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Elezioni Usa, Biden prepara il duello tv contro Trump: ecco la strategia

Come anticipa il team elettorale del presidente democratico l’obiettivo è di attaccare il suo avversario come “un pregiudicato con una campagna sfrenata tesa ad ottenere potere e vendetta”

Joe Biden e Donald Trump

Joe Biden arriva al duello tv con Donald Trump con l’obiettivo di attaccare il suo avversario come “un pregiudicato con una campagna sfrenata tesa ad ottenere potere e vendetta”. E’ lo stesso team elettorale del presidente democratico ad anticipare la posizione tutta di attacco che Biden terrà nei 90 minuti del primo dibattito presidenziale che andrà in onda domani sulla Cnn.

“Il dibattito di giovedì sarà uno dei primo momenti della campagna presidenziale in cui una grande fetta dell’elettorato americano potrà vedere la netta scelta tra Joe Biden, che lotta per gli americani, e Donald Trump che lotta per se stesso, un pregiudicato con una campagna sfrenata tesa ad ottenere potere e vendetta”, ha dichiarato il direttore della comunicazione della campagna di Biden, Michael Tyler.

La linea dell’attacco frontale a Trump è destinata ad accontentare chi, tra i vertici democratici, ritiene che Biden deve smettere di rivendicare successi della sua prima amministrazione – una linea che sembra non avere successo, visti i cattivi risultati nei sondaggi – e passare ad attaccare tutti i punti deboli, a cominciare dalle pendenze giudiziarie, dell’ex presidente.

I rischi di questa strategia però sono molti – fa notare un commento della Cnn – a cominciare dal fatto che Trump, con la sua nota scaltrezza, potrebbe togliere terreno alle accuse dell’avversario, mostrandosi nel dibattito insolitamente controllato e ragionevole. E’ questo per esempio il consiglio che gli arriva da Kar Rove, lo stratega delle vittorie elettorali di George Bush figlio: “non deve mostrarsi senza controllo o arrabbiato, le parole ‘elezioni truccate’ non dovrebbe mai arrivare sulle labbra, deve mantenere la calma e non parlare solo di se stesso”.

Suggerimenti in questo senso sono arrivati anche da fedelissimi dell’ex presidente. La governatrice del South Dakota, Kristi Noem, considera il dibattito “una grande opportunità per il presidente Trump di mostrare come le sue politiche quando era alla Casa Bianca siano state positive per ogni famiglia, avevano più soldi in tasca, i prezzi per la spesa, per la benzina sono scesi”, ha detto, aggiungendo: “non credo che debba andare sul personale”.

Con Trump, comunque, molto probabilmente non mancheranno le sorprese. E già in questi giorni precedenti al dibattito è interessante notare come il suo staff, che da mesi descrive Biden come un presidente troppo vecchio per mettere due parole insieme, ora invece mette in guardia dalle sue capacità quando si tratta di dibattiti. “Sarà pronto ad andare, ha una certa memoria automatica che entra in funzione visto che fa questo da 50 anni”, ha detto il consigliere di Trump, Jason Miller.

Intanto, da parte dei democratici si spera che invece “Donald Trump faccia il Donald Trump”, come ha detto la senatrice Elizabeth Warren, descrivendo un candidato che si rivolge “alla sua base estremista e dice ai suoi finanziatori super ricchi che se daranno più soldi alla sua campagna, gli regalerà enormi tagli fiscali e taglierà le regole per la lotta ai cambiamenti climatici”.

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Esteri

Israele e Qatar: Nuova Iniziativa per il Cessate il Fuoco

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Secondo quanto riportato da fonti arabe citate da Channel 12, Stati Uniti e Qatar stanno collaborando per formulare una proposta finalizzata a un nuovo cessate il fuoco tra Israele e Hamas. L’obiettivo principale è quello di favorire la ripresa dei negoziati e facilitare la liberazione degli ostaggi attualmente detenuti nella Striscia di Gaza.

Un elemento centrale di questa proposta riguarderebbe l’impegno dell’ex presidente Donald Trump, che dovrebbe rilasciare una dichiarazione per incentivare la ripresa dei dialoghi. In cambio, Hamas sarebbe disposto a liberare il soldato Edan Alexander, l’ultimo ostaggio con cittadinanza americana. Tuttavia, secondo il Times of Israel, questa iniziativa non è stata formalmente presentata al governo israeliano, che ha dichiarato di non essere al corrente della questione.

Nel frattempo, una delegazione di funzionari della sicurezza provenienti dall’Egitto si è recata in Qatar per discutere della liberazione degli ostaggi israeliani trattenuti a Gaza e dei prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. L’Egitto, già mediatore in precedenti accordi di cessate il fuoco, continua a ricoprire un ruolo centrale nei negoziati tra le parti.

Sul campo, la situazione rimane drammatica. Il Ministero della Sanità di Gaza ha comunicato che, dalla ripresa dei raid israeliani il 18 marzo, sono stati uccisi 855 civili, di cui 25 nelle ultime 24 ore. Il bilancio totale delle vittime della guerra, iniziata il 7 ottobre 2023, ha ormai superato i 50.000 morti, rendendo la crisi umanitaria sempre più grave.

Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno confermato l’uccisione di Abdel-Latif al-Qanoua, uno dei principali portavoce di Hamas. L’operazione si è svolta nel nord della Striscia di Gaza durante la notte. Secondo le IDF, al-Qanoua utilizzava i media per diffondere propaganda, terrorismo psicologico e informazioni false sui gruppi armati di Hamas. Era da anni un esponente chiave nella comunicazione dell’organizzazione, con l’obiettivo di promuovere la distruzione dello Stato di Israele.

Fonti di Al-Jazeera hanno confermato che l’attacco, condotto da jet israeliani, ha colpito una tenda nella città di Jabalya, causando feriti, tra cui anche dei minorenni. La notizia dell’uccisione di al-Qanoua è stata rilanciata da vari media, tra cui Al-Aqsa Tv.

Intanto, nella Striscia di Gaza, le proteste contro Hamas continuano per il terzo giorno consecutivo. I manifestanti, riuniti a Jabalia, esprimono il loro dissenso attraverso cartelli con scritte come “Fuori Hamas” e “Il popolo vuole liberarsi di Hamas”. Tuttavia, il movimento islamico ha smentito questa versione, sostenendo che le dimostrazioni siano rivolte contro Israele e che alcuni gruppi stiano manipolando le manifestazioni per favorire l’occupazione.

Un alto funzionario di Hamas, Basem Naim, ha dichiarato al canale qatariota Al-Araby che le proteste sono il risultato della disperazione causata dal conflitto. Secondo Naim, il nemico e altri attori politici stanno sfruttando queste manifestazioni spontanee per distorcere il messaggio e presentarle come un’opposizione alla resistenza, rappresentata da Hamas e altri gruppi armati.

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Esteri

Italia e il ruolo cruciale nella costruzione della pace in Ucraina

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La Russia deve scegliere se perseguire la pace o continuare il conflitto. Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri, ha dichiarato alla Camera che Kiev ha già accettato gli accordi, mentre ora spetta a Mosca dimostrare la volontà di avanzare verso la tregua. Questo intervento è avvenuto nell’ambito dell’esame congiunto relativo alla partecipazione dell’Italia a nuove missioni internazionali previste per il 2025.

Secondo Tajani, la pace deve essere giusta e duratura, fondata su principi fondamentali ribaditi recentemente nella riunione dei Ministri degli Esteri del G7 in Canada. Ha inoltre sottolineato che l’Italia si posiziona in prima linea nella ricostruzione dell’Ucraina, considerata essenziale per garantire una pace solida e stabile.

In vista della Conferenza sulla ricostruzione, prevista a Roma a luglio, Tajani ha dichiarato che l’obiettivo sarà trasformare questo evento in un trampolino di lancio per il raggiungimento della pace. Inoltre, ha precisato che non è contemplata alcuna partecipazione italiana a una forza militare in Ucraina.

Il ministro ha evidenziato il sostegno dell’Italia a un ruolo attivo delle Nazioni Unite per il monitoraggio del cessate il fuoco, all’interno del quadro autorizzativo del Consiglio di Sicurezza, che include anche Russia e Cina. Ha ribadito che garanzie di sicurezza efficaci necessitano di un ampio consenso internazionale e dell’appoggio degli Stati Uniti.

In collaborazione con gli alleati europei e occidentali, l’Italia si impegna nel consolidamento di garanzie di sicurezza per l’Ucraina, basate sul contesto euro-atlantico. Tajani ha menzionato un modello ispirato all’articolo 5 del Trattato di Washington, che sta ottenendo crescente interesse.

Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha sottolineato la complessità di trovare soluzioni per porre fine al conflitto, giunto al quarto anno di scontri tra Russia e Ucraina. Malgrado gli sforzi diplomatici, gli attacchi russi hanno intensificato la loro portata, colpendo indiscriminatamente obiettivi militari e infrastrutture fondamentali, soprattutto quelle energetiche.

Crosetto ha evidenziato come la Russia continui a perseguire una strategia di espansione territoriale, utilizzando oltre 1000 ordigni in una sola settimana, tra droni, missili e bombe guidate. Nonostante i negoziati in corso, il conflitto rimane lontano dalla conclusione.

La Russia sostiene il proprio sforzo bellico attraverso una economia di guerra, destinando oltre il 40% del suo budget alla produzione di armamenti, anche grazie al supporto di Iran, Cina e Corea del Nord. Crosetto ha sottolineato che il tempo e il numero di vittime non rappresentano un ostacolo per Putin, che continua a riarmarsi e a reclutare oltre un milione di soldati.

L’Italia, ha ribadito Crosetto, rimane fermamente impegnata nel supporto all’Ucraina, accompagnando questo sostegno con un’intensa azione diplomatica. L’obiettivo è garantire una pace giusta e duratura, preservando l’indipendenza dell’Ucraina come nazione.

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Esteri

Summit internazionale a Parigi per sostenere l’Ucraina

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Un nuovo incontro si terrà oggi a Parigi, dove i leader dei paesi ‘volonterosi’, pronti a offrire il loro supporto all’Ucraina, discuteranno di un possibile cessate il fuoco. Sarebbe la prima tregua a partire dal febbraio 2022, data dell’invasione russa che ha sconvolto l’assetto di sicurezza europeo consolidatosi dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Secondo fonti dell’Eliseo, attorno al tavolo saranno presenti ben trentuno delegazioni, un numero superiore rispetto agli incontri precedenti, convocati dal presidente francese Emmanuel Macron. L’ampliamento del gruppo dei paesi “willing and able” sottolinea la determinazione dei partner europei e dei loro principali alleati a perseguire una soluzione sostenibile per la crisi ucraina.

La Cina non sarà tra i partecipanti, poiché l’incontro odierno è dedicato esclusivamente ai paesi amici dell’Ucraina. Tuttavia, Pechino potrebbe essere coinvolta in una fase successiva, nell’ambito di una possibile missione delle Nazioni Unite. Parteciperà invece la Turchia, rappresentata dal vice presidente Cevdet Yilmaz, mentre il presidente Recep Tayyip Erdogan non presenzierà personalmente. L’Italia sarà rappresentata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha sempre partecipato a queste riunioni sin dal loro esordio. Tra i presenti figurano ventitré paesi dell’Unione Europea, inclusa la Francia, mentre saranno assenti Malta, Austria (neutrali), Ungheria e Slovacchia. Il Regno Unito, Ucraina, Norvegia, Islanda, nonché i vertici di UE e NATO, saranno presenti, insieme a Canada e Australia che invieranno i loro ambasciatori in Francia.

La discussione verterà su quattro punti principali, come indicato da fonti francesi. Il primo tema riguarda i aiuti immediati, che dovranno continuare a essere forniti all’Ucraina, poiché il conflitto con la Russia persiste, nonostante le trattative promosse dagli Stati Uniti in Arabia Saudita. Ogni leader delineerà il proprio contributo, specificando cosa intende fare per sostenere Kiev. Non si tratterà solo di individuare i contributi materiali, ma anche di definire le modalità operative per garantire un supporto efficace e tempestivo.

Il secondo tema centrale sarà il cessate il fuoco. I paesi volonterosi auspicano che sia totale, una condizione già accettata dall’Ucraina durante un precedente incontro in Arabia Saudita. Il presidente Volodymyr Zelensky ha preso una posizione corretta in merito, ma si attende ancora una risposta da parte della Russia. La verifica del cessate il fuoco richiederà un accordo con il presidente Vladimir Putin e la definizione delle modalità operative per attuare e monitorare l’interruzione delle ostilità. Sarà necessario stabilire le responsabilità, le misure da adottare in caso di violazione e altre disposizioni pratiche.

Il terzo punto riguarda il supporto a lungo termine alle forze armate ucraine, considerate la principale linea di difesa non solo per Kiev, ma anche per la sicurezza dell’intera Europa. Garantire che l’Ucraina disponga di tutti i mezzi necessari per prevenire future aggressioni russe è fondamentale. Gli ucraini, oltre a dimostrare grande valore sul campo, hanno evidenziato una notevole capacità di innovazione nelle industrie della difesa, un aspetto di estrema rilevanza.

Il quarto e ultimo punto riguarda la creazione della forza di rassicurazione proposta dalla Francia in collaborazione con il Regno Unito e altri paesi europei. Sarà indispensabile definire i parametri di questa forza per garantirne la coerenza ed efficacia. Non si tratta di una forza di peacekeeping o di osservazione del cessate il fuoco, ma di un’entità concepita per sostenere l’Ucraina e prevenire ulteriori attacchi da parte della Russia. Molti paesi europei ritengono che questa forza necessiti di un backstop, ovvero una garanzia da parte degli Stati Uniti, ipotesi che il presidente Donald Trump non ha mai escluso. La sicurezza dell’Ucraina è strettamente connessa alla stabilità europea, e questo sarà un tema centrale nelle discussioni.

La crisi in Ucraina rappresenta un banco di prova per la sicurezza europea. I leader dovranno riflettere sul rapporto futuro con la Russia, che continua a manifestare ambizioni revisioniste, contestando l’ordine geopolitico europeo stabilitosi con il crollo dell’Unione Sovietica. Per il presidente russo Vladimir Putin, questo evento storico rappresenta una delle peggiori catastrofi geopolitiche del ventesimo secolo, e il suo desiderio di modificarlo è evidente.

Infine, per la Francia, e presumibilmente per molti stati membri dell’Unione Europea, l’idea di rimuovere le sanzioni contro la Russia come parte di un accordo per il cessate il fuoco è inaccettabile. Non si tratta di ridurre le sanzioni, ma di inasprirle qualora Mosca non accetti un cessate il fuoco completo, come richiesto dal presidente Zelensky. Il summit è previsto per iniziare alle 9:15 e terminare verso l’una del pomeriggio, con una conferenza stampa conclusiva del presidente Emmanuel Macron.

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Esteri

Macron e Zelensky: appello per il cessate il fuoco e nuove misure contro...

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Il presidente francese Emmanuel Macron ha sollecitato la Russia ad accettare un cessate il fuoco di trenta giorni, concordato a Riad, sottolineando che ciò deve avvenire senza alcuna precondizione. In seguito all’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky presso l’Eliseo, Macron ha dichiarato che “Mosca continua a perpetrare attacchi contro l’Ucraina”, dimostrando una chiara volontà di proseguire con l’aggressione. Il leader francese ha ribadito l’importanza di un impegno da parte della Russia per interrompere le ostilità.

Macron ha evidenziato che l’aggressività russa ha un impatto diretto sulla sicurezza europea e che si è giunti a una fase cruciale per porre fine alla guerra. Ha espresso il proprio apprezzamento per gli sforzi del presidente Trump nel favorire un cessate il fuoco. Inoltre, ha ricordato come l’11 marzo, durante un incontro a Gedda, l’Ucraina abbia comunicato agli Stati Uniti la sua disponibilità a un cessate il fuoco completo e senza condizioni per la durata di trenta giorni. Macron ha affermato che la Russia deve dimostrare lo stesso impegno, intimando che “i raid russi devono terminare” per raggiungere l’obiettivo di una pace duratura.

Il presidente francese ha annunciato un ulteriore pacchetto di aiuti militari per l’Ucraina, pari a due miliardi di euro, in vista del prossimo vertice della coalizione internazionale. Tra le forniture previste, Macron ha menzionato missili di difesa terra-aria Mistral, carri armati AMX-10 RC e munizioni.

Relativamente alle sanzioni contro la Russia, Macron ha dichiarato che “non è il momento di discutere una revoca”. Ha precisato che tali misure dipendono esclusivamente dalle scelte della Russia riguardo all’aggressione e che la loro eventuale revoca sarà subordinata al rispetto del diritto internazionale da parte di Mosca.

Macron ha ribadito un approccio pacifista riguardo all’invio di truppe europee in Ucraina, assicurando che i contingenti non saranno impegnati direttamente nei combattimenti, bensì dispiegati per garantire una pace duratura. Ha ipotizzato la creazione di una “forza di rassicurazione”, costituita da vari Paesi europei, per monitorare il cessate il fuoco e ha suggerito che un eventuale meccanismo di controllo potrebbe operare sotto un mandato delle Nazioni Unite.

Durante la conferenza stampa con Macron, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accusato Mosca di voler aggiungere “dettagli e condizioni supplementari” al cessate il fuoco e ha auspicato che gli Stati Uniti possano garantire un accordo senza condizioni. Zelensky ha sottolineato l’importanza di mantenere e rafforzare le sanzioni contro la Russia, affermando che “la diplomazia basata sulla forza è l’unica efficace” e che “il linguaggio della forza è l’unico che Mosca comprenda”.

Zelensky ha anche dichiarato che è prematuro discutere la composizione di un eventuale contingente europeo, evidenziando che l’obiettivo principale sarebbe “controllare la situazione, fornire addestramento e fare tutto il possibile per fermare le nuove aggressioni russe”. Ha inoltre espresso la speranza che gli Stati Uniti possano garantire un cessate il fuoco in aree strategiche come il Mar Nero, criticando le resistenze della Russia nel rispettare tali accordi.

Parlando delle condizioni necessarie per raggiungere la pace, Zelensky è stato categorico: “Non cederemo mai alla Russia i territori occupati”. Ha dichiarato che queste terre appartengono agli ucraini e che il loro recupero potrebbe richiedere un approccio diplomatico a lungo termine. In un’intervista rilasciata a Le Figaro, il leader ucraino ha ribadito che “non vi sarà alcuna concessione territoriale”.

