Baby-sitter: in nero, donne e specializzate, ecco come le vorrebbero le famiglie italiane
Donna, giovane e specializzata. E spesso in nero. È il profilo della baby-sitter ideale per una famiglia italiana su tre, secondo un’analisi di Nuova Collaborazione (Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico) realizzata dall’istituto di ricerche SWG, che ha indagato le abitudini delle famiglie italiane nella cura dei figli. Lo studio ha coinvolto un campione rappresentativo di 711 famiglie con almeno un figlio nella fascia d’età 0-12 anni.
Dalla ricerca emerge che le baby-sitter sono un po’ l’’ultima spiaggia’ a cui si ricorre per gestire la prole – specialmente fino ai 6 anni d’età – dopo l’aiuto di genitori e nonni. Ma rimangono comunque figure necessarie in una molteplicità di casi e situazioni.
Giovani donne, specializzate ma tenute ‘in nero’: le baby-sitter
Per un compito così delicato, le famiglie si rivolgono a giovani donne (58% tra i 18 e i 34 anni), italiane (95%) e di sesso femminile (93%), anche se c’è una crescente apertura verso figure più anziane e di origine straniera. Inoltre viene sempre più richiesta una certa professionalità oltre a competenze più allargate rispetto alla classica baby-sitter che doveva solo verificare che il bambino non distruggesse se stesso o casa, e andasse a dormire in orario.
Ora sono ricercate anche creatività e primo soccorso, oltre a saper cucinare e svolgere lavori domestici: una tendenza professionalizzante che contrasta con un’altra tendenza, quella a ricorrere alla baby-sitter in modo discontinuo e in nero.
Soltanto il 36% delle baby-sitter, infatti, è assunto con un contratto regolare, anche perché si ‘approfitta’ del fatto che il rapporto di lavoro nasce molto spesso in modo informale e saltuario, per conoscenza diretta o tramite amicizie. Quando però il rapporto si struttura in modo più continuativo, o comporta un numero d’ore rilevante, cosa che capita nel 22% dei casi, la tendenza è a regolarizzare: lo fa il 63% delle famiglie.
Per questo motivo gli italiani apprezzano molto eventuali aiuti da parte dello Stato per affrontare questa spesa: il 59% (tra le persone che attualmente non hanno una babysitter di riferimento) è favorevole ad un eventuale aiuto da parte dello Stato, il 91% a detrazioni totali.
Quanto costa al mese una baby-sitter
Ma quanto costa un aiuto di questo tipo? La spesa media oscilla tra i 250 e i 370 euro al mese in base alla tipologia di collaborazione. Con un contratto regolare, mediamente ogni mese la baby-sitter costa sui 380 euro, scende invece a 368 per chi mantiene rapporti non formalizzati. Dal punto di vista orario, chi non regolarizza tende a pagare circa 50 centesimi in più all’ora, con un compenso in nero pari a circa 10,22 euro che arrivano 9,71 euro per chi decide di contrattualizzare.
“I dati della ricerca realizzata da SWG evidenziano quanto il lavoro delle baby-sitter non venga ancora considerato dalla nostra società, nonostante l’importanza riconosciuta a queste figure per la crescente necessità di conciliare lavoro e vita privata. C’è ancora molta resistenza nel formalizzare i rapporti ma, al tempo stesso, i profili ricercati sono altamente specializzati, a dimostrazione di quanto il lavoro di cura necessiti di formazione mirata – ha dichiarato l’avvocato Filippo Breccia Fratadocchi, vicepresidente di Nuova Collaborazione.
“A questo si aggiunge la mancanza di interventi di welfare strutturati e duraturi in favore delle famiglie. Ecco perché continuiamo a ribadire la necessità di politiche di defiscalizzazione del settore del lavoro domestico che è diventato ormai fondamentale nella gestione e nella cura di tutti i nostri cari”.
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Assorbenti gratis al Politecnico di Torino, De Giorgi:...
Una donna su dieci in Europa non può permettersi prodotti sanitari adeguati. Tra questi ci sono anche gli assorbenti. A rilevarlo è stata un’indagine condotta dall’Unione europea nel 2020. Nel 2021, l’Europarlamento ha chiesto, con una risoluzione, che gli Stati membri eliminassero l’imposta sui prodottoti mestruali. E dove in molti casi i vari governi non sono riusciti ad adeguarsi, in altri casi sono state le istituzioni pubbliche, come quelle universitarie, come le comunità locali, ma anche le associazioni e il terzo settore, a svolgere il proprio ruolo.
