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In Italia è emergenza edilizia scolastica: solo il 50% ha i certificati di sicurezza

In Italia, il sistema scolastico è in una condizione di emergenza, con un terzo delle scuole che ha bisogno di interventi di manutenzione urgenti. A riportarlo è un report di Legambiente, presentato a Napoli, alla chiesa dei Cristallini, nel Rione Sanità, uno spazio di comunità restituito agli abitanti del quartiere grazie ad un lavoro di recupero e di rigenerazione urbana avviato dalla cooperativa ‘La Paranza’ e oggi sede di diversi progetti educativi.

Ciò che è emerso è che nel Sud e nelle Isole la situazione è ancora più grave: una scuola su due richiede urgentemente interventi. Nonostante l’aumento dei fondi per la manutenzione straordinaria, la situazione rimane stazionaria e preoccupante.

Fondi per la manutenzione: un dato allarmante

Nel 2023, il governo italiano ha stanziato in media 42.000 euro per singolo edificio scolastico, un incremento rispetto ai 36.000 euro degli ultimi cinque anni. Tuttavia, questo aumento non si traduce in un reale miglioramento della situazione. Solo 23.821 euro sono stati spesi su una media di 42.022 euro stanziati per ogni scuola, evidenziando un significativo gap tra fondi disponibili e utilizzo effettivo.

Questo problema si estende anche ad altre aree fondamentali come la digitalizzazione, i trasporti, i servizi per lo sport e l’efficientamento energetico.

Il report Ecosistema Scuola, giunto alla XXIV edizione, ha analizzato i dati 2023 di 100 comuni capoluogo su 113, riguardanti 7.024 edifici scolastici e oltre 1,3 milioni di studenti. La relazione mette in luce le lacune nei servizi essenziali previsti dai Lep (Livelli Essenziali di Prestazione), che comprendono l’edilizia scolastica, la digitalizzazione e i servizi mensa.

“I ritardi e le emergenze da affrontare sono evidenti anche nei trasporti e nelle palestre, servizi cruciali per il benessere degli studenti,” scrive Legambiente.

Sicurezza e innovazione digitale

I dati sullo stato di salute degli edifici scolastici sono quindi preoccupanti: solo il 50% delle scuole possiede tutti i certificati di sicurezza. Inoltre, poco più di una scuola su due è dotata di reti cablate e Wi-Fi. “Le mense – si legge nel report – restano un servizio di qualità ma ancora non presente in tutte le aree del Paese. Il dato medio di 76,7% di edifici con mensa a livello nazionale, al Nord e al Centro sale rispettivamente al 92,2% e all’80,9%, mentre nel Sud e nelle Isole si ferma rispettivamente al 54,3% e al 41,2%”.

Legambiente segnala anche un grave problema di sostenibilità. Preoccupa, “la poca attenzione alla sostenibilità, nel 64,9% delle mense vengono impiegate stoviglie monouso – spiega Legambiente nel report – Sul fronte trasporti solo il 19,7% delle scuole dispone di un servizio di mobilità collettiva come lo scuolabus; sui servizi per lo sport un impianto su quattro necessita di manutenzione urgente. Le palestre aperte oltre l’orario scolastico sono oltre il 70% nei capoluoghi di provincia del Centro-Nord, per ridursi al 30,3% nelle Isole al Sud e ridimensionarsi a poco più del 40% nelle città del Sud delle Isole. Relativamente all’energia, solo il 20,9% degli edifici scolastici utilizza fonti di energia rinnovabile, con un picco al Nord (24,3%) e un minimo nelle Isole (14,1%), solo il 16,4% delle scuole ha visto realizzati interventi di efficientamento negli ultimi 5 anni e di tutti gli edifici scolastici, solo il 6,7% si trova in classe A”.

Le disparità territoriali

La relazione di Legambiente non tralascia di evidenziare le forti disparità territoriali. Ad esempio, solo il 20,9% degli edifici scolastici utilizza fonti di energia rinnovabile, con punte del 24,3% al Nord e un misero 14,1% nelle Isole. “È inaccettabile che i Lep non considerino servizi fondamentali il trasporto scolastico e la sostenibilità energetica,” ha affermato Claudia Cappelletti, responsabile nazionale scuola di Legambiente. “Senza un investimento adeguato, le aree più fragili del Paese rischiano di rimanere indietro.”

