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In auto meno del 40% usa la cintura posteriore e solo 2 su...
In auto meno del 40% usa la cintura posteriore e solo 2 su 10 il seggiolino
Con l’arrivo dell’estate e l’aumento dei viaggi e del traffico sulle strade, la sicurezza stradale diventa un tema cruciale in tutta Europa. Le autorità di polizia stradale dell’Unione Europea intensificano i controlli per garantire che conducenti e passeggeri siano protetti, e uno degli aspetti fondamentali su cui ci si concentra è l’uso corretto dei dispositivi di sicurezza, come cinture e seggiolini per bambini. Nonostante le campagne di sensibilizzazione e gli sforzi per migliorare la sicurezza stradale, le statistiche mostrano che l’adozione di queste misure rimane insufficiente in molte regioni. Cinture di sicurezza e seggiolini per bambini sono strumenti cruciali per prevenire lesioni gravi e decessi in caso di incidenti stradali. Tuttavia, la loro efficacia dipende fortemente dal loro corretto utilizzo e dalla consapevolezza degli utenti della strada.
Il piano dell’Unione Europea per migliorare la sicurezza stradale
Nel 2018, l’Unione Europea ha fissato un obiettivo ambizioso: ridurre del 50% il numero di morti sulle strade entro il 2030. Questa iniziativa, parte del Piano d’Azione Strategico per la Sicurezza Stradale e del quadro politico per la sicurezza stradale 2021-2030, si prefigge di raggiungere una riduzione significativa degli incidenti e delle vittime. Tuttavia, i progressi sono stati lenti e in alcune aree, i tassi di mortalità sono addirittura aumentati. Le autorità europee stanno ora concentrando gli sforzi sull’implementazione di norme più severe e sull’adozione di tecnologie avanzate per la sicurezza dei veicoli. Tra queste misure, un’attenzione particolare è rivolta all’uso obbligatorio di cinture di sicurezza e seggiolini per bambini, strumenti essenziali per la protezione dei più vulnerabili. Per ulteriori dettagli sul Piano d’Azione e sui progressi verso la sicurezza stradale, visita Eurofocus.
Il ruolo cruciale di cinture di sicurezza e seggiolini per bambini
L’uso corretto di cinture di sicurezza e seggiolini per bambini è fondamentale per prevenire lesioni gravi e salvare vite in caso di incidenti stradali. Tuttavia, le statistiche rivelano preoccupanti lacune nell’adozione di tali dispositivi. In Italia, ad esempio, sebbene l’uso della cintura di sicurezza anteriore sia relativamente alto, l’uso della cintura posteriore e dei seggiolini per bambini è significativamente più basso. Solo il 36% degli occupanti dei sedili posteriori indossa la cintura di sicurezza e solo il 20% dei bambini utilizza un seggiolino adeguato. Questi dati indicano una mancanza di consapevolezza o di rispetto delle norme di sicurezza, che potrebbe avere conseguenze gravi in caso di incidente. La mancata adozione di questi dispositivi contribuisce a un numero preoccupante di lesioni e decessi, sottolineando la necessità di campagne di sensibilizzazione e di controlli più severi per garantire il loro uso corretto.
Le conseguenze economiche e sociali degli incidenti stradali
Gli incidenti stradali comportano significativi costi economici e sociali. In Italia, il costo annuale degli incidenti stradali è stimato in circa 18 miliardi di euro, equivalenti all’1% del PIL nazionale. Questo onere economico include spese per assistenza medica, riabilitazione, riparazione dei veicoli e spese legali, oltre ai costi indiretti come la perdita di produttività e reddito per le famiglie delle vittime. Le conseguenze sociali sono altrettanto gravi, con traumi fisici e psicologici che alterano profondamente la qualità della vita delle vittime e delle loro famiglie. Ogni incidente stradale rappresenta una tragedia personale e familiare, con impatti che vanno ben oltre le statistiche. Inoltre, la frequenza degli incidenti può influenzare negativamente il senso di sicurezza nelle comunità, generando una percezione di insicurezza tra i cittadini.