Ne è stato un esempio il Politecnico di Torino che ha deciso di installare dei distributori contenenti assorbenti mestruali da fornire in forma gratuita alle studentesse dell’Ateneo. E a spiegarci il perché è la vicerettrice Claudia De Giorgi.
Assorbenti gratis al Politecnico di Torino
“Come in tutte le materie Stem, anche in ingegneria le donne sono rappresentate in numero inferiore, sia per quanto riguarda la popolazione studentesca, sia per il corpo docente. E nel nostro Ateneo, la presenza femminile si attesta al 30%”. A raccontarcelo è la vicerettrice del Politecnico di Torino Claudia De Giorgi che dal 2018 lavora al tema insieme alla professoressa Arianna Montorsi, Direttrice del Centro studi di Genere di Ateneo: “Abbiamo investito molto per l’aumento delle iscrizioni femminili nel nostro Ateneo – ha aggiunto -, e che il numero di donne a ingegneria sia in costante aumento è una grande soddisfazione”.
In merito alla decisione di distribuire assorbenti gratis nei corridoi dell’Istituto, piuttosto che nei bagni, la vicerettrice De Giorgi è stata chiara: “La rappresentanza studentesca ci ha chiesto un servizio. L’Europa ci chiede un Gender Equality Plan. Realizzato nel 2021 e conclusosi nel 2024, il nostro prevedeva questa iniziativa. Abbiamo semplicemente fatto ciò che ci è stato richiesto e in cui crediamo. E perché proprio nei corridoi? Perché quei distributori rappresentano il simbolo di un confronto sereno nel quale la donna sia considerata nelle sue caratteristiche, in chiave olistica, senza timidezze e senza tabù. Credevamo fosse il modo migliore per raccontare una realtà – ha aggiunto -: le ragazze sono un’occasione per guardare alla diversità come categoria d’eccellenza. Ciascuno con le proprie caratteristiche, seppur una minoranza, rappresenta una ricchezza per l’Ateno. Persino alcune studentesse ci hanno detto che forse era meglio nei bagni, ma è giusto che anche loro si sentano più libere”.
“In questo percorso ci accompagna una giovane realtà imprenditoriale che ci ha permesso di realizzare questo servizio – ha concluso la vicerettrice -. This Unique parla alle giovani generazioni in maniera trasparente e le accompagna con percorsi di sensibilizzazione a queste tematiche insieme a ragazzi e ragazze. Condividiamo gli stessi valori e abbiamo perseguito insieme gli stessi obiettivi”.
L’iniziativa, ci ha raccontato De Giorgi, è stata recepita benissimo. “Ora stileremo il prossimo Gender Equality Plan 2025-2027 e proseguiremo nel nostro comunitario percorso per ottenere una parità di genere e, più in generale, maggior eguaglianza anche per altre minoranze, come stranieri e persone fragili”.
Nelle sedi torinesi dell’Ateneo sono stati installati cinque distributori che metteranno a disposizione gratuitamente gli assorbenti. La strada per la parità di genere passa anche dall’attenzione e dal supporto alle studentesse durante il periodo mestruale, a tutela del diritto al benessere fisico e psicologico. Ed è per questo che gli assorbenti mestruali che verranno distribuiti sono realizzati in Italia e secondo principi di sostenibilità ambientale dell’intero ciclo produttivo.
L’inaugurazione ufficiale dell’iniziativa “Period Equity” si è svolta nel pomeriggio del 2 ottobre, in occasione del tradizionale appuntamento WeAreHERe Meets di inizio anno, in cui le studentesse del Politecnico incontrano le nuove immatricolate. Nell’ambito dell’iniziativa “Period Equity” sono stati installati erogatori automatici di assorbenti gratuiti in cotone organico compostabile in tutte le sedi torinesi dell’Ateneo:
– in corso Duca degli Abruzzi, in fondo al corridoio “Aule Pari”, accanto allo spazio ristoro;
– in via Boggio, al piano terra accanto ai distributori automatici;
– nella sede di Mirafiori, all’ingresso accanto alla sala studio E;
– al Castello del Valentino, nell’atrio della sala studio;
– al Lingotto, al secondo piano davanti alla sala studio “Marconi”.
Immagini fornite dal Politecnico di Torino
Il gap a ingegneria: le soluzioni dell’Ateneo
Con quel “numericamente minoritaria”, la vicedirettrice De Giorgi ci ha tenuto a sottolineare che il Politecnico di Torino è un ateneo nel quale il genere maschile prevale nelle iscrizioni. Una tendenza confermata in tutta Italia, ma non solo. Secondo l’elaborazione dati Istat del Consorzio nazionale Ingegneri, dal 2010 al 2021, il numero di donne con laurea magistrale in ingegneria nel Bel Paese è aumentato da 3.140 a 8.267, passando dal 23% al 30,8% del totale laureati in ingegneria. Tra il 2015 e il 2021, il numero di laureate magistrali in ingegneria è cresciuto del 23,2% in Italia, del 23,3% in Germania, del 12% in Belgio, mentre in Austria, Olanda e Scandinavia l’incremento è stato intorno al 40%.
Anche la percentuale di donne iscritte all’Albo degli Ingegneri è aumentata dal 9% nel 2007 al 17% attuale. Tuttavia, persistono significativi divari di genere nel mercato del lavoro, con differenziali salariali marcati. Nel 2021, gli ingegneri uomini iscritti ad Inarcassa avevano un reddito medio di 44.459 euro, mentre le donne guadagnavano in media 26.083 euro, con un gender pay gap del 48%. Per gli architetti, il gap era del 38%.
Nonostante il crescente numero di donne qualificate, i differenziali salariali non diminuiscono.
Il Politecnico di Torino è tra i più antichi d’Italia, e da più di vent’anni la comunità politecnica si interroga sul tema ampio delle Pari opportunità, nel quale rientra l’attenzione all’equilibrio di genere della popolazione studentesca e del personale: dal progetto Donna: dal Professione Ingegnere nei primi Anni Duemila al progetto WeAreHERe attualmente in corso.
Una università a prevalenza maschile ha deciso di dotarsi di un Bilancio di Genere con un’analisi dedicata al personale docente, tecnico-amministrativo e alla comunità studentesca. Correlate e interconnesse al Bilancio di Genere e fondamentali nel perseguire le Politiche di genere di Ateneo sono, appunto, il Gender Equality Plan e il Gender Equality Action Plan che nascono in seno ai gruppi di lavoro interni all’Osservatorio di Genere e, dopo essere condivisi dall’Osservatorio nella sua globalità, vengono approvati dagli Organi collegiali dell’Ateneo.
Per promuovere l’iscrizione di studentesse ai corsi di ingegneria, nel 2018 è nata la lista di discussione PoliWo – Polito for Women, che ha lanciato l’idea della campagna di comunicazione dedicata alle immatricolazioni femminili, poi concretizzatasi in WeAre HERe. Dal 2019, è l’Osservatorio di genere che, reinterpretando le buone pratiche nazionali e internazionali, persegue gli obiettivi di genere nel nuovo piano strategico e, conferma l’adesione e l’attuazione dei principi della Carta Europea dei Ricercatori per mettere in campo iniziative tese a monitorare e governare le pari opportunità nei confronti dei vari aspetti nei quali la diversità viene a declinarsi, a partire da quella di genere.
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Elisabetta prima regina del Belgio, un altro passo verso la...
Elisabetta del Belgio, figlia primogenita del re Filippo, sarà la prima regina nella storia del Paese. L’avvicendamento si verificherà in un periodo all’insegna delle donne al potere in vari ruoli istituzionali nazionali e sovranazionali, ma questa riforma legislativa che ha garantito la parità di genere nella successione al trono belga nasce nel secolo scorso.
Elisabetta del Belgio, la modifica del 1991
Questo cambiamento è avvenuto con la modifica costituzionale del 1991 che ha abolito la legge salica, in base alla quale la successione era limitata solo ai discendenti maschi. Con la nuova legge, le donne della famiglia reale belga hanno ottenuto il diritto di salire al trono, eliminando una disuguaglianza che durava da secoli.
La decisione di modificare la costituzione è stata un passo significativo verso una monarchia più moderna e inclusiva, riconoscendo l’importanza di garantire pari diritti a tutti i membri della famiglia reale, indipendentemente dal genere. Elisabetta, che attualmente è erede al trono, rappresenterà un simbolo di questa evoluzione quando diventerà la prima regina regnante del Belgio.
Cenni sulla principessa Elisabetta
Primogenita di re Filippo e della regina Matilde, la principessa Elisabetta, Duchessa di Brabante, ha seguito uno specifico percorso di formazione per prepararla al ruolo. Ha studiato al St. John Berchmans College di Bruxelles, prima di frequentare l’UWC Atlantic College in Galles, per poi completare la sua formazione alla Royal Military Academy di Bruxelles, dove ha ottenuto il grado di sottotenente.
La sua formazione continua con un Master in Public Policy presso la prestigiosa Harvard Kennedy School, rafforzando le sue competenze in materia di governance e politiche pubbliche.
Il percorso di Elisabetta è stato seguito da vicino dai media, e la sua figura è vista come una promessa per il futuro della monarchia belga. La sua indole umanitaria si è già manifestata in diverse occasioni, come la partecipazione a missioni umanitarie con l’UNICEF, mentre la sua presenza in eventi internazionali come l’incoronazione di re Carlo III del Regno Unito ne hanno consolidato il ruolo istituzionale.
Altri casi di parità di genere nella monarchia
Il Belgio non è stato l’unica monarchia a compiere questo passo verso la parità di genere nelle monarchie. Negli ultimi decenni, diverse nazioni europee hanno seguito l’esempio, riformando le proprie leggi dinastiche per garantire che le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini nella linea di successione.
La Svezia è stata pioniera in questo campo, introducendo la successione di genere neutro già nel 1980. Con questa riforma, la principessa Vittoria, figlia primogenita di re Carlo XVI Gustavo, ha superato il fratello minore Carlo Filippo nella linea di successione e sarà la futura regina di Svezia. Questo ha rappresentato una svolta per il paese scandinavo, ponendo fine alla preferenza maschile nelle questioni dinastiche.
Anche il Regno Unito ha seguito questa strada, con il Succession to the Crown Act del 2013, che ha eliminato la preferenza maschile per i primogeniti. Questa legge ha reso la principessa Charlotte, figlia del principe William, seconda in linea di successione dopo il fratello maggiore George, ma davanti al fratello minore Louis. Questa riforma ha rappresentato un cambiamento significativo nella lunga tradizione della monarchia britannica, dove fino a quel momento i maschi avevano sempre avuto la precedenza.
In Spagna, invece, la questione della parità di genere nella successione è ancora aperta. Attualmente, la costituzione spagnola prevede la preferenza maschile, e se re Felipe VI avesse un figlio maschio, la principessa Leonor perderebbe il diritto al trono. Tuttavia, si discute da anni su una possibile riforma per allineare la Spagna agli altri Paesi europei.
Ue e non solo: come è cambiata la sensibilità
Le riforme che hanno garantito la parità di genere nelle monarchie si inseriscono in un contesto più ampio di promozione dell’uguaglianza tra uomini e donne in tutta Europa. L’Unione Europea ha da tempo adottato politiche a favore della parità di genere, chiedendo agli Stati membri di implementare misure che garantiscano pari opportunità in ogni settore della società, compresa la leadership politica e economica. Una posizione che la presidente Ursula von der Leyen ha approvato ad affermare anche nella commissione Ue, ma senza successo.
Un grande passo avanti è stato fatto in Norvegia, dove è stata introdotta una legge che richiede una rappresentanza di almeno il 40% di donne nei consigli di amministrazione delle società pubbliche, un segnale chiaro di impegno verso l’uguaglianza di genere anche nel mondo imprenditoriale.
Elisabetta del Belgio rappresenterà una nuova era per la monarchia belga, una figura che unisce la tradizione con la modernità. La sua ascesa al trono non solo segnerà una svolta storica per il Belgio, ma sarà anche un simbolo dell’importanza di garantire pari diritti tra uomini e donne, in ogni ambito della società.
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Denatalità, la Grecia investe un miliardo di euro all’anno:...
“Una bomba ad orologeria”. Così il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha definito la crisi demografica del Paese: un peso per le pensioni, “una minaccia nazionale”.
La Grecia, infatti, con scarsi risultati, investe circa 1 miliardo di euro all’anno in misure a favore dell’infanzia. Gli investimenti dedicati alla denatalità sono diventati un simbolo delle politiche del premier greco, in carica dal 2019. Dopo aver registrato il numero più basso di nascite nel 2022, però, il governo ora prevede di spendere altri 20 miliardi entro il 2035.