Agibilità e sicurezza

“Nel 2023 il certificato di agibilità degli edifici scolastici è presente mediamente in una scuola su due, con forti divari geografici fra Nord (68,8% degli edifici) e Sud (22,6%); gli accorgimenti per l’abbattimento delle barriere architettoniche vedono una differenza fra la media nazionale (79,9% degli edifici) e le Isole di venti punti percentuali (61%). Il collaudo statico, mediamente effettuato in una scuola su due, ma non al Sud, che è zona particolarmente sismica, dove è invece presente solo nel 27,2% degli edifici – si legge nel report – Infine, il certificato prevenzione incendi è una norma in costante transizione, con continue proroghe (l’ultima, contenuta nel Decreto Milleproroghe, fissa come scadenza il 31 dicembre 2024). In questo caso, però, le scuole del Sud sono più avanti (65,2% rispetto al 55,8% della media nazionale). Sono in deroga, invece, le scuole al di sotto dei 100 alunni, quindi, facilmente le scuole dei piccoli comuni; ma anche dove la situazione è migliore, per Legambiente non è accettabile che questi requisiti siano presenti al massimo nel 50% degli edifici scolastici. Dovrebbe essere obiettivo prioritario che il 100% delle scuole italiane presentasse tutte le garanzie di sicurezza”.

Un piano di rigenerazione necessario

“Abbiamo scelto Napoli, capitale del Mezzogiorno, per evidenziare – commenta Mariateresa Imparato, presidente di Legambiente Campania – ancora una volta il divario tra Nord e sud del Paese in termini di edilizia e servizi scolastici, ma soprattutto per chiedere con atti concreti un’accelerata sul fronte della transizione ecologica ancora troppo timida in ambito scolastico dove assistiamo a ritardi, poca volontà politica e scarsa programmazione. È giunto il tempo di ‘alzare l’asticella della qualità’, con obiettivi e prestazioni da raggiungere che garantiscano davvero la sostenibilità ambientale e la salubrità degli edifici, la qualità indoor, il benessere e la salute. La vera sfida consiste nel promuovere nei fatti un grande cantiere di innovazione, dove convogliare idee e risorse per progettare e realizzare scuole innovative, sostenibili, più sicure e inclusive”.

Il report di Legambiente non è solo una denuncia, ma anche una chiamata all’azione. La situazione attuale richiede un piano di investimento ordinario, capace di garantire l’efficienza e la sicurezza delle scuole italiane.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Siamo davvero destinati a vivere 100 anni? Secondo...

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Vivere fino a 100 anni forse non è così scontato. Che la longevità abbia un limite ben preciso è un dato emerso da una recente ricerca. Lo studio è stato condotto da S. Jay Olshansky, un esperto in aspettativa di vita, docente della School of Public Health dell’Università dell’Illinois a Chicago.

Olshansky ha guidato lo studio, pubblicato il 7 ottobre sulla rivista Nature Aging, in cui si analizzano i dati sulla possibile longevità in diverse popolazioni, evidenziando un cambiamento rispetto al passato: se nei secoli XIX e XX l’aspettativa di vita ha quasi raddoppiato, oggi assistiamo a un rallentamento dei guadagni di anni. Cosa significa tutto questo per il futuro della nostra salute e della nostra vita?

L’aspettativa di vita

Nelle popolazioni con maggiore longevità, l’aspettativa di vita alla nascita è aumentata in media di soli 6,5 anni dal 1990, dopo essere quasi raddoppiata durante il XX secolo grazie ai progressi nella prevenzione delle malattie.

Secondo gli esperti, gli esseri umani sembrano, adesso, aver raggiunto un limite biologico alla vita. “La maggior parte delle persone vive oggi grazie a un tempo ‘creato’ dalla medicina – ha spiegato S. Jay Olshansky, l’autore principale dello studio -. Tuttavia, questi ‘cerotti’ medici producono meno anni di vita, il che implica che il periodo di rapidi aumenti dell’aspettativa di vita è finito”.