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Nonni a 37 e 38 anni, ecco perché fa bene al neonato
Nonni a 37 e 38 anni. Lo sono diventati Alfonso Tirotta e Linda Porcasi venerdì 6 settembre, quando loro figlia Asia Tirotta, 19 anni, ha dato alla luce il piccolo Gabriel, avuto insieme a Daniel Basoni, 21 anni. I neononni Alfonso e Lida di Ca’ degli Oppi, in provincia di Verona, hanno anche due gemelli Alessandra e Giuseppe, diventati zii a 13 anni.
Nonni da giovanissimi, la storia
Asia è diventata mamma alla stessa età di sua madre: “Abbiamo bruciato le tappe, ma che gioia”, dice al Corriere del Veneto nonno Alfonso, che quando è diventato padre aveva 18 anni, “all’inizio è stato difficile da accettare, perché vedo sempre Asia come la mia bambina. Ma adesso sono felice”.
Il giovanissimo nonno ricorda bene il momento in cui è diventato papà: “Quando sono andato a prenderla in ospedale, avevo preso la patente da due giorni. Ricordo che l’auto mi si spegneva agli stop”. Dopo qualche anno, sono nati i gemelli Alessandra e Giuseppe, gli zii del piccolo Gabriel.
Tredici anni dopo, una nuova corsa verso l’ospedale, questa volta non per la sua compagna ma per sua figlia: “Mi hanno detto che sarei diventato nonno a gennaio – ricorda Alfonso al Corriere -. Quel sabato ero andato a vedere una partita di calcio di mio figlio, che gioca nell’Oppeano e vedevo che mia moglie era seria e pensierosa. L’indomani mattina, al risveglio, Linda e i miei genitori mi hanno annunciato della gravidanza di Asia. Al momento l’ho presa male, perché so quanto è stato difficile per me, ma poi pian piano si è sistemato tutto”.
Ripercorre con la mente quegli attimi di attesa passati insieme ai gemelli: “Mia moglie e Daniel sono entrati in sala parto con Asia e noi siamo rimasti fuori ad attendere. Che strazio sentire mia figlia urlare!”. Poi, alle 8:20 è venuto alla luce Gabriel, 4, 278 kg e una famiglia giovanissima pronto ad accoglierlo.
Asia lavora nella pasticceria Perbellini di Bovolone e Daniel come imbianchino e cartongessista; i due si sono conosciuti un anno fa in pizzeria, durante una pausa pranzo.
I vantaggi di crescere in una famiglia giovane
In un’Italia sempre più anziana, dove nel 2050 più di un italiano su tre avrà almeno 65 anni, diventare nonni a 37 e 38 anni non può che fare notizia.
Ma oltre la notizia, c’è di più, perché l’età dei genitori (e più in generale della famiglia) influisce direttamente sulla crescita e sulla vita dei figli. Una famiglia giovane ha più probabilità di avere un confronto aperto con i figli, interessi comuni e tanta, tantissima energia da dedicare alla loro crescita.
Uno studio del PubMed Central analizza nel dettaglio la relazione genitori-figli dimostrando, tra le altre cose, che quanto più lunga è la presenza dei genitori, tanto maggiore è il benessere dei bambini.
I genitori giovani tendono ad essere più flessibili e aperti ai cambiamenti. Questa adattabilità è importante in un mondo in continua evoluzione, dove le tecnologie e le dinamiche familiari cambiano rapidamente. Inoltre, avere i nonni “a portata di mano” e ancora pieni di energie è senza dubbio una risorsa preziosa per i genitori, specie in un Paese dove i nonni sono ormai il baluardo del welfare privato.
