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‘La mescolanza’ di Anton Zimmerman, un racconto sul senso dello stare insieme

Non solo un romanzo, ma anche una riflessione sulla necessità di colmare il vuoto che c'è dentro di noi

'La mescolanza' di Anton Zimmerman, un racconto sul senso dello stare insieme

Unione e separazione: questo il senso della 'Mescolanza', il romanzo appena pubblicato di Anton Zimmerman. È la storia di un incontro casuale fra due persone, che sfocia in una relazione densa di attese ed emozioni, inframezzate da riflessioni sullo stare insieme, sul tempo, sul vuoto che esiste in ciascuno di noi, sul desiderio di riempirlo e sulla difficoltà di riuscirvi, di dare risposte alle aspettative che riponiamo nell'altro.

Un racconto originale su ciò che davvero ci unisce, sul senso dello stare insieme, sui limiti della conoscenza, sulla difficoltà di dialogo, sull’impossibilità di comunicare i sentimenti. Filo conduttore e lente attraverso la quale leggere questa storia è il pensiero di Empedocle sulla mescolanza e sulla separazione, dove la prima è il luogo dell’incontro in cui non può esserci spazio per la coscienza, mentre la seconda costituisce il momento della comprensione dei limiti reciproci.

Il racconto - disponibile su Amazon - è quello di un incontro, da cui nasce un’unione che all’inizio è impossibile cogliere in tutta la sua portata. Presto, tuttavia, appaiono le prime, differenti aspettative, riconducibili al senso opposto che della vita hanno i due protagonisti. Le rispettive e diverse posizioni si fanno strada nel rapporto fino alla separazione finale.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Cultura

All’Istituto di Cultura di Londra il viaggio...

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Presidente Museo di Fotografia Contemporanea Rondoni: "Le immagini della mostra raccontano un'Italia nuova rispetto a Grand Tour, non stereotipata, ma di 'pensiero'. Raccontano un luogo sempre da scoprire"

'Il Viaggio in Italia', mostra fotografica di Luigi Ghirri allestita all'Istituto Italiano di Cultura di Londra

'Il Viaggio in Italia' del fotografo Luigi Ghirri è sbarcata a Londra all'Istituto Italiano di Cultura diretto da Francesco Bongarrà. Gli esperti di fotografia della capitale britannica hanno tributato una grande accoglienza all’esibizione, aperta con un’affollata cerimonia, di 86 immagini curata da Matteo Balduzzi. Una grande mostra (dopo Londra farà tappa a Istanbul, al Museo Nazionale di Arte Turca e Islamica), che celebra l’anniversario dei 40 anni del progetto fotografico ideato da Luigi Ghirri nel 1984 e considerato una pietra miliare della storia della fotografia contemporanea italiana.

Gli scatti esposti nelle sale di Belgrave Square, non sono solo firmati da Luigi Ghirri, sono anche di Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Gianantonio Battistella, Vincenzo Castella, Andrea Cavazzuti, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci, Vittore Fossati, Carlo Garzia, Guido Guidi, Shelley Hill, Mimmo Jodice, Gianni Leone, Claude Nori, Umberto Sartorello, Mario Tinelli, Ernesto Tuliozi, Fulvio Ventura e Cuchi White.

"Raccontano un’Italia nuova rispetto ai Grand Tour dell’800. Un’Italia diversa e bellissima perchè vera, illustrata da immagini che, quarant’anni fa come oggi, ci permettono di comunicare e trasmettere l’immagine di un’Italia non stereotipata, ma ‘di pensiero. Un’eccellenza", spiega il presidente del Mufoco - Museo di Fotografia Contemporanea Davide Rondoni. "Racconta un luogo sempre da riscoprire, l'Italia - aggiunge- Perché l'Italia forse è uno Stato, forse è una nazione e un incrocio di etnie, ma certamente è quel che gli artisti vedono". Promossa dalla direzione generale Creatività Contemporanea del ministero della Cultura, dal Mufoco e dall’Istituto Italiano di Cultura di Londra, in collaborazione con l’Archivio Eredi di Luigi Ghirri. L’esposizione è visitabile sino al 28 marzo.

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Cultura

Tamara de Lempicka, all’asta il ritratto del suo...

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Raffugura il dottor Pierre Boucard, che ha rivoluzionato la scienza farmaceutica con l'invenzione nel 1907 del Lactéol, un probiotico

(ufficio stampa Christie's)

Sarà il "Ritratto del dottor Boucard" (1928) della pittrice polacca Tamara de Lempicka (1894-1980), icona dell'Art déco, il top-lot dell'asta di Christie's a Londra il 5 marzo quando sarà proposto il catalogo "20th/21st Century". Proveniente da un'importante collezione privata, il dipinto fu commissionato a Lempicka dallo stesso protagonista, il dottor Pierre Boucard, un importante collezionista d'arte e mecenate dell'artista: sarà offerto con una stima di 5.8 milioni di sterline (circa 6-10 milioni di euro).

Celebrazione straordinaria di risultati scientifici e maestria artistica, il "Ritratto del dottor Boucard" cattura il pioniere della medicina in un momento di dinamica brillantezza. Stimato batteriologo, Pierre Boucard ha rivoluzionato la scienza farmaceutica con l'invenzione nel 1907 del Lactéol, un probiotico che ha gettato le basi per la moderna ricerca sulla salute dell'intestino, tuttora in uso.

Immerso in un drammatico fascio di luce, Boucard si volta verso il bagliore, con una mano appoggiata sul suo microscopio e l'altra che stringe una provetta di vetro. Lo sfondo cubista e il chiaroscuro creano una tensione dinamica che cattura sia la precisione dell'indagine scientifica sia la raffinatezza del ritratto moderno. Con la sua caratteristica finitura liscia e levigata e la sua precisione scultorea, Tamara de Lempicka ritrae Boucard come uno scienziato stimato e un uomo distinto. Il suo trench bianco, che ricorda un camice da laboratorio, suggerisce una trasformazione cinematografica. Il suo colletto rovesciato, la sua cravatta con accenti di perla e i suoi lineamenti ben definiti trasmettono allo stesso tempo autorità intellettuale e fascino cosmopolita. Guardando lontano con tranquilla sicurezza, Boucard, come molti dei soggetti di Lempicka, emana la raffinatezza e l'ambizione dell'alta società a cui apparteneva.

Fuggita dalla Russia durante la rivoluzione, Tamara de Lempicka si stabilì a Parigi nel 1918 e si formò sotto l'influenza di Maurice Denis e André Lhote, il cui stile cubista lasciò un'impronta duratura sul suo lavoro. A metà degli anni Venti divenne la ritrattista più ricercata dall'élite europea, attirando commissioni dall'alta società milanese dopo il successo della sua mostra personale del 1925 alla 'Bottega di Poesia'. La fine degli anni Venti segnò un'epoca d'oro per l'artista, consolidando la sua reputazione di artista femminile di punta degli anni successivi, gli anni glamour e ad alta energia tra le due guerre mondiali. Grazie al generoso sostegno finanziario di Boucard, l'artista stabilì uno studio all'avanguardia in Rue Méchain a Parigi, progettato dall'architetto modernista Robert Mallet-Stevens. Questo spazio divenne sia un luogo creativo sia un centro sociale glamour, dove Lempicka ospitava incontri alla moda che consolidarono ulteriormente la sua immagine di artista all'avanguardia della modernità.

Giovanna Bertazzoni, presidente di Christie's Europa, ha dichiarato: "Il 'Ritratto del dottor Boucard' di Tamara Lempicka è una miscela sorprendente di modernità e individualità, che dimostra la sua capacità di intrecciare l'identità personale con le ambizioni scientifiche e culturali del suo tempo. Il dipinto irradia vitalità, offrendo uno studio psicologico straordinariamente sottile ma profondo dell'uomo moderno".

La comparsa all'asta di questo dipinto è resa ancora più tempestiva e significativa dal fatto che coincide con la chiusura della prima grande retrospettiva statunitense della sua opera, al De Young Museum di San Francisco. Questa sensazionale mostra - co-curata da Furio Rinaldi e Gioia Mori - si sposterà presto al Museum of Fine Arts di Houston, dove aprirà il 9 marzo. È stata celebrata dalla stampa di tutto il mondo e ha visto la partecipazione di un pubblico record, a conferma della "Lempicka-mania" che ha conquistato intenditori e amatori negli ultimi anni.

(di Paolo Martini)

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Cultura

Archeologia, scoperta monumentale necropoli preromana nel...

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Le ricerche, tuttora in corso di svolgimento, hanno consentito di mettere in luce 200 tombe

(ufficio stampa Pat)

La storia più antica della città di Trento si arricchisce di una nuova, avvincente pagina grazie alla recente scoperta di una necropoli monumentale di epoca preromana messa in luce dagli archeologi in via Santa Croce. La necropoli risale al primo millennio avanti Cristo e sono state documentate più fasi di frequentazione nel corso della prima Età del Ferro (IX-VI secolo a.C.). L'eccezionale ritrovamento è avvenuto nel centro storico a seguito dell'attività di tutela preventiva condotta dall’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Provincia autonoma di Trento in occasione dei lavori di restauro e riqualificazione di un edifico storico.

Si tratta di una scoperta di straordinaria rilevanza che consentirà di riscrivere la storia della città. L’importante contesto funerario è rimasto perfettamente conservato attraverso i millenni grazie agli episodi alluvionali che hanno sigillato il deposito archeologico. La necropoli, che si è sviluppata sulla porzione mediana del conoide alluvionale del torrente Fersina, è venuta in luce a una profondità di circa 8 metri rispetto all’attuale quota di via Santa Croce, al di sotto di livelli di frequentazione storica, medievale e di epoca romana. Le ricerche archeologiche, tuttora in corso di svolgimento, hanno consentito di mettere in luce 200 tombe, complete di prestigiosi corredi, caratterizzate dal rito della cremazione indiretta, che rappresentano soltanto una parte di quelle potenzialmente conservate nel sottosuolo ancora da indagare.

"Una scoperta incredibile, che ci mostra una nuova storia della città di Trento, non più quindi solo come città romana - commenta la vicepresidente e assessore provinciale alla cultura Francesca Gerosa - Sappiamo come sia importante l'impegno di ricerca e di tutela del patrimonio delle nostre radici, e questo è previsto dalle leggi e dalla Costituzione, ma indipendentemente da questo non vogliamo sottrarci e qui si sta lavorando intensamente per riportare alla luce un pezzo di storia sconosciuta per la città. I lavori procedono, ma c'è ancora tutta un'intera area da monitorare per poi valutare quali azioni intraprendere, anche riguardo ai tantissimi oggetti rinvenuti e che sono già oggetto di restauro, come lo saranno anche i ritrovamenti successivi. Stiamo lavorando ricordando che serve sempre un equilibrio per contemperare gli interessi di tutela del patrimonio archeologico, con quelli comprensibili dello sviluppo urbano".

La scoperta della necropoli monumentale di via Santa Croce apre nuovi scenari e suggestive ipotesi interpretative per la ricerca archeologica, considerata la sua collocazione nel centro storico di Trento e la rarità di questa tipologia di contesti nel territorio dell’arco alpino. Solleva inoltre articolate e complesse problematiche circa le modalità di autorappresentazione in ambito funerario del gruppo sociale di appartenenza di cui, al momento, resta ignoto il contesto insediativo.

Le indagini archeologiche sono dirette dalla dottoressa Elisabetta Mottes dell’Ufficio beni archeologici della Provincia autonoma di Trento e coordinate sul campo dal dottor Michele Bassetti e dalla dottorssa Ester Zanichelli di Cora Società Archeologica di Trento e dalla loro equipe di ricerca. Il coordinamento delle operazioni concernenti il restauro dei reperti mobili si deve a Susanna Fruet dell’Ufficio beni archeologici e alla dott.ssa Chiara Maggioni di Cora Società Archeologica per l’attività di microscavo e recupero dei vasi ossuari.