Un bambino nato oggi negli Stati Uniti può aspettarsi di vivere fino a 77,5 anni. Nello specifico, le bambine hanno una vita media di 80,2 anni, mentre i bambini di 74,8 anni, secondo i dati del National Center for Health Statistics. In Italia, la situazione è ancora più positiva: l’aspettativa di vita alla nascita è di circa 83 anni, con le donne che vivono mediamente fino a 85,3 anni e gli uomini fino a 80,5 anni, rendendo l’Italia uno dei Paesi con la maggiore longevità al mondo.

La ricerca e i suoi risultati

Olshansky, che studia l’aspettativa di vita da decenni, aveva già previsto in un articolo pubblicato nel 1990 sulla rivista Science che le persone stavano avvicinandosi a un tetto per l’aspettativa di vita intorno agli 85 anni. Molti esperti avevano invece previsto che i progressi nell’assistenza sanitaria avrebbero portato a ulteriori guadagni in termini di tempo. Lo studio prevede, invece, che i miglioramenti nell’aspettativa di vita continueranno a rallentare man mano che sempre più persone sperimentano gli effetti inesorabili dell’invecchiamento.

I ricercatori hanno esaminato i cambiamenti osservati nei tassi di mortalità e nelle aspettative di vita dal 1990 al 2019 negli otto Paesi più longevi al mondo. Parliamo di Giappone, Corea del Sud, Australia, Francia, Italia, Svizzera, Svezia e Spagna, oltre agli Stati Uniti. Hanno scoperto che il miglioramento dell’aspettativa di vita ha rallentato in quasi tutti questi luoghi.

“Il nostro risultato ribalta la convisione secondo cui l’aumento naturale di longevità per la nostra specie è proficuo e riguarda il futuro – ha dichiarato Olshansky -. In realtà, si trova dietro di noi, in un intervallo tra i 30 e i 60 anni. Abbiamo ora dimostrato che la medicina moderna sta producendo miglioramenti incrementali sempre più ridotti nella longevità, anche se i progressi medici avvengono a un ritmo vertiginoso”.

Fino a 100 anni si può?

Sebbene sia probabile che sempre più persone raggiungano i 100 anni, secondo il dottore, queste saranno un’eccezione, contrariamente a quanto si pensa in molti ambiti, come le assicurazioni e la gestione patrimoniale, dove si calcola che la maggior parte delle persone vivrà quasi un secolo: “Questo ragionamento è semplicemente sbagliato”, ha aggiunto Olshansky.

Lo studio sottolinea che, sebbene la scienza e la medicina possano produrre ulteriori benefici, potrebbe avere più senso investire nel miglioramento della qualità della vita piuttosto che nell’estensione della vita stessa.

I ricercatori hanno chiamato a un investimento nella geroscienza, la biologia dell’invecchiamento, sostenendo che potrebbe essere la chiave per la prossima ondata di salute e longevità: “Questa è una sorta di soffitto di vetro, non un muro di mattoni,” ha notato Olshansky. Ridurre i fattori di rischio, lavorare per eliminare le disuguaglianze e incoraggiare stili di vita più sani può consentire alle persone di vivere più a lungo e in salute.

“Possiamo superare questo soffitto di salute e longevità con la geroscienza e sforzi per rallentare gli effetti dell’invecchiamento, ma quello non lo possiamo più rallentare”, ha concluso.

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Jeff Bezos e il puttering prima di iniziare a lavorare: di...

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C’è qualcosa che riguarda il lavoro, viene fatta da Jeff Bezos e puoi fare anche tu: rilassarti per bene prima di iniziare a produrre. Questo, in estrema sintesi, è il puttering, routine che il fondatore di Amazon, nonché uno degli uomini più ricchi del mondo con un patrimonio stimato di 204 miliardi di dollari, segue pedissequamente ogni mattina.

Puttering, cosa è?

Invece di cominciare la giornata con riunioni affollate o telefonate, Bezos dedica un’ora del mattino al “puttering”, termine che lui stesso descrive come una serie di attività rilassanti e non strutturate. Durante un discorso al Economic Club di Washington, Bezos ha sottolineato quanto sia importante per lui questo tempo libero, che gli permette di ricaricare le energie prima di affrontare gli impegni della giornata.

