I giovani LGBTQ+ di oggi dichiarano di aver fatto coming out molto prima rispetto alle generazioni passate. Questa tendenza a dichiararsi sempre prima dovrebbe essere il riflesso dei “cambiamenti sociali in termini di maggiore accettazione che gli adulti LGBTQ+ dichiarano di aver visto nell’ultimo decennio”. E se prima si raggiungeva questa consapevolezza verso i 16 anni per dichiararsi intorno ai 20, oggi lo si capisce prima e lo si comunica prima al resto del mondo.
A rilevarlo è l’ultimo sondaggio di Gallup, dal quale è però emerso che, anche se si percepisce maggiore accettazione, circa uno su quattro ha dichiarato di aver subito discriminazioni nell’ultimo anno.
Coming out
Fare coming out può essere un momento molto delicato nella vita di una persona. C’è chi riceve la massima accettazione da parte di familiari e amici, ma molte storie raccontano il contrario con risvolti spesso tragici o traumatici.
Gallup ha così deciso di dedicare a questo particolare momento della propria vita un sondaggio, che è stato condotto dal 1° al 15 maggio, online e su adulti gay, lesbiche, bisessuali, transgender e persone americane che si identificano in modo diverso da “eterosessuale” o “cisgender”.
Dalla ricerca è emerso che la maggior parte delle persone LGBTQ+ intervistate ha fatto coming out entro i 18 anni. La maggior parte di loro dichiara di aver capito di avere un orientamento sessuale che rientra nella definizione di “LGBTQ+” quando era molto giovane. Infatti, il 48% ha affermato di averlo capito all’età di 14 anni e il 72% dice che ne è giunto alla totale consapevolezza all’età di 18 anni.
L’età media in cui gli americani LGBTQ+ dichiarano di aver riconosciuto la propria identità è 14 anni.
Mentre l’età media in cui gli adulti LGBTQ+ nella fascia di età 18-29 sanno di essere LGBTQ+ è di 14 anni, per quelli nelle fasce di età 30-49 e 50-64 è di 15 anni, e per quelli di età pari o superiore a 65 anni è di 16 anni.
Differenze generazionali
La maggior parte degli adulti LGBTQ+, il 71%, ha affermato di aver fatto coming out con altri prima di aver compiuto 30 anni, ben il 57% che lo ha fatto entro i 22 anni. Il 10%, invece, ha raccontato di averlo fatto più tardi: a 30 anni (7%), a 40 anni (2%) o a 50 anni o più (1%).
Il 18% degli intervistati LGBTQ+ afferma di non aver mai fatto coming out con nessuno.
Gli adulti LGBTQ+ più giovani, quelli di età compresa tra 18 e 29 anni, hanno fatto coming out a un’età media di 17 anni, mentre quelli di età compresa tra 30 e 49 anni e 50 e 64 anni hanno fatto coming out all’inizio dei loro 20 anni. L’età media degli adulti di età pari o superiore a 65 anni è di 26 anni.
Dopo quanto tempo?
Ma quando è il momento giusto per fare coming out? Chiaramente non ne esiste uno. È interessante però scoprire che le differenze generazionali incidono sul tempo di attesa: cioè, il tempo che intercorre dal momento in cui si è sicuri della propria identità di genere e il momento in cui si decide di dirlo agli altri.
Confrontando le medie per ogni fascia, i giovani adulti non hanno fatto coming out prima di tre anni, mentre gli anziani non lo hanno fatto per un periodo più lungo: 10 anni.
Cos’è cambiato? Nonostante queste differenze generazionali, i tre gruppi di età più giovani hanno maggiori probabilità di dichiarare di aver fatto coming out tra i 19 e i 22 anni. Ciò contrasta con gli adulti di età pari o superiore a 65 anni, che hanno maggiori probabilità di dichiarare di aver fatto coming out più tardi, intorno ai 20 anni.
Mentre solo il 5% degli americani gay o lesbiche dichiara di non aver fatto coming out con nessuno, così come circa un adulto bisessuale su quattro (23%) non ha ancora fatto coming out con gli altri. A causa delle limitazioni del campione, Gallup non è in grado di riportare le esperienze degli americani transgender.
Sebbene l’età media in cui sia gli uomini che le donne LGBTQ+ hanno fatto coming out sia 19 anni, le donne LGBTQ+ hanno più del doppio delle probabilità (14%) rispetto agli uomini LGBTQ+ (6%) di dichiarare di aver fatto coming out entro i 14 anni.