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La situazione della guerra in Ucraina e le reazioni internazionali

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La comunità internazionale richiede azioni tangibili per dimostrare una vera intenzione di porre fine al conflitto in Ucraina. Una linea invalicabile è stata tracciata: quella dei confini dell’Alleanza Atlantica. Sia l’Unione Europea che la NATO mantengono una posizione di sfiducia nei confronti della Russia, stabilendo con chiarezza ciò che Mosca è chiamata a fare e ciò che le è vietato. Nel frattempo, a Riad, si registrano progressi sul fronte negoziale, con accordi separati tra gli Stati Uniti, Mosca e Kiev, anche se persistono dubbi e ambiguità sulle reali intenzioni del presidente russo Vladimir Putin.

Secondo la portavoce dell’UE per gli Affari esteri, Anitta Hipper, Mosca deve ora dimostrare una concreta volontà politica per cessare la sua guerra di aggressione, definita illegale e immotivata. “L’esperienza ci insegna che la Russia deve essere valutata in base alle azioni, non alle parole,” ha sottolineato Hipper.

Un monito ancora più deciso è stato lanciato dal segretario generale della NATO, Mark Rutte, durante una conferenza stampa tenutasi a Varsavia. “Chiunque pensi di poter attaccare la Polonia o un altro alleato senza subire conseguenze, sarà chiamato ad affrontare la piena forza di questa potente alleanza. La reazione sarà devastante. Questo messaggio deve essere recepito da Vladimir Putin e da chiunque intenda minacciarci,” ha dichiarato Rutte.

Un altro intervento significativo è arrivato dal primo ministro britannico, Keir Starmer. Secondo Starmer, qualsiasi accordo di pace in Ucraina dovrà includere la responsabilizzazione della Russia per le sue azioni riprovevoli durante i tre anni di conflitto. Starmer ha espresso questa posizione durante un incontro con i rappresentanti di un’organizzazione che si occupa dei presunti rapimenti di bambini ucraini attribuiti a Mosca, evento avvenuto nella Camera dei Comuni durante il Question Time.

Dal lato russo, il portavoce presidenziale Dmitry Peskov ha commentato positivamente il dialogo in corso con gli Stati Uniti, definendolo pragmatico e costruttivo, e affermando che i colloqui stanno producendo risultati concreti. Tuttavia, ha precisato che i contatti con Washington rimangono “davvero intensi” e in evoluzione.

Ad oggi, gli accordi annunciati rischiano di non tradursi in fatti concreti. Dopo aver intrapreso colloqui separati con gli Stati Uniti, Mosca ha proposto condizioni rigide per una possibile tregua nel Mar Nero e per il rinnovo dell’accordo che garantisce la navigazione commerciale e le esportazioni agricole ucraine. Nonostante il presidente degli Stati Uniti Donald Trump abbia ribadito la sua convinzione che la Russia desideri porre fine al conflitto, ha ammesso che Mosca potrebbe prolungare i tempi.

Sul fronte militare, si susseguono attacchi e controaccuse. L’esercito ucraino ha respinto le accuse russe riguardanti presunti attacchi alle infrastrutture energetiche nelle regioni di Kursk e Bryansk, oltre che in Crimea, occupata dalla Russia. In un comunicato su Telegram, lo stato maggiore ucraino ha definito queste accuse false, affermando che le forze di Kiev non hanno condotto operazioni di questo tipo tra il 25 e il 26 marzo, smentendo le dichiarazioni del ministero della Difesa russo.

In questo delicato equilibrio, le responsabilità vengono continuamente attribuite e respinte, mentre il negoziato triangolare tra Mosca, Washington e Kiev prosegue. Gli Stati Uniti, da parte loro, continuano a gestire il dialogo alternando contatti con entrambe le parti in causa, nel tentativo di individuare una via d’uscita dal conflitto.

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Esteri

Trump insiste sulla Groenlandia: una questione di sicurezza internazionale

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Donald Trump continua a mantenere la Groenlandia al centro della sua attenzione, ribadendo la necessità strategica del territorio per la sicurezza internazionale. Parlando sulla piattaforma Rumble, il presidente degli Stati Uniti ha espresso con fermezza la sua posizione: “Ci serve, dobbiamo averla”.

La visita della second lady Usha Vance ha sollevato una forte opposizione sia da parte dell’isola autonoma che della Danimarca. Per rispondere a queste critiche, Trump ha deciso di inviare anche il vicepresidente JD Vance in Groenlandia. Attraverso un video condiviso su X, Vance ha annunciato che accompagnerà sua moglie venerdì per “verificare la sicurezza del territorio”.

Pur non essendoci minacce pubbliche alla Groenlandia, il vicepresidente ha sottolineato che alcuni Paesi avrebbero utilizzato i propri territori e le acque groenlandesi per minacciare Stati Uniti, Canada e la stessa popolazione locale. Tuttavia, le uniche dichiarazioni ostili provengono dallo stesso Trump, che non ha escluso l’uso della forza militare per ottenere il controllo del territorio autonomo.

Inizialmente presentata come una visita con finalità culturali, la missione della second lady è stata presto riorganizzata. Nonostante fosse originariamente accompagnata da figure istituzionali come il consigliere per la Sicurezza Nazionale Mike Waltz e i ministri dell’Energia e dell’Esercito, l’iniziativa ha assunto contorni più strategici. La premier danese Mette Frederiksen ha espresso un’opposizione decisa, definendo “inaccettabile” la pressione esercitata da Washington.

Dopo queste dichiarazioni, è stata confermata la partecipazione di Vance alla missione, trasformando la visita in una ricognizione presso la Pituffik Space Base, situata sopra il circolo polare artico. Il vicepresidente avrà modo di ricevere un briefing sulle questioni di sicurezza e incontrare le forze militari statunitensi presenti nella base.

Nel suo video, Vance ha dichiarato che la decisione di partire è stata presa dopo un confronto con Trump. “Vogliamo rafforzare la sicurezza della popolazione groenlandese perché ritengo essenziale tutelare la sicurezza globale. Purtroppo, la Groenlandia è stata ignorata per troppo tempo dai leader di America e Danimarca, e questo danneggia sia il territorio che la stabilità mondiale”, ha affermato.

A Copenhagen, gli osservatori politici hanno interpretato la mossa americana come una significativa escalation. Secondo il commentatore Trier Mogensen, l’invio di Vance rappresenta una dimostrazione di forza ben più rilevante rispetto alla visita della second lady o di Waltz. Mogensen ha paragonato l’approccio americano alle politiche di guerra ibrida adottate da Mosca prima dell’annessione della Crimea nel 2014.

Al contempo, altri analisti sottolineano un possibile segnale di distensione. La cancellazione della visita a Nuuk, capitale della Groenlandia, potrebbe indicare un tentativo di limitare l’impatto sulla popolazione civile locale. Ulrik Pram Gad, ricercatore di un think tank danese, ha evidenziato che concentrarsi solo sulla base militare potrebbe risultare meno provocatorio. Anche il governo danese ha accolto positivamente questa modifica: “È positivo che gli americani abbiano rinunciato a interagire con la popolazione groenlandese. La visita esclusiva alla base Pituffik non solleva obiezioni da parte nostra”, ha dichiarato il ministro degli Esteri Lars Lokke Rasmussen in un’intervista televisiva.

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Esteri

Verso una soluzione per il cessate il fuoco in Ucraina: le prospettive di una coalizione...

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Il deputato Vadym Halaychuk, appartenente al partito Servitore del Popolo guidato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha descritto quello che, secondo lui, rappresenta il modo più efficace per garantire un cessate il fuoco duraturo in Ucraina. In un’intervista esclusiva, Halaychuk ha sottolineato l’importanza di una coalizione internazionale forte, dotata di un mandato chiaro e definito. Citando il primo ministro britannico Keir Starmer, ha evidenziato che tale coalizione dovrebbe prevedere sia la presenza di truppe sul terreno che di mezzi aerei operativi nei cieli ucraini.

Secondo Halaychuk, qualora questa “Coalizione di volenterosi” trovasse un accordo sull’invio di forze terrestri e sull’implementazione di robuste difese antiaeree, si compirebbe un passo significativo verso la stabilità. Tuttavia, egli ha precisato che restano numerosi dettagli da discutere, come il numero di truppe, i luoghi di dispiegamento e le tempistiche di intervento. “La priorità principale deve essere la creazione di una difesa antiaerea solida, un elemento cruciale per contrastare il terrorismo aereo russo che continua a colpire infrastrutture civili, ospedali ed edifici residenziali senza alcun obiettivo militare apparente”, ha affermato il deputato.

Halaychuk ha espresso perplessità circa un possibile coinvolgimento diretto delle Nazioni Unite come forza di peacekeeping. Ricordando il ruolo dell’ONU nell’accordo sul Corridoio del grano, il deputato ha sottolineato che, nonostante le capacità dell’organizzazione, il mandato non è stato portato a termine con successo. “Accoglieremmo con favore una partecipazione più incisiva da parte delle Nazioni Unite, ma finora non abbiamo visto iniziative concrete che possano realmente garantire una pace sostenibile”, ha dichiarato.

Halaychuk si è inoltre soffermato sui recenti incontri tecnici svoltisi a Riad, evidenziando che la Russia appare focalizzata principalmente sulla rimozione delle sanzioni internazionali. Sebbene sia positivo che le parti abbiano iniziato a dialogare e a condividere le rispettive posizioni, il deputato ha ammesso che i progressi sono ancora limitati rispetto alle aspettative ucraine. “Restano molte domande senza risposta, come le condizioni per il cessate il fuoco, i meccanismi di controllo e il ruolo delle parti terze”, ha sottolineato.

Un ulteriore nodo critico è rappresentato dalla mancanza di comunicazione diretta tra le parti coinvolte. “Al momento, non abbiamo una chiara comprensione delle proposte russe, se non il loro evidente obiettivo di ottenere la revoca delle sanzioni”, ha spiegato Halaychuk. L’Ucraina, tuttavia, sarebbe disposta a prendere in considerazione un cessate il fuoco nel Mar Nero, a condizione che le sanzioni sui prodotti agricoli russi vengano mantenute fino alla cessazione dell’aggressione.

Il deputato ha anche messo in guardia contro il rischio che eventuali accordi sul Mar Nero possano essere utilizzati come pretesto per allentare le sanzioni contro la Russia. “Le sanzioni sono una conseguenza diretta dell’aggressione russa e dovrebbero essere revocate solo dopo la fine dell’occupazione e l’adozione di un vero cessate il fuoco”, ha concluso Halaychuk. Resta dunque chiaro che, per l’Ucraina, la priorità assoluta è fermare le ostilità prima di discutere qualsiasi possibile revoca delle misure restrittive internazionali.

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Esteri

La Turchia di fronte a un’opportunità storica

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Secondo la scrittrice turca Esmahan Aykol, conosciuta in Italia per i suoi celebri romanzi gialli, la situazione attuale rappresenta una grande opportunità per la Turchia di affrancarsi dal regime oppressivo guidato dal presidente Recep Tayyip Erdogan. Tuttavia, sottolinea come i cittadini turchi debbano affrontare questa sfida autonomamente, in quanto privati di qualsiasi supporto esterno, sia da parte degli Stati Uniti che dell’Europa. Aykol mantiene un atteggiamento ottimista, confidando che, dopo 23 anni di governo Erdogan, questa sia la più grande possibilità di cambiamento per il Paese.

Parlando dalla sua città, Istanbul, descritta come una “città fantasma” durante il giorno, ma viva di sera grazie alle manifestazioni che hanno preso piede dopo l’arresto del sindaco Ekrem Imamoglu, la scrittrice pone particolare attenzione al ruolo dei giovani, che costituiscono il 78% dei manifestanti. La maggioranza di essi sono studenti universitari e adolescenti. Inoltre, Aykol ripone speranza nei partiti di opposizione, in particolare nel Chp, considerato il principale partito dell’opposizione con il più ampio sostegno elettorale. Questo partito, temuto da Erdogan, rappresenta la sfida più seria al suo governo e proprio per questo motivo il presidente ha ordinato l’arresto di Imamoglu. Aykol osserva che Erdogan, avendo perso il sostegno della società turca, si è mostrato favorevole al processo di pace con i curdi, cercando il loro appoggio.

La scrittrice evidenzia inoltre lo stato di shock della società turca, incapace di prevedere la linea dura adottata da Erdogan contro l’opposizione, che sembra essere una strategia per prepararsi alle elezioni presidenziali del 2028. La popolazione appare ritirata, limitando le uscite di casa solo per motivi lavorativi, mentre i luoghi pubblici, come i caffè e Gezi Park, rimangono deserti o sorvegliati dalle forze dell’ordine. Aykol nota una differenza significativa rispetto alle proteste del 2013 a Gezi Park: mentre quelle erano spontanee e guidate dai giovani, le manifestazioni attuali sono organizzate e coordinate dai partiti di opposizione, conferendo loro un valore politico maggiore.

Rimane tuttavia l’incertezza sul futuro di queste proteste. Aykol avverte che il rischio più grande è rappresentato da un possibile intervento violento della polizia, che potrebbe portare a vittime tra i manifestanti. Questo scenario potrebbe generare paura sia tra i giovani che tra le loro famiglie, con il rischio di un esaurimento delle manifestazioni. La scrittrice ribadisce che questa è una questione esclusivamente interna alla Turchia, evidenziando che Erdogan gode di forti legami con Donald Trump e che gli interessi comuni tra i due impediscono qualsiasi interferenza da parte degli Stati Uniti.

Per quanto riguarda l’Unione Europea, Aykol sottolinea che l’Europa è troppo impegnata con i propri problemi per concentrarsi sulla situazione turca. Inoltre, evidenzia come Erdogan sia indispensabile per la Ue, non solo per la sicurezza ma anche per la gestione dei rifugiati, evitando che questi ultimi raggiungano il continente europeo.

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Piani di attacco condivisi su Signal: il caso che coinvolge Pete Hegseth

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Jeffrey Goldberg, noto giornalista di The Atlantic, ha dichiarato che il pubblico deve poter accedere a determinati contenuti per formarsi un’opinione autonoma. La rivista ha recentemente pubblicato dettagli sui raid in Yemen, condivisi dal segretario alla Difesa Pete Hegseth tramite la piattaforma di messaggistica Signal. Questi messaggi, resi pubblici per errore, sollevano interrogativi sulla sicurezza delle comunicazioni utilizzate da alti funzionari.

Secondo quanto riportato, Signal non rappresenta un canale di comunicazione sicuro; tuttavia, la Casa Bianca e Hegseth stesso hanno smentito che informazioni sensibili o piani di guerra siano stati condivisi tramite questa applicazione. Goldberg e Shane Harris, esperto di sicurezza nazionale, hanno sottolineato l’importanza di divulgare tali informazioni, soprattutto alla luce dei tentativi di minimizzare la gravità delle azioni dei consiglieri dell’ex presidente Donald Trump.

L’articolo di The Atlantic include immagini dei messaggi inviati da Hegseth, nei quali si delineano dettagli operativi relativi ai prossimi raid. Tra questi, una comunicazione in cui si conferma la disponibilità delle condizioni meteo e l’approvazione della missione da parte del Centcom, con una lista precisa degli orari di decollo dei velivoli coinvolti. Goldberg ha ricevuto tali informazioni, inoltrate per errore dal consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, appena due ore prima dell’inizio programmato delle operazioni contro le postazioni degli Houthi.

Nel suo resoconto, Goldberg sottolinea il rischio significativo che tali dettagli operativi avrebbero potuto rappresentare se fossero stati intercettati da soggetti ostili nelle ore precedenti ai bombardamenti. La vulnerabilità delle comunicazioni su Signal, non protetta adeguatamente, avrebbe potuto mettere in pericolo la sicurezza di piloti e militari impegnati nell’operazione.

In risposta alla pubblicazione, la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha ribadito che non si tratta di veri e propri “piani di guerra”. Tramite un post su X, ha condiviso un’immagine dell’articolo di The Atlantic, dal titolo “Ecco i piani di attacco che i consiglieri di Trump hanno condiviso su Signal”. Leavitt ha definito la vicenda come l’ennesimo “falso sensazionalistico” orchestrato da un noto critico dell’ex presidente.

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La Nato risponde alle minacce russe: il messaggio di Mark Rutte

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Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha lanciato un monito inequivocabile durante una conferenza stampa tenutasi a Varsavia. Un eventuale attacco della Russia a uno Stato membro della Nato provocherebbe una reazione di portata devastante. Rutte ha sottolineato che questo avvertimento deve essere ben compreso da Vladimir Putin e da chiunque intenda minacciare l’Alleanza. “Chiunque pensi di poter colpire la Polonia o un altro alleato senza subire conseguenze, si troverà di fronte alla forza completa di questa organizzazione”, ha dichiarato con fermezza.

La Russia, secondo Rutte, rappresenta la più significativa minaccia per la Nato. L’economia di guerra adottata dal Cremlino sta avendo un impatto diretto sulla capacità di Mosca di potenziare rapidamente le proprie forze armate. Il segretario generale ha elogiato la Polonia, rappresentata in conferenza dal premier Donald Tusk, per il suo impegno nella difesa, con una spesa pari al 4,7% del PIL, la più alta tra i membri della Nato. “In un contesto globale sempre più ostile, incrementare gli investimenti in difesa è una necessità imprescindibile”, ha aggiunto.

Rutte ha inoltre accolto favorevolmente l’iniziativa polacca Scudo Orientale, progettata per rafforzare i confini con Russia e Bielorussia. Ha espresso gratitudine verso Varsavia per il contributo offerto all’operazione Sentinella del Baltico, un programma pensato per monitorare e affrontare le minacce ibride nel Mar Baltico. “In appena dieci giorni dall’ultimo sabotaggio dei cavi sottomarini, avvenuto nel periodo natalizio, gli alleati hanno messo in campo questa operazione. È essenziale essere pronti a difenderci di fronte agli sviluppi nel Baltico”, ha aggiunto.

Il segretario generale ha ribadito che il partenariato transatlantico costituisce il pilastro della Nato, un principio che non cambierà. Gli Stati Uniti, ha detto, hanno confermato più volte il loro impegno verso un’Alleanza forte. Anche il presidente Donald Trump ha sottolineato questa posizione, pur evidenziando la necessità che l’Unione Europea si faccia carico di maggiori responsabilità. “Abbiamo osservato segnali incoraggianti in tutta l’Alleanza. Lo scorso anno, gli investimenti nella difesa da parte dell’Unione Europea e del Canada sono aumentati del 20%. Tuttavia, come ha giustamente affermato il presidente Trump, è necessario che gli alleati europei e il Canada intensifichino i loro sforzi”, ha spiegato Rutte, indicando la Polonia come modello virtuoso per gli altri Paesi.