“Puttering” per Bezos significa muoversi lentamente in casa, senza fretta, magari dedicandosi a una passeggiata o facendo piccole faccende. Non è un momento per prendere decisioni importanti, ma piuttosto per distendersi e prepararsi mentalmente. Questa abitudine, come ha spiegato fondatore di Amazon, gli consente di essere più lucido durante le riunioni più impegnative che, non a caso, pianifica solo a partire dalle 10 del mattino. Molti non se lo possono permettere, ma la sua testimonianza offre spunti interessanti per tutti i lavoratori.

“Preferisco fare le riunioni che richiedono maggiore concentrazione prima di pranzo, quando la mia energia è al massimo. Dopo le 5 di sera, non riesco più a pensare in modo chiaro”, ha detto Bezos spiegando che grand parte del suo successo deriva al riposo e al tempo dedicato a sé stesso. Ha spiegato che si assicura di dormire almeno otto ore ogni notte, perché questo migliora il suo umore, la sua capacità decisionale e la sua energia.

Nel suo libro Invent & Wander, ha scritto: “Dormire a sufficienza mi fa pensare meglio, avere più energia e migliorare il mio stato d’animo”. Questo approccio bilanciato tra lavoro e riposo gli ha permesso di mantenere livelli elevati di produttività nel lungo periodo.

I benefici del “puttering”

Il “puttering”, al di là della routine di Jeff Bezos, ha benefici riconosciuti per la salute mentale e fisica. Secondo Maris Loeffler, terapista specializzata in ansia e stress presso lo Stanford Lifestyle Medicine Program, dedicarsi ad attività rilassanti all’inizio della giornata può ridurre i livelli di ansia e migliorare la concentrazione. Loeffler avverte che trascorrere troppo tempo su dispositivi elettronici appena svegli può avere l’effetto opposto, danneggiando la memoria e la capacità di apprendimento a lungo termine.

Molti studi, come quelli citati dalla Loeffler, collegano un uso eccessivo dei dispositivi a una riduzione del volume della materia grigia nel cervello, associata a un declino delle funzioni cognitive. Una situazione sempre più urgente, ma anche avvertita come dimostra la petizione firmata da esperti e vip per vietare l’uso dello smartphone agli under 14 e dei social agli under 16.

Il “puttering”, quindi, rappresenta un antidoto al sovraccarico mentale causato dalla tecnologia. Lontano dai dispositivi, Bezos riesce a iniziare la giornata in modo più sereno e con un approccio più calmo, concentrato su attività manuali o rilassanti. Questo tipo di routine consente di ridurre lo stress e di prevenire problemi di salute legati a ritmi troppo frenetici, come dimostrano anche altre ricerche sull’importanza di prendersi momenti di pausa e relax nel corso della giornata.

Un esempio di vita equilibrata

Nonostante la sua vita frenetica e le responsabilità legate alla gestione di un colosso come Amazon, Bezos ha scelto di mantenere una routine che gli consente di bilanciare lavoro e riposo. Il suo “puttering” mattutino è un esempio di come anche i leader più impegnati possono trarre beneficio da momenti di pausa e riflessione.

Insomma, non sono solo le lunghe ore di lavoro a determinare il successo, ma anche la capacità di prendersi cura di sé, mantenendo un equilibrio mentale e fisico che lo aiuta a rimanere performante nel lungo periodo.

La sua filosofia si riflette anche nella struttura delle sue giornate lavorative: Bezos preferisce gestire gli impegni più complessi nelle ore del mattino, quando si sente più fresco e pronto ad affrontare gli impegni di lavoro.

Ora non ci resta che testare.

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Denatalità, Rago (Pertini): “Scelte personali devono tener...

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La denatalità in Italia è un problema gravissimo. Lo ha ribadito con decisione Rocco Rago, direttore dell’unità operativa di fisiopatologia della riproduzione dell’ospedale Sandro Pertini di Roma e direttore del dipartimento materno-infantile della Asl Roma 2.