Com’è cambiata la società
Secondo la maggior parte degli intervistati, il modo in cui si parla del mondo LGBTQ+ è migliorato.
Il 70% degli adulti LGBTQ+ e degli adulti statunitensi etero o cisgender afferma che l’accettazione e il trattamento sociale delle persone LGBTQ+ sono “migliorati molto” negli ultimi 10 anni. Gli americani LGBTQ+ di tutte le fasce d’età concordano ampiamente su questo punto, sebbene i gruppi più giovani siano leggermente più propensi a percepire cambiamenti positivi da parte della società.
Ma non vale per tutti. Un adulto LGBTQ+ su cinque afferma che il trattamento riservato dalla società “molto” o “un po’” peggiorato. Circa uno su quattro, infatti, denuncia maltrattamenti e molestie nell’ultimo anno. Si parla di comportamenti inadeguati o molestie “frequenti” (5%) o “occasionali” (19%) causate dal proprio orientamento sessuale. Ciò include più di un terzo degli americani gay o lesbiche (36%) rispetto al 20% degli adulti bisessuali.
Meno della metà degli intervistati, il 45% e il 28% degli adulti gay o lesbiche affermano di non aver subito alcun comportamento inadeguato nell’ultimo anno. Due su tre (66%) affermano che i maltrattamenti subiti sono stati “più o meno gli stessi” nell’ultimo anno rispetto agli anni precedenti. Le persone gay o lesbiche (24%) hanno il doppio delle probabilità delle persone bisessuali (12%) di affermare di aver ricevuto più maltrattamenti o molestie nello stesso periodo.

Demografica
Cosa succede quando San Valentino incontra Sanremo?


Sanremo non è soltanto un festival musicale: è un caleidoscopio di emozioni, una vetrina in cui l’arte del canto si intreccia con il sentimento e, spesso, con l’amore. In 75 edizioni, Sanremo 2025 è la sesta che incrocia il Giorno degli innamorati. Prima di oggi, questa coincidenza si era verificata solo nel 1984, nel 1991, nel 1996, nel 2002 e nell’edizione del 2015, l’unica in cui il giorno di San Valentino è coinciso con la finale del Festival.
Oggi, la festa degli innamorati coincide con il giorno dei duetti sul palco dell’Ariston. E quale miglior modo delle canzoni sanremesi per celebrare un altro duetto, quello con i partner?
Sanremo, il Festival dell’amore
Dal 1951, Sanremo ha rappresentato il palcoscenico delle nuove tendenze musicali italiane, e sin dall’inizio il tema dell’amore ha avuto un ruolo centrale. Anche se le prime edizioni erano caratterizzate da sonorità e testi che, a volte, trattavano l’amore in modo idealizzato o simbolico, quelle canzoni gettarono le basi per un dialogo continuo tra la canzone e il sentimento. Le prime proposte, spesso intrecciate a metafore e allegorie, davano voce a un’Italia che si riscopriva e si reinventava attraverso il linguaggio musicale.
Nel corso dei decenni, il festival ha visto vincere numerose canzoni d’amore che hanno segnato la memoria collettiva. Alcuni sono diventati veri e propri inni generazionali, tra cui:
- “Non ho l’età” (1964) – la canzone che lanciò Gigliola Cinquetti verso il successo internazionale a soli 17 anni appena compiuti (è nata il 20 dicembre 1947). Il brano incarna un sentimento puro e sincero, quello dell’amore giovanile che, nonostante le limitazioni dell’età, sfida le convenzioni;
- “Perdere l’amore” (1988) – capolavoro di Massimo Ranieri, una ballata struggente che ha saputo catturare l’intensità e la fragilità dell’amore, diventando una delle canzoni più emblematiche del festival e aggiudicandosi il primo posto nella competizione canora;
- “Almeno tu nell’universo” (1989) – la voce di Mia Martini ha trasformato questo brano in un inno di speranza e resilienza, celebrando l’unicità di un amore autentico in un mondo in continuo cambiamento;
- “La solitudine” (1993) – Laura Pausini ha parlato della solitudine che si prova quando la persona amata è lontana da noi e la relazione è vicino alla rottura. A soli 19 anni, la cantante romagnola ha confezionato un classico intramontabile della musica italiana. “La solitudine” trionfò nella sezione “Novità” del Festival.
