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Con fine estate italiani alle prese con chili di troppo, ‘in forma senza stress si può’

Con la fine di agosto è il momento di fare i conti con i chili di troppo che inevitabilmente arrivano nei periodi del relax estivo. "Aperitivi, cene, gelati e dolcetti di fine pasto, sono inevitabili occasioni mangerecce non previste, hanno probabilmente minato la nostra forma fisica e ora bisogna tornare a regime. Ma come? Basta il canonico assunto 'poche calorie, zero carboidrati e tante proteine'? O c’è bisogno di qualcos’altro? Nella logica ordinaria del fai da te la definizione dieta dimagrante significa 'mangiare meno per perdere peso'. E così, spesso si ricorre a diete inadeguate che escludono per intero gruppi di alimenti, risultando sbilanciate nella loro composizione creando, in tal modo, eccessi o carenze di alcuni nutrienti rispetto ad altri". Così all'Adnkronos Salute l'immunologo Mauro Minelli, docente di dietetica e nutrizione all’Università Lum.
"Di fatto, una dieta dimagrante particolarmente restrittiva, tanto più se adottata drasticamente dopo un periodo d’abbondanza, induce l'organismo a trattenere il più possibile le riserve di grasso, come se fossimo nel mezzo di un’improvvisa 'carestia'; si riducono i consumi, per paura di rimanere senza scorte; ci si sente sempre più affaticati e assonnati; aumenta il catabolismo proteico, cioè l’impoverimento della massa muscolare, piuttosto che della massa grassa. Praticamente si creano scompensi con conseguente danno alla salute - avverte - E di questo si ha contezza già nelle fasi della restrizione che la dieta in quanto tale impone, facendo montare nel soggetto interessato una prima inconfessata delusione, che diventa ancora più cocente quando, alla ripresa del regime alimentare normocalorico, si constaterà una rapida ripresa dei chili precedentemente perduti. Un vero e proprio circolo vizioso, a cui contribuiscono oltre a quelli nutrizionali, anche fattori ormonali e/o emotivi e/o legati a particolari stili di vita".
"Allora, volendo procedere con un minimo di paziente raziocinio al ripristino del regime ordinario dopo il consueto sbandamento estivo, non dovremmo mai scordare che la dieta da seguire deve apportare ogni giorno la giusta quantità di carboidrati che danno l’energia necessaria alle attività, proteine che servono a costruire e rigenerare le cellule, grassi indispensabili per molte funzioni metaboliche. E poi - suggerisce Minelli - deve essere elaborata in base al fabbisogno calorico del soggetto, in relazione all'età, al sesso, allo stile di vita. Un esempio di come impostare un profilo alimentare corretto nel tempo della ripresa potrebbe prevedere".
Ecco i consigli di Minelli. "A colazione: una bevanda calda che potrebbe essere tè verde oppure un latte vegetale senza zuccheri aggiunti; a metà mattina: un frutto, oppure una bevanda integrativa di potassio e magnesio, utile soprattutto in caso di alterazioni dell’alvo per una stipsi sopraggiunta a seguito dei disordini alimentari estivi. a pranzo: due fette di pane bianco morbido, semmai di segale che contiene pochi carboidrati rispetto al grano, accompagnate da verdure crude a foglia verde preferibilmente fibrose, come sedano, finocchio, ravanelli peperoni, cipolle, oppure insalate miste fatte di carote crude, indivia belga e radicchio rosso. In alternativa si può prevedere una portata di cereali come farro, avena, orzo, o anche una zuppa di legumi con preferenza per le lenticchie, ma anche ceci e fagioli. Ulteriore alternativa può essere un’omelette al formaggio sempre accompagnata da verdure che potranno essere condite con un cucchiaio di olio extravergine di oliva e dell’aceto di mele - prosegue - Nel pomeriggio: un pugno di semi oleosi (mandorle, pinoli, noci, semi di zucca, di lino, ecc.), oppure una barretta proteica senza zuccheri aggiunti e addizionata di fibre, oppure un frutto o una porzione di cracker fatti con farine senza glutine e qualche oliva".
"A cena - continua - un passato di verdure o una crema vegetale magari con aggiunta di quinoa o farro, pesce magro oppure piccole porzioni di formaggio magro o a pasta dura, privo di lattosio. Si tratta di pasti intercambiabili, nel senso che sarà sempre possibile sostituire il pranzo con un prodotto previsto per la cena e viceversa. Nell’arco delle 24 ore, si potranno anche assumere estratti vegetali composti da verdure e frutta, oppure biscottini a prevalente contenuto di proteine e fibre e a basso tenore glucidico, fino ad un massimo di 50 grammi al giorno. Bevande concesse: te, caffe, tisane senza zucchero. Per dolcificare meglio lo zucchero di canna o semmai dolcificanti naturali ipocalorici come la stevia".
"Si tratta, alla fine, di regole non difficili da seguire, che riattribuiscono coerentemente al termine 'dieta' il reale significato etimologico di ìdìaita', cioè modo di vivere. Quindi, regime di vita non solo rapportato alla razione alimentare, ma anche relazionato all’aria e all’acqua, al cibo e alle bevande, al riposo e all’esercizio fisico che non deve mai mancare, al sonno e alla veglia, agli affetti e alle passioni. E questo stile, questo modello comportamentale che parte da un’alimentazione corretta e di qualità, perché cucita addosso ad ogni singolo individuo e che andrebbe considerato come un’autentica filosofia di vita, dovrebbe probabilmente trovare lo spazio che merita in ogni stagione dell’anno e della vita", conclude l'immunologo.

Salute e Benessere
Medicina, 5 bambini con neuroblastoma curati al Bambino...


Un’ulteriore nuova speranza di cura per i bambini affetti da forme di neuroblastoma refrattarie ai trattamenti o recidivanti grazie all’uso di cellule Car-T derivate da donatori (allogeniche). "Il neuroblastoma è il tumore solido extracranico più frequente dell’età pediatrica e rappresenta una sfida significativa per l’oncologia. Cinque bambini che non avevano risposto alle terapie a cui erano stati precedentemente sottoposti, sono stati trattati con cellule Car-T allogeniche. Di questi, 3 hanno raggiunto la remissione completa dalla malattia e 1 ha mostrato miglioramenti significativi". Lo annuncia l’ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma in vista della giornata mondiale contro il cancro infantile del 15 febbraio. "Questo studio è un ulteriore passo avanti nella lotta contro il neuroblastoma", commenta il professor Franco Locatelli, responsabile del Centro studi clinici oncoematologici e terapie cellulari del Bambino Gesù. "I risultati ottenuti confermano il nostro impegno nel perseguire soluzioni terapeutiche sempre più innovative e mirate alle necessità specifiche di ciascun bambino, in linea con i principi della medicina personalizzata" aggiunge il presidente dell’ospedale, Tiziano Onesti. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Medicine.
Il neuroblastoma "è il tumore solido extracranico più frequente dell’età pediatrica e rappresenta circa il 7-10% dei tumori nei bambini tra 0 e 5 anni. In Italia vengono formulate circa 120-130 nuove diagnosi all’anno. Questo tumore ha origine dai neuroblasti, cellule presenti nel sistema nervoso simpatico, e può insorgere in diversi distretti corporei tra cui il più frequente è la parte centrale del surrene. Ancora oggi, il neuroblastoma - ricordano i medici - ha una prognosi significativamente meno buona di altre neoplasie dell’età pediatrica, essendo responsabile dell’11% delle morti per cancro in età pediatrica: nelle forme metastatiche o ad alto rischio di ricaduta la probabilità di guarigione definitiva è del 45-50%; in caso di ricaduta o di malattia refrattaria alle cure convenzionali (chemio e radioterapia), la possibilità di sopravvivere senza malattia a 2 anni non supera il 10-15%".
Le cellule Car-T autologhe sono ottenute utilizzando i linfociti T del paziente stesso, modificati geneticamente per riconoscere e distruggere le cellule tumorali. Le cellule Car-T allogeniche, invece, sono ricavate da cellule prelevate da donatori. Poiché le cellule allogeniche derivano da donatori, possono presentare caratteristiche immunologiche diverse che favoriscono una loro maggior efficacia.
"Le cellule Car-T allogeniche svolgono un'attività antitumorale anche superiore rispetto alle Car-T autologhe poiché i linfociti da cui sono generate provengono da soggetti mai precedentemente esposti a trattamenti chemioterapici che influiscono anche sullo stato di salute dei linfociti", spiega il professor Locatelli.
Nel 2023, l’équipe guidata dal professor Locatelli aveva pubblicato sul 'New England Journal of Medicine' i risultati di uno studio clinico di fase I/II che dimostrava come il trattamento con le cellule Car-T autologhe geneticamente modificate rappresentasse un’opzione preziosa per i bambini con neuroblastoma refrattario e/o recidivante. Nell’ambito di quello studio, i pazienti con una bassa massa tumorale al momento dell’infusione avevano mostrato una sopravvivenza libera da eventi a tre anni prossima al 60%.
La ricerca appena pubblicata sulla rivista 'Nature Medicine' descrive invece l'efficacia e la sicurezza delle cellule T (dirette contro il bersaglio tumorale GD2) sviluppate a partire da donatori. Lo studio ha coinvolto 5 bambini con neuroblastoma recidivante o refrattario o con linfopenia grave (una condizione caratterizzata da un basso numero di linfociti nel sangue periferico). Quattro dei 5 pazienti arruolati non avevano risposto alle altre terapie, tra cui il trapianto allogenico e il trattamento con cellule Car-T autologhe. La terapia con Car-T allogeniche, interamente progettata da medici e ricercatori del Bambino Gesù, ha coinvolto l’Officina Farmaceutica e le aree di Oncoematologia, Trapianto Emopoietico, Terapie Cellulari e Trial. L’attività di ricerca sull’uso delle cellule Car-T contro il neuroblastoma è sviluppata anche grazie al costante sostegno da parte di Fondazione Airc.
Sul fronte dei risultati, dei 5 pazienti trattati, 4 hanno risposto alla terapia: 3 con la remissione completa dalla malattia, in un caso mantenuta nel tempo, 1 con miglioramenti significativi (risposta parziale). "Questi risultati rappresentano una svolta importante perché dimostrano l’efficacia e la sicurezza delle cellule Car-T allogeniche – continua Locatelli - La terapia genica allogenica ha la possibilità di affiancarsi a quella autologa per incrementare la possibilità di offrire il trattamento con cellule Car-T anche a quei pazienti che per la pregressa storia non potrebbero beneficiarne o che hanno già fallito il trattamento con le cellule Car-T autologhe".
«Questo nuovo traguardo — afferma il presidente del Bambino Gesù, Tiziano Onesti — sottolinea ancora una volta l'importanza fondamentale di continuare a investire nella ricerca clinica. È la via per avanzare sempre di più nella lotta contro patologie che, fino a poco tempo fa, avevano poche possibilità di cura. Desidero esprimere la mia gratitudine al professor Locatelli e a tutti i professionisti delle aree di Oncoematologia, Trapianto Emopoietico, Terapie Cellulari, Trial e dell’Officina Farmaceutica del Bambino Gesù per questo risultato che arricchisce la qualità delle cure offerte dal nostro ospedale. Il nostro impegno è sempre più focalizzato sulle esigenze di ogni singolo bambino, con l'obiettivo di realizzare una medicina personalizzata che risponda in modo specifico alle necessità individuali. Solo così potremo garantire un futuro migliore per i nostri pazienti".
Il trattamento del neuroblastoma con cellule Car-T dirette contro la molecola GD2 messo a punto dal Bambino Gesù è stato inserito nello schema Prime (PRIority MEdicines) dell’European Medicine Agency (Ema) che ha lo scopo di ottimizzare ed accelerare lo sviluppo di farmaci che hanno il potenziale di rispondere ad un bisogno clinico non soddisfatto. La designazione viene data a quei farmaci che hanno la potenzialità di fornire un grande vantaggio terapeutico rispetto alle terapie esistenti o essere di beneficio ai pazienti privi di opzioni di trattamento. È la prima volta che un prodotto Car-T contro i tumori solidi sviluppato in ambito accademico ha la designazione Prima da parte dell’Ema.
Salute e Benessere
Gemelli, sempre meno cesarei grazie all’ostetricia...


Il parto, una delle esperienze più forti nella vita di una donna, può in alcune circostanze andare incontro a intralci. Nel tentativo del bimbo di trovare la sua strada verso l'uscita, può verificarsi un ostacolo alla sua discesa e progressione lungo il canale del parto o può capitare che il piccolo, non tollerando bene le contrazioni dell'utero materno, possa andare incontro ad una condizione di 'sofferenza' rilevabile sotto forma di irregolarità del battito del cuore. In questi casi, il medico può vedersi costretto ad accelerare il parto con due modalità: attraverso un parto cesareo (in particolare se il bimbo non ha ancora raggiunto la parte più bassa del bacino della madre) o (se invece il bambino è già disceso nel canale del parto) ricorrendo alla ventosa, una coppetta morbida che viene applicata sulla testa per estrarlo esercitando una trazione verso l'esterno (cosiddetto 'parto operativo vaginale con la ventosa').
"L'impiego della ventosa, in mani esperte e in sale parto adeguatamente attrezzate - afferma Tullio Ghi, ordinario di Ginecologia e ostetricia all'Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della Uoc di Ostetricia e patologia ostetrica della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma - ha un tasso di successo molto alto. Tuttavia, c'è una piccola quota di casi in cui questa modalità di intervento fallisce; il medico non riesce ad estrarre il bimbo con la ventosa e si deve ricorrere ad un taglio cesareo d'emergenza, procedura che prevede l'estrazione dall'addome del feto e può esporre ad un maggior rischio di traumatismo la madre e il bimbo stesso, già incanalato nel canale del parto". "Tra i fattori di rischio che contribuiscono a questa rara eventualità del fallimento del parto operativo con la ventosa - prosegue Ghi - il principale è una malposizione del bambino che, anziché avere la nuca (l'occipite) posizionato anteriormente, cioè verso la sinfisi pubica, ha l'occipite posizionato posteriormente, verso l'osso sacro della mamma. In questi casi, la probabilità di fallimento del parto operativo con la ventosa è molto più alta". Come fare dunque per orientarsi nella scelta cesareo o ventosa, visto tra l'altro che ben il 10% dei bimbi si presenta alla nascita in 'occipite posteriore'?
"Da oltre 15 anni - spiega Ghi - i centri di ostetricia di riferimento propongono l'utilizzo dell'ecografia per scegliere tra parto operativo con la ventosa e taglio cesareo, allo scopo di valutare quale sia la procedura migliorare per far nascere il bambino. L'ecografia può essere effettuata in modalità classica, cioè posizionando la sonda sulla pancia della mamma per vedere se l'occipite del bambino è posizionato anteriormente o posteriormente. Ma una modalità di ecografia più innovativa ed efficace nel caso in cui ci sia necessità di accelerare il parto è quella trans-perineale; in questo caso la sonda viene posizionata sui genitali esterni della madre e si vanno a valutare una serie di parametri, che indicano la distanza del bimbo dall'uscita. Il nostro studio ha dato una risposta chiara su come individuare i casi nei quali il parto operativo con ventosa può comportare un rischio aumentato di fallimento".
Lo studio pubblicato sulla più importante rivista mondiale di ostetricia, l''American Journal of Obstretics & Gynecology', ha valutato un ampio gruppo di donne nelle quali l'ecografia addominale aveva confermato la condizione di occipite posteriore. "In questo gruppo ad alto rischio di fallimento della ventosa - illustra Ghi - abbiamo cercato di capire quale fosse il parametro più predittivo di successo o insuccesso dell'estrazione con la ventosa. Lo studio ha dimostrato che il parametro più importante è la distanza testa (del bambino)-perineo (della madre); quando in un feto con occipite posteriore questa misurazione è inferiore a 3,5 cm, il parto operativo con ventosa è sicuro e fattibile, perché il tasso di fallimento è vicino allo zero. I risultati di questo lavoro potranno essere di guida a tutti i medici che nelle sale parto del mondo eseguono parti operativi vaginali con ventosa sui feti in occipite posteriore".