Il supporto dei nonni può alleviare lo stress genitoriale e fornire risorse aggiuntive per la cura dei bambini, contribuendo a un ambiente familiare coeso e solidale.
Diventare genitori giovani può fungere da motivazione anche per i genitori stessi. La responsabilità di crescere un bambino spinge molti giovani genitori a perseguire obiettivi educativi e professionali, migliorando così le loro condizioni di vita e, di conseguenza, quelle dei loro figli.
Questo desiderio di miglioramento può tradursi in un ambiente familiare più stabile e prospero, come già testimoniato da Alfonso Tirotta parlando di sua moglie Linda: “Lei e Asia hanno una complicità unica: non sono solo madre e figlia, ma sono anche sorelle e amiche. Siamo cresciuti insieme”. Difficile trovare qualcosa di più bello da condividere con i propri figli.
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Totò Schillaci, perché alcuni tumori hanno più rischio...
La salute di Totò Schillaci torna a preoccupare. Il bomber di Italia 90, l’eroe delle notti magiche, è ricoverato nel reparto di Pneumologia dell’ospedale Civico di Palermo in gravi condizioni per il ritorno dell’avversario più ostico da affrontare: il tumore al colon.
Puntuale, e squallida, è circolata la fake news della sua morte, smentita dai familiari sul profilo Instagram di Schillaci: “Viste le innumerevoli chiamate da parte di molte testate giornalistiche e viste le brutte notizie che circolano, informiamo che il nostro amato Totò è in condizioni stabili ed è controllato da un’équipe di medici notte e giorno. Forza Totò”.
Il tumore al colon di Totò Schillaci
Il nemico sembrava sconfitto, ma certi avversari sono duri a morire. Un anno fa Totò Schillaci e sua moglie Barbara Lombardo hanno partecipato a Pechino Express. Non proprio un’esperienza ‘rilassante’ per il fisico, ma gli era stato detto: “Sei guarito, riprenditi la vita”. In effetti, l’ex attaccante di Juventus e Palermo aveva subito due interventi al colon prima di vedere regredito il tumore. “Quella trasmissione è stata una rivincita sulla malattia e su quello che si era portata dietro: depressione e pensieri di morte”, raccontò al ritorno in Italia.
La stella di Italia 90 si trovava nella stessa clinica di Messina Denaro, La Maddalena di Palermo, quando, il 16 gennaio del 2023, il boss venne arrestato. “Erano le 8.15 del aspettavo la mia visita di controllo. Avevo appena finito la colazione al bar, in un attimo mi sono ritrovato circondato da persone incappucciate con le armi spianate. Ho pensato a un attentato. Poi i carabinieri si sono qualificati”, raccontò lui stesso. La battagli di Totò Schillaci contro il tumore al colon va avanti da anni, ma non è ancora finita.
Il rischio di recidiva
Il tumore al colon è tra i più comuni, con oltre 1,9 milioni di nuovi casi diagnosticati nel mondo ogni anno. Stabilire una percentuale precisa di rischio recidiva non è semplice, perché ci sono diverse varianti da considerare.
Secondo l’American Cancer Society, fino al 40% dei pazienti con tumore al colon avanzato può sviluppare una recidiva, spesso entro i primi tre anni dal trattamento. Le cellule tumorali che non vengono individuate durante la chirurgia o la chemioterapia possono restare dormienti nel corpo, per poi riattivarsi e formare nuovi tumori. Le recidive possono manifestarsi localmente o in altre parti del
Le recidive possono essere dovute alla resistenza delle cellule tumorali ai trattamenti o a mutazioni genetiche che rendono i tumori più aggressivi. Nel caso di Schillaci, la diagnosi precoce e il trattamento chirurgico sembravano aver sconfitto il tumore, ma come spesso accade con le neoplasie del colon, le cellule residue possono moltiplicarsi e dar vita a un nuovo processo tumorale.