In occasione della XVIII edizione delle giornate di andrologia e medicina della riproduzione, il più grande congresso di medicina della riproduzione che si tiene ogni anno a Sabaudia, Rago ha chiarito: “La situazione non è grave. È gravissima. Serve una cultura fisiologica della riproduzione”.

La denatalità in Italia

Negli ultimi anni, l’Italia ha registrato un costante calo della natalità. L’attuale media è di soli 1,2 figli per donna nel 2023, in diminuzione rispetto all’1,24 del 2022. Secondo l’Istat, nel 2023 sono stati circa 379mila nati, con un tasso di natalità sceso a 6,4 per mille, rispetto al 6,7 dell’anno precedente.

Questo declino è iniziato nel 2008 e ha portato a una perdita complessiva di 197mila nascite (-34,2%). Le coppie senza figli e i genitori single sono in aumento, mentre la maternità viene posticipata, con l’età media delle donne che ricorrono alla procreazione assistita che ha raggiunto quasi 37 anni. Le cause includono fattori economici, stili di vita e un cambiamento culturale che privilegia la carriera.

Si stima che nel 2024 il numero di nati potrebbe scendere ulteriormente, evidenziando una crisi demografica che richiede urgentemente interventi e una nuova cultura della fertilità.

“La situazione non è grave. È gravissima – ha spiegato Rago -. Innanzitutto, c’è da dire che l’età media delle donne che vanno alla ricerca di una tecnica di procreazione assistita è arrivata a quasi 37 anni e a oltre 42 se effettua un’eterologa. Il numero medio di figli per donna è oggi a 1.2 e rappresenta il dato più basso dal dopoguerra. Anche se è ancora una stima, quella del 2024 ci porta tra i 350 e i 360 mila nati, quindi verso un dato già fortemente negativo rispetto al 2021 che era di 399 mila nuovi nati. Teniamo presente che nel 1964 in Italia nascevano un milione e 350 mila nati. Nel 2024 quel milione ce lo siamo persi”.

Posticipare la maternità: quali rischi?

“L’età anagrafica in cui si ricerca una gravidanza si è spostata in avanti di dieci anni – ha continuato l’esperto – e a questa si aggiungono le patologie oncologiche, gli stili di vita e anche le abitudini culturali che sono cambiate nel desiderio di una gravidanza”. Tutti questi fattori, in sintesi, incidono sul concepimento e sull’infertilità di coppia rendendoli sempre più al centro dell’attuale dibattito.

Posticipare la maternità riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. Per cercare quindi di invertire questo trend negativo ha spiegato lo specialista “dobbiamo iniziare col diffondere una cultura della fisiologia della riproduzione, spiegando alle giovani generazioni che la donna ha un orologio biologico che ha una sua scadenza. Non tutti infatti sanno che sopra i 35 anni inizia un calo della fertilità e che, se si desidera avere un figlio, bisogna cominciare a pensarci prima di quell’età. Non sarà una cosa che faremo in un anno, ma nei decenni successivi, iniziando piano piano a modificare già da ragazzi quella che può essere la cultura della fertilità”.

Per il dottor Rago, la sfida è sensibilizzare l’opinione pubblica contro stereotipi e idee sbagliate: “Bisogna essere consapevoli che nella vita si fanno delle scelte: se si decide di avere una vita incentrata sul singolo va benissimo, ma se poi questa non combacia col desiderio di una gravidanza, allora è una cosa di cui si deve essere informati – e chiarisce -. Anche la stessa concezione della scienza come soluzione sempre e comunque efficace può portare a sottostimare elementi come il calo di fertilità legato all’avanzare dell’età”.

“Un’altra attività su cui sarebbe necessario investire – ha poi concluso – sono le infrastrutture che dovrebbero essere messe a supporto della donna che vuole lavorare anche avendo uno o più figli. Oggi non abbiamo più quella famiglia allargata che avevamo una volta e che consentiva alle donne di tornare a lavoro lasciando i propri figli accuditi da nonni e parenti. Oggi c’è necessità di avere dei servizi accessibili, sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista della presenza di questi servizi”.

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