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Meno coppie con figli e più differenze tra generazioni: ecco l’Italia di domani

L’Italia si trova a un crocevia cruciale nella sua storia demografica. Secondo i dati ISTAT, nel 2023 sono nati 392.598 bambini, in leggero calo rispetto ai 393.310 nati del 2022, ma che, comunque, rappresenta un segnale di stabilizzazione in un contesto di lungo termine caratterizzato da denatalità. Questo dato merita una riflessione approfondita sulle dinamiche sociali ed economiche che hanno portato a questa svolta, così come sulle potenziali implicazioni per il futuro demografico del paese.

Le cifre rivelano una stabilizzazione del tasso di natalità al 6,7 per mille abitanti e un modesto incremento del tasso di fecondità totale, passato da 1,24 a 1,25 figli per donna. In più l’età media alla nascita del primo figlio, salita a 32,4 anni, riflette cambiamenti significativi nei modelli di vita e lavoro delle giovani generazioni, spesso costrette a posticipare la genitorialità per ragioni economiche e professionali.

Nonostante questi dati non facciano rumore, sono emblematici di una transizione profonda in atto. L’Italia si trova a un bivio: o si accetta questa nuova normalità e si cerca di adattarsi, oppure si intraprende una serie di riforme audaci per stimolare la crescita demografica e affrontare le sfide future.

Un’Italia a doppia velocità

Un’analisi più dettagliata della distribuzione delle nascite a livello regionale rivela un’Italia a diverse velocità, con significative variazioni tra le varie aree del paese. La Provincia Autonoma di Bolzano continua a distinguersi con un tasso di natalità di 9,4 per mille abitanti, il più alto del paese, mentre il Sud, storicamente più prolifico, vede un calo preoccupante, con la Calabria che registra il tasso di natalità più basso, con 6,4 per mille abitanti. Le cause? Differenze socio-economiche, culturali e di accesso ai servizi. Mentre Bolzano beneficia di politiche familiari avanzate e di un welfare robusto, molte regioni del Sud soffrono la mancanza di supporto adeguato.

Le città metropolitane, come Milano e Roma, riflettono un altro fenomeno: la scelta di posticipare la genitorialità per ragioni di carriera e stabilità economica. Questo trend si traduce in una diminuzione delle nascite, nonostante una lieve ripresa del tasso di fecondità. È una questione di priorità e di contesto: dove i servizi sono migliori, dove la qualità della vita è più alta, le famiglie tendono a fare più figli.

Il contributo degli stranieri alla demografia italiana è una parte fondamentale di questo quadro. Con il 14,9% dei nuovi nati che hanno almeno un genitore straniero, è chiaro che la natalità tra le famiglie migranti gioca un ruolo cruciale. Le donne straniere, con un tasso di fecondità di 1,85 figli per donna, superano di gran lunga le loro controparti italiane, che si fermano a 1,17 figli per donna.

Con una popolazione residente di 58.851.000 persone, l’Italia sta vivendo un periodo di significativi cambiamenti demografici. Gli stranieri, che costituiscono l’8,6% della popolazione totale, e il calo dei decessi, che ha visto una diminuzione del 9,6% rispetto al 2021, sono indicatori di una relativa stabilizzazione. Tuttavia, l’Italia continua a fare i conti con l’invecchiamento della popolazione e la necessità di garantire il ricambio generazionale.

Italia 2080

Tra il 2014 e il 2023, l’Italia ha già visto un declino di circa 1,35 milioni di residenti. Questa tendenza continuerà, con una previsione di un ulteriore calo di 439.000 individui entro il 2030 e un decremento ancora più accentuato tra il 2030 e il 2050. Entro il 2080, la popolazione potrebbe scendere a 46,1 milioni, un calo di 12,9 milioni di residenti rispetto al 2023. Il rapporto tra individui in età lavorativa e non lavorativa passerà da tre a due nel 2023 a uno a uno entro il 2050, indicando un drastico invecchiamento della popolazione e un conseguente aumento delle dipendenze demografiche.

Nel dettaglio, il processo di invecchiamento sarà particolarmente rapido nel Mezzogiorno, dove l’età media raggiungerà i 51,5 anni entro il 2050, rispetto ai 50,8 anni del resto del paese. Questo squilibrio generazionale comporterà una riduzione delle famiglie tradizionali. Entro il 2043, meno di una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, mentre più di una su cinque sarà senza figli. Le famiglie saranno più frammentate, con un aumento delle famiglie unipersonali e una diminuzione delle famiglie nucleari.

