad una lunga lista di suoi collaboratori, è stato incriminato nella contea di Fulton per interferenze elettorali per aver cercato di rovesciare i risultati elettorali del 2020.

MICHIGAN (15 voti elettorali)

Anche qui Biden vinse per 150mila voti, dopo che Trump nel 2016 conquistò, a sorpresa, e per meno di 11mila voti, lo stato del Mid West fino ad allora considerato parte della "Blue Wall", cioè il gruppo di Stati che dal 1992 al 2012 hanno votato sempre democratico alle presidenziali. Secondo il recente sondaggio Cnn, Harris sarebbe in vantaggio in Michigan, con il 48% contro il 43%, un vantaggio che viene registrato, anche se in misura minore, di tre punti, dall'ultimo rilevamento Marist.

Un problema per Harris e i democratici in questo stato, dove vivono 200mila arabo americani, potrebbe essere il voto di protesta contro il sostegno di Israele alla guerra a Gaza, che durante le primarie ha spinto 100mila elettori dem a votare per delegati "uncommitted' e non per quelli di Biden. Numeri contenuti, ma che potrebbero essere cruciali considerati gli scarti minimi tra i due candidati nelle ultime elezioni.

NEVADA (6 voti elettorali)

Biden ha vinto quattro anni fa con uno scarto di 34mila voti. L'ultimo sondaggio Cnn dà Trump in testa con il 48% contro il 47% della democratica. Negli ultimi cicli elettorali lo Stato, dove c'è una consistente comunità ispanica, si è spostato sempre più verso i dem, l'ultimo repubblicano a vincere le presidenziali è stato, due volte, George W. Bush. Ad agosto la democratica ha incassato l'endorsement dell'influente Culinary Workers Union Local 226, che rappresenta i lavoratori del settore alberghiero di Las Vegas e Reno ai quali entrambi i candidati hanno promesso misure per detassare le mance.

NORTH CAROLINA (16 voti elettorali)

Trump ha vinto nello stato sia nel 2016 che nel 2020 (per appena 20mila voti), e anche i precedenti storici lo favoriscono: Barack Obama è stato l'unico democratico a vincere nello stato dal 1976. E ci è riuscito nel 2008 ma non nel 2012. Ma in favore di Harris può giocare il fatto che il 22% della popolazione è afroamericana ed una sua affluenza massiccia alle urne potrebbe essere in suo favore. Il recente sondaggio Cnn le dà un vantaggio, statisticamente irrilevante, del 48% contro il 47%. Potrebbe giocare in favore dei democratici anche il fatto che la North Carolina - che è governata dal democratico Roy Cooper - è tra gli stati chiave quello con il maggior numero di laureati, gruppo che negli anni recente tende a votare dem.

PENNSYLVANIA (19 voti elettorali)

E' stato vinto da Biden per 82mila voti, dopo che Trump nel 2016 aveva strappato ad Hillary Clinton anche questo stato del "Blue Wall" per un pugno di voti. E' da tutti considerato lo stato dove non si può perdere per poter arrivare alla Casa Bianca, grazie al fatto che è quello tra tutti gli Stati chiave con il bottino maggiore di voti elettorali, e non solo. Per questo da settimane i due candidati - che da metà luglio hanno partecipato ad oltre 50 eventi in Pennsylvania - e i loro alleati stanno puntando il tutto per tutto per vincere.

E questo si rispecchia nel recente sondaggio Cnn che dà Harris e Trump in perfetta parità, al 48%, nel Keystone State. Mentre il sondaggio Marist dà Harris lievemente in testa, di due punti. Bisogna ricordare che Trump il 13 luglio scorso è sopravvissuto ad un attentato alla sua vita durante un comizio nello Stato, a Butler. E che si sta concentrando nella Pennsylvania l'enorme mobilitazione finanziaria e logistica di Elon Musk, che ha investito 118 milioni di dollari in un super Pac per far vincere Trump.

WISCONSIN (10 voti elettorali)

Nelle ultime elezioni in questo stato, che anche faceva parte del Blue Wall, i sondaggi si sono dimostrati clamorosamente errati: nel 2016 davano Clinton in testa per 6 punti, invece Trump vinse di misura. E anche quattro anni fa Biden era dato avanti di 7 punti, invece alla fine ha vinto per il rotto della cuffia, con appena 21mila voti. Ora il sondaggio della Cnn dà ad Harris un vantaggio di sei punti, il 51% contro il 45%. Anche Marist dà la democratica in testa, ma di due punti.

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