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Chroming, cos’è la nuova challenge di TikTok che fa rischiare la morte

Inalare sostanze tossiche e condividerlo sui social con i propri follower. “Chroming” è il termine con il quale è stata coniata la nuova challenge di TikTok che mette a rischio la salute dei giovani e che è diventato già un caso medico e di preoccupazione internazionale.

La sfida consiste nell’inalare fumi associati a prodotti e articoli per la casa, dallo smalto ai pennarelli indelebili. Ad esaminarne le dinamiche e le caratteristiche sono stati gli studiosi del Cohen’s Children’s Medical Center, presentato alla conferenza nazionale 2024 dell’American Academy of Pediatrics. Scopriamo cos’è emerso.

La nuova challenge che preoccupa i pediatri

Il mondo dei social ha pregi e difetti. Uno di quest’ultimi è alimentare le fantasie delle persone, anche le più pericolose, e trascinare tanti giovani in un mondo oscuro e ricco di insidie. Sono chiamate “challenge” e si diffondono rapidamente sulle piattaforme, quali TikTok ad esempio, causando spesso rischi e danni anche irreversibili.

Presentato durante la conferenza nazionale 2024 dell’American Academy of Pediatric, uno studio condotto dal Centro pediatrico ‘Cohen’, nel Queens, a New York, ha analizzato un totale di 109 video sul “chroming” che insieme avevano ottenuto più di 25 milioni di visualizzazioni.

Gli scienziati hanno considerato le informazioni relative al genere e all’età del “content creator”, il tipo di elemento utilizzato per la pratica e la frequenza con cui pubblicavano i video.

“L’aspetto più preoccupante – ha affermato Keerthi Krishna, tra gli autori dello studio – riguarda la tipologia di oggetti usati dagli influencer, tutti facilmente accessibili ai ragazzi, il che rende più complicato individuare il comportamento dannoso, incrementando il rischio di un uso ripetuto e dello sviluppo di una dipendenza”.

Chiamato anche ‘huffing’, il chroming produce un breve stato euforico, ma può portare a vertigini, danni cerebrali e persino decesso. Non è una pratica nuova perché è già da tempo, in alcune parti del mondo, questo tipo di pratica è così diffusa da aver creato dei veri e propri quartieri di zombie, coinvolgendo non solo i bambini, ma anche gli adulti. Dall’inalazione del Nayope (mix di sostanze tossiche) in Africa, agli scenari di persone che non si reggono in piedi a Portland negli Stati Uniti, sono diverse le immagini online che circolano su chi ha fatto di questa partica una vera e propria dipendenza. Ma, fino a qualche anno fa, non era ancora diventata una challenge social.

Le vittime

Una delle vittime di questa “challenge” pericolosa è Esra Haynes, una studentessa di 13 anni di Melbourne, Australia. Secondo quanto si apprende dai media locali, Esra è morta il 31 marzo 2023, a causa dell’esposizione a sostanze chimiche durante un pigiama party dopo aver preso parte al trend di TikTok. Si dice che abbia annusato un deodorante spray, che si ritiene sia la causa della sua morte.

Nel settembre 2023, è morta un’altra adolescente, Sarah Mescall, tre giorni dopo essere stata ricoverata al Crumlin Children’s Hospital di Dublino. Pare che sia crollata dopo aver partecipato alla sfida “chroming” e si sia svegliata a un certo punto per raccontare alla madre cosa era successo prima di svenire di nuovo.

E, non ultimo, il 6 marzo 2024 è toccato a un bambino di 11 anni, morto dopo aver presumibilmente inalato qualche sostanza durante una festa in pigiama con gli amici.

L’appello dei pediatri

I pediatri invitano ad avere una maggiore consapevolezza sui pericoli delle challenge. Tra i video analizzati, l’oggetto più comune era il pennarello indelebile, seguito da prodotti antipolvere, smalto per unghie, diluente per vernici, benzina, deodorante spray e lacca per capelli.