La diminuzione della popolazione colpirà tutto il territorio nazionale, ma con intensità diverse. Il Nord potrebbe vedere una lieve crescita nel breve termine, mentre il Centro e il Mezzogiorno affronteranno un calo significativo. Il Mezzogiorno, in particolare, potrebbe perdere fino a 7,9 milioni di abitanti entro il 2080. Questa disparità regionale amplificherà le sfide socio-economiche, richiedendo interventi mirati per gestire le differenze territoriali.

Le dinamiche demografiche dell’Italia saranno influenzate da fattori strutturali come la natalità e la mortalità, con un quadro migratorio altamente incerto. Nel periodo fino al 2080, si prevedono 21 milioni di nascite e 44,4 milioni di decessi, con un saldo naturale negativo non compensato dai flussi migratori. Le previsioni indicano un saldo migratorio netto positivo, con una media annuale di 165.000 unità nel lungo termine, ma questa stima è soggetta a variazioni significative dovute a fattori geopolitici ed economici globali.

Squilibrio generazionale

La struttura della popolazione italiana è già caratterizzata da uno squilibrio generazionale, con un’alta percentuale di anziani. Entro il 2050, si prevede che il 34,5% della popolazione sarà composto da individui di 65 anni e più. Questo cambiamento demografico avrà profonde implicazioni per le politiche di welfare e di protezione sociale, richiedendo un adattamento dei sistemi previdenziali e sanitari per far fronte alle esigenze di una popolazione sempre più anziana.

Le prospettive di invecchiamento sono particolarmente preoccupanti nel Mezzogiorno, dove l’età media supererà quella del Nord e del Centro. Il numero di persone che vivono sole aumenterà significativamente, con un impatto sociale notevole, soprattutto tra gli anziani. Entro il 2043, si prevede che quasi quattro famiglie su dieci saranno costituite da persone sole, con una prevalenza di donne anziane.

Da nuclei tradizionali a micro-famiglie

Le famiglie italiane continueranno a frammentarsi, con un aumento delle famiglie unipersonali e una diminuzione delle coppie con figli. Entro il 2043, si prevede un aumento del 15% delle famiglie unipersonali, con una crescita più marcata tra le donne. Le coppie senza figli supereranno progressivamente quelle con figli, indicando un cambiamento strutturale nelle dinamiche familiari.

Questo processo di frammentazione è legato all’invecchiamento della popolazione, alla bassa natalità e all’instabilità coniugale. Le persone sole, in particolare gli anziani, avranno bisogno di un supporto maggiore, con implicazioni significative per le politiche sociali e sanitarie.

Cosa serve per un futuro demografico sostenibile?

Il futuro demografico dell’Italia presenta sfide complesse e interconnesse. La diminuzione della popolazione, l’invecchiamento accelerato e la frammentazione delle famiglie richiedono interventi strategici per garantire un equilibrio socio-economico sostenibile. Guardando avanti, la domanda principale è: come invertire la tendenza? Le risposte possono essere molteplici. Incentivi economici, supporti diretti alle famiglie, politiche di conciliazione vita-lavoro, ma anche un cambio di paradigma culturale che valorizzi la famiglia e la genitorialità.

Le misure di sostegno alla famiglia, come l’assegno unico universale, rappresentano un tentativo concreto di alleviare il peso economico associato alla crescita dei figli. Questi strumenti sono progettati per ridurre le barriere economiche e supportare le famiglie nella loro decisione di avere più figli. Inoltre, politiche che favoriscono la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e migliorano la conciliazione tra vita lavorativa e familiare sono essenziali per creare un ambiente più favorevole alla natalità.

Tuttavia, il successo di queste politiche dipende dalla loro capacità di rispondere alle reali esigenze delle famiglie e di adattarsi alle dinamiche socio-economiche in evoluzione.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Assorbenti gratis al Politecnico di Torino, De Giorgi:...

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Una donna su dieci in Europa non può permettersi prodotti sanitari adeguati. Tra questi ci sono anche gli assorbenti. A rilevarlo è stata un’indagine condotta dall’Unione europea nel 2020. Nel 2021, l’Europarlamento ha chiesto, con una risoluzione, che gli Stati membri eliminassero l’imposta sui prodottoti mestruali. E dove in molti casi i vari governi non sono riusciti ad adeguarsi, in altri casi sono state le istituzioni pubbliche, come quelle universitarie, come le comunità locali, ma anche le associazioni e il terzo settore, a svolgere il proprio ruolo.