Altri tumori con rischio elevato di recidiva
Oltre al tumore al colon, ci sono altre forme di cancro che presentano un elevato rischio di recidiva, spesso in forma più aggressiva rispetto alla diagnosi iniziale:
Tumore alla mammella triplo negativo: una delle varianti più aggressive. Le donne affette da questa forma di carcinoma mammario hanno un rischio di recidiva del 30-50% entro i primi cinque anni dopo il trattamento, specialmente se il tumore era in stadio avanzato. Questo tipo di tumore non presenta recettori per estrogeni, progesterone o HER2, il che lo rende resistente a molti dei trattamenti farmacologici mirati. Inoltre, le recidive del tumore triplo negativo tendono a manifestarsi in organi distanti come i polmoni e il cervello, con un decorso spesso letale. Una nuova speranza, anche se ancora acerba, viene dall’Ai che sarebbe capace di rilevare il cancro al seno con cinque anni di anticipo;
Carcinoma polmonare: anche il cancro ai polmoni, in particolare il carcinoma polmonare a piccole cellule, è noto per la sua capacità di tornare rapidamente dopo il trattamento. Le recidive si verificano spesso entro due anni dalla diagnosi, e il tasso di sopravvivenza a lungo termine è estremamente basso. Il motivo principale di questa aggressività risiede nella natura altamente metastatica di questo tipo di cancro, che può diffondersi velocemente ad altri organi come il fegato, le ossa e il cervello;
Melanoma: il melanoma è un altro tumore con un rischio significativo di recidiva, soprattutto nelle sue fasi più avanzate. In Italia, è il terzo tumore più frequente al di sotto dei 50 anni tra uomo e donna. Una percentuale molto variante che va dal 15% al 35% sviluppa una recidiva di questa malattia, dei pazienti con melanoma avanzato può sperimentare una recidiva entro cinque anni dal trattamento. Le recidive del melanoma tendono ad essere particolarmente insidiose, anche se negli ultimi anni ci sono stati progressi nel contrasto di questo tumore.
Perché alcuni tumori tornano in forma aggressiva?
Le recidive tumorali sono il risultato della capacità di alcune cellule di sopravvivere ai trattamenti e di mutare nel tempo. Le cellule residue che non vengono eliminate possono sviluppare una resistenza alla chemioterapia o alla radioterapia, rendendo i trattamenti futuri meno efficaci. Inoltre, le mutazioni genetiche possono rendere le cellule tumorali più aggressive e difficili da trattare.
Le terapie tradizionali, come la chemioterapia, spesso non riescono a eliminare completamente le cellule tumorali dormienti, che possono risvegliarsi e causare la recidiva della malattia. Le nuove ricerche si concentrano sulla comprensione di questi meccanismi per sviluppare terapie più efficaci. In alcuni casi, il trattamento della recidiva può essere particolarmente efficace perché il nuovo decorso tumorale viene bloccato sul nascere.
I progressi scientifici contro le recidive
La ricerca scientifica sta studiando delle modalità per individuare i tumori velocemente, magari con delle analisi del sangue. Questo è l’obiettivo di tanti ricercatori, ultimi in ordine cronologico quelli dell’Università di Stanford, in California, che ha pubblicato uno studio innovativo su come individuare i tumori attraverso l’analisi delle proteine nel sangue.
I tumori sono in costante aumento soprattutto nella fascia più giovane della popolazione mondiale e questo studio rappresenta un significativo passo avanti nella diagnosi precoce del cancro e ha il potenziale di rivoluzionare le pratiche mediche attuali.
Negli ultimi anni, la ricerca oncologica ha fatto significativi progressi nella lotta contro le recidive tumorali.
Tra i più promettenti sviluppi c’è l’immunoterapia, una terapia che sfrutta il sistema immunitario del paziente per attaccare le cellule tumorali. A differenza della chemioterapia, che colpisce tutte le cellule in rapida crescita (inclusi i tessuti sani), l’immunoterapia è più mirata e può essere efficace contro le cellule tumorali residue che causano le recidive. Uno studio pubblicato su Nature ha dimostrato che l’immunoterapia può ridurre il rischio di recidiva in alcuni tipi di tumore, come il melanoma e il cancro ai polmoni.