Nei primi secoli del I millennio a.C. il paesaggio di quest’area della città era caratterizzato dalla presenza dell’ampio alveo del torrente Fersina solcato da una rete di canali torrentizi che si intrecciavano tra loro, separati da barre sabbiose o ghiaiose a carattere temporaneo. In un’area marginale dell’alveo soggetta a periodiche esondazioni è sorta la necropoli monumentale della quale sono state documentate più fasi di frequentazione nel corso della prima età del Ferro (IX-VI secolo a.C.). Il contesto funerario doveva essere posto tra due canali che si potevano attivare in caso di fenomeni di piena. Gli episodi esondativi, iniziati già nelle fasi di utilizzo della necropoli, hanno sigillato la stratificazione archeologica antica consentendo l’eccezionale conservazione del contesto funerario. Questa circostanza ha permesso di documentare in dettaglio i piani d’uso della necropoli e di ricostruire con precisione le pratiche funerarie della comunità che hanno occupato quest’area nella prima età del Ferro.

"L’Età del ferro è un periodo di profonde trasformazioni dal punto di vista storico-culturale in tutto il mediterraneo, nell'arco alpino e oltralpe. Fioriscono le grandi civiltà degli Etruschi, dei Fenici, dei Greci e dei Celti. Sono anche i tempi delle prime olimpiadi che si datano tradizionalmente al 776 a.C. e della fondazione di Roma nel 753 a.C.. I popoli alpini non sono isolati, intrattengono relazioni e scambi con le genti della pianura Padana in particolare fra il 900-700 a.C. con la zona emiliana, con la fiorente civiltà degli etruschi e di seguito con i Veneti e altre genti delle Alpi. Nell'archeologica in corso di scavo abbiamo la possibilità di riconoscere l’elite di una società che evidentemente era insediata nella conca di Trento e che rappresentava il suo potere e prestigio attraverso la deposizione di oggetti emblematici del proprio status privilegiato”, spiega il soprintendente Franco Marzatico

La caratteristica principale della necropoli, che la configura come un complesso palinsesto monumentale è la presenza di stele funerarie infisse verticalmente con funzione di segnacolo che raggiungono i 2,40 m di altezza, organizzate in file subparallele con direzione principale Nord-Sud. Ogni stele delimita a ovest la tomba principale in cassetta litica coperta da una struttura a tumulo, attorno alla quale si sviluppa nel corso del tempo una densa concentrazione di tombe satelliti.

La materia prima utilizzata per le stele funerarie proviene dall’area della collina est di Trento, zona più prossima di affioramento dei calcari nodulari giurassici del Rosso Ammonitico Veronese, mentre il calcare-marnoso rosato della Scaglia Rossa è stato impiegato per la realizzazione delle cassette litiche.

Lo scavo microstratigrafico delle strutture tombali ha consentito di ricostruire la complessità del rituale funerario. I dati acquisiti dovranno essere implementati da analisi interdisciplinari sui resti antropologici e archeobotanici oltre che dallo studio dei reperti deposti come corredo e offerta.

All’interno delle cassette litiche è presente la terra di rogo, una raccolta intenzionale di ossa calcinate poste entro contenitori in materiale deperibile, meno frequentemente in vasi ossuari. Si ipotizza che i resti combusti spesso collocati sopra il corredo personale, fossero avvolti in un tessuto, di cui in alcuni casi si sono conservate le fibre, chiuso con l’ausilio di spilloni o fibule. In alcune tombe la forma dell’accumulo suggerisce la presenza di cassette lignee quadrangolari.

I corredi funerari messi in luce risultano particolarmente ricchi e rappresentano gli indicatori per definire identità, ruoli e funzioni del gruppo sociale di appartenenza. Particolarmente significativa è la presenza di reperti in metallo rappresentata da armi e elaborati oggetti di ornamento con inserzioni in ambra e pasta vitrea che attestano l’esistenza di influssi e strette relazioni culturali con gli ambienti italici. Lo studio scientifico del ricco archivio di dati fornito dall'eccezionale necropoli di via Santa Croce sarà effettuato da una equipe di ricerca interdisciplinare che prevede la partecipazione di enti e specialisti di varie istituzioni italiane e straniere.

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