Ne è stato un esempio il Politecnico di Torino che ha deciso di installare dei distributori contenenti assorbenti mestruali da fornire in forma gratuita alle studentesse dell’Ateneo. E a spiegarci il perché è la vicerettrice Claudia De Giorgi.

Assorbenti gratis al Politecnico di Torino

“Come in tutte le materie Stem, anche in ingegneria le donne sono rappresentate in numero inferiore, sia per quanto riguarda la popolazione studentesca, sia per il corpo docente. E nel nostro Ateneo, la presenza femminile si attesta al 30%”. A raccontarcelo è la vicerettrice del Politecnico di Torino Claudia De Giorgi che dal 2018 lavora al tema insieme alla professoressa Arianna Montorsi, Direttrice del Centro studi di Genere di Ateneo: “Abbiamo investito molto per l’aumento delle iscrizioni femminili nel nostro Ateneo – ha aggiunto -, e che il numero di donne a ingegneria sia in costante aumento è una grande soddisfazione”.

In merito alla decisione di distribuire assorbenti gratis nei corridoi dell’Istituto, piuttosto che nei bagni, la vicerettrice De Giorgi è stata chiara: “La rappresentanza studentesca ci ha chiesto un servizio. L’Europa ci chiede un Gender Equality Plan. Realizzato nel 2021 e conclusosi nel 2024, il nostro prevedeva questa iniziativa. Abbiamo semplicemente fatto ciò che ci è stato richiesto e in cui crediamo. E perché proprio nei corridoi? Perché quei distributori rappresentano il simbolo di un confronto sereno nel quale la donna sia considerata nelle sue caratteristiche, in chiave olistica, senza timidezze e senza tabù. Credevamo fosse il modo migliore per raccontare una realtà – ha aggiunto -: le ragazze sono un’occasione per guardare alla diversità come categoria d’eccellenza. Ciascuno con le proprie caratteristiche, seppur una minoranza, rappresenta una ricchezza per l’Ateno. Persino alcune studentesse ci hanno detto che forse era meglio nei bagni, ma è giusto che anche loro si sentano più libere”.

“In questo percorso ci accompagna una giovane realtà imprenditoriale che ci ha permesso di realizzare questo servizio – ha concluso la vicerettrice -. This Unique parla alle giovani generazioni in maniera trasparente e le accompagna con percorsi di sensibilizzazione a queste tematiche insieme a ragazzi e ragazze. Condividiamo gli stessi valori e abbiamo perseguito insieme gli stessi obiettivi”.

L’iniziativa, ci ha raccontato De Giorgi, è stata recepita benissimo. “Ora stileremo il prossimo Gender Equality Plan 2025-2027 e proseguiremo nel nostro comunitario percorso per ottenere una parità di genere e, più in generale, maggior eguaglianza anche per altre minoranze, come stranieri e persone fragili”.

Nelle sedi torinesi dell’Ateneo sono stati installati cinque distributori che metteranno a disposizione gratuitamente gli assorbenti. La strada per la parità di genere passa anche dall’attenzione e dal supporto alle studentesse durante il periodo mestruale, a tutela del diritto al benessere fisico e psicologico. Ed è per questo che gli assorbenti mestruali che verranno distribuiti sono realizzati in Italia e secondo principi di sostenibilità ambientale dell’intero ciclo produttivo.

L’inaugurazione ufficiale dell’iniziativa “Period Equity” si è svolta nel pomeriggio del 2 ottobre, in occasione del tradizionale appuntamento WeAreHERe Meets di inizio anno, in cui le studentesse del Politecnico incontrano le nuove immatricolate. Nell’ambito dell’iniziativa “Period Equity” sono stati installati erogatori automatici di assorbenti gratuiti in cotone organico compostabile in tutte le sedi torinesi dell’Ateneo:
– in corso Duca degli Abruzzi, in fondo al corridoio “Aule Pari”, accanto allo spazio ristoro;
– in via Boggio, al piano terra accanto ai distributori automatici;
– nella sede di Mirafiori, all’ingresso accanto alla sala studio E;
– al Castello del Valentino, nell’atrio della sala studio;
– al Lingotto, al secondo piano davanti alla sala studio “Marconi”.