Un altro approccio innovativo è la terapia mirata, che prende di mira specifiche mutazioni genetiche responsabili della crescita tumorale. Ad esempio, farmaci come il trastuzumab (Herceptin) hanno rivoluzionato il trattamento del cancro al seno HER2-positivo, riducendo significativamente il rischio di recidiva. Le terapie mirate stanno mostrando risultati promettenti anche nel trattamento di tumori con mutazioni difficili da trattare, come il carcinoma polmonare.
Infine, la ricerca sul “microambiente tumorale” ha rivelato che le cellule tumorali non operano in isolamento. Esse interagiscono con le cellule circostanti, come i fibroblasti e le cellule immunitarie, che possono promuovere la crescita e la recidiva del tumore. Intervenire su queste interazioni è diventato un nuovo fronte nella lotta contro le recidive.
Il tumore al colon che ha colpito Totò Schillaci, però, resta però uno dei più difficili da trattare.
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Donne, tre esami del sangue per scoprire ictus e infarto...
Tre esami del sangue per diagnosticare il rischio di ictus o infarto di una donna fino a trent’anni prima che si verifichino. Lo studio condotto dal Brigham and Women’s Hospital di Boston, e presentato al Congresso della Società Europea di Cardiologia (Esc), è un grande passo avanti nel contrasto al rischio cardiovascolare delle donne. L’analisi si concentra su tre biomarcatori fondamentali, ecco come funziona.
I tre marcatori chiave per individuare ictus e infarto nelle donne
Secondo lo studio condotto su 27.939 donne statunitensi nel contesto del Women’s Health Study, il monitoraggio combinato di alcuni marcatori biologici può predire il rischio di eventi cardiovascolari in modo più accurato rispetto all’analisi di uno solo:
Proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hsCRP): questo esame misura il livello di infiammazione nel corpo. L’infiammazione, pur essendo spesso trascurata, ha un impatto significativo sul rischio cardiovascolare;
Colesterolo LDL (low-density lipoprotein): conosciuto anche come colesterolo “cattivo”, questo esame permette di valutare il rischio legato all’accumulo di grassi nelle arterie, con conseguente aumento del rischio di infarti e ictus;
Lipoproteina(a) [Lp(a)]: si tratta di una lipoproteina che gioca un ruolo cruciale nella predisposizione genetica a malattie cardiovascolari. Questo esame viene eseguito una sola volta nella vita, ma ha un forte valore predittivo.
Durante il periodo di osservazione di trent’anni, sono stati rilevati 3.662 eventi cardiovascolari importanti, come infarti, ictus o la necessità di interventi di rivascolarizzazione.
Il ruolo dell’infiammazione nella prevenzione cardiovascolare
Uno dei punti centrali dello studio condotto da Paul Ridker e dal suo team è che, sebbene abbia un peso simile a quello del colesterolo nel determinare il rischio cardiovascolare, spesso l’infiammazione non viene monitorata adeguatamente. La misurazione della hsCRP, in combinazione con gli altri due marcatori, si è rivelato un indicatore fondamentale per prevenire eventi cardiovascolari: le donne con i livelli più alti di hsCRP presentavano un rischio del 70% maggiore di subire un evento cardiovascolare significativo nei successivi trent’anni rispetto alle donne con un livello di hsCRP più basso.
In particolare, l’infiammazione ha mostrato un impatto ancora più marcato nel rischio di ictus. Le donne con i livelli più elevati di tutti e tre i marcatori avevano una probabilità 3,7 volte superiore di essere colpite da ictus nei successivi trent’anni rispetto a quelle con livelli più bassi.