Oltre la metà dei filmati faceva riferimento a effetti derivanti da dipendenza o uso ripetuto. Gli autori hanno invitato genitori e pediatri ad essere maggiormente consapevoli dell’esistenza di questa tendenza e dei suoi pericoli, e chiedono ai proprietari dei social media dovrebbero muoversi più attivamente per prevenire la diffusione di contenuti dannosi.

Le altre challenge social

Il fenomeno delle challenge sui social è diventato uno dei principali motivi per i quali esperti, studiosi, pediatri e genitori chiedono alle autorità competenti il divieto di utilizzare le piattaforme prima dei 16/18 anni. Un divieto che, però, non trova riscontro nella realtà, con facili mosse per eludere l’età, sono sempre più piccoli i giovani che entrano a contatto con la realtà del web e con le conseguenze che ciò comporti.

Quella del “Chroming” non è né la prima è l’ultima challenge che si è diffusa online. Tutti ricorderete la Blue Whale, una challenge che consisteva nell’affidare i propri comportamenti ai comandi di un “amministratore” per 50 giorni. In molti casi, l’ultimo gesto richiesto era autolesionistico o addirittura il suicidio.

Un’altra challenge che ha coinvolto i minori ha riguardato la “Sex Roulette” che consisteva nell’avere rapporti sessuali di gruppo con persone portatrici di malattie sessualmente trasmissibili o comunque senza l’uso di alcuna precauzione e chi rimaneva incinta o diventata affetto dalla stessa patologia “perdeva”.

Ma tante altre sono state le challenge che hanno coinvolto i giovani: dal correre sui binari delle metropolitane, all’attraversare quelli dei treni con il mezzo in corsa, al mostrare la propria morte in diretta streaming e così via. Il mondo del web è diventato così sempre più un mondo oscuro che fa leva sulle debolezze e le insicurezze dei più piccoli conferendogli forza e coraggio se inclini a compiere questi gesti. Gesti per i quali pediatri e pedagogisti di tutto il mondo chiedono la fine con il divieto dei social.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Siamo davvero destinati a vivere 100 anni? Secondo...

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Vivere fino a 100 anni forse non è così scontato. Che la longevità abbia un limite ben preciso è un dato emerso da una recente ricerca. Lo studio è stato condotto da S. Jay Olshansky, un esperto in aspettativa di vita, docente della School of Public Health dell’Università dell’Illinois a Chicago.

Olshansky ha guidato lo studio, pubblicato il 7 ottobre sulla rivista Nature Aging, in cui si analizzano i dati sulla possibile longevità in diverse popolazioni, evidenziando un cambiamento rispetto al passato: se nei secoli XIX e XX l’aspettativa di vita ha quasi raddoppiato, oggi assistiamo a un rallentamento dei guadagni di anni. Cosa significa tutto questo per il futuro della nostra salute e della nostra vita?

L’aspettativa di vita

Nelle popolazioni con maggiore longevità, l’aspettativa di vita alla nascita è aumentata in media di soli 6,5 anni dal 1990, dopo essere quasi raddoppiata durante il XX secolo grazie ai progressi nella prevenzione delle malattie.

Secondo gli esperti, gli esseri umani sembrano, adesso, aver raggiunto un limite biologico alla vita. “La maggior parte delle persone vive oggi grazie a un tempo ‘creato’ dalla medicina – ha spiegato S. Jay Olshansky, l’autore principale dello studio -. Tuttavia, questi ‘cerotti’ medici producono meno anni di vita, il che implica che il periodo di rapidi aumenti dell’aspettativa di vita è finito”.

Un bambino nato oggi negli Stati Uniti può aspettarsi di vivere fino a 77,5 anni. Nello specifico, le bambine hanno una vita media di 80,2 anni, mentre i bambini di 74,8 anni, secondo i dati del National Center for Health Statistics. In Italia, la situazione è ancora più positiva: l’aspettativa di vita alla nascita è di circa 83 anni, con le donne che vivono mediamente fino a 85,3 anni e gli uomini fino a 80,5 anni, rendendo l’Italia uno dei Paesi con la maggiore longevità al mondo.