Infine, il segretario generale ha sollecitato un rapido incremento delle spese e un rafforzamento delle capacità di deterrenza. “È fondamentale tradurre le parole in azioni concrete, investendo maggiormente nella sicurezza, nell’industria e nella capacità di difesa”, ha concluso. Rutte ha inoltre accolto con favore il dialogo con il Regno Unito e altri alleati per espandere la produzione nel settore della difesa, definendola una necessità condivisa all’interno dell’intera Alleanza, inclusi gli Stati Uniti.

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Esteri

Israele e Hamas: tensioni crescenti e minacce sugli ostaggi

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Gli ostaggi trattenuti nella Striscia di Gaza sono al centro di un duro avvertimento da parte di Hamas, che ha dichiarato che potrebbero essere uccisi nel caso in cui Israele tentasse di recuperarli “con la forza” o continuasse gli attacchi aerei sull’enclave. Questa dichiarazione segue l’annuncio del ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, che ha confermato l’approvazione di nuovi piani per operazioni contro la fazione palestinese.

In un comunicato ufficiale, Hamas ha sottolineato di essere impegnata nel “fare tutto il possibile per preservare la vita dei prigionieri dell’occupazione”, accusando però i bombardamenti israeliani di mettere a rischio la loro sopravvivenza. Secondo il gruppo palestinese, ogni tentativo da parte di Israele di recuperare gli ostaggi con operazioni militari si tradurrebbe nel loro ritorno “nelle bare”.

Dal canto suo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito l’intenzione di aumentare la pressione su Hamas qualora il gruppo continuasse a opporsi alla liberazione degli ostaggi. Netanyahu, parlando alla Knesset, ha dichiarato: “Più Hamas persiste nel rifiuto di rilasciare gli ostaggi, più forte sarà la pressione che eserciteremo.” Ha inoltre aggiunto che le misure adottate includeranno la confisca di territori, senza fornire ulteriori dettagli.

Nel frattempo, l’esercito israeliano (IDF) ha emesso un avviso di evacuazione indirizzato alla popolazione palestinese residente nell’area di Gaza City, da dove sarebbero stati lanciati razzi verso comunità vicine al confine israeliano. Il colonnello Avichay Adraee, portavoce in lingua araba delle forze di difesa israeliane, ha pubblicato su X una mappa delle zone che saranno evacuate, definendo l’avviso come un “ultimo avvertimento” prima di procedere con gli attacchi.

L’ordine di evacuazione riguarda i quartieri di Zeitoun, Tel al-Hawa e Sheikh Ijlin. Adraee ha invitato i residenti a spostarsi lungo la strada costiera verso “rifugi noti” situati a sud del torrente Wadi Gaza. Durante l’attacco rivendicato dalla Jihad islamica palestinese, due razzi sono stati lanciati: uno è stato intercettato dalle difese aeree israeliane, mentre l’altro ha colpito un’area nei pressi di Zimrat senza causare vittime.

Il bilancio delle vittime palestinesi continua ad aumentare in seguito all’intensificazione dell’offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza, iniziata il 18 marzo. Secondo il ministero della Sanità di Gaza City, almeno 830 persone hanno perso la vita, di cui 38 solo nelle ultime 24 ore. Complessivamente, il conflitto ha causato 50.183 morti dal 7 ottobre 2023, come riportato dalle autorità locali.

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Esteri

La strategia della Commissione Europea per affrontare le crisi emergenti

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La Commissione Europea ha delineato un piano per accrescere la preparazione dei cittadini dell’Unione Europea nel caso di un’eventuale “aggressione armata” contro uno Stato membro. L’esecutivo, sotto la guida di Ursula von der Leyen, ha presentato una strategia di “Preparedness”, concepita per prevenire e rispondere alle minacce e alle crisi emergenti. Questo piano complessivo si articola in ben 30 azioni chiave e in un piano operativo che mira a diffondere una “cultura della preparazione” in ogni ambito delle politiche comunitarie.

Le situazioni di emergenza per cui si desidera sensibilizzare i cittadini europei includono disastri naturali, quali alluvioni, incendi boschivi, terremoti ed eventi meteorologici “estremi”, attribuiti ai mutamenti generati dal “cambiamento climatico”. Ulteriori scenari contemplano disastri provocati dall’uomo, come incidenti industriali e “pandemie”, oltre a minacce ibride, tra cui attacchi informatici, campagne di disinformazione, interferenze straniere e sabotaggi alle infrastrutture. Infine, non mancano le “minacce geopolitiche”, come i conflitti armati o la possibilità di un’aggressione militare ai danni di Stati membri.

La Commissione sollecita gli Stati dell’Unione Europea a intensificare gli sforzi per incentivare la popolazione a prendere “misure proattive” per affrontare le crisi. Tra le azioni suggerite vi è la redazione di “piani familiari di emergenza” e la creazione di riserve di “beni essenziali” che possano garantire l’autosufficienza per almeno 72 ore in caso di emergenza.

In aggiunta, l’iniziativa prevede l’integrazione di lezioni di “preparazione” all’interno dei programmi scolastici, l’istituzione di una “Giornata Europea della Prontezza” e la promozione di esercitazioni di preparazione su scala paneuropea. Questi esercizi coinvolgeranno una vasta gamma di attori, tra cui forze armate, polizia, protezione civile, operatori sanitari e vigili del fuoco.

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Russia e Stati Uniti: dialogo costruttivo per la fine del conflitto in Ucraina

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La Federazione Russa ha espresso soddisfazione per il dialogo in corso con gli Stati Uniti, definendolo costruttivo ed efficace nel perseguire la conclusione della guerra con l’Ucraina. Tale dichiarazione è stata formulata dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, nel corso di una conferenza stampa successiva ai colloqui tenutisi a Riad tra le delegazioni russa e americana, focalizzati sulla possibilità di un cessate il fuoco.

Peskov ha inoltre sottolineato che i contatti con la controparte statunitense stanno proseguendo con intensità, ribadendo l’importanza di tale dialogo per il raggiungimento di risultati significativi.

Nel frattempo, Mosca ha avanzato nuove accuse contro Kiev. Tra queste, la responsabilità per la morte di una giornalista russa nella regione di Belgorod, situata al confine con l’Ucraina. Secondo quanto dichiarato da Peskov, l’auto su cui viaggiava Anna Prokofieva è esplosa a causa di una mina posizionata dai militari ucraini nell’area. Il portavoce ha espresso le condoglianze alla famiglia della giornalista e all’emittente televisiva per cui lavorava, definendo l’evento una tragica perdita.

Peskov ha anche affermato che la moratoria sui raid aerei contro le infrastrutture energetiche in Russia e Ucraina deve essere rispettata in modo incondizionato. A tal proposito, ha denunciato tentativi da parte ucraina di colpire tali strutture, evidenziando come tali azioni confermino l’incapacità del regime di Kiev di negoziare, già manifestata in precedenti occasioni.

Dall’altra parte, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accusato Mosca di non essere realmente interessata alla pace. Durante la notte, secondo Zelensky, 117 droni d’attacco, principalmente Shahed forniti dall’Iran, sono stati lanciati verso l’Ucraina. Il presidente ha definito questi attacchi una chiara dimostrazione della volontà della Russia di proseguire la guerra, nonostante i negoziati per il cessate il fuoco.

Zelensky ha aggiunto che un numero significativo di droni è stato abbattuto dalla difesa aerea ucraina, ma diverse regioni come Dnipro, Sumy, Cherkasy e Kryvyi Rih sono state colpite. A Kryvyi Rih, gli attacchi hanno danneggiato un’impresa locale e infrastrutture civili, mentre a Okhtyrka, nella regione di Sumy, sono stati colpiti abitazioni, negozi e altre strutture. Anche le comunità nelle regioni di Donetsk, Kharkiv e Zaporizhzhia hanno subito attacchi. Zelensky ha sottolineato la necessità di fornire assistenza a tutte le persone coinvolte.

Prima di partire per Parigi, dove è previsto un incontro con il presidente francese Emmanuel Macron, Zelensky ha ribadito l’importanza di esercitare una pressione internazionale sulla Russia, chiedendo ulteriori sanzioni da parte degli Stati Uniti per fermare gli attacchi. Il leader ucraino ha ricordato che dal 11 marzo gli Stati Uniti hanno proposto un cessate il fuoco totale, ma la Russia continua a respingere tale proposta attraverso attacchi notturni, dimostrando la sua opposizione alla pace.

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Giornalista russa perde la vita in un’esplosione nella regione di Belgorod

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La tragica scomparsa della giornalista russa Anna Prokofieva, corrispondente di guerra per la televisione Channel One, è avvenuta nella regione di Belgorod, situata al confine con l’Ucraina. L’emittente televisiva ha confermato la notizia dichiarando: “La nostra corrispondente di guerra Anna Prokofieva ha perso la vita mentre svolgeva il suo incarico professionale. Il drammatico evento si è verificato nella regione di Belgorod, vicino al confine con l’Ucraina”.

Un rappresentante di Channel One ha inoltre comunicato che l’esplosione della mina ha ferito il cameraman Dmitry Volkov, il quale si trovava sul posto insieme a Prokofieva. La giornalista, che aveva appena 35 anni, era una figura di spicco nel mondo del giornalismo russo. Secondo quanto riportato da Ria Novosti, Anna si era laureata in giornalismo presso l’Università Rudn di Mosca e padroneggiava fluentemente la lingua spagnola. Prima di entrare a far parte di Channel One nel 2023, aveva collaborato con la redazione in lingua spagnola dell’agenzia di stampa Rossiya Segodnya, concentrandosi sulle vicende legate al conflitto in Ucraina.

In un distinto comunicato, il ministero della Difesa russo ha riferito che la contraerea di Mosca ha neutralizzato nella notte nove droni lanciati dalle forze armate ucraine verso il territorio russo. Tra questi, due sono stati abbattuti sopra il Mar Nero, proprio all’indomani dell’annuncio di un accordo raggiunto a Riad per garantire la sicurezza della navigazione in quell’area. Inoltre, le autorità di Mosca hanno segnalato l’intercettazione di altri due droni nella regione di Kursk e di cinque nella regione di Belgorod, entrambi territori al confine con l’Ucraina.

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Rivelazioni sulla fuga di notizie nei piani militari statunitensi

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Il Consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Mike Waltz, ha riconosciuto di essere il diretto responsabile della creazione di una chat privata su Signal, al centro di una controversia riguardante la divulgazione di informazioni riservate. In un’intervista concessa a Fox News, Waltz ha dichiarato: “Sono stato io a creare il gruppo”, assumendosi piena responsabilità per l’inserimento del giornalista Jeffrey Goldberg, corrispondente di The Atlantic, nella conversazione.

La chat, che includeva figure di spicco come il vicepresidente JD Vance, il segretario alla difesa Pete Hegseth e il segretario di Stato Marco Rubio, era dedicata alla discussione di “dettagli operativi” relativi agli attacchi pianificati contro le forze Houthi nello Yemen. La presenza di Goldberg nel gruppo, mentre venivano coordinati bombardamenti strategici, ha sollevato forti preoccupazioni tra gli esperti, che hanno definito tale situazione una grave violazione della sicurezza nazionale.

Interpellato da Laura Ingraham di Fox News, Waltz ha ribadito di essere stato l’artefice della creazione del gruppo su Signal, pur sottolineando che l’inclusione di Goldberg sarebbe avvenuta per un “errore del suo staff”, che aveva registrato il numero del giornalista con un nominativo errato. Il consigliere ha garantito che verranno condotte indagini approfondite, aggiungendo di aver richiesto la collaborazione di Elon Musk per sfruttare la tecnologia avanzata e chiarire le circostanze di quanto accaduto. “Con lui abbiamo la migliore tecnologia a disposizione per capire cosa è successo”, ha dichiarato Waltz.

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Strategie politiche in Turchia: l’arresto di Ekrem Imamoglu e il futuro di Erdogan

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Il recente arresto del sindaco di Istanbul, nonché figura di spicco dell’opposizione, Ekrem Imamoglu, rappresenta una mossa che si inserisce in una strategia calcolata volta a frammentare il fronte avversario. Questa tattica, orchestrata dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, si collega al suo progetto di modificare la Costituzione per garantirsi la possibilità di ricandidarsi e ottenere un terzo mandato. Angela Ziccardi, assistente presso l’ufficio di Roma dell’European Council on Foreign Relations, ha analizzato questa situazione nel sesto giorno consecutivo di proteste che stanno infiammando le grandi città turche.

Il contesto politico turco trova le sue radici nelle elezioni amministrative del 2024, che hanno visto il partito di opposizione Chp ottenere una vittoria schiacciante nelle principali città del Paese. Erdogan, temendo una crescente concorrenza, sembra intenzionato a neutralizzare il blocco delle opposizioni in vista delle elezioni del 2028. La sua strategia, che punta ad agire con largo anticipo, mira a far sì che l’opinione pubblica dimentichi i risvolti autoritari delle sue azioni entro quella data.

Secondo l’analisi di Ziccardi, la posizione geopolitica attuale appare estremamente favorevole al leader turco. Mai come ora, l’Unione Europea e i suoi Stati membri si trovano nella necessità di mantenere un dialogo con la Turchia su questioni cruciali, come la sicurezza e la difesa. Il graduale disimpegno degli Stati Uniti dalla dimensione europea sta spingendo l’UE a rafforzare la cooperazione interna e a esplorare nuove alleanze militari, dove Ankara, che rappresenta la seconda forza più grande della NATO, si pone come un partner strategico di rilievo.

L’attuale contesto internazionale è inoltre influenzato dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, un fattore che potrebbe favorire il consolidamento del progetto autoritario di Erdogan. Il presidente americano, che sta adottando toni ostili nei confronti dei suoi avversari politici, potrebbe mostrarsi indulgente verso eventuali azioni repressive da parte del leader turco e di altri “uomini forti” della scena globale.

Un ulteriore elemento significativo riguarda il ruolo di Erdogan nella complessa situazione siriana. Nonostante il suo coinvolgimento nella deposizione di Bashar al-Assad, il presidente turco mantiene rapporti solidi con Ahmed al-Shara’a, attuale presidente ad interim della Siria. Questa posizione gli consente di assumere un ruolo centrale sia nel processo di transizione che nella ricostruzione del Paese, oltre a garantirgli una rilevanza strategica nello scenario regionale. Erdogan è infatti in grado di dialogare efficacemente con gli Stati Uniti su questioni come la creazione di una zona cuscinetto nel nord della Siria e le implicazioni legate all’Iran.

Un altro aspetto chiave della strategia di Erdogan riguarda Abdullah Ocalan, leader del Partito dei lavoratori curdo (Pkk), che ha recentemente lanciato un appello storico per la dissoluzione del gruppo armato. Questa mossa, che potrebbe mettere fine a decenni di conflitto con Ankara, sembra inserirsi perfettamente nel piano del presidente turco. Attraverso il dialogo avviato con il supporto di Devlet Bahceli, leader del Partito del movimento nazionalista e principale alleato di Erdogan, e Ocalan, il presidente punta a ottenere l’appoggio del partito pro-curdo Dem. Questo sostegno sarebbe cruciale per raggiungere la maggioranza qualificata di 360 deputati su 600 all’Assemblea nazionale, necessaria per modificare la Costituzione e garantire la sua ricandidatura.

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Crisi Umanitaria nella Striscia di Gaza: Testimonianze Dirette

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Una situazione estremamente critica si sta delineando nella Striscia di Gaza, con prospettive che sembrano destinate a peggiorare ulteriormente. L’evacuazione di gran parte del personale internazionale, inclusa la riduzione della presenza delle Nazioni Unite, rappresenta un chiaro segnale di ciò che potrebbe accadere: un’operazione militare di intensità senza precedenti da parte dell’esercito israeliano. Questa è la drammatica analisi fornita da Sami Abu Omar, cooperante palestinese, che ha condiviso la propria testimonianza cogliendo una rara occasione di connessione a una rete Internet instabile e scarsamente disponibile.

Secondo Abu Omar, la fragile tregua è stata infranta dagli attacchi aerei israeliani, ripresi otto giorni fa, causando un bilancio umano devastante: migliaia di feriti e circa mille vittime. Il cooperante, che si trova a Khan Yunis, nel sud della Striscia, ha fatto ritorno nella zona insieme alla sua famiglia, composta dalla moglie e dai sette figli, in seguito all’accordo di cessate il fuoco raggiunto tra Hamas e Israele. Tuttavia, la loro abitazione non esiste più: è stata completamente distrutta dai bombardamenti avvenuti dopo l’evacuazione forzata imposta dalle forze israeliane nel dicembre 2023.

Oggi, la situazione è drammaticamente peggiorata. I bombardamenti, condotti indiscriminatamente, hanno colpito ospedali sia nel nord che nel sud della Striscia, oltre a prendere di mira le tende, simbolo di una disperata ricerca di riparo per migliaia di famiglie. Abu Omar, che attualmente vive con i suoi cari in una stanza presso l’abitazione di un parente, stava addirittura cercando una tenda in cui trasferirsi prima della ripresa delle ostilità.

La voce di Abu Omar, tremante e interrotta dal rumore incessante dei caccia che sorvolano la zona, descrive un quadro sempre più desolante. “Chi soffre di più sono le donne e i bambini”, sottolinea con amarezza. La chiusura completa dei confini della Striscia di Gaza, imposta da Israele circa un mese fa, ha portato al blocco totale degli aiuti umanitari. Non arrivano più cibo, acqua potabile né beni di prima necessità. Durante il Ramadan, al termine del digiuno quotidiano, le famiglie si trovano senza nulla da mangiare: non c’è carne, né alimenti freschi o risorse sufficienti per sopravvivere.

La situazione è ulteriormente aggravata dalla mancanza di carburante e dalla quasi totale assenza di connessione Internet. Abu Omar, che da alcuni mesi opera presso una clinica di Emergency situata nella zona umanitaria di Khan Yunis, vicino al porto di al-Qarara, evidenzia un’altra emergenza: “Ci hanno privato anche del sistema che garantiva il pompaggio di acqua potabile”. La sua conclusione è un’amara previsione: “La situazione è destinata a peggiorare”.

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La posizione dell’Unione Europea sulla situazione politica in Turchia

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Secondo l’eurodeputato tedesco Erik Marquardt, membro del gruppo Verdi/Ale e parte della delegazione al comitato parlamentare congiunto UE-Turchia, la Turchia non rispetta più i principi di una democrazia. Questa affermazione giunge a seguito dell’arresto di Ekrem Imamoglu, principale avversario politico del presidente Recep Tayyip Erdogan, evento che, secondo Marquardt, dovrebbe portare a conseguenze significative.