Questi brani, come tanti altri brani sanremesi, non sono soltanto canzoni; sono racconti, testimonianze di un sentimento che ha il potere di unire diverse generazioni. Attraverso le loro note e parole, si riflette il volto dell’Italia, capace di esprimere emozioni complesse con una semplicità disarmante.
10 frasi d’amore da Sanremo
Come per le canzoni, fare una cernita delle migliori frasi d’amore intonate sul palco dell’Ariston è una sfida degna del miglior James Bond. Qui 10 citazioni sanremesi con cui sorprendere il partner, un elenco modellabile in base alle proprie preferenze:
- “E grazie ancor, che in questo giorno tu m’hai ricordato. Ma se l’amore nostro s’è perduto, perché vuoi tormentare il nostro cuor?” – Grazie dei fiori, Nilla Pizzi, 1951 (canzone vincitrice del primo Festival della canzone italiana);
- “La senti questa voce? Chi canta è il mio cuore, amore, amore, amore è quello che so dire ma tu mi capirai” – La prima cosa bella, Nicola di Bari con i Ricchi e Poveri, Sanremo 1970;
- “È un’emozione che cresce piano, stringimi forte e stammi più vicino, se ci sto bene, sarà perché ti amo” – Sarà perché ti amo, Ricchi e Poveri, Sanremo 1981;
- “Lasciami gridare, rinnegare il cielo, prendere a sassate tutti i sogni ancora in volo, li farò cadere ad uno ad uno, spezzerò le ali del destino e ti avrò vicino” – Perdere l’amore, Massimo Ranieri, 1988;
- “Dimmi che per sempre sarai sincero e che mi amerai davvero” – Almeno tu nell’universo, Mia Martini, Sanremo 1989;
- “La solitudine tra noi, questo silenzio dentro me, è l’inquietudine di vivere la vita senza te” – La solitudine, Laura Pausini, Sanremo 1993;
- “Mi manca da spezzare il fiato fa male e non lo sa che non mi è mai passata” – Laura non c’è, Nek, Sanremo 1996 (questa è più utile per cercare di recuperare un amore);
- “E senza pietà io ti amerò con tutto questo amore mio e senza pietà diventerò una fonte, nel deserto ti disseterò” – Senza pietà, Anna Oxa, Sanremo 1999;
- “E mentre il mondo cade a pezzi, io compongo nuovi spazi e desideri che appartengono anche a te, che da sempre sei per me l’essenziale” – L’essenziale, Marco Mengoni, Sanremo 2013;
- “E ti vorrei amare, ma sbaglio sempre e ti vorrei rubare un cielo di perle” – Brividi, Mahmood e Blanco, Sanremo 2022.
L’elenco potrebbe essere infinito. D’altronde, anche se in Italia ci sono sempre più single, le canzoni d’amore restano un pilastro della nostra cultura.
Demografica
San Valentino, cosa pensa la Gen Z dell’amore? Solo il 47%...


Oggi, 14 febbraio, mentre il mondo celebra l’amore e le sue mille sfumature, la riflessione su temi cruciali legati alla sessualità giovanile si fa più che mai urgente. La giornata di San Valentino, infatti, offre lo spunto ideale per interrogarsi su come gli adolescenti vivano la sfera affettiva e sessuale oggi, tra nuove opportunità, sfide digitali e vecchie resistenze sociali. In un contesto in cui i giovani si trovano a fare i conti con stereotipi, discriminazioni e una scarsa educazione sessuale, le risposte non sono sempre chiare. Un’indagine realizzata da Save the Children in collaborazione con Ipsos, nell’ambito della ricerca “L’educazione affettiva e sessuale in adolescenza: a che punto siamo?” ci fornisce un’istantanea significativa della realtà che i ragazzi vivono, tra speranze, insicurezze e l’evidente distanza tra percezione e informazione.
Discriminazioni e body shaming
C’è una faccia nascosta dell’adolescenza che non tutti vogliono vedere: il 26% degli adolescenti tra i 14 e i 18 anni ritiene che discriminazioni legate all’orientamento sessuale o all’identità di genere siano una realtà frequente, mentre il 22% si confronta quotidianamente con discriminazioni sessiste. E non finisce qui: più di un ragazzo su tre (il 35%) ha assistito o subito episodi di body shaming, un fenomeno che trova terreno fertile in una società sempre più ossessionata dall’immagine e dalla perfezione fisica. Non è una sorpresa, quindi, che la sessualità, intesa non solo come pratica ma anche come identità, diventi un campo minato per tanti adolescenti.