Immagini fornite dal Politecnico di Torino

Il gap a ingegneria: le soluzioni dell’Ateneo

Con quel “numericamente minoritaria”, la vicedirettrice De Giorgi ci ha tenuto a sottolineare che il Politecnico di Torino è un ateneo nel quale il genere maschile prevale nelle iscrizioni. Una tendenza confermata in tutta Italia, ma non solo. Secondo l’elaborazione dati Istat del Consorzio nazionale Ingegneri, dal 2010 al 2021, il numero di donne con laurea magistrale in ingegneria nel Bel Paese è aumentato da 3.140 a 8.267, passando dal 23% al 30,8% del totale laureati in ingegneria. Tra il 2015 e il 2021, il numero di laureate magistrali in ingegneria è cresciuto del 23,2% in Italia, del 23,3% in Germania, del 12% in Belgio, mentre in Austria, Olanda e Scandinavia l’incremento è stato intorno al 40%.

Anche la percentuale di donne iscritte all’Albo degli Ingegneri è aumentata dal 9% nel 2007 al 17% attuale. Tuttavia, persistono significativi divari di genere nel mercato del lavoro, con differenziali salariali marcati. Nel 2021, gli ingegneri uomini iscritti ad Inarcassa avevano un reddito medio di 44.459 euro, mentre le donne guadagnavano in media 26.083 euro, con un gender pay gap del 48%. Per gli architetti, il gap era del 38%.

Nonostante il crescente numero di donne qualificate, i differenziali salariali non diminuiscono.

Il Politecnico di Torino è tra i più antichi d’Italia, e da più di vent’anni la comunità politecnica si interroga sul tema ampio delle Pari opportunità, nel quale rientra l’attenzione all’equilibrio di genere della popolazione studentesca e del personale: dal progetto Donna: dal Professione Ingegnere nei primi Anni Duemila al progetto WeAreHERe attualmente in corso.

Una università a prevalenza maschile ha deciso di dotarsi di un Bilancio di Genere con un’analisi dedicata al personale docente, tecnico-amministrativo e alla comunità studentesca. Correlate e interconnesse al Bilancio di Genere e fondamentali nel perseguire le Politiche di genere di Ateneo sono, appunto, il Gender Equality Plan e il Gender Equality Action Plan che nascono in seno ai gruppi di lavoro interni all’Osservatorio di Genere e, dopo essere condivisi dall’Osservatorio nella sua globalità, vengono approvati dagli Organi collegiali dell’Ateneo.

Per promuovere l’iscrizione di studentesse ai corsi di ingegneria, nel 2018 è nata la lista di discussione PoliWo – Polito for Women, che ha lanciato l’idea della campagna di comunicazione dedicata alle immatricolazioni femminili, poi concretizzatasi in WeAre HERe. Dal 2019, è l’Osservatorio di genere che, reinterpretando le buone pratiche nazionali e internazionali, persegue gli obiettivi di genere nel nuovo piano strategico e, conferma l’adesione e l’attuazione dei principi della Carta Europea dei Ricercatori per mettere in campo iniziative tese a monitorare e governare le pari opportunità nei confronti dei vari aspetti nei quali la diversità viene a declinarsi, a partire da quella di genere.

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Elisabetta prima regina del Belgio, un altro passo verso la...

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Elisabetta del Belgio, figlia primogenita del re Filippo, sarà la prima regina nella storia del Paese. L’avvicendamento si verificherà in un periodo all’insegna delle donne al potere in vari ruoli istituzionali nazionali e sovranazionali, ma questa riforma legislativa che ha garantito la parità di genere nella successione al trono belga nasce nel secolo scorso.

Elisabetta del Belgio, la modifica del 1991

Questo cambiamento è avvenuto con la modifica costituzionale del 1991 che ha abolito la legge salica, in base alla quale la successione era limitata solo ai discendenti maschi. Con la nuova legge, le donne della famiglia reale belga hanno ottenuto il diritto di salire al trono, eliminando una disuguaglianza che durava da secoli.

La decisione di modificare la costituzione è stata un passo significativo verso una monarchia più moderna e inclusiva, riconoscendo l’importanza di garantire pari diritti a tutti i membri della famiglia reale, indipendentemente dal genere. Elisabetta, che attualmente è erede al trono, rappresenterà un simbolo di questa evoluzione quando diventerà la prima regina regnante del Belgio.