La ricerca e i suoi risultati

Olshansky, che studia l’aspettativa di vita da decenni, aveva già previsto in un articolo pubblicato nel 1990 sulla rivista Science che le persone stavano avvicinandosi a un tetto per l’aspettativa di vita intorno agli 85 anni. Molti esperti avevano invece previsto che i progressi nell’assistenza sanitaria avrebbero portato a ulteriori guadagni in termini di tempo. Lo studio prevede, invece, che i miglioramenti nell’aspettativa di vita continueranno a rallentare man mano che sempre più persone sperimentano gli effetti inesorabili dell’invecchiamento.

I ricercatori hanno esaminato i cambiamenti osservati nei tassi di mortalità e nelle aspettative di vita dal 1990 al 2019 negli otto Paesi più longevi al mondo. Parliamo di Giappone, Corea del Sud, Australia, Francia, Italia, Svizzera, Svezia e Spagna, oltre agli Stati Uniti. Hanno scoperto che il miglioramento dell’aspettativa di vita ha rallentato in quasi tutti questi luoghi.

“Il nostro risultato ribalta la convisione secondo cui l’aumento naturale di longevità per la nostra specie è proficuo e riguarda il futuro – ha dichiarato Olshansky -. In realtà, si trova dietro di noi, in un intervallo tra i 30 e i 60 anni. Abbiamo ora dimostrato che la medicina moderna sta producendo miglioramenti incrementali sempre più ridotti nella longevità, anche se i progressi medici avvengono a un ritmo vertiginoso”.

Fino a 100 anni si può?

Sebbene sia probabile che sempre più persone raggiungano i 100 anni, secondo il dottore, queste saranno un’eccezione, contrariamente a quanto si pensa in molti ambiti, come le assicurazioni e la gestione patrimoniale, dove si calcola che la maggior parte delle persone vivrà quasi un secolo: “Questo ragionamento è semplicemente sbagliato”, ha aggiunto Olshansky.

Lo studio sottolinea che, sebbene la scienza e la medicina possano produrre ulteriori benefici, potrebbe avere più senso investire nel miglioramento della qualità della vita piuttosto che nell’estensione della vita stessa.

I ricercatori hanno chiamato a un investimento nella geroscienza, la biologia dell’invecchiamento, sostenendo che potrebbe essere la chiave per la prossima ondata di salute e longevità: “Questa è una sorta di soffitto di vetro, non un muro di mattoni,” ha notato Olshansky. Ridurre i fattori di rischio, lavorare per eliminare le disuguaglianze e incoraggiare stili di vita più sani può consentire alle persone di vivere più a lungo e in salute.

“Possiamo superare questo soffitto di salute e longevità con la geroscienza e sforzi per rallentare gli effetti dell’invecchiamento, ma quello non lo possiamo più rallentare”, ha concluso.

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Jeff Bezos e il puttering prima di iniziare a lavorare: di...

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C’è qualcosa che riguarda il lavoro, viene fatta da Jeff Bezos e puoi fare anche tu: rilassarti per bene prima di iniziare a produrre. Questo, in estrema sintesi, è il puttering, routine che il fondatore di Amazon, nonché uno degli uomini più ricchi del mondo con un patrimonio stimato di 204 miliardi di dollari, segue pedissequamente ogni mattina.

Puttering, cosa è?

Invece di cominciare la giornata con riunioni affollate o telefonate, Bezos dedica un’ora del mattino al “puttering”, termine che lui stesso descrive come una serie di attività rilassanti e non strutturate. Durante un discorso al Economic Club di Washington, Bezos ha sottolineato quanto sia importante per lui questo tempo libero, che gli permette di ricaricare le energie prima di affrontare gli impegni della giornata.