Questi numeri, che descrivono un clima di paura e incertezza, sono segnali di un disagio che cresce tra le giovani generazioni, un disagio che trova riscontro anche in altre aree della ricerca. La ricerca di Save the Children, infatti, evidenzia come molti adolescenti siano spinti a intraprendere esperienze sessuali per conformarsi alle aspettative sociali, come nel caso del 16% di intervistati che ha avuto un rapporto per non sentirsi “diverso” e il 9% che ha ceduto sotto le pressioni del partner. Ma se già i numeri legati alla pressione sociale sulle scelte sessuali sono preoccupanti, lo sono ancora di più quelli relativi al fatto che ben l’82% dei ragazzi non ha mai fatto un test HIV e solo il 12% è mai stato in un consultorio. Eppure, è proprio la mancanza di educazione sessuale adeguata, che rimane un tema tabù in molte famiglie e scuole, a rendere i giovani più vulnerabili a scelte rischiose e poco consapevoli.
L’era digitale e il suo impatto sui giovani
Se il corpo diventa il bersaglio di giudizi severi e discriminatori, la mente dei ragazzi è sempre più influenzata dalle immagini che popolano la rete. I dati dell’indagine parlano chiaro: il 24% degli adolescenti intervistati considera la pornografia una rappresentazione realistica dell’atto sessuale, mentre il 17% ritiene che l’autoproduzione di materiale pornografico possa essere una soluzione a necessità economiche. In un contesto in cui la pornografia è facilmente accessibile, il confine tra realtà e finzione si fa sempre più labile. Ma la cosa che preoccupa maggiormente è l’idea che molti ragazzi crescano con convinzioni errate sul sesso, come se fosse qualcosa di esclusivamente fisico e non un’esperienza emotiva e relazionale. In un’epoca in cui la pornografia è un fenomeno di massa, l’educazione affettiva e sessuale sembra essere sempre più un’urgenza.
E non è solo la pornografia a configurarsi come una forma di disinformazione. Il 47% degli adolescenti consulta principalmente internet per informarsi sulle pratiche sessuali, mentre il 57% si rivolge ai siti web per capire come prevenire le infezioni sessualmente trasmissibili (IST). Un’informazione che, purtroppo, non sempre è veritiera o completa, e che alimenta una cultura del “tutto è possibile” senza il giusto filtro critico. Il 12% dei ragazzi crede che il sesso online abbia lo stesso valore di quello dal vivo, alimentando così una percezione distorta e riduttiva dell’intimità.
C’è, quindi, un abisso tra il sapere acquisito attraverso il web e la realtà delle esperienze sessuali vissute, un gap che i giovani cercano di colmare in autonomia, senza l’aiuto di esperti e senza un percorso di educazione solido che dia loro gli strumenti per affrontare in modo consapevole e sicuro la sessualità. Questo può facilmente tradursi in comportamenti a rischio, come nel caso del 66% degli adolescenti che ritiene che le ragazze siano più inclini ad avere esperienze sessuali dopo aver bevuto alcolici (binge drinking), o il 69% che pensa che molte ragazze subiscano pressioni dal partner per fare sesso senza protezione.
La sfida dell’educazione sessuale
Secondo i dati dell’indagine, solo il 47% degli adolescenti ha ricevuto un’educazione sessuale a scuola. E la situazione è ancora più grave nelle regioni del Sud e delle Isole, dove la percentuale scende al 37%. Un dato allarmante, che dimostra come, in un’epoca di cambiamenti rapidi e di sfide digitali, la scuola non riesca ancora a rispondere alle necessità dei ragazzi in tema di educazione sessuale e affettiva. Un gap che, secondo Giorgia D’Errico, direttrice delle Relazioni Istituzionali di Save the Children, rischia di avere conseguenze devastanti sul futuro delle nuove generazioni, che si trovano a crescere con una formazione incompleta su temi fondamentali come il consenso, il rispetto, e la prevenzione della violenza.
Eppure, una speranza c’è. Più di un genitore su due si sente a proprio agio a parlare di sessualità con i propri figli, e il 75% ritiene che sia necessario affrontare questi temi con naturalezza e senza imbarazzi. Ma anche in questo caso, la carenza di strumenti adeguati a livello educativo e di informazione è evidente. L’educazione affettiva e sessuale, infatti, deve andare oltre il semplice nozionismo e deve essere in grado di affrontare anche la sfera emotiva, relazionale e digitale, aspetti fondamentali in un mondo sempre più interconnesso e complesso.