Cenni sulla principessa Elisabetta

Primogenita di re Filippo e della regina Matilde, la principessa Elisabetta, Duchessa di Brabante, ha seguito uno specifico percorso di formazione per prepararla al ruolo. Ha studiato al St. John Berchmans College di Bruxelles, prima di frequentare l’UWC Atlantic College in Galles, per poi completare la sua formazione alla Royal Military Academy di Bruxelles, dove ha ottenuto il grado di sottotenente.

La sua formazione continua con un Master in Public Policy presso la prestigiosa Harvard Kennedy School, rafforzando le sue competenze in materia di governance e politiche pubbliche.

Il percorso di Elisabetta è stato seguito da vicino dai media, e la sua figura è vista come una promessa per il futuro della monarchia belga. La sua indole umanitaria si è già manifestata in diverse occasioni, come la partecipazione a missioni umanitarie con l’UNICEF, mentre la sua presenza in eventi internazionali come l’incoronazione di re Carlo III del Regno Unito ne hanno consolidato il ruolo istituzionale.

Altri casi di parità di genere nella monarchia

Il Belgio non è stato l’unica monarchia a compiere questo passo verso la parità di genere nelle monarchie. Negli ultimi decenni, diverse nazioni europee hanno seguito l’esempio, riformando le proprie leggi dinastiche per garantire che le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini nella linea di successione.

La Svezia è stata pioniera in questo campo, introducendo la successione di genere neutro già nel 1980. Con questa riforma, la principessa Vittoria, figlia primogenita di re Carlo XVI Gustavo, ha superato il fratello minore Carlo Filippo nella linea di successione e sarà la futura regina di Svezia. Questo ha rappresentato una svolta per il paese scandinavo, ponendo fine alla preferenza maschile nelle questioni dinastiche.

Anche il Regno Unito ha seguito questa strada, con il Succession to the Crown Act del 2013, che ha eliminato la preferenza maschile per i primogeniti. Questa legge ha reso la principessa Charlotte, figlia del principe William, seconda in linea di successione dopo il fratello maggiore George, ma davanti al fratello minore Louis. Questa riforma ha rappresentato un cambiamento significativo nella lunga tradizione della monarchia britannica, dove fino a quel momento i maschi avevano sempre avuto la precedenza.

In Spagna, invece, la questione della parità di genere nella successione è ancora aperta. Attualmente, la costituzione spagnola prevede la preferenza maschile, e se re Felipe VI avesse un figlio maschio, la principessa Leonor perderebbe il diritto al trono. Tuttavia, si discute da anni su una possibile riforma per allineare la Spagna agli altri Paesi europei.

Ue e non solo: come è cambiata la sensibilità

Le riforme che hanno garantito la parità di genere nelle monarchie si inseriscono in un contesto più ampio di promozione dell’uguaglianza tra uomini e donne in tutta Europa. L’Unione Europea ha da tempo adottato politiche a favore della parità di genere, chiedendo agli Stati membri di implementare misure che garantiscano pari opportunità in ogni settore della società, compresa la leadership politica e economica. Una posizione che la presidente Ursula von der Leyen ha approvato ad affermare anche nella commissione Ue, ma senza successo.

Un grande passo avanti è stato fatto in Norvegia, dove è stata introdotta una legge che richiede una rappresentanza di almeno il 40% di donne nei consigli di amministrazione delle società pubbliche, un segnale chiaro di impegno verso l’uguaglianza di genere anche nel mondo imprenditoriale.

Elisabetta del Belgio rappresenterà una nuova era per la monarchia belga, una figura che unisce la tradizione con la modernità. La sua ascesa al trono non solo segnerà una svolta storica per il Belgio, ma sarà anche un simbolo dell’importanza di garantire pari diritti tra uomini e donne, in ogni ambito della società.

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Denatalità, la Grecia investe un miliardo di euro all’anno:...

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“Una bomba ad orologeria”. Così il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha definito la crisi demografica del Paese: un peso per le pensioni, “una minaccia nazionale”.

La Grecia, infatti, con scarsi risultati, investe circa 1 miliardo di euro all’anno in misure a favore dell’infanzia. Gli investimenti dedicati alla denatalità sono diventati un simbolo delle politiche del premier greco, in carica dal 2019. Dopo aver registrato il numero più basso di nascite nel 2022, però, il governo ora prevede di spendere altri 20 miliardi entro il 2035.