“Puttering” per Bezos significa muoversi lentamente in casa, senza fretta, magari dedicandosi a una passeggiata o facendo piccole faccende. Non è un momento per prendere decisioni importanti, ma piuttosto per distendersi e prepararsi mentalmente. Questa abitudine, come ha spiegato fondatore di Amazon, gli consente di essere più lucido durante le riunioni più impegnative che, non a caso, pianifica solo a partire dalle 10 del mattino. Molti non se lo possono permettere, ma la sua testimonianza offre spunti interessanti per tutti i lavoratori.

“Preferisco fare le riunioni che richiedono maggiore concentrazione prima di pranzo, quando la mia energia è al massimo. Dopo le 5 di sera, non riesco più a pensare in modo chiaro”, ha detto Bezos spiegando che grand parte del suo successo deriva al riposo e al tempo dedicato a sé stesso. Ha spiegato che si assicura di dormire almeno otto ore ogni notte, perché questo migliora il suo umore, la sua capacità decisionale e la sua energia.

Nel suo libro Invent & Wander, ha scritto: “Dormire a sufficienza mi fa pensare meglio, avere più energia e migliorare il mio stato d’animo”. Questo approccio bilanciato tra lavoro e riposo gli ha permesso di mantenere livelli elevati di produttività nel lungo periodo.

I benefici del “puttering”

Il “puttering”, al di là della routine di Jeff Bezos, ha benefici riconosciuti per la salute mentale e fisica. Secondo Maris Loeffler, terapista specializzata in ansia e stress presso lo Stanford Lifestyle Medicine Program, dedicarsi ad attività rilassanti all’inizio della giornata può ridurre i livelli di ansia e migliorare la concentrazione. Loeffler avverte che trascorrere troppo tempo su dispositivi elettronici appena svegli può avere l’effetto opposto, danneggiando la memoria e la capacità di apprendimento a lungo termine.

Molti studi, come quelli citati dalla Loeffler, collegano un uso eccessivo dei dispositivi a una riduzione del volume della materia grigia nel cervello, associata a un declino delle funzioni cognitive. Una situazione sempre più urgente, ma anche avvertita come dimostra la petizione firmata da esperti e vip per vietare l’uso dello smartphone agli under 14 e dei social agli under 16.

Il “puttering”, quindi, rappresenta un antidoto al sovraccarico mentale causato dalla tecnologia. Lontano dai dispositivi, Bezos riesce a iniziare la giornata in modo più sereno e con un approccio più calmo, concentrato su attività manuali o rilassanti. Questo tipo di routine consente di ridurre lo stress e di prevenire problemi di salute legati a ritmi troppo frenetici, come dimostrano anche altre ricerche sull’importanza di prendersi momenti di pausa e relax nel corso della giornata.

Un esempio di vita equilibrata

Nonostante la sua vita frenetica e le responsabilità legate alla gestione di un colosso come Amazon, Bezos ha scelto di mantenere una routine che gli consente di bilanciare lavoro e riposo. Il suo “puttering” mattutino è un esempio di come anche i leader più impegnati possono trarre beneficio da momenti di pausa e riflessione.

Insomma, non sono solo le lunghe ore di lavoro a determinare il successo, ma anche la capacità di prendersi cura di sé, mantenendo un equilibrio mentale e fisico che lo aiuta a rimanere performante nel lungo periodo.

La sua filosofia si riflette anche nella struttura delle sue giornate lavorative: Bezos preferisce gestire gli impegni più complessi nelle ore del mattino, quando si sente più fresco e pronto ad affrontare gli impegni di lavoro.

Ora non ci resta che testare.

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Denatalità, Rago (Pertini): “Scelte personali devono tener...

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La denatalità in Italia è un problema gravissimo. Lo ha ribadito con decisione Rocco Rago, direttore dell’unità operativa di fisiopatologia della riproduzione dell’ospedale Sandro Pertini di Roma e direttore del dipartimento materno-infantile della Asl Roma 2.