In questa sfida, il digitale gioca sicuramente un ruolo ambiguo: se da un lato offre la possibilità di accedere a informazioni e risorse in tempo reale, dall’altro rischia di confondere e disorientare i ragazzi, privandoli di un confronto reale e di una guida sicura.
Demografica
Sanremo 2025, Bianca Balti incanta con il suo inno alla vita


Il Festival di Sanremo ha sempre avuto i suoi momenti iconici, ma quello che Bianca Balti ha regalato al pubblico dell’Ariston, nella seconda serata dell’edizione 2025, rimarrà inciso nella storia. Non era solo la sua bellezza a colpire – quella, dopotutto, è sempre stata un dato di fatto –, ma la luce con cui la co-conduttrice illuminava il palco, una luce che non aveva nulla a che fare con i riflettori. Era la luce della consapevolezza, del coraggio, della voglia di vivere.
Bianca con eleganza e determinazione, ha ribaltato la narrazione della malattia per trasformarla in un inno alla vita. “Io non vengo a fare la malata di cancro”, aveva detto a Carlo Conti prima di salire sul palco. E così ha fatto: ha brillato, ha emozionato, ha incantato. Non con un monologo strappalacrime, ma con la potenza di un sorriso e la fierezza di chi si rifiuta di lasciarsi definire dalla malattia.
Il coraggio di mostrarsi senza filtri
Se il Festival di Sanremo è il tempio del glamour e della perfezione estetica, Bianca Balti ha scelto di rompere ogni schema. Nella storia del festival, mai un co-conduttore si era presentato sul palco con la testa rasata a causa della chemioterapia. Ma lei, con la sua presenza magnetica, ha trasformato quello che per molti è un simbolo di fragilità in un’arma di forza.
Balti è apparsa radiosa, sfoggiando quattro cambi d’abito straordinari, dal chiffon azzurro polvere di Valentino al Cavalli d’archivio, con oblò che lasciava intravedere le cicatrici dell’intervento, mostrandosi come mai nessuna prima di lei. E nel farlo, ha ridefinito il concetto stesso di femminilità e forza. “Chi sta vivendo questa situazione vuole vedere gioia”, ha detto. E così ha fatto: ha ballato, ha scherzato con Cristiano Malgioglio, ha illuminato l’Ariston con la sua energia.
La forza di una rinascita
La sua storia è un viaggio tra fragilità e potenza. Prima di ammalarsi, Bianca Balti era una delle top model italiane più richieste. Ma con la diagnosi di cancro ovarico, tutto è cambiato: “I brand hanno smesso di considerarmi una persona con cui lavorare. Oltre a mandarmi fiori e biglietti d’auguri, non mi chiamavano più”. Ma lei, invece di farsi schiacciare, ha trovato una nuova strada: ha deciso di essere se stessa senza vergogna, di mostrare il suo valore al di là dei canoni imposti dalla moda.
Sanremo è stata l’occasione per gridarlo al mondo: la sua presenza sul palco non è stata solo una celebrazione della bellezza, ma della resilienza. Un messaggio di speranza, non solo per chi combatte la stessa battaglia, ma per chiunque si trovi di fronte a un ostacolo apparentemente insormontabile.
Bianca Balti non si è mai lasciata ingabbiare dalle definizioni. E se un tempo il suo nome era sinonimo di passerelle e copertine patinate, oggi è il simbolo di una nuova femminilità: autentica, coraggiosa, senza filtri. “Ciò che non mi ha ucciso mi ha fatto amare molto di più la vita”, ha scritto sui social, ripercorrendo il suo percorso dalla scoperta della malattia all’ultima infusione di chemioterapia.
Non è stata una vittoria facile. Dall’8 settembre 2024, giorno della diagnosi, fino al 27 gennaio, data dell’ultima chemio, ha vissuto momenti difficili, ma anche incredibilmente pieni. “Una condanna a morte”, l’aveva definita in un primo momento. Ma poi, qualcosa dentro di lei si è acceso. “Mi sono sentita viva come sempre. Tutto ha iniziato ad avere il sapore di una vera benedizione”. Ed è proprio questo il messaggio che ha portato a Sanremo: la malattia non definisce chi siamo. La vita, con tutte le sue sfide e le sue cicatrici, va celebrata. Sempre.