Denatalità in Grecia

In linea con i dati di altri Paesi d’Europa, ma anche di Cina e Giappone, ad esempio, la Grecia ha registrato il minor numero di nascite nel 2022: per la prima volta, in quell’anno, sono nati meno di 80.000 bambini (nel 1980 erano 150mila). Ad oggi, quindi, metà della popolazione greca ha più di 46 anni, mentre nel 2000 l’età media era di 39 anni, secondo le stime ufficiali.

Allo stesso tempo, più di un abitante su cinque ha più di 65 anni (il 16% nel 2000), mentre la percentuale di persone con più di 80 anni è del 6% (il doppio rispetto al 2000). Nel 2070, le donne di 90 anni saranno il gruppo più numeroso della popolazione, totalizzando 283.294 persone, ovvero il 3,6% della popolazione, seguite dagli uomini di età compresa tra 60 e 64 anni (278.800).

Il tasso di fertilità è fermo a 1,3, tra i più bassi fra gli Stati membri dell’Unione europea in cui la media nel 2024 è di 2,4 figli per donna. Le previsioni economiche del Paese, inoltre, indicano che – se la Grecia dovesse proseguire con questo tasso di natalità – registrerà un calo del 31% della produzione entro il 2100. La causa sarà la mancanza di persone che possano sostituire gli attuali e futuri lavoratori. La forza lavoro greca è destinata a calare del 50% nei prossimi ottant’anni.

Il piano greco per la natalità

Per fronteggiare questo problema, la Grecia ha presentato formalmente, in una riunione di gabinetto della scorsa settimana, il cosiddetto National Demographic Action Plan. Parliamo di un piano messo a punto dall’attuale governo per fare fronte a una delle “minacce nazionali”: il costante calo delle nascite.

“Ho presentato ufficialmente al Primo Ministro e al Consiglio dei ministri il risultato dello sforzo a lungo termine per creare un piano decennale che mira a mitigare le conseguenze negative della crisi demografica che il paese attraversa dall’inizio degli anni ’80 – ha spiegato la ministra della Coesione Sociale e della Famiglia, Sofia Zaharaki -. Le statistiche e i modelli di previsione dello sviluppo demografico sono inquietanti. Ma dobbiamo fare tutti insieme uno sforzo in più per superare. Vogliamo creare un ambiente a misura di famiglia e di bambino che rispetti i desideri, offra scelte e supporti i bisogni dei cittadini. L’obiettivo finale è migliorare il tenore di vita attraverso la progettazione, l’attuazione, il coordinamento e la valutazione di azioni che riguardano tutti i cittadini durante tutto il ciclo di vita. È un mandato nazionale”.

In cosa consiste il Piano?

Secondo quanto riportano i media locali, il piano greco per fronteggiare la denatalità prevede:

Miglioramento delle nascite – Sostegno alla famiglia
Miglioramento dell’occupazione
Gestione della longevità – Invecchiamento
Sviluppo locale – Promozione dell’innovazione
Informazione – Consapevolezza – Ricerca

Tra le azioni concrete volte a supportare le famiglie – coordinate con altri ministeri – ci sono:

Controllo prenatale
Intervento per la prima infanzia
Tassazione favorevole delle prestazioni facoltative
Aumento dei finanziamenti per le “Tate di quartiere”
Aumento dei criteri di reddito per i voucher
Aumento dell’assegno familiare
Aumento dei posti negli asili nido
Estensione dell’orario degli asili nido
Asili nido sul posto di lavoro
Scuola a tempo pieno
Abolizione tassa sui premi assicurativi per i bambini
Housing sociale / Turismo sociale familiare
Status permanente di tre figli

Tra le altre azioni rientrano il coinvolgimento degli anziani nell’economia, una migliore assistenza sanitaria, azioni a sostegno della fertilità e della salute riproduttiva. “Le statistiche e i modelli di previsione per gli sviluppi demografici sono inquietanti. Ma abbiamo l’obbligo di fare tutti insieme un grande sforzo per superare questo problema”, ha concluso la ministra Zaharaki.

Le nascite in Grecia sono sempre più in calo da quando, nel 2009, la crisi economica ha coinvolto il Paese. Prima un’emigrazione di massa dei greci, poi il cambiamento di atteggiamento dei giovani rispetto alla progettualità di una genitorialità: per gli esperti di demografia del Paese, questi piani non è detto che saranno capaci di invertire la tendenza.

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