In occasione della XVIII edizione delle giornate di andrologia e medicina della riproduzione, il più grande congresso di medicina della riproduzione che si tiene ogni anno a Sabaudia, Rago ha chiarito: “La situazione non è grave. È gravissima. Serve una cultura fisiologica della riproduzione”.

La denatalità in Italia

Negli ultimi anni, l’Italia ha registrato un costante calo della natalità. L’attuale media è di soli 1,2 figli per donna nel 2023, in diminuzione rispetto all’1,24 del 2022. Secondo l’Istat, nel 2023 sono stati circa 379mila nati, con un tasso di natalità sceso a 6,4 per mille, rispetto al 6,7 dell’anno precedente.

Questo declino è iniziato nel 2008 e ha portato a una perdita complessiva di 197mila nascite (-34,2%). Le coppie senza figli e i genitori single sono in aumento, mentre la maternità viene posticipata, con l’età media delle donne che ricorrono alla procreazione assistita che ha raggiunto quasi 37 anni. Le cause includono fattori economici, stili di vita e un cambiamento culturale che privilegia la carriera.

Si stima che nel 2024 il numero di nati potrebbe scendere ulteriormente, evidenziando una crisi demografica che richiede urgentemente interventi e una nuova cultura della fertilità.

“La situazione non è grave. È gravissima – ha spiegato Rago -. Innanzitutto, c’è da dire che l’età media delle donne che vanno alla ricerca di una tecnica di procreazione assistita è arrivata a quasi 37 anni e a oltre 42 se effettua un’eterologa. Il numero medio di figli per donna è oggi a 1.2 e rappresenta il dato più basso dal dopoguerra. Anche se è ancora una stima, quella del 2024 ci porta tra i 350 e i 360 mila nati, quindi verso un dato già fortemente negativo rispetto al 2021 che era di 399 mila nuovi nati. Teniamo presente che nel 1964 in Italia nascevano un milione e 350 mila nati. Nel 2024 quel milione ce lo siamo persi”.

Posticipare la maternità: quali rischi?

“L’età anagrafica in cui si ricerca una gravidanza si è spostata in avanti di dieci anni – ha continuato l’esperto – e a questa si aggiungono le patologie oncologiche, gli stili di vita e anche le abitudini culturali che sono cambiate nel desiderio di una gravidanza”. Tutti questi fattori, in sintesi, incidono sul concepimento e sull’infertilità di coppia rendendoli sempre più al centro dell’attuale dibattito.

Posticipare la maternità riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. Per cercare quindi di invertire questo trend negativo ha spiegato lo specialista “dobbiamo iniziare col diffondere una cultura della fisiologia della riproduzione, spiegando alle giovani generazioni che la donna ha un orologio biologico che ha una sua scadenza. Non tutti infatti sanno che sopra i 35 anni inizia un calo della fertilità e che, se si desidera avere un figlio, bisogna cominciare a pensarci prima di quell’età. Non sarà una cosa che faremo in un anno, ma nei decenni successivi, iniziando piano piano a modificare già da ragazzi quella che può essere la cultura della fertilità”.

Per il dottor Rago, la sfida è sensibilizzare l’opinione pubblica contro stereotipi e idee sbagliate: “Bisogna essere consapevoli che nella vita si fanno delle scelte: se si decide di avere una vita incentrata sul singolo va benissimo, ma se poi questa non combacia col desiderio di una gravidanza, allora è una cosa di cui si deve essere informati – e chiarisce -. Anche la stessa concezione della scienza come soluzione sempre e comunque efficace può portare a sottostimare elementi come il calo di fertilità legato all’avanzare dell’età”.

“Un’altra attività su cui sarebbe necessario investire – ha poi concluso – sono le infrastrutture che dovrebbero essere messe a supporto della donna che vuole lavorare anche avendo uno o più figli. Oggi non abbiamo più quella famiglia allargata che avevamo una volta e che consentiva alle donne di tornare a lavoro lasciando i propri figli accuditi da nonni e parenti. Oggi c’è necessità di avere dei servizi accessibili, sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista della presenza di questi servizi”.

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