Non è dunque necessario ricorrere sempre al taglio cesareo. "L'ostetricia negli ultimi anni - ricorda l'esperto - ha ricevuto un impulso a recuperare la naturalità del parto e a ricorrere al taglio cesareo solo quando c'è un'indicazione clinica mandatoria. Per anni si è ritenuto che il taglio cesareo fosse una scorciatoia per ridurre il rischio di eventi sfavorevoli in sala parto. Ma poi abbiamo capito che questo eccesso di tagli cesarei procura alle donne problemi nelle gravidanze successive (in particolare le anomalie della localizzazione della placenta), per le aderenze che si formano a livello addominale; mentre i bimbi che nascono col taglio cesareo hanno un adattamento alla nascita più difficoltoso, maggior rischio di malattie autoimmuni e di asma. Oggi abbiamo tanti strumenti, tra cui anche l'ecografia trans-perineale, che possono consentirci di selezionare meglio i casi in cui il parto può avvenire per vie naturali (sia spontaneamente, che con l'ausilio della ventosa), rispetto a quelli in cui c'è l'indicazione al taglio cesareo (che in un contesto virtuoso non dovrebbe essere superiore al 20% di tutti i parti, mentre la media italiana è intorno al 32%)".
"Questa forma di ecografia - conclude Ghi - per essere una valida guida deve essere effettuata da mani esperte, è necessario cioè un training appropriato. Al Policlinico Gemelli è stato donato uno speciale simulatore (che lo stesso Ghi ha contribuito a sviluppare) sul quale tutto il personale medico di sala parto, gli specializzandi e le ostetriche si addestrano. Attraverso l'ecografia trans-perineale potremo sempre più scegliere per ogni singola paziente la modalità di assistenza al parto che meglio si attaglia alle sue peculiari caratteristiche, in un'ottica di medicina personalizzata".
Salute e Benessere
Maschi sempre più alti, cresciuti a un ritmo doppio...

Studio coordinato dall'Università di Genova ha indagato i motivi e i fattori socio-ecologici

Gli uomini stanno diventando sempre più alti e con un ritmo molto più veloce rispetto alle donne: il doppio. Già nel secolo scorso gli scienziati hanno approfondito i trend con cui i due sessi crescevano in altezza, ma anche nel peso. L'obiettivo era capire come alcuni fattori, dall'alimentazione al tasso di malattie e ai cambiamenti economici, potessero influire sulla crescita 'in verticale' e del girovita. Alcuni studi hanno scoperto che un'alimentazione e un'assistenza sanitaria migliori hanno portato le generazioni passate a crescere in altezza. Un ultima ricerca, che prende le mosse da un lavoro più vecchio curato da Lewis Halsey dell'Università di Roehampton (Uk) - che ha provato a indagare altri fattori, oltre alla dieta, che possono influenzare l'altezza e il peso - ha analizzato come le condizioni di vita influiscono su quanto siamo alti, creando un indice che esamina contemporaneamente l'aspettativa di vita media, il livello di istruzione e il reddito di una nazione. Ebbene, se le condizioni sono favorevoli, gli uomini vedono un aumento maggiore delle dimensione corporee e quindi anche dell'altezza.
Secondo uno studio coordinato da David Giofrè, professore associato del Dipartimento di Scienze della formazione dell'Università di Genova e pubblicato sulla rivista 'Biology Letters' della The Royal Society, grazie ai miglioramenti transnazionali e intergenerazionali delle condizioni di vita, ai fattori di stress ambientale che diminuiscono, gli aumenti di altezza e peso degli uomini sono più del doppio di quelli delle donne.
"In media - si legge nel lavoro - gli uomini sono più alti e più muscolosi delle donne, il che conferisce loro alcuni vantaggi legati alla scelta della partner e durante una 'competizione' fisica con altri uomini. Dimorfismi delle dimensioni sessuali (altezza e peso) presentano vulnerabilità dovute ai costi di mantenimento e di sviluppo che sono più elevati per il sesso con i tratti più grandi. Questi costi sono in linea con la teoria evoluzionistica che presuppone che tratti ampi, elaborati e selezionati sessualmente siano segnali di salute e vitalità perché l'esposizione a fattori di stress (ad esempio, una malattia precoce) li comprometterà (una bassa statura) più di altri tratti".
Le dimensioni non sono l'unico indicatore di benessere, ma servono come chiaro indicatore delle opportunità e degli ostacoli che definiscono i nostri primi anni. "Gli uomini possono sperimentare questi fattori ambientali in modo più intenso, il che rende la crescita maschile una misurazione particolarmente significativa - concludono gli autori - Il nostro studio combina la biologia evolutiva con le misure del benessere umano, fornendo nuove informazioni su come i fattori socio-ecologici e la selezione sessuale modellano i tratti fisici chiave".