Denatalità in Grecia
In linea con i dati di altri Paesi d’Europa, ma anche di Cina e Giappone, ad esempio, la Grecia ha registrato il minor numero di nascite nel 2022: per la prima volta, in quell’anno, sono nati meno di 80.000 bambini (nel 1980 erano 150mila). Ad oggi, quindi, metà della popolazione greca ha più di 46 anni, mentre nel 2000 l’età media era di 39 anni, secondo le stime ufficiali.
Allo stesso tempo, più di un abitante su cinque ha più di 65 anni (il 16% nel 2000), mentre la percentuale di persone con più di 80 anni è del 6% (il doppio rispetto al 2000). Nel 2070, le donne di 90 anni saranno il gruppo più numeroso della popolazione, totalizzando 283.294 persone, ovvero il 3,6% della popolazione, seguite dagli uomini di età compresa tra 60 e 64 anni (278.800).
Il tasso di fertilità è fermo a 1,3, tra i più bassi fra gli Stati membri dell’Unione europea in cui la media nel 2024 è di 2,4 figli per donna. Le previsioni economiche del Paese, inoltre, indicano che – se la Grecia dovesse proseguire con questo tasso di natalità – registrerà un calo del 31% della produzione entro il 2100. La causa sarà la mancanza di persone che possano sostituire gli attuali e futuri lavoratori. La forza lavoro greca è destinata a calare del 50% nei prossimi ottant’anni.
Il piano greco per la natalità
Per fronteggiare questo problema, la Grecia ha presentato formalmente, in una riunione di gabinetto della scorsa settimana, il cosiddetto National Demographic Action Plan. Parliamo di un piano messo a punto dall’attuale governo per fare fronte a una delle “minacce nazionali”: il costante calo delle nascite.
“Ho presentato ufficialmente al Primo Ministro e al Consiglio dei ministri il risultato dello sforzo a lungo termine per creare un piano decennale che mira a mitigare le conseguenze negative della crisi demografica che il paese attraversa dall’inizio degli anni ’80 – ha spiegato la ministra della Coesione Sociale e della Famiglia, Sofia Zaharaki -. Le statistiche e i modelli di previsione dello sviluppo demografico sono inquietanti. Ma dobbiamo fare tutti insieme uno sforzo in più per superare. Vogliamo creare un ambiente a misura di famiglia e di bambino che rispetti i desideri, offra scelte e supporti i bisogni dei cittadini. L’obiettivo finale è migliorare il tenore di vita attraverso la progettazione, l’attuazione, il coordinamento e la valutazione di azioni che riguardano tutti i cittadini durante tutto il ciclo di vita. È un mandato nazionale”.
In cosa consiste il Piano?
Secondo quanto riportano i media locali, il piano greco per fronteggiare la denatalità prevede:
Miglioramento delle nascite – Sostegno alla famiglia
Miglioramento dell’occupazione
Gestione della longevità – Invecchiamento
Sviluppo locale – Promozione dell’innovazione
Informazione – Consapevolezza – Ricerca
Tra le azioni concrete volte a supportare le famiglie – coordinate con altri ministeri – ci sono:
Controllo prenatale
Intervento per la prima infanzia
Tassazione favorevole delle prestazioni facoltative
Aumento dei finanziamenti per le “Tate di quartiere”
Aumento dei criteri di reddito per i voucher
Aumento dell’assegno familiare
Aumento dei posti negli asili nido
Estensione dell’orario degli asili nido
Asili nido sul posto di lavoro
Scuola a tempo pieno
Abolizione tassa sui premi assicurativi per i bambini
Housing sociale / Turismo sociale familiare
Status permanente di tre figli
Tra le altre azioni rientrano il coinvolgimento degli anziani nell’economia, una migliore assistenza sanitaria, azioni a sostegno della fertilità e della salute riproduttiva. “Le statistiche e i modelli di previsione per gli sviluppi demografici sono inquietanti. Ma abbiamo l’obbligo di fare tutti insieme un grande sforzo per superare questo problema”, ha concluso la ministra Zaharaki.
Le nascite in Grecia sono sempre più in calo da quando, nel 2009, la crisi economica ha coinvolto il Paese. Prima un’emigrazione di massa dei greci, poi il cambiamento di atteggiamento dei giovani rispetto alla progettualità di una genitorialità: per gli esperti di demografia del Paese, questi piani non è detto che saranno capaci di invertire la tendenza.