Prevenzione personalizzata: perché è fondamentale agire in anticipo
La rilevanza di questa ricerca risiede nella possibilità di utilizzare questi esami come strumenti di prevenzione personalizzata. Come sottolinea Julie Buring, coautrice dello studio e ricercatrice del Brigham’s Division of Preventive Medicine, “Aspettare che le donne abbiano 60 o 70 anni per iniziare la prevenzione è una ricetta per il fallimento”. Le donne spesso sono sottodiagnosticate per quanto riguarda il rischio cardiovascolare, e interventi tempestivi, già nella mezza età, potrebbero fare la differenza tra una vita sana e un futuro di problemi cardiaci.
Le misurazioni di hsCRP, LDL e Lp(a) forniscono una fotografia del rischio cardiovascolare individuale, permettendo ai medici di intervenire con un approccio mirato. Questo può includere modifiche nello stile di vita, come un’alimentazione sana, attività fisica regolare e l’eliminazione del fumo, combinate, se necessario, con terapie farmacologiche personalizzate.
I benefici a lungo termine della prevenzione cardiovascolare
Prevenire è meglio che curare, prevenire con precisione ancora di più. In tal senso, la combinazione dei dati ottenuti da questi tre esami offre un’opportunità unica di implementare una prevenzione cardiovascolare mirata e personalizzata. Il futuro della prevenzione potrebbe includere nuovi farmaci mirati a ridurre i livelli di Lp(a) e a controllare meglio l’infiammazione, aumentando significativamente le possibilità di evitare eventi cardiovascolari maggiori.
Il messaggio chiave che emerge dallo studio è chiaro: i medici devono essere proattivi nel monitoraggio del rischio cardiovascolare nelle donne, senza aspettare che i sintomi si manifestino. Come afferma il dott. Ridker, “i medici non possono curare ciò che non misurano”, e la combinazione di hsCRP, LDL e Lp(a) rappresenta uno strumento potente per la prevenzione a lungo termine.
Il ruolo della menopausa nelle malattie cardiovascolari
Se le donne sono tendenzialmente molto attente per gli screening del tumore del seno e dell’utero, lo stesso non si può dire per le malattie cardiovascolari, spesso associate agli uomini e sottovalutate dalle donne. Alcuni fattori di rischio sono uguali a quelli degli uomini, ma altri sono esclusivi della biologia femminile, come per esempio la menopausa precoce, tra i 30 e 40 anni, e alcune malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide, la miastenia, la tiroidite e altre che hanno una prevalenza nelle donne con conseguenze importanti sulla loro qualità di vita e sulla salute cardiaca.
Soprattutto la menopausa rappresenta una variante importante per la salute cardiovascolare femminile. Per tutta l’età fertile, la donna è protetta dall’infarto grazie al cosiddetto “ombrello estrogenico”, cioè gli ormoni femminili, ma quando subentra la menopausa questo viene meno. Non solo: le donne rischiano di confondere alcuni sintomi dell’infarto con quelli della menopausa. È il caso della mancanza di fiato nel salire le scale, del dolore toracico anche passeggero, del gonfiore agli arti, della sudorazione ‘fredda’, o di episodi di tachicardia. Per questo, diventa cruciale prevenire e farlo bene, senza mai abbassare la guardia.
L’analisi del rischio cardiovascolare nelle donne è un campo in continua evoluzione. Le nuove strategie di prevenzione si stanno muovendo verso un approccio sempre più personalizzato, basato su esami del sangue mirati e sul controllo precoce dei principali fattori di rischio. Questo non solo permette di ridurre il rischio di infarti e ictus, ma offre anche l’opportunità di migliorare la qualità della vita di milioni di donne in tutto il mondo.
Le future innovazioni mediche, unite a screening regolari e a un controllo più stringente dei fattori di rischio, potrebbero rappresentare una svolta nel campo della prevenzione cardiovascolare femminile.