Nonostante lo status di Paese candidato all’Unione Europea, ottenuto nel 1999, Marquardt ritiene che la Turchia non potrà mai aderire all’UE se continuerà a mantenere l’attuale comportamento. L’arresto di Imamoglu, definito il più promettente sfidante di Erdogan, è considerato inaccettabile. La questione non riguarda la scelta del miglior candidato per le elezioni in Turchia, bensì la valutazione della presenza o meno di una democrazia nel Paese. La situazione attuale, aggiunge, evidenzia una grave mancanza di principi democratici e questo deve essere oggetto di critiche oltre che di azioni concrete.

Marquardt propone tre azioni che l’Unione Europea dovrebbe intraprendere. Prima di tutto, è necessario denunciare pubblicamente gli attacchi contro l’opposizione. In secondo luogo, occorre rivedere i finanziamenti destinati alla Turchia, verificando la loro destinazione e valutando se sia ancora opportuno inviare risorse al governo di Erdogan, soprattutto alla luce del contesto attuale. Infine, la strategia di sicurezza dell’UE, un tema cruciale, dovrebbe essere ripensata considerando che la Turchia potrebbe non essere più un partner affidabile, anche nell’ambito della NATO.

Un ulteriore aspetto sollevato dall’eurodeputato riguarda la fornitura di armamenti alla Turchia da parte dell’UE, una pratica che, secondo lui, solleva seri interrogativi in termini di giustificazione morale e politica.

Negli ultimi anni, l’approccio dell’Unione Europea è stato improntato alla diplomazia, evitando prese di posizione pubbliche, in parte a causa dell’accordo sui rifugiati siriani siglato nel marzo 2016. Tuttavia, Marquardt sottolinea la necessità di adottare una posizione più esplicita, mettendo in evidenza gli attacchi contro l’opposizione e la libertà di associazione.

Relativamente allo status di Paese candidato all’UE, l’eurodeputato evidenzia il legame tra questo status e l’accesso ai fondi europei. Ritiene fondamentale monitorare l’utilizzo dei fondi di pre-adesione (IPA), sottolineando che tali risorse dovrebbero sostenere la società civile per promuovere democrazia, diritti umani e libertà di stampa, e non essere destinate a un governo che mina le fondamenta democratiche.

In merito alla difesa, Marquardt auspica una collaborazione proficua con la Turchia, in particolare nella gestione della crisi siriana. Tuttavia, esprime dubbi sull’affidabilità della Turchia come partner, data la possibilità che le sue azioni militari non siano conformi al diritto internazionale. Ritiene quindi essenziale che l’UE, insieme alla Commissione, sviluppi una strategia di sicurezza che non dipenda dalla collaborazione con Ankara.

La possibilità che Erdogan risponda a eventuali critiche da parte di Bruxelles minacciando di riaprire i flussi migratori è un timore condiviso a livello europeo. Tuttavia, Marquardt insiste sull’importanza di garantire ai cittadini turchi la possibilità di fuggire da quella che definisce una dittatura. Per l’eurodeputato, è evidente che qualsiasi strategia dell’UE volta a migliorare i diritti umani in Turchia ha finora fallito.

Nonostante ciò, Marquardt avverte che dichiarare concluso il percorso di adesione della Turchia all’UE sarebbe controproducente. Propone di mantenere aperta una porta, seppur minima, per sostenere le forze della società civile che lottano per una Turchia democratica. La presenza di migliaia di persone che scendono in piazza è, secondo lui, un segnale di speranza che non può essere ignorato. Conclude affermando che i finanziamenti europei devono essere mirati a sostenere la democrazia e non a finanziare un governo che agisce in opposizione a tali principi.

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Trump si esprime sull’incidente della chat di Signal: “Nessun impatto...

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Secondo il presidente Donald Trump, l’episodio relativo alla partecipazione accidentale del direttore di The Atlantic, Jeffrey Goldberg, in una chat su Signal contenente dettagli sui raid in Yemen contro gli Houthi rappresenta un semplice “intoppo” di lieve entità. Durante un’intervista con Nbcnews, Trump ha ribadito la sua piena fiducia nel team per la sicurezza nazionale, con un particolare elogio al consigliere per la Sicurezza Nazionale, Mike Waltz, responsabile dell’invito errato del giornalista nella conversazione.

Il presidente ha sottolineato che Mike Waltz ha tratto un’importante “lezione” dall’incidente, definendolo comunque una “brava persona”. Rispondendo a domande sulla presenza del numero di Goldberg nella chat, Trump ha attribuito la responsabilità all’entourage del consigliere, spiegando che il contatto era presente sul dispositivo di uno dei collaboratori di Waltz.

Nonostante la delicatezza della vicenda, Trump ha dichiarato di non essere infastidito né dall’accaduto né dalle informazioni trapelate. Ha inoltre evidenziato che la presenza del giornalista non ha avuto alcuna influenza sull’esito dell’operazione militare.

Nel frattempo, Politico ha rivelato che all’interno della Casa Bianca si stanno svolgendo intense discussioni a seguito delle rivelazioni di Goldberg. Un alto funzionario ha descritto un acceso scambio di opinioni tra i membri dello staff presidenziale, con una parte che sostiene che Waltz “non sopravviverà” alle conseguenze di questo errore o che, in alternativa, dovrebbe presentare le dimissioni. Alcuni consiglieri hanno suggerito che l’ex deputato della Florida lasci il suo incarico per evitare di creare ulteriori difficoltà al presidente.

Un membro dell’amministrazione ha definito “irresponsabile” l’errore di non verificare i partecipanti alla chat e di discutere questioni delicate su Signal. Ha inoltre aggiunto che un comportamento del genere non è accettabile per un consigliere per la Sicurezza Nazionale. Un’altra fonte, citata da Politico, ha espresso un giudizio ancora più severo, affermando che “tutti alla Casa Bianca concordano sul fatto che Mike Waltz sia un idiota”. Tuttavia, le dichiarazioni di Trump sembrano aver posto fine al dibattito.

Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, ha scritto su X che “nessuna informazione classificata è stata condivisa nella chat” e che “nessun piano di guerra è stato discusso”. Ha inoltre accusato Jeffrey Goldberg di essere noto per il suo “sensazionalismo” e ha presentato quella che ha definito la versione ufficiale dei fatti. La Leavitt ha spiegato che l’ufficio legale della Casa Bianca ha fornito una lista di piattaforme sicure per le comunicazioni tra i funzionari di alto livello, aggiungendo che è in corso un’indagine per determinare come il numero di Goldberg sia finito nella chat.

Infine, la portavoce ha elogiato la leadership “forte e risoluta” del presidente Trump e del suo team, sottolineando il successo delle operazioni contro gli Houthi. “Terroristi sono stati eliminati, ed è questo che conta di più per il presidente Trump”, ha concluso.

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L’arresto di Imamoglu e le implicazioni politiche in Turchia

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Secondo Aydin Adnan Sezgin, ex ambasciatore turco presso Roma e Mosca ed ex deputato del Buon Partito (Iyi), l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, rappresenta una mossa di carattere autoritario da parte del governo turco, che sembra percepire la perdita di consenso e appare disposto a ricorrere a qualunque mezzo per ostacolare il processo elettorale. Tuttavia, Sezgin ritiene che sia prematuro e forse eccessivo considerare le manifestazioni recenti come il preludio alla fine dell’era Erdogan.

Le proteste di massa, convocate dall’opposizione in risposta a tale arresto, riflettono un ampio malcontento popolare. Questa reazione, secondo Sezgin, è motivata dalla percezione diffusa che la detenzione di Imamoglu e di altri sindaci di città minori sia illegale e contraria ai principi democratici, poiché si tratta di figure elette dal popolo. Le accuse di corruzione mosse contro il sindaco di Istanbul, aggiunge l’ex ambasciatore, appaiono inconsistenti e non hanno convinto l’opinione pubblica. Inoltre, sottolinea un aspetto procedurale fondamentale: «Non è necessario trattenere queste persone; un procedimento legale può proseguire anche senza arresti.»

Sezgin evidenzia che la repressione dell’opposizione, che ha portato a oltre mille arresti secondo i dati del ministero dell’Interno, rappresenta un’ulteriore dimostrazione di un governo che si allontana sempre più dai principi dello stato di diritto e della democrazia. Questo approccio autoritario è percepito dalla popolazione come un segnale di una deriva politica sempre più accentuata.

Oltre agli arresti, Sezgin attribuisce il crescente dissenso popolare anche a un diffuso malcontento per le politiche economiche del governo in carica. La popolazione, in particolare i giovani, vive una profonda disillusione, attribuendo i problemi attuali alla mancanza di democrazia, al deterioramento dello stato di diritto e alla corruzione all’interno del governo. Questa situazione ha creato una frattura insanabile tra l’esecutivo e i cittadini, evidenziando come l’attuale leadership sembri consapevole di una perdita di consenso.

Sezgin, tuttavia, invita alla cautela nell’interpretare le proteste come un segnale immediato di un cambio al vertice del governo. Sebbene siano manifestazioni significative, ritiene che le elezioni rappresentino l’unico strumento per porre fine all’era Erdogan. «Le urne sanciranno la fine di questo governo – sottolinea – poiché la Turchia non è né la Russia né l’Iran. Tuttavia, il governo tenterà con ogni mezzo antidemocratico di ostacolare il processo elettorale, ma non avrà successo.»

Un altro elemento analizzato dall’ex ambasciatore è la reazione internazionale, che fino ad ora è apparsa timida di fronte alla repressione dell’opposizione in Turchia. Questo atteggiamento, secondo Sezgin, è attribuibile a due fattori principali: l’effetto Trump, che ha generato un clima di tolleranza verso atteggiamenti autoritari, e l’aumento dell’importanza strategica della Turchia nello scenario geopolitico attuale, specialmente in un contesto di crisi internazionale che interessa particolarmente l’Europa.

Guardando al futuro, Sezgin non si aspetta alcun tipo di concessione da parte del governo turco. Anzi, prevede un inasprimento delle misure repressive nei confronti dell’opposizione. Tuttavia, ribadisce la forza e la determinazione dei partiti di opposizione e della società civile nel continuare a reagire contro tali pressioni. «Il governo sta intensificando la sua pressione – conclude – ma l’opposizione e l’opinione pubblica hanno abbastanza forza per resistere e mantenere viva la lotta per la democrazia.»

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Hamdan Ballal rilasciato dopo l’arresto in Cisgiordania

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Il co-regista del documentario premiato con l’Oscar ‘No Other Land’, Hamdan Ballal, è stato liberato martedì 25 marzo dalle autorità israeliane. L’annuncio è stato dato dal suo legale, Lea Tsemel, che ha confermato come Ballal sia tornato “a casa dalla sua famiglia”. Il regista, arrestato la sera precedente in Cisgiordania, ha denunciato di essere stato sottoposto a trattamenti duri durante la detenzione, raccontando di essere stato mantenuto al freddo, ammanettato, bendato e colpito ripetutamente per tutta la notte in una base militare israeliana.

La detenzione di Ballal, avvenuta nel villaggio di Susiya, a sud di Hebron, ha coinvolto anche altri due palestinesi, Khaled Shanran, di 33 anni, e Nasser Shariteh, di 50 anni. Testimoni oculari riferiscono che Ballal sarebbe stato vittima di un attacco da parte di decine di coloni israeliani, i quali, in alcuni casi, erano mascherati. Durante l’aggressione, gli assalitori avrebbero lanciato pietre, ferendo il regista alla testa. Eppure, secondo le testimonianze, i soldati israeliani presenti sul posto non sono intervenuti per fermare l’attacco.

Secondo la versione fornita dalle Forze di Difesa Israeliane (Idf), i palestinesi avrebbero reagito all’aggressione dei coloni, lanciando pietre a loro volta. A seguito di ciò, la sicurezza dei coloni avrebbe arrestato Ballal e gli altri due uomini coinvolti, consegnandoli poi alla polizia israeliana. Fonti locali riportano che anche un colono sarebbe stato arrestato nel corso degli eventi, come riportato dal quotidiano Haaretz.

Ballal ha spiegato al suo avvocato che, durante l’attacco, stava documentando gli eventi, ma sarebbe poi corso verso casa nel tentativo di proteggere la sua famiglia. In base alla sua ricostruzione, un colono, accompagnato da due soldati dell’Idf, lo avrebbe colpito al volto con un pugno, facendolo cadere a terra, per poi sferrargli un calcio. Successivamente, i soldati israeliani avrebbero proceduto al suo arresto, portandolo da un medico militare che, secondo quanto dichiarato dal regista, non avrebbe registrato le ferite subite e gli avrebbe fornito solo cure minime.

Dopo l’arresto, il regista ha raccontato di essere stato lasciato a terra, legato e bendato, sotto costante sorveglianza di due soldati. Ballal ha inoltre denunciato di essere stato picchiato e intimidito con due colpi di avvertimento sparati in aria. Anche Khaled Shanran e Nasser Shariteh hanno fornito testimonianze, descrivendo un attacco da parte dello stesso colono, accompagnato da circa 15 giovani mascherati, che li avrebbe aggrediti nelle loro abitazioni, mentre i soldati presenti non avrebbero preso alcuna iniziativa.

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Nuove disposizioni europee sulle patenti di guida

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Patente digitale, guida accompagnata a partire dai 17 anni, regolamentazioni più rigide per i neopatentati e criteri rafforzati in materia di sicurezza stradale: questi sono alcuni dei punti cardine inclusi nell’accordo raggiunto tra il Parlamento e il Consiglio europeo per la revisione della direttiva UE sulle patenti di guida.

L’intesa è stata siglata nella notte tra lunedì e martedì, stabilendo l’adozione di un formato digitale per le patenti di guida, che diventerà lo standard ufficiale. Questo documento elettronico sarà accessibile tramite smartphone e valido in tutto il territorio dell’Unione Europea, mentre rimarrà comunque possibile richiedere la versione in formato cartaceo. Con l’entrata in vigore ufficiale, gli Stati membri avranno quattro anni per recepire le nuove normative e un massimo di cinque anni e mezzo per implementare la tecnologia necessaria. L’Italia, anticipando i tempi, ha già reso disponibile la patente digitale per i cittadini italiani a partire da dicembre 2024.

Per quanto riguarda i neopatentati, il periodo di prova sarà esteso a un minimo di due anni, accompagnato da misure più severe per chi verrà sorpreso alla guida in stato di ebbrezza o senza l’utilizzo delle cinture di sicurezza. I Paesi membri saranno inoltre incoraggiati a introdurre una politica di tolleranza zero nei confronti del consumo di alcol e droghe. Inoltre, sarà possibile conseguire la patente per camion già a 18 anni (anziché 21) e quella per autobus a 21 anni (anziché 24), purché il candidato sia in possesso del certificato di competenza professionale. Ogni Stato membro potrà autorizzare la guida accompagnata a partire dai 17 anni.

La validità delle patenti sarà fissata a 15 anni per auto e moto, con una possibile riduzione a 10 anni qualora il documento funzioni anche come carta d’identità nazionale. Per i cittadini con età superiore ai 65 anni, i tempi di rinnovo potranno essere ulteriormente accorciati. Per camion e autobus, la durata di validità sarà limitata a cinque anni. L’acquisizione della patente sarà subordinata alla formazione specifica sui rischi per gli utenti vulnerabili, sull’uso sicuro del cellulare, sugli angoli ciechi, sui sistemi di assistenza alla guida e sulla conduzione del veicolo in condizioni pericolose. Un controllo medico iniziale sarà obbligatorio, ma per auto e moto potrà essere sostituito da un’autovalutazione o da alternative previste per i rinnovi.

Infine, gli Stati membri saranno invitati a promuovere campagne di sensibilizzazione per informare il pubblico sugli standard minimi di idoneità psico-fisica richiesti per la guida, al fine di migliorare la consapevolezza e la sicurezza sulle strade.

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Esteri

Trump: “Accordo imminente su terre rare e dialogo sulla centrale di...

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Stati Uniti e Ucraina sono prossimi alla formalizzazione di un’intesa cruciale riguardante le terre rare, mentre le trattative includono anche la gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Ad annunciarlo è Donald Trump, che ha fatto il punto sui negoziati in atto con Kiev e, parallelamente, con Mosca.

Durante una serie di incontri a Riad, in Arabia Saudita, la delegazione statunitense ha avviato colloqui con entrambe le parti coinvolte nel conflitto. “Ci sono sviluppi promettenti. Il nostro obiettivo è porre fine alla guerra e ridurre gli ingenti costi economici che stiamo sostenendo. È arrivato il momento di agire”, ha dichiarato Trump nel corso di una riunione del suo gabinetto alla Casa Bianca.

Il presidente ha sottolineato che i colloqui sono in pieno svolgimento, sebbene non sia stata ancora raggiunta alcuna decisione definitiva. “Stiamo discutendo di territori, di linee di confine e della proprietà degli impianti energetici, con particolare attenzione alla grande centrale nucleare di Zaporizhzhia. La nostra esperienza in questo settore è indiscutibile”, ha aggiunto.

Secondo Trump, sia l’Ucraina che la Russia hanno manifestato interesse a concludere un accordo. “L’Ucraina ne ha bisogno e la Russia lo desidera. Abbiamo una squadra di esperti dedicata a portare avanti questa mediazione”, ha spiegato, mettendo in evidenza il ruolo centrale svolto da Washington in questa delicata fase negoziale.

Inoltre, i negoziati con l’Ucraina comprendono un importante accordo relativo allo sfruttamento delle terre rare, risorse minerarie strategiche che sono essenziali per numerosi settori industriali. “L’intesa è praticamente definita e sarà formalizzata a breve”, ha concluso il presidente.

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Esteri

Arresto del regista Hamdan Ballal dopo l’aggressione in Cisgiordania

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Il celebre regista Hamdan Ballal, premiato agli Oscar per il documentario No Other Land, è stato arrestato dalle forze israeliane nella giornata di lunedì 24 marzo. Secondo quanto riportato dal quotidiano Haaretz, Ballal è stato vittima di un’aggressione da parte di numerosi coloni in Cisgiordania, un attacco che ha causato ferite a lui e ad altre persone presenti.

Dopo essere stato soccorso e caricato su un’ambulanza per ricevere assistenza medica, l’arrivo dei soldati israeliani ha cambiato il corso degli eventi: il regista è stato prelevato dal mezzo sanitario e successivamente arrestato, come riportato sempre da Haaretz.

Yuval Abraham, co-autore del documentario No Other Land, ha dichiarato sulla piattaforma X che il collega sarebbe stato “linciato” durante l’attacco dei coloni, riportando gravi ferite alla testa e allo stomaco. Al momento, Abraham non è in grado di confermare la posizione attuale di Ballal né se stia ricevendo cure mediche adeguate.

Secondo fonti palestinesi citate dal Times of Israel, l’aggressione si è verificata nei pressi del villaggio di Susya, situato nella parte meridionale della Cisgiordania. Decine di coloni avrebbero lanciato pietre contro gli abitanti locali, danneggiando auto e abitazioni. In risposta, alcuni palestinesi avrebbero reagito a loro volta con il lancio di pietre.

Stando alle testimonianze oculari, l’attacco avrebbe provocato il ferimento di quattro palestinesi, la maggior parte dei quali in maniera lieve. La polizia israeliana ha confermato l’arresto di tre palestinesi durante gli scontri, tra cui, secondo un testimone, anche Hamdan Ballal. Il regista sarebbe stato colpito alla testa da una pietra, ma le sue condizioni rimangono al momento sconosciute.

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Esteri

Erdogan e la deriva autoritaria in Turchia: un bivio cruciale

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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sfruttando un contesto di permissività internazionale, sembra avanzare ulteriormente verso un consolidamento del proprio potere in senso autoritario. La recente incarcerazione di Ekrem Imamoglu, considerato l’unico politico dell’opposizione in grado di sfidare e potenzialmente sconfiggere Erdogan e il suo partito Akp, rappresenta un chiaro segnale in questa direzione. Secondo Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), la situazione attuale pone la Turchia di fronte a un bivio fondamentale, lasciando aperta la domanda se si sia ormai oltrepassata una linea rossa invisibile che potrebbe segnare il punto di non ritorno per il Paese.

Tocci sottolinea che ci troviamo di fronte a due possibili scenari: da un lato, il rischio che la Turchia scivoli definitivamente verso un sistema autoritario; dall’altro, la possibilità che Erdogan abbia compiuto un passo troppo azzardato, aprendo forse la strada a un declino del proprio regime. Tuttavia, per comprendere appieno le mosse del leader turco, è necessario analizzare il contesto geopolitico oltre i confini nazionali.

Il panorama internazionale appare particolarmente favorevole a Erdogan per due ragioni principali. In primo luogo, gli Stati Uniti, nel pieno di un possibile cambio di regime interno, sembrano meno inclini a preoccuparsi della deriva autoritaria della Turchia, soprattutto sotto l’influenza dell’ex presidente Donald Trump. In secondo luogo, la guerra in Ucraina e il progressivo disimpegno degli Stati Uniti dall’Europa hanno creato un vuoto che Erdogan sta abilmente sfruttando, offrendosi come partner strategico per la sicurezza europea. Questo gli garantisce una certa leva politica nei confronti dei paesi europei, che, pur condannando le sue azioni interne, tendono a chiudere un occhio per questioni di convenienza geopolitica.

A contribuire ulteriormente a questa situazione è il panorama politico interno. Mentre l’ex leader dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu, del Chp, non rappresentava una reale minaccia elettorale per Erdogan, Imamoglu, secondo i sondaggi, è l’unico avversario capace di prevalere su di lui in una competizione presidenziale. Questo spiega la crescente pressione esercitata contro di lui. Nel frattempo, Erdogan non solo intende ricandidarsi, ma vuole anche promuovere una modifica costituzionale che gli consenta di farlo, consolidando ulteriormente il suo potere.

Secondo Tocci, il rischio concreto è che la Turchia, già in una fase di graduale scivolamento verso l’autoritarismo, possa trasformarsi in un sistema pienamente autoritario, simile a quello russo. Tuttavia, le sue azioni stanno generando una reazione significativa all’interno del Paese. Per molti cittadini turchi, la questione è ormai una lotta esistenziale per la sopravvivenza della democrazia.

Resta da capire quale sarà l’esito di questa situazione. Tocci ricorda che non è possibile prevedere se questa ondata di proteste seguirà il destino delle manifestazioni del Gezi Park del 2013, che furono represse con successo da Erdogan, oppure se questa volta il leader turco abbia oltrepassato un limite che potrebbe segnare l’inizio del suo declino. La risposta a questa domanda sarà cruciale per il futuro politico della Turchia.

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Proteste in Turchia per l’arresto del sindaco di Istanbul

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“Cessate di incitare i nostri cittadini e smettete di compromettere l’ordine pubblico”, ha dichiarato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan in un intervento televisivo. Le sue parole arrivano nel pieno delle manifestazioni in corso in Turchia, scaturite dall’arresto di Ekrem Imamoglu, accusato di corruzione. Imamoglu, esponente del partito di opposizione Chp e figura di spicco nel panorama politico rivale al presidente, è stato momentaneamente sospeso dal ruolo di sindaco di Istanbul. Erdogan ha lanciato un monito: “Se siete innocenti, difendetevi dalle accuse che vi sono state rivolte”.

Le proteste, che hanno avuto inizio il 19 marzo, hanno portato al fermo di oltre 1.100 persone in diverse località del paese. Secondo quanto riportato dal sindacato turco dei giornalisti tramite la piattaforma X, sono stati trattenuti anche nove reporter, tra cui un fotogiornalista dell’agenzia Afp, mentre documentavano le manifestazioni. Un bilancio alternativo fornito dall’organizzazione Mlsa segnala invece il fermo di dieci giornalisti.

Il presidente Erdogan ha poi intensificato il suo attacco all’opposizione, affermando che “alla principale forza politica rivale non può essere affidata la gestione dello Stato, né tanto meno quella dei comuni”. Ha inoltre accusato il Chp di aver ignorato le accuse di corruzione, malversazione e cattiva gestione, preferendo rilasciare dichiarazioni che, a suo dire, rappresentano “le più infondate e vergognose nella storia politica del nostro paese”.

Secondo Erdogan, “lo spettacolo dell’opposizione giungerà inevitabilmente a termine e saranno costretti a fare i conti con il danno arrecato alla nazione”. Ha poi denunciato la trasformazione delle proteste in episodi di violenza pura, promettendo che “i responsabili di questo caos saranno chiamati a rispondere delle loro azioni”.

Nel frattempo, le tensioni non accennano a placarsi. Nuove manifestazioni sono attese in Turchia, con iniziative come il boicottaggio delle lezioni promosso dagli studenti delle principali università di Istanbul e Ankara. Come riportato dall’agenzia Afp, per questa sera è previsto un ulteriore raduno presso gli uffici municipali di Istanbul.

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Donald Trump critica un ritratto esposto nel Campidoglio del Colorado

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L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha espresso il suo disappunto riguardo al ritratto che lo raffigura, attualmente esposto nel Campidoglio dello Stato del Colorado. Trump ha dichiarato che l’opera, commissionata dal governatore, non riflette adeguatamente la sua immagine, definendola un lavoro di qualità inferiore.

In un post sul social Truth, Trump ha affermato: “A nessuno piace vedere una rappresentazione poco lusinghiera di sé. Il ritratto che mi riguarda, esposto insieme a quelli degli altri presidenti, è talmente distorto che difficilmente ho visto qualcosa di simile in passato.” L’artista Sarah Boardman, già nota per aver ritratto il presidente Obama in maniera impeccabile, viene criticata dall’ex presidente, che ipotizza un calo di talento. “Meglio non avere alcun ritratto piuttosto che essere rappresentato in questo modo.”

Trump ha anche sottolineato che numerosi cittadini del Colorado hanno espresso il loro malcontento per l’opera, contattandolo direttamente per manifestare il loro disagio. “Molte persone sono profondamente offese da questo ritratto.” Ha quindi sollecitato il governatore Jared Polis, definito come un rappresentante della sinistra radicale, a intervenire per rimuovere il dipinto.

L’ex presidente non ha risparmiato critiche al governatore, accusandolo di essere inefficace nella lotta alla criminalità e di non aver affrontato adeguatamente la questione dell’immigrazione illegale. In particolare, Trump ha fatto riferimento alla gang venezuelana Tren de Aragua, che avrebbe acquisito una posizione predominante nella città di Aurora. “Fortunatamente, siamo intervenuti per risolvere la situazione.” Ha concluso il suo intervento invitando Polis a riflettere sulla sua gestione e a provare vergogna per la mancata azione.

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Proteste in Turchia: Imamoglu candidato alle presidenziali 2028 dopo l’arresto

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Il Partito Popolare Repubblicano (Chp), principale forza di opposizione in Turchia, ha ufficialmente designato Ekrem Imamoglu come candidato per le elezioni presidenziali del 2028. La notizia è stata confermata da un portavoce del partito dopo la conclusione delle primarie, che si sono svolte ieri. Imamoglu, attualmente sospeso dal ruolo di sindaco di Istanbul e detenuto in custodia, era l’unico nome in corsa per questa candidatura.

Accusato di presunta “corruzione”, Imamoglu si trova in stato di detenzione dallo scorso giorno, una decisione che ha scatenato una serie di proteste senza precedenti nel Paese. Considerato il principale rivale politico del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, Imamoglu ha respinto con fermezza tutte le accuse mosse contro di lui. Gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine sono giunti al quinto giorno consecutivo, con la notte appena trascorsa che, secondo la BBC, ha visto i disordini più violenti degli ultimi anni. Lacrimogeni e proiettili di gomma sono stati utilizzati per disperdere i manifestanti, che hanno partecipato in decine di migliaia.

Un folto gruppo di persone si è riunito ieri sera nei pressi della sede comunale di Istanbul, portando con sé bandiere turche e intonando slogan contro le autorità. La polizia, come riportato dalla rete britannica, è intervenuta con l’uso di cannoni ad acqua e spray al peperoncino. Non si registravano proteste di tale portata in Turchia dal 2013, durante le manifestazioni di Gezi Park. Secondo l’agenzia Afp, manifestazioni si sono svolte in almeno 55 delle 81 province del Paese. Le autorità turche, citate dalla BBC, hanno riferito di oltre 700 arresti dall’inizio delle proteste.

Ulteriori denunce arrivano dal Partito Comunista di Turchia (Tkp), che ha annunciato tramite la piattaforma X l’arresto di Ahmet Dincel, dirigente del partito a Istanbul, prelevato dalla sua abitazione dopo aver preso parte alle mobilitazioni in favore di Imamoglu. Anche altri quattro membri del partito, impegnati in proteste a Sarachane per rivendicare il diritto della popolazione a partecipare alla vita politica, sono stati arrestati. Il Tkp ha definito tali misure “illegali” e ha richiesto il rilascio immediato di tutti i detenuti.

Parallelamente, il sindacato turco dei giornalisti ha denunciato tramite X il fermo di nove reporter, tra cui un fotoreporter dell’agenzia Afp, che stavano documentando gli eventi in diverse città. Secondo l’organizzazione non governativa Mlsa, il numero dei giornalisti arrestati ammonterebbe a dieci.

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Esteri

Nuova proposta egiziana per il cessate il fuoco a Gaza e aggiornamenti sugli scontri

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Il governo egiziano ha avanzato un’inedita proposta mirata a raggiungere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Secondo quanto riportato da una fonte vicina ai negoziati all’agenzia di stampa Al-Araby Al-Jadeed, il piano prevede che Hamas fornisca dettagli precisi, inclusi filmati, riguardanti gli ostaggi detenuti, sia vivi che deceduti. In cambio, Israele dovrebbe interrompere immediatamente le operazioni militari.

La proposta egiziana include inoltre l’avvio di negoziati più approfonditi una volta instaurata la tregua. Questi colloqui si concentrerebbero su un piano per il rilascio progressivo degli ostaggi ancora trattenuti a Gaza, accompagnato da un graduale ritiro delle forze israeliane. Tale approccio mira a stabilire una soluzione sostenibile e condivisa tra le parti in conflitto.

Nella notte, nuovi attacchi aerei israeliani hanno provocato la morte di sedici persone nella Striscia di Gaza, secondo quanto riferito da fonti mediche locali e dai media palestinesi, tra cui Al Jazeera. Poco prima, due individui erano stati uccisi in un bombardamento che ha colpito il campo profughi di Nuseirat, situato nel centro della Striscia.

Un ulteriore raid aereo israeliano ha preso di mira l’ospedale Nasser, la principale struttura sanitaria di Khan Younis. L’attacco ha causato la morte di un alto esponente di Hamas, identificato come Ismail Barhoum, responsabile degli affari finanziari del movimento. Secondo un rappresentante di Hamas, Barhoum stava ricevendo cure mediche presso l’ospedale dopo essere stato ferito in un attacco aereo quattro giorni prima. Anche un suo collaboratore è rimasto ucciso nello stesso episodio.

L’esercito israeliano ha dichiarato che l’operazione è stata condotta grazie a una “significativa attività di raccolta di informazioni” e ha sottolineato l’uso di munizioni di precisione per minimizzare i danni collaterali. Tuttavia, il ministero della Salute di Gaza, diretto da Hamas, ha riferito che molte altre persone, tra cui membri del personale medico, sono rimaste ferite. Gran parte del reparto colpito è stata distrutta, costringendo all’evacuazione dei pazienti.

Nel frattempo, nello Yemen, quattro persone hanno perso la vita e due sono rimaste ferite durante attacchi aerei statunitensi nelle città di Sana’a e Saada. Secondo il quotidiano qatariota Al-Araby Al-Jadeed, uno degli attacchi ha colpito un sito di approvvigionamento militare nei pressi della capitale Sana’a. La rete saudita Al Hadath ha riferito che un alto funzionario degli Houthi è stato eliminato durante il raid, senza fornire ulteriori dettagli sulla sua identità o posizione.

In Israele, un presunto attacco terroristico ha causato la morte di una persona e diversi feriti vicino alla città di Yokneam, nel nord del Paese. Secondo la polizia israeliana, l’aggressore avrebbe tentato di investire dei civili in attesa a una fermata dell’autobus, per poi scendere dal veicolo e aprire il fuoco con un fucile. L’assalitore è stato successivamente fermato e ucciso da un agente di polizia.

Tra le vittime, un uomo di 75 anni è deceduto dopo essere stato ricoverato in condizioni critiche, mentre un giovane di 20 anni, accoltellato durante l’assalto, versa in condizioni gravi. Anche altri civili che si trovavano alla fermata dell’autobus hanno riportato ferite dopo essere stati investiti. I paramedici hanno prestato soccorso immediato sul posto e stanno trasferendo i feriti al Rambam Health Care Campus di Haifa per ulteriori trattamenti.

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Esteri

Ucraina e Russia, rotte diplomatiche in evoluzione: Trump rilancia l’idea di fermare Putin

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Guardate, è tutto un groviglio. Un labirinto infinito di strade, senza fine. Ci sta Trump che dice di essere lui l’unico capace di spegnere sta guerra, che è lui quello giusto per fermare Putin. Un’affermazione forte, ma forse anche un po’ troppo convinta, no? Dall’altra parte c’è il Cremlino che frena: calma, calma, non aspettatevi miracoli improvvisi, non è mica tutto facile. E in mezzo? Gente che si incontra in Arabia Saudita, riunioni fitte, incontri lunghi, parole su parole. Speranze sì, tante, forse pure troppe. E noi qui, con mille dubbi e qualche briciolo di speranza vera, che ci domandiamo: voi, voi davvero ci vedete una via d’uscita? Un piccolo spazio, almeno una minima luce concreta in fondo a questo labirinto?

Trump e la fiducia in se stesso

Trump lo ha detto apertamente, senza giri di parole: “Soltanto io posso fermare Vladimir Putin”. Sì, un’affermazione che suona forte e netta. L’ha ribadita mentre parlava con il sito Outkick, esprimendo la convinzione che le sue passate discussioni con il presidente russo possano rappresentare un ponte per risolvere l’impasse. Noi ci sentiamo a metà tra lo scetticismo e la curiosità. Da un lato, fa un po’ impressione vedere con quanta sicurezza si proponga come mediatore. Dall’altro, non possiamo ignorare che nei suoi trascorsi ha avuto contatti frequenti con Putin, e magari i due si rispettano abbastanza per provare a tessere un dialogo.

Le parole del Cremlino
Eppure, Mosca non si mostra particolarmente entusiasta. Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha messo in guardia dall’illusione di un accordo immediato. “Il cammino è appena all’inizio”, ha detto con espressioni che fanno pensare a una maratona, non certo a uno sprint. Del resto, quando la posta in gioco è una possibile tregua, ci si aspetta trattative complicate, piene di ostacoli e ritorni al punto di partenza. Noi restiamo qui ad attendere sviluppi, ben consapevoli che un processo di pace richiede tempo, volontà e diplomazia.

Gli incontri a Riad

Nel frattempo, in Arabia Saudita, qualcosa si muove per davvero. La delegazione americana e quella ucraina si sono incontrate a Riad. Rustem Umerov, ministro della Difesa di Kiev, ha spiegato in un post che i colloqui mirano a rafforzare la sicurezza delle strutture energetiche e di altre infrastrutture cruciali. Non è roba da poco, perché sappiamo quanto l’energia sia un tassello vitale in questo conflitto. Umerov è affiancato da esperti militari ed energetici, e sembra piuttosto determinato a portare a casa risultati tangibili.

Domani tocca ai russi e agli americani
Stando a quanto trapela, il giorno successivo sarà dedicato al confronto diretto tra funzionari russi e statunitensi. L’obiettivo principale? Definire i contorni di un’eventuale tregua, partendo da temi tecnici come la sicurezza nel Mar Nero, la movimentazione di grano e carburante. Qui la diplomazia si fa concreta, tangibile: noi immaginiamo quei tavoli di lavoro, pieni di carte e mappe, con le delegazioni che discutono una linea di controllo e i possibili meccanismi di verifica.

Delegazioni e protagonisti

Vorremmo tutti avere uno sguardo privilegiato su ciò che accade in quelle stanze. Per ora, sappiamo che per l’Ucraina sono presenti Umerov e il consigliere militare della Presidenza Pavlo Palisa, insieme a una squadra di specialisti in infrastrutture navali e aeree. Per la Russia, l’agenzia Tass riferisce di un diplomatico di spicco, Grigory Karasin, e di un consigliere del direttore dell’Fsb, Sergey Beseda. Per gli Stati Uniti, Keith Kellogg guida un gruppo che include Michael Anton, responsabile della Pianificazione politica presso il Dipartimento di Stato, e consulenti che fanno capo a Michael Waltz, consigliere per la Sicurezza nazionale.

L’ottimismo di Waltz
C’è chi parla di pace con toni che mescolano ottimismo e prudenza. Michael Waltz, infatti, sostiene che la situazione stia evolvendo nella direzione giusta: “Mai siamo stati così vicini alla pace”, ha dichiarato, condividendo l’idea che la nuova fase di dialogo possa portare risultati reali, soprattutto dopo le ultime telefonate tra Trump e Putin. Pare che un cessate il fuoco sulle infrastrutture aeree sia già in atto. Ora, aggiunge Waltz, si valuta una tregua marittima nel Mar Nero per consentire a entrambi i Paesi di spostare merci, grano e combustibili.

Da parte nostra, non possiamo fare a meno di notare quanto sia delicato riaprire corridoi di scambio nelle acque del Mar Nero. I porti e le rotte commerciali sono un nodo cruciale nella guerra in corso, e un’intesa in quel settore farebbe ben sperare sull’idea di portare avanti un cessate il fuoco più ampio. Si riesce a immaginare un lento ritorno alla normalità?

Lo spettro di una Terza Guerra Mondiale

Trump, nelle sue dichiarazioni, è tornato più volte su un punto: il timore che il conflitto ucraino-russo possa degenerare in qualcosa di molto più grave. “Non sono soldati americani, ma potremmo rischiare di precipitare verso la terza guerra mondiale”, ha affermato. Noi avvertiamo una certa tensione nelle sue parole, perché in fondo sa che un’escalation globale sarebbe devastante sotto ogni punto di vista.

Peskov su possibili contatti riservati
Intanto, dal Cremlino trapela che potrebbero esserci stati più contatti di quanti ne siano stati resi noti tra Putin e Trump. “Vi informiamo di ciò di cui siamo a conoscenza, ma non escludiamo il resto”, ha detto Peskov, gettando un velo di mistero su quelle che potrebbero essere state conversazioni private. Noi ci chiediamo se dietro le quinte si stia giocando una partita ancora più complessa di quella pubblica.

Le voci su una tregua entro Pasqua

Alcune fonti mediatiche, tra cui Bloomberg, riferiscono che l’amministrazione Trump stia puntando a una tregua entro il 20 aprile. E sappiamo che quest’anno, secondo il calendario, la Pasqua cattolica e quella ortodossa coincidono proprio in quella data. Un segnale simbolico, se vogliamo: una pace che arrivi in un giorno di festa condivisa. Tuttavia, gli stessi americani considerano questa scadenza ambiziosa. Effettivamente, mettere d’accordo due nazioni in guerra aperta non è questione di pochi giorni.

Noi cerchiamo di capire se davvero ci sia un margine concreto per arrivare a un fermo totale delle ostilità. Gli esperti di politica estera parlano di possibili “congelamenti delle linee” e di qualche forma di interposizione, magari con meccanismi di verifica o forze terze a sorvegliare il rispetto degli accordi. Nell’aria si respira una combinazione di cautela e speranza.

Tra scetticismo e desiderio di pace

Per un attimo, proviamo a metterci nei panni di chi vive queste giornate da protagonista, seduto a un tavolo di negoziazione a Riad o a Mosca. C’è chi non vorrebbe cedere un solo centimetro, temendo di mostrarsi debole. C’è chi anela a far ripartire gli scambi commerciali nel Mar Nero, perché il grano e il carburante sono fondamentali per la sopravvivenza della popolazione. C’è poi chi spera di arginare un conflitto che potrebbe coinvolgere progressivamente altri Paesi.

Forse, la vera grande incognita è la volontà politica di tutte le parti in causa. Trump ne è convinto: con la sua mediazione, Putin e Zelensky potrebbero trovare un accordo ragionevole. Il Cremlino, però, mette le mani avanti dicendo che la strada è lunga e faticosa. E intanto, a noi resta il compito di raccontarvi tutto questo, cercando di non perdere di vista la sostanza: una guerra in corso e la concreta possibilità di innescare processi di pace.

Noi incrociamo le dita, sperando che questi incontri in Arabia Saudita siano davvero l’inizio di qualcosa di più solido. Forse l’obiettivo di una tregua entro Pasqua è audace, ma non bisogna sottovalutare la forza simbolica di una data che unisce diverse comunità religiose. Se a Riad si comincia a parlare di corridoi sicuri e cessate il fuoco mirati, allora c’è un seme di speranza. Certo, nessuno vuole illudersi: sappiamo che i negoziati sulla linea di controllo e sul mantenimento della pace sono solo un primo passo. Però vale la pena rimanere con gli occhi puntati su queste trattative. Se davvero riuscissero a fermare il fuoco, anche solo per un giorno, sarebbe un piccolo miracolo diplomatico.

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Conflitto a Gaza: aggiornamenti sugli attacchi e le operazioni militari

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Un attacco aereo lanciato da Israele nel sud di Gaza durante la notte ha causato la morte di Salah al-Bardawil, un importante esponente politico di Hamas. La notizia è stata confermata dal movimento stesso, come riportato dal Times of Israel.

La morte di Bardawil si aggiunge a quella di altri leader di Hamas uccisi nei recenti raid aerei israeliani. Tra questi, spiccano Essam Addalees, capo del governo de facto del gruppo, e Mahmoud Abu Watfa, responsabile della sicurezza interna, eliminati martedì scorso insieme ad altri funzionari di rilievo.

Secondo le autorità sanitarie di Gaza, gestite da Hamas, gli attacchi della notte hanno provocato almeno 19 vittime, tra cui lo stesso Bardawil. Il ministero della Salute di Gaza ha aggiornato il bilancio complessivo delle vittime del conflitto, che ora ammonta a 50.021 morti, mentre il numero dei feriti è salito a 113.274.

Le forze israeliane hanno annunciato di aver completato l’accerchiamento del quartiere di Tel Sultan, situato nella parte meridionale della Striscia di Gaza. L’operazione, avviata durante la notte, ha come obiettivo quello di distruggere le infrastrutture terroristiche e neutralizzare i militanti presenti nell’area, garantendo al contempo un maggiore controllo e ampliando la zona di sicurezza nel sud del territorio.

Durante questa operazione, le truppe israeliane hanno eliminato diversi militanti e sono penetrate in un complesso appartenente a Hamas. In mattinata, l’esercito aveva emesso un avviso di evacuazione immediata per i residenti palestinesi del quartiere, sottolineando l’urgenza della situazione.

Tel Sultan, come evidenziato dal Times of Israel, rappresenta un punto strategico per Hamas, con la presenza di numerosi complessi chiave e una rete di tunnel utilizzata anche per detenere ostaggi. Le forze israeliane avevano precedentemente condotto operazioni nella zona, ritirandosi durante il cessate il fuoco di due mesi iniziato a gennaio.

Parallelamente, l’esercito israeliano ha avviato operazioni di terra nel nord di Gaza, con particolare attenzione alla zona di Beit Hanoun. Questa offensiva mira a smantellare le infrastrutture di Hamas e a creare una zona cuscinetto lungo il confine. Durante l’operazione, gli aerei da combattimento israeliani hanno colpito diversi obiettivi strategici nella regione, come riportato dal Times of Israel.

Nel frattempo, sul fronte interno israeliano, il governo ha approvato una mozione di sfiducia nei confronti della procuratrice generale, Gali Baharav-Miara. Secondo quanto riferito da Haaretz, questa decisione rappresenta un primo passo verso la sua possibile destituzione. La mozione, presentata venerdì dal ministro della Giustizia Yariv Levin, segna un importante sviluppo politico interno.

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La Cina potrebbe unirsi alle forze di peacekeeping in Ucraina

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La possibilità che la Cina possa schierare proprie forze di peacekeeping in Ucraina sta emergendo come scenario concreto, qualora si raggiungesse un accordo tra Kiev e Mosca per porre fine al conflitto in corso. Secondo quanto riportato dal quotidiano tedesco Welt Am Sonntag, tali informazioni provengono da fonti diplomatiche europee ben informate sulla questione.

Fonti europee hanno sottolineato che l’eventuale partecipazione della Cina a una cosiddetta “coalizione dei volenterosi” potrebbe rappresentare un elemento determinante per aumentare l’accettazione, da parte della Russia, della presenza di truppe destinate al mantenimento della pace sul territorio ucraino. Tuttavia, questa prospettiva viene descritta come una questione estremamente “delicata”.

La Russia, infatti, si è spesso dichiarata contraria alla presenza di forze di peacekeeping europee in Ucraina. Tuttavia, nelle scorse settimane, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dichiarato che il leader russo Vladimir Putin potrebbe non opporsi all’eventuale presenza di soldati europei, ma solo dopo la formalizzazione di un accordo di pace per porre termine al conflitto. Questo tema, però, non è stato più affrontato nelle dichiarazioni successive del presidente americano, nemmeno dopo la recente telefonata con Putin avvenuta all’inizio della settimana, durante la quale è stato concordato un cessate il fuoco parziale, con l’impegno a fermare gli attacchi contro le infrastrutture energetiche.

Nel frattempo, è stato confermato che il prossimo giovedì, 27 marzo, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sarà presente a Parigi per prendere parte alla riunione della Coalizione dei volenterosi, un incontro incentrato sulla pace e sulla sicurezza in Ucraina.

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Trump annuncia il caccia di sesta generazione: l’F-47

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Il presidente Donald Trump ha ufficializzato lo sviluppo di un nuovo jet di ultima generazione, designato come F-47, destinato a rivoluzionare il settore aeronautico militare. “Gli Stati Uniti saranno i primi al mondo a disporre di un caccia di sesta generazione”, ha dichiarato dal prestigioso Studio Ovale. Secondo il leader americano, questo progetto non avrà eguali a livello globale, grazie a caratteristiche uniche come una velocità e una manovrabilità senza precedenti, oltre a dotazioni tecnologiche all’avanguardia. “Il contratto, assegnato dopo una competizione serrata, è stato vinto da Boeing”, ha aggiunto.

Descrivendo le qualità del nuovo velivolo, Trump ha affermato: “L’F-47 rappresenterà il picco tecnologico in termini di modernità e letalità. Siamo convinti che sarà di gran lunga più potente di qualsiasi altro aereo sviluppato da altre nazioni”. Il presidente ha inoltre sottolineato che il jet sarà dotato di tecnologia Stealth, rendendolo praticamente invisibile ai radar nemici. “Ci auguriamo di non doverlo mai utilizzare, ma dobbiamo essere pronti. Se sarà necessario, i nostri avversari non capiranno nemmeno cosa li ha colpiti”, ha precisato.

Trump ha poi annunciato che una nuova flotta di F-47 sarà pronta nei prossimi due anni. “La produzione è in una fase avanzata, con gran parte delle componenti già realizzate. Tuttavia, non possiamo rivelare dettagli sul costo, poiché ciò fornirebbe indizi sulle specifiche tecniche e sulle dimensioni dell’aereo”, ha spiegato con cautela.

Infine, il presidente ha rivelato l’enorme interesse internazionale nei confronti del progetto: “I nostri alleati ci contattano continuamente per acquistare il caccia. Alcuni potranno ottenere una versione con capacità ridotte del 10%, il che è una scelta sensata. Del resto, un giorno potrebbero non essere più nostri alleati…”

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Esteri

La Corte Suprema di Israele sospende il licenziamento del capo dello Shin Bet

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In Israele, la Corte Suprema ha deciso di sospendere temporaneamente la destituzione di Ronen Bar, attuale capo dello Shin Bet. Questo provvedimento resterà in vigore fino a quando non verrà convocata un’udienza per esaminare le opposizioni alla rimozione del dirigente dall’incarico.

A seguito della decisione della Corte, la procuratrice generale israeliana, Gali Baharav-Miara, ha comunicato al primo ministro Benjamin Netanyahu che gli è formalmente vietato procedere alla nomina di un nuovo capo dello Shin Bet o avviare colloqui preliminari in merito.

In una nota ufficiale, la procuratrice ha sottolineato il divieto di adottare qualsiasi iniziativa che possa compromettere la posizione di Ronen Bar. Tuttavia, questa posizione ha posto la stessa Baharav-Miara al centro di polemiche, con il governo che sta valutando una mozione di sfiducia nei suoi confronti, da discutere nella riunione prevista per domenica.

Intanto, il primo ministro Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione attraverso un post sulla piattaforma X, affermando con determinazione: “Non ci sarà una guerra civile”. Ha ribadito che “il governo avrà l’ultima parola sulla nomina del capo dello Shin Bet”, riaffermando che “Israele è uno Stato di diritto” e che il governo agirà in conformità alla legge vigente.

Questa dichiarazione segue le recenti affermazioni di Aharon Barak, ex presidente della Corte Suprema, che ha espresso preoccupazione per l’aggravarsi delle divisioni nella società israeliana. In un’intervista a Ynet, Barak ha paragonato la situazione a “un treno che deraglia, rischiando di precipitare in un baratro e scatenare una guerra civile”.

Nel frattempo, diversi partiti di opposizione e organizzazioni hanno presentato ricorsi alla Corte Suprema per impedire il licenziamento di Bar. Il giudice Gila Canfy Steinitz, citato da Haaretz, ha chiarito che la sospensione del licenziamento è stata adottata per evitare conseguenze irreversibili e non rappresenta una decisione definitiva sul merito della questione. I ricorsi saranno discussi entro l’8 aprile.

Sul fronte politico, il ministro delle Finanze Betzalel Smotrich ha criticato duramente l’intervento della Corte Suprema, dichiarando che i giudici “non determineranno né condurranno le operazioni militari”. Anche il ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi ha contestato l’autorità della Corte, definendo “nulla” la sua decisione e annunciando che “Bar lascerà l’incarico entro il 10 aprile, o forse anche prima, con la nomina di un nuovo direttore permanente dello Shin Bet”.

In contrasto, il ministro degli Interni Moshe Arbel ha espresso parere opposto, dichiarando che “il governo guidato da Benjamin Netanyahu rispetterà le disposizioni della Corte”. Arbel, insieme ai ministri del partito Shas Yaakov Margi e Michael Malkieli, ha scelto di non partecipare al voto sulla destituzione di Bar.

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Esteri

Incendio a Heathrow: l’aeroporto più trafficato d’Europa chiude per 24 ore

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L’aeroporto di Heathrow, situato a Londra e noto per essere lo scalo più frequentato d’Europa, rimarrà inattivo per un’intera giornata a causa di un grave incendio che ha interessato una sottostazione elettrica. Questo evento ha comportato un’interruzione dell’energia elettrica, come confermato dal gestore aeroportuale attraverso una comunicazione ufficiale pubblicata sul sito istituzionale. Heathrow sta attualmente affrontando una critica mancanza di corrente, si legge nella nota.

Le autorità aeroportuali hanno avvertito che la situazione causerà pesanti disagi nei prossimi giorni, con effetti significativi su centinaia di voli e migliaia di viaggiatori. Nella comunicazione, è stato sottolineato che i passeggeri non devono recarsi in aeroporto fino a quando la riapertura non verrà annunciata ufficialmente.

Secondo i dati forniti dalla piattaforma di monitoraggio dei voli FlightRadar24, l’interruzione delle attività di Heathrow influirà su almeno 1.351 voli programmati in arrivo e in partenza. Inoltre, al momento della comunicazione ufficiale della chiusura, erano in volo circa 120 aerei diretti verso lo scalo londinese.

La causa dell’interruzione è attribuita a un incendio di grandi proporzioni verificatosi in una sottostazione elettrica situata a Hayes, una località del distretto londinese di Hillingdon. I vigili del fuoco di Londra hanno confermato che l’incendio, definito grave, è stato domato grazie all’intervento di dieci autopompe e circa settanta pompieri. Durante le operazioni, circa 150 persone sono state evacuate dalle aree circostanti. Attualmente, l’incendio è stato dichiarato sotto controllo.

Pat Goulbourn, portavoce del corpo dei vigili del fuoco, ha elogiato l’operato della squadra, affermando che i pompieri hanno lavorato in condizioni particolarmente difficili per contenere l’incidente e prevenirne l’estensione. Ha inoltre confermato che il personale rimarrà sul posto per tutto il giorno per fornire supporto al gestore della rete elettrica, la National Grid.

Nel frattempo, l’aeroporto di Gatwick, il secondo scalo più importante del Regno Unito, ha iniziato ad accogliere alcuni voli originariamente diretti a Heathrow. Un portavoce di Gatwick ha dichiarato che lo scalo sta fornendo assistenza accettando i voli dirottati, laddove necessario.

Anche l’Italia è stata coinvolta nelle conseguenze di questa chiusura. Presso l’aeroporto di Fiumicino, sono stati cancellati cinque voli in partenza e altrettanti in arrivo da Heathrow. Fonti aeroportuali riferiscono che, nonostante le cancellazioni, non si registrano code o passeggeri in attesa. I viaggiatori sono stati prontamente informati sia dalle compagnie aeree, sia da ADR attraverso monitor informativi, chatbot e il sito web ufficiale.

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Tensione nella penisola coreana: Kim Jong-un supervisiona test missilistico

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Il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, ha recentemente presieduto un nuovo test relativo a un avanzato sistema di missili antiaerei, in un contesto di crescenti tensioni nella penisola coreana. Queste pressioni, secondo quanto riportato da Pyongyang, sarebbero intensificate dal ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti.

Un comunicato diffuso dall’agenzia di stampa nordcoreana KCNA ha sottolineato che la prova ha messo in evidenza la rapidità operativa e la affidabilità tecnica del nuovo sistema d’arma, evidenziando i progressi tecnologici compiuti nel settore della difesa.

Kim Jong-un, accompagnato da esponenti della Commissione Militare Centrale del Partito dei Lavoratori, ha dichiarato che le forze armate nordcoreane saranno presto equipaggiate con un innovativo sistema difensivo dotato di capacità operative superiori. Il leader ha inoltre espresso riconoscenza verso il team di ricerca e l’industria delle munizioni, lodandone il contributo al potenziamento della sicurezza nazionale.

Parallelamente, nella stessa giornata, si sono concluse le esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud, denominate “Scudo della Libertà”. Queste operazioni hanno suscitato forti critiche da parte del Ministero degli Esteri nordcoreano, che le ha definite un “atto aggressivo” mirato a una possibile invasione della Corea del Nord.

In un comunicato ufficiale, il Ministero degli Esteri della Corea del Nord ha evidenziato che le provocazioni militari da parte delle forze ostili hanno raggiunto un livello tale da non poter essere ignorato o tollerato. Di conseguenza, la posizione delle forze armate della Repubblica Popolare Democratica di Corea è chiaramente orientata al contrasto diretto di tali minacce.

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Esteri

Re Carlo e l’offerta segreta a Donald Trump: un’alleanza strategica con il...

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Re Carlo sarebbe pronto a proporre un’inedita e riservata iniziativa diplomatica a Donald Trump, in occasione della visita di Stato nel Regno Unito a cui il presidente americano è stato invitato. La proposta, che potrebbe rappresentare una svolta nelle attuali tensioni commerciali tra Stati Uniti e Canada legate alla “guerra dei dazi”, consisterebbe nell’offrire agli Stati Uniti lo status di “membro associato” del Commonwealth delle Nazioni, un’organizzazione che riunisce 56 Paesi, molti dei quali condividono legami storici con l’ex Impero britannico.

In seguito all’imposizione di dazi pressoché generalizzati su numerosi beni canadesi esportati verso gli Stati Uniti, Trump ha più volte avanzato l’idea che il Canada possa unirsi agli Stati Uniti come 51º Stato. Tuttavia, il Canada, che è parte integrante del Commonwealth e riconosce il sovrano britannico come capo di Stato, potrebbe vedere nell’adesione americana all’organizzazione un modo per allentare le attuali tensioni economiche e politiche.

La Royal Commonwealth Society (RCS) aveva già suggerito l’entrata degli Stati Uniti nel Commonwealth durante il primo mandato presidenziale di Trump, con il supporto della Regina Elisabetta. Questa proposta, riproposta ora durante il secondo mandato, è tornata al centro delle discussioni. I membri della RCS auspicano che il Re possa invitare ufficialmente Trump a partecipare al prossimo incontro dell’organizzazione. Secondo una fonte riportata dal Daily Mail, “si sta valutando questa possibilità ai più alti livelli”. La fonte ha inoltre sottolineato che questa iniziativa rappresenterebbe un simbolo tangibile della profonda connessione tra Regno Unito e Stati Uniti. “Trump nutre un forte affetto per la Gran Bretagna e ammira profondamente la Famiglia Reale, motivo per cui riteniamo che possa comprendere i vantaggi di questa proposta”, ha dichiarato la fonte.

La prima comunicazione formale della Royal Commonwealth Society a Trump risale al 2017 ed è stata consegnata da Nigel Farage, leader di ‘Reform’. Più recentemente, una nuova lettera è stata recapitata personalmente al Presidente americano da Sir Keir Starmer, invitandolo a una seconda visita di Stato nel Regno Unito. Secondo fonti vicine alla Casa Bianca, Trump ha accolto con entusiasmo l’invito, definendo il Regno Unito un “Paese straordinario” e dichiarando che la visita sarebbe stata per lui un “onore”.

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Ucraina, Zelensky sfida Putin e Trump: “Crimea è nostra”  

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L’Ucraina non rinuncia alla Crimea. Lo dice in maniera netta il presidente Volodymyr Zelensky, oggi a Oslo, fissando un paletto nella strada dei negoziati per porre fine alla guerra con la Russia. Gli Stati Uniti, mediatori nel dialogo, a più riprese hanno prospettato l’ipotesi concreta – se non scontata – di cessioni territoriali da parte dei Kiev.

La Russia ha annesso la Crimea sin dal 2014 e, nel conflitto, ha parzialmente invaso Lugansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia, tutte considerate annesse. Nella telefonata di ieri con il presidente americano Donald Trump, dice Zelensky, non è stato affrontato il tema delle cessioni territoriali e in particolare della Crimea. “E’ una penisola ucraina, il presidente Trump non ne ha parlato con me”, dice il presidente ucraino nella conferenza con il primo ministro norvegese Jonas Gahr Store.

In Crimea, prosegue Zelensky, “si possono fare tante cose. Hotel a cinque stelle, tanti edifici diversi”, ma senza gli ucraini, ha precisato, i turisti non arriveranno. Sotto il controllo russo, la Crimea ”sta semplicemente morendo”.

Zelensky puntualizza un altro tema affrontato nel colloquio con Trump. Gli Stati Uniti sono disposti a gestire le centrali ucraine, per garantirne il funzionamento e la sicurezza. “Le centrali nucleari appartengono al popolo ucraino. Si tratta di centrali nucleari di proprietà statale, non di proprietà privata in Ucraina”, specifica Zelensky. Il presidente ucraino spiega di non aver parlato direttamente della proprietà dell’impianto di Zaporizhzhia nella sua telefonata con Trump. Ma quando il presidente americano gli ha chiesto cosa pensasse della centrale nucleare, attualmente controllata dalla Russia, Zelensky ha risposto: “Se non appartiene all’Ucraina, non funzionerà per nessuno”.

L’Ucraina continua a non fidarsi di Vladimir Putin: Kiev ha accettato il cessate il fuoco di 30 giorni proposto dagli Usa ma non ritiene che la Russia voglia interrompere la guerra.

Il sì di Mosca ad un cessate il fuoco parziale relativo alle infrastrutture energetiche è considerato poco credibile, alla luce degli attacchi delle ultime ore. Inviati ucraini incontreranno una delegazione americana lunedì 24 marzo in Arabia Saudita per discutere degli attacchi russi. Sempre lunedì, in Arabia, si terranno a Riad colloqui tra le delegazioni inviate da Russia e Stati Uniti.

“Dobbiamo continuare a fare pressione sulla Russia affinché Putin la smetta con le manipolazioni e compia i passi concreti che tutto il mondo vuole”, accettando prima un cessate il fuoco limitato e poi estendendolo. “Tutti hanno visto che l’Ucraina accetta incondizionatamente” il processo per il cessate il fuoco e ”aspettiamo che anche l’aggressore accetti questo”, afferma Zelensky.

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Esteri

Dazi Usa, Ue: tutte le contromisure a metà aprile  

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L’Ue sta pensando di far entrare in vigore “a metà aprile” sia le vecchie contromisure già adottate per i dazi Usa, poi sospese e che dovrebbero essere riattivate, sia quelle nuove, riallineando i tempi. Lo ha spiegato, oggi in audizione in commissione al Parlamento Europeo, il commissario al Commercio Maros Sefcovic. In precedenza era stato detto che le prime sarebbero entrate in vigore prima delle seconde.

“Alla luce del recente annuncio che gli Stati Uniti stanno pianificando di introdurre dazi aggiuntivi il 2 aprile – ha detto agli eurodeputati – stiamo ora valutando di allineare i tempi delle due serie di contromisure Ue”, la riattivazione di quelle già adottate e poi sospese e quelle nuove, “in modo da poter consultare contemporaneamente gli Stati membri su entrambe le liste”. Questo, ha continuato, “ci darà anche più tempo per i negoziati per cercare di trovare una soluzione reciprocamente accettabile”.

Di conseguenza, ha aggiunto, “tutte le contromisure Ue annunciate il 12 marzo entrerebbero in vigore a metà aprile. Questo approccio ci consentirebbe di fornire una risposta ferma, proporzionata, solida e ben calibrata alle misure statunitensi. Mentre, allo stesso tempo, sono stato incaricato dalla presidente Ursula von der Leyen di continuare i colloqui per cercare di trovare una soluzione con gli Stati Uniti”.

“Secondo le analisi della Bce, un dazio statunitense del 25% sulle importazioni dall’Europa ridurrebbe la crescita dell’area dell’euro di circa 0,3 punti percentuali nel primo anno. Una risposta europea sotto forma di aumento dei dazi sulle importazioni dagli Stati Uniti farebbe salire questa riduzione a circa mezzo punto percentuale”, ha affermato oggi la presidente della Bce, Christine Lagarde, durante un’audizione al Parlamento europeo, sottolineando che “la situazione è ovviamente in evoluzione e qualsiasi stima è soggetta a un’elevata incertezza”.

L’impatto maggiore sulla crescita economica si concentrerebbe nel primo anno successivo all’aumento dei dazi, per poi attenuarsi nel tempo, lasciando tuttavia un effetto negativo persistente sul livello della produzione, ha continuato Lagarde, ricordando che l’area euro, “molto aperta al commercio e profondamente integrata nelle catene di approvvigionamento globali, specialmente con gli Stati Uniti, è particolarmente esposta ai cambiamenti nelle politiche commerciali”.

Inoltre, se gli Usa imponessero dazi del 25% e l’Ue rispondesse a tono, le prospettive di inflazione “diventerebbero significativamente più incerte. Nel breve termine, le misure di ritorsione dell’Ue e un indebolimento del tasso di cambio dell’euro – dovuto a una minore domanda statunitense di prodotti europei – potrebbero aumentare l’inflazione di circa mezzo punto percentuale”, ha affermato la presidente della Banca centrale europea, aggiungendo che nel medio termine l’effetto si attenuerebbe “poiché la minore attività economica ridurrebbe le pressioni inflazionistiche”. “Voglio sottolineare ancora una volta che queste stime sono soggette a un’incertezza molto elevata, dato che l’impatto degli aumenti tariffari potrebbe essere non lineare, ad esempio a causa di una significativa riconfigurazione delle catene di approvvigionamento globali”, ha affermato Lagarde.

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Consiglio Ue, oggi il summit su difesa e riarmo. Von der Leyen: “Giorni...

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“Questi sono giorni decisivi per l’Europa. Abbiamo un’agenda fitta per il Consiglio Europeo”. Così la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, a margine del prevertice del Ppe a Bruxelles. Riarmo, difesa Ue e Ucraina al centro del summit europeo di oggi.

“Naturalmente – aggiunge – discuteremo dell’Ucraina, di come arrivare finalmente a una pace giusta. Ma siamo sfidati nella nostra competitività e siamo sfidati nella nostra agenda sulla sicurezza. Quindi, il tema della competitività sarà importante per questo Consiglio Europeo”. Inoltre, “Readiness 2030, il Libro bianco, il nuovo piano per la sicurezza saranno anche al centro della discussione che avremo oggi”.

Von der Leyen ha intanto partecipato presso l’Europa Building di Bruxelles alla riunione di coordinamento sul tema delle migrazioni, co-presieduta da Italia, Paesi Bassi e Danimarca.

Intanto, secondo quanto si apprende, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha partecipato al pre-vertice di Ecr prima dell’inizio dei lavori del Consiglio europeo. La leader di Fdi ha incontrato in albergo il premier ceco Petr Fiala, l’omologo belga Bart De Wever e l’ex premier polacco Mateusz Morawiecki, presidente dei Conservatori e riformisti europei.

Prima di partire per Bruxelles la premier è intervenuta alla Camera, scatenando la bagarre tra le opposizioni. Ieri infatti Meloni ha infiammato l’Aula di Montecitorio criticando alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene, considerato uno dei testi fondanti dell’Unione europea: “Non è la mia Europa”, ha dichiarato.

Le tensioni hanno raggiunto l’apice con le proteste del Pd, tanto da costringere la presidenza a sospendere la seduta per ben due volte. Dopo aver illustrato al Senato la linea che il governo porterà al summit Ue, Meloni si è presentata per le comunicazioni ufficiali. Nel suo intervento, ha ribadito i punti chiave del discorso tenuto il giorno prima a Palazzo Madama: la necessità di mantenere unito il fronte occidentale e l’urgenza di trovare una soluzione al nodo dei dazi, per scongiurare una guerra commerciale con gli Stati Uniti che rischierebbe di penalizzare ulteriormente l’Italia.

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Esteri

Il principe William in Estonia per sostenere le truppe britanniche  

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Il principe William arriverà oggi in Estonia nel segno del suo sostegno al Paese e alle truppe britanniche stanziate nel Paese baltico, che svolgono un ruolo di deterrente nei confronti della Russia. Il principe di Galles volerà nella capitale Tallinn per un viaggio di due giorni per conto del governo del Regno Unito e del Foreign Office. La sua visita giunge in un momento cruciale per rassicurare gli estoni sull’impegno della Gran Bretagna nei confronti della loro sicurezza e di quella dell’Ucraina.

L’Estonia condivide 295 chilometri di confine con la Russia ed è un importante sostenitore dell’Ucraina. Domani, il principe si recherà al campo di Tapa, a 160 chilometri dal confine russo, nel suo ruolo di colonnello in capo del reggimento Mercian. Le forze britanniche vengono dispiegate in Estonia e Polonia nell’ambito dell’operazione Cabrit, il contributo del Regno Unito agli sforzi della Nato come deterrente per la Russia negli Stati baltici.

Circa 900 militari britannici ruotano costantemente accanto alle forze danesi, francesi ed estoni. La visita reale è stata pianificata da alcuni mesi, ma giunge particolarmente tempestiva mentre il primo ministro Keir Starmer sta tenendo colloqui con i suoi omologhi sul potenziale coinvolgimento delle truppe in un eventuale cessate il fuoco tra Russia e Ucraina. Fonti diplomatiche hanno affermato che, nel contesto attuale, l’Estonia teme che, in seguito a un accordo di pace, la Russia possa riarmarsi rapidamente e minacciare nuovamente l’Ucraina o attaccare Tallinn e altri alleati della Nato nell’Europa settentrionale, il che la induce ad attribuire ancora più valore alla presenza militare del Regno Unito nel Paese.

Il viaggio a Tallinn includerà la visita alla Freedom School, fondata dal Ministero dell’Istruzione e della Ricerca britannico nel maggio 2022. Si stima che attualmente vi vivano circa 60.000 rifugiati ucraini. Ascolterà anche le aziende di tecnologie che stanno innovando nel campo delle energie rinnovabili, dopo che gli Stati baltici si sono recentemente disconnessi dalla rete elettrica controllata dalla Russia e si sono uniti alla principale rete elettrica europea.

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“L’Europa partito della guerra”, la versione di Mosca per mettere pressione...

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La realtà si può deformare in tanti modi, fino ad arrivare a capovolgerla. Nella versione di Mosca, affidata come sempre quando la propaganda si fa più spinta al portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, l’Europa è diventata ‘il partito della guerra’. Non è più solo in discussione la dialettica tra aggressore e aggredito, che da tre anni vede la Russia invadere e martoriare l’Ucraina, ma c’è anche una inversione della minaccia futura: l’Europa che si militarizza diventa un problema per la Russia. E non viceversa.

Si può partire dai qui per raccontare come intorno alle trattative per arrivare a risolvere in qualche modo la guerra in Ucraina, stia prendendo forma un altro tema: quale ruolo può e deve avere l’Europa nella già complicata triangolazione tra Putin, Trump e Zelensky? Nelle aspettative dei primi due, nessuno o quasi. Almeno nella definizione delle condizioni per la resa di Kiev.

“L’Europa ha avviato la sua militarizzazione e si è trasformata in un certo modo in un partito della guerra”, dice Peskov, mentre oggi si svolge a Londra la riunione dei vertici militari della “coalizione dei volenterosi” per difendere l’Ucraina. “I segnali che nella maggior parte arrivano da Bruxelles e dalle capitali europee riguardano piani per militarizzare l’Europa”, ha aggiunto, affermando, riporta la Tass, che questo è “chiaramente in contrasto con l’atteggiamento dei presidenti di Russia e Usa che cercano modi per una processo di risoluzione pacifica”.

L’attacco di Peskov all’Europa è mirato e prevedibile. Basta leggere la bozza di risoluzione che si appresta a votare il Consiglio Ue (con il voto contrario dell’Ungheria) per capirne le ragioni. “Il Consiglio europeo accoglie con favore la dichiarazione congiunta di Ucraina e Stati Uniti a seguito del loro incontro in Arabia Saudita dell’11 marzo 2025, comprese le proposte per un accordo di cessate il fuoco, gli sforzi umanitari e la ripresa della condivisione di intelligence e dell’assistenza alla sicurezza degli Stati Uniti. Il Consiglio europeo invita la Russia a mostrare una reale volontà politica per porre fine alla guerra”.

Il sostegno europeo a Kiev, evidentemente, non è così marginale come si vuole far credere. Anche perché Bruxelles continua a garantire finanziamenti che servono all’Ucraina per non crollare. E’ di oggi l’erogazione di un’ulteriore tranche di un miliardo di euro del suo prestito eccezionale di assistenza macrofinanziaria a Kiev. “Stiamo ribadendo il nostro fermo impegno nei confronti dell’Ucraina. Stiamo aiutando l’economia del paese a rimanere sulla buona strada e a ricostruire le infrastrutture critiche danneggiate dall’aggressione russa. Continueremo a sostenere l’Ucraina finché sarà necessario”, sintetizza Ursula Von der Leyen.

Intanto, sul piano militare, sembra lontana la prospettiva di una tregua reale. “Gli attacchi della Russia contro l’Ucraina continuano, nonostante le sue dichiarazioni propagandistiche. Ogni giorno e ogni notte ci sono un centinaio o più di droni e gli attacchi missilistici non si fermano. Con ogni lancio di questo tipo, i russi mostrano al mondo il loro vero atteggiamento nei confronti della pace”, denuncia Zelensky su Telegram.

Un attacco con droni attribuito ai militari ucraini ha provocato un incendio nelle strutture della base aerea russa di Engels, nella regione di Saratov, affermano le autorità russe, parlando dell”attacco con droni “più vasto di sempre”. La portavoce della diplomazia russa, Maria Zakharova, accusato il governo ucraino di aver condotto degli attacchi contro infrastrutture energetiche russe e di aver quindi dimostrato “una totale mancanza di volontà politica per la pace e per la risoluzione del conflitto attraverso metodi diplomatici”. Ancora muro contro muro, in attesa del prossimo appuntamento negoziale. (Di Fabio Insenga)

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Taiwan, esercitazioni contro attacco Cina: “Nel 2027 rischio invasione”  

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Il governo di Taiwan ha indicato il 2027 come un anno cruciale, in quanto la Cina potrebbe essere pronta ad avviare un’invasione dell’isola. Questa previsione è stata inserita in un documento ufficiale pubblicato a seguito delle esercitazioni annuali programmate per luglio. Durante queste manovre, i militari taiwanesi simuleranno una possibile difesa da un attacco cinese ipotizzato proprio per il 2027, come confermato dal Ministero della Difesa di Taipei. Il rapporto, presentato al Parlamento, evidenzia che gli scenari di addestramento si concentreranno su una possibile “invasione cinese” in quell’anno.

L’isola, che opera come una nazione indipendente, difende strenuamente la propria democrazia. Tuttavia, Pechino continua a considerarla una “provincia ribelle” e non esclude l’uso della forza per perseguire la tanto desiderata “riunificazione”. Il documento inoltre sottolinea che l’obiettivo principale di queste esercitazioni militari è contrastare le tattiche della “zona grigia”, una strategia spesso adottata dalla Cina, che comporta azioni ostili ma che non si configurano come un conflitto aperto.

Nel testo si specifica che i comandanti, a tutti i livelli, pianificheranno situazioni e scenari basati su un approccio pratico, valutando le possibili mosse del nemico. L’intento di Taiwan è quello di testare la capacità delle sue truppe di seguire i piani operativi, costruendo una forza militare pronta a reagire in modo rapido ed efficace.

Nell’attesa delle esercitazioni Han Kuang, previste per metà luglio, le forze armate taiwanesi sono già impegnate in un ciclo di manovre di cinque giorni iniziato lunedì. Queste esercitazioni mirano a potenziare le capacità di preparazione e risposta. Tali attività coincidono con la recente rilevazione, da parte di Taiwan, di ben 59 aerei militari cinesi intorno all’isola nell’arco di 24 ore, un numero record rispetto allo scorso ottobre.

Il Ministero degli Esteri di Pechino ha definito queste operazioni “un avvertimento alle forze separatiste e indipendentiste”. Il Ministro della Difesa taiwanese, Wellington Koo, ha avvisato che il tempo necessario alla Cina per passare dalle esercitazioni al combattimento potrebbe essere più breve di quanto ipotizzato. Nel frattempo, il Ministero della Difesa di Taipei ha ribadito il proprio impegno con un messaggio su X: “Se vuoi la pace, prepara la guerra”.

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Ucraina-Russia, tregua su infrastrutture energia: passo verso pace o inganno di Mosca?  

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Un nuovo spiraglio di pace o una tattica strategica di Mosca?

La Russia, dopo una conversazione telefonica tra Donald Trump e Vladimir Putin, ha dichiarato la sua disponibilità a una tregua parziale, che include la sospensione degli attacchi contro le infrastrutture energetiche nel conflitto con l’Ucraina.

Da parte sua, Kiev ha accolto la proposta, che è stata oggetto di discussione anche durante il colloquio tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Tuttavia, la speranza di un cessate il fuoco totale di 30 giorni, emersa dai negoziati di Gedda, sembra ormai accantonata. Ora l’attenzione è rivolta alle infrastrutture energetiche, un tassello fondamentale. Questa tregua rappresenta davvero un passo verso la de-escalation o è soltanto una manovra di Mosca per guadagnare tempo?

Il clima di sfiducia tra le due nazioni rimane elevato. Entrambe si accusano reciprocamente di aver violato la tregua e di aver continuato gli attacchi contro le rispettive infrastrutture energetiche. Negli ultimi anni, tali attacchi sono diventati un elemento cruciale nelle strategie di guerra di entrambi i Paesi. La Russia ha ripetutamente preso di mira la rete elettrica ucraina nel tentativo di indebolire la resistenza civile e militare, rendendo la vita quotidiana sempre più difficile.

Negli ultimi due anni, Mosca ha intensificato una campagna mirata contro le infrastrutture energetiche ucraine, con l’obiettivo di destabilizzare l’economia del Paese e ridurne la capacità di resistenza. A partire dall’autunno del 2022, attacchi a base di missili e droni russi hanno colpito sottostazioni, centrali termoelettriche e impianti di distribuzione, provocando danni stimati in almeno 13,5 miliardi di euro, secondo la Kyiv School of Economics.

Alcuni impianti sono stati completamente distrutti, costringendo l’Ucraina a razionare l’energia attraverso blackout programmati. Nei momenti più critici, i residenti di Kiev hanno avuto accesso all’elettricità per poche ore al giorno, con conseguenze anche sui sistemi di pompaggio dell’acqua. Nonostante ciò, il sistema energetico ucraino ha resistito grazie al supporto delle difese aeree occidentali, all’impegno degli ingegneri e all’utilizzo delle centrali nucleari, che hanno coperto fino alla metà del fabbisogno elettrico nazionale.

Dall’inizio del 2024, Kiev ha intensificato i raid contro le infrastrutture energetiche russe, cercando di ridurre le risorse economiche di Mosca e limitarne la capacità bellica. Utilizzando droni a lungo raggio, le forze ucraine hanno colpito raffinerie di petrolio, oleodotti e depositi di carburante, causando incendi e interruzioni temporanee della produzione. Secondo il New York Times, questi attacchi hanno ridotto fino al 10% la capacità di raffinazione del petrolio russo in alcuni periodi. Tuttavia, le compagnie petrolifere russe sono riuscite a ripristinare rapidamente gli impianti danneggiati, limitando l’impatto complessivo.

Dal punto di vista russo, l’apertura a questo accordo potrebbe avere come obiettivo principale la protezione delle proprie infrastrutture, piuttosto che un autentico interesse per ridurre la violenza. Le crescenti capacità ucraine di colpire obiettivi a lungo raggio in territorio russo rappresentano una minaccia concreta per il sistema energetico del Cremlino. Secondo Ugo Poletti, direttore del giornale online “The Odessa Journal”, questa mossa di Putin potrebbe essere un modo per privare l’Ucraina di una arma offensiva strategica. Tuttavia, come sottolinea Poletti, “privare l’Ucraina dell’energia durante la bella stagione non produce più lo stesso livello di sofferenza”.

La questione principale rimane: questa tregua rappresenta un primo passo verso una pace duratura o è solo una strategia temporanea? Gli alleati occidentali osservano con attenzione, consapevoli che una pausa negli attacchi potrebbe essere vantaggiosa per entrambe le parti, ma facilmente revocabile. Intanto, i ministri della difesa di Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia hanno annunciato il ritiro dal Trattato di Ottawa, che vieta l’uso di mine antiuomo, evidenziando le crescenti preoccupazioni riguardo alla minaccia russa.

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Trump-Putin, l’idea di una partita di hockey per il disgelo  

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Donald Trump e Vladimir Putin avrebbero raggiunto un accordo per organizzare in futuro delle partite di hockey tra giocatori statunitensi e russi. A rendere nota questa notizia è stato il Cremlino, che ha precisato come Trump abbia approvato l’iniziativa durante una telefonata avvenuta il 18 marzo. Tuttavia, la comunità sportiva potrebbe reagire in modo contrastante, soprattutto considerando le conseguenze che il possibile reintegro della Federazione russa, esclusa dopo l’invasione dell’Ucraina, potrebbe causare.

Secondo le autorità russe, i due leader hanno discusso di possibili incontri di hockey da tenersi sia negli Stati Uniti che in Russia, coinvolgendo giocatori di entrambe le leghe professionistiche, la NHL e la KHL. “La NHL è a conoscenza del dialogo avvenuto tra i presidenti Trump e Putin – ha dichiarato la lega in una nota rilasciata a ESPN – Tuttavia, non abbiamo partecipato a queste discussioni e non riteniamo opportuno commentare al momento”.

Di recente, Trump aveva attirato l’attenzione nel mondo dell’hockey per aver chiamato la squadra statunitense prima della finale del torneo NHL 4 Nations Face-Off tenutosi a Boston, in cui gli Stati Uniti hanno affrontato il Canada. Il contesto politico tra i due Paesi, segnato dalle tensioni sui dazi e dalle dichiarazioni provocatorie di Trump, ha avuto ripercussioni anche durante il match. La partita, vinta dal Canada 3-2 ai tempi supplementari, è stata accompagnata da fischi durante gli inni nazionali. Dopo la vittoria, l’allora premier canadese Justin Trudeau ha celebrato su X scrivendo: “Non prenderete il nostro Paese e non prenderete il nostro gioco”.

In passato, la National Hockey League e la Kontinental Hockey League, che include squadre di Bielorussia e Kazakistan, avevano già organizzato partite amichevoli. L’ultima si è svolta a Riga nell’ottobre 2010. Tuttavia, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, i rapporti tra NHL e Russia si sono deteriorati. La lega ha interrotto ogni relazione con la KHL nel marzo 2022, vietando alle squadre di mantenere contatti con i club russi e sospendendo tutti gli accordi con le emittenti russe.

Oltre alla NHL, anche la International Ice Hockey Federation (IIHF) ha escluso la Russia, insieme alla Bielorussia, da tutti i tornei internazionali. Il divieto è stato prorogato fino alla stagione 2025-2026 per ragioni di sicurezza. “Le attuali condizioni non garantiscono la sicurezza necessaria per organizzare competizioni internazionali”, ha spiegato la IIHF in un comunicato ufficiale.

Questa esclusione riguarda anche le Olimpiadi invernali del 2026 di Milano-Cortina, ma la decisione finale spetterà al Comitato Olimpico Internazionale, che determinerà se e in quali condizioni Russia e Bielorussia potranno partecipare.

Un semplice incontro di hockey tra atleti di NHL e KHL potrebbe avere un impatto significativo sullo sport globale. La Russia è stata squalificata da numerose competizioni internazionali, con federazioni come FIFA, UEFA, FIG e FIVB che hanno sospeso atleti e squadre russe. Durante le Olimpiadi di Parigi 2024, agli atleti russi è stato permesso di partecipare solo senza rappresentare la bandiera nazionale.

Nel calcio, la sospensione della Russia ha avuto conseguenze rilevanti. La FIFA e la UEFA hanno escluso la Russia da tutte le competizioni, comprese le qualificazioni per le Coppe del Mondo 2022 e 2026, e i club russi sono stati banditi dai principali tornei europei come la Champions League e l’Europa League.

Al momento, il reintegro delle squadre russe nel panorama calcistico internazionale non è stato oggetto di discussione. Tuttavia, il presidente della FIFA Gianni Infantino, durante una recente visita alla Casa Bianca, ha presentato a Trump il progetto del Mondiale per Club che si terrà negli Stati Uniti a giugno. Durante l’incontro, è stata discussa anche la creazione di una task force per i Mondiali del 2026, con Trump che si è detto entusiasta di ospitare eventi sportivi di tale portata. Non si può escludere che in futuro possa essere avanzata la richiesta di riammettere le squadre russe.

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Ucraina, deputata: “Zelensky legittimo ma servono altri mediatori per parlare con...

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Volodymyr Zelensky viene riconosciuto come un presidente legittimo, senza alcun dubbio dal punto di vista legale. Secondo Inna Sovsun, deputata ucraina del partito di opposizione Holos (Voce), Zelensky è l’unico leader scelto dagli ucraini per guidare il Paese. Tuttavia, Sovsun afferma che sarebbe necessario individuare i mediatori giusti per facilitare il dialogo con Washington e Donald Trump. La deputata sottolinea che tra Zelensky e Trump ci sarebbero delle tensioni emotive, che rischiano di compromettere le relazioni bilaterali tra Ucraina e Stati Uniti.

Dopo il recente incontro telefonico tra i due leader, Sovsun, nota per una foto diventata virale durante i primi giorni dell’invasione, in cui lavorava al computer con accanto un kalashnikov, ritiene che trovare dei mediatori adeguati sia fondamentale. A suo avviso, una comunicazione diretta tra Zelensky e Trump risulterebbe difficile, soprattutto dopo gli eventi verificatisi nello Studio Ovale poche settimane fa. La deputata ritiene improbabile che vi possa essere una discussione sincera tra i due presidenti in questo momento.

Sovsun esprime anche un forte scetticismo riguardo all’annuncio di Vladimir Putin di interrompere gli attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine per 30 giorni. Racconta che, appena tre ore dopo il colloquio tra Trump e Putin, si sono verificate esplosioni a Kiev, mentre la città di Sloviansk è rimasta senza elettricità a causa di un attacco russo. L’ondata di attacchi si sarebbe estesa anche ad altre infrastrutture civili, come un ospedale a Sumy. Per Sovsun, queste azioni dimostrano che Putin non aveva alcuna intenzione reale di mantenere la promessa, ma piuttosto cercava di dare l’impressione di voler dialogare con gli Stati Uniti.

La deputata critica inoltre la tempistica della telefonata tra Trump e Zelensky, avvenuta ben 22 ore dopo quella tra Trump e Putin. Trova insolito che i due leader abbiano discusso del futuro dell’Ucraina senza informarne direttamente il governo di Kiev. Sovsun sottolinea come molti ucraini, inclusa lei stessa, abbiano appreso dai media i dettagli dell’incontro e che ancora non sia chiaro quale tipo di accordo sia stato raggiunto.

Secondo Sovsun, Trump potrebbe non avere una piena comprensione di come negoziare con Putin. Si chiede se l’ex presidente americano sia consapevole del fatto che non basta chiedere a Putin di fare qualcosa perché questo accada. La deputata teme che Trump non abbia elaborato una strategia efficace per gestire il dialogo con il leader russo.

Nonostante le sue critiche alla politica dell’attuale governo ucraino, Sovsun respinge con fermezza le accuse di Putin, secondo cui Zelensky avrebbe perso la propria legittimità perché il suo mandato è scaduto. La deputata ribatte che non spetta a Putin giudicare la legittimità del presidente ucraino. Sottolinea come l’Ucraina abbia una lunga tradizione di ricambio democratico dei suoi leader, a differenza della Russia, che ha avuto solo due presidenti e mezzo nello stesso periodo storico.

Riguardo alle elezioni, Sovsun ricorda che la Costituzione ucraina vieta di indire votazioni durante la legge marziale. Questo divieto non è stato introdotto da Zelensky, ma esiste fin dal 1996, anno in cui la Costituzione fu adottata. La deputata conclude che chiunque chieda elezioni in Ucraina in questo momento sta sostanzialmente proponendo di violare la legge fondamentale del Paese.

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Trump sente Zelensky dopo Putin, ecco tutti i sì e i no del negoziato Usa-Russia  

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Dopo la recente telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin, oggi si è svolto un colloquio tra il presidente degli Stati Uniti e il leader ucraino, Volodymyr Zelensky. Secondo le previsioni dell’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, un cessate il fuoco tra Ucraina e Russia potrebbe essere raggiunto “entro un paio di settimane”. I negoziati tecnici tra rappresentanti americani e russi dovrebbero iniziare lunedì in Arabia Saudita.

Witkoff, intervistato da Bloomberg Television, ha dichiarato: “Credo che lunedì i team tecnici si recheranno nel Regno”, aggiungendo che durante la telefonata tra Putin e Trump è stato concordato “un percorso verso alcune condizioni di cessate il fuoco… e verso un cessate il fuoco completo da negoziare nei giorni a venire. Ritengo che entro un paio di settimane raggiungeremo questo obiettivo”.

Secondo una ricostruzione della BBC, basata sulle informazioni disponibili, Trump e Putin avrebbero trovato un accordo su alcuni punti, mentre rimangono divergenze su altri. Ecco i dettagli:

Accordo per una pausa di 30 giorni: è stata approvata una tregua temporanea negli attacchi alle infrastrutture energetiche su entrambi i fronti. La Russia ha confermato di aver accettato questa proposta e che l’ordine è stato trasmesso “immediatamente” alle forze militari.

Proseguimento dei negoziati: i mediatori continueranno a lavorare per trovare una soluzione al conflitto scoppiato con l’invasione russa su vasta scala del 24 febbraio di tre anni fa. La Casa Bianca ha annunciato che i negoziati inizieranno a breve in Medio Oriente. Inoltre, per domenica è previsto un nuovo incontro tra delegazioni di Stati Uniti e Russia in Arabia Saudita.

Discussioni sul Mar Nero: si studieranno soluzioni per un possibile cessate il fuoco nelle aree marittime coinvolte nel conflitto.

Disaccordi sul cessate il fuoco completo: la Russia non ha accettato la proposta di una tregua immediata di 30 giorni che includa la sospensione dei combattimenti a terra, in mare e negli attacchi aerei.

Mancanza di un accordo sulle condizioni di pace: per Putin, una condizione imprescindibile per una soluzione duratura sarebbe la fine del riarmo dell’Ucraina e dell’assistenza militare e di intelligence fornita a Kiev. Tuttavia, questa posizione non trova riscontro nel resoconto ufficiale diffuso dagli Stati Uniti.

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Trump: “Ottima telefonata con Zelensky, siamo su buona strada”  

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Donald Trump ha annunciato di aver avuto un’ottima conversazione telefonica con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. L’ex presidente degli Stati Uniti, dopo un lungo colloquio con Vladimir Putin avvenuto il 18 marzo, ha parlato con Zelensky il 19 marzo per discutere delle relazioni tra Russia e Ucraina.

Secondo quanto riferito, la chiamata, che è durata circa un’ora, si è focalizzata principalmente sulle tematiche affrontate nella precedente conversazione con Putin. Trump ha spiegato su Truth che l’obiettivo era quello di coordinare le richieste e le necessità di entrambi i paesi. Ha inoltre dichiarato che il Segretario di Stato Marco Rubio e il Consigliere per la sicurezza nazionale Michael Waltz forniranno una sintesi dettagliata dei punti discussi.

Durante il colloquio tra Trump e Putin, avvenuto il giorno precedente, è stato concordato un parziale cessate il fuoco mirato a prevenire attacchi alle infrastrutture energetiche. Tuttavia, nelle ore successive, entrambe le nazioni hanno riportato violazioni dell’accordo.

Steve Witkoff, inviato speciale di Trump per le relazioni con la Russia, ha espresso fiducia che il cessate il fuoco possa diventare effettivo entro un paio di settimane. Ha inoltre confermato che i negoziati tecnici tra Stati Uniti e Russia inizieranno lunedì in Arabia Saudita. “Sono fiducioso che i team tecnici si incontreranno in Arabia Saudita”, ha dichiarato Witkoff a Bloomberg Television. Ha poi aggiunto che la telefonata tra Trump e Putin ha delineato un percorso per stabilire un cessate il fuoco completo, che dovrebbe essere negoziato nei prossimi giorni.

L’Arabia Saudita potrebbe anche ospitare un incontro diretto tra Trump e Putin. Secondo il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, non si esclude che il summit possa svolgersi nel Regno saudita, anche se al momento non ci sono dettagli precisi sulla possibile sede. “Questa ipotesi non può essere esclusa”, ha ribadito Peskov, rispondendo a una domanda sulla possibilità di un confronto in presenza tra i due leader.

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Ucraina, Lazer (Università Kiev): ”La tregua è una messinscena di Putin, Trump ha...

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Un attacco aereo russo ha colpito nella notte un edificio residenziale a soli 50 metri dall’abitazione di Taras Lazer, situata a Hostomel, nel distretto di Bucha, non lontano da Kiev. Questo evento, secondo Lazer, docente di lingua e letteratura italiana presso la facoltà di filologia della Borys Grinchenko Kyiv University, dimostra che per il leader del Cremlino, Vladimir Putin, il recente incontro con l’ex presidente americano Donald Trump sarebbe stato solo una messa in scena per migliorare la sua immagine.

Lazer ha raccontato all’Adnkronos di aver trascorso la notte abbracciato alla moglie e alla figlia, tornate in Ucraina dalla Germania. Questo accade in un contesto in cui Putin ha annunciato una tregua di 30 giorni sugli attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Tuttavia, secondo Lazer, si tratta di una mossa calcolata per alimentare la sua immagine come leader globale, piuttosto che una vera intenzione di pace.

In merito a Trump, il professore sottolinea che, per lui, gli ucraini rappresentano solo una “spina nel fianco”. Aggiunge inoltre che né Trump né Putin hanno reali interessi nel garantire una tregua in Ucraina, poiché entrambi agiscono esclusivamente per il proprio tornaconto personale. Lazer, che fu tra i primi a entrare a Bucha insieme all’esercito ucraino dopo il ritiro delle truppe russe, ha assistito in prima persona agli orrori del conflitto, e sostiene che Putin intenda distruggere l’Ucraina come nazione sovrana, sia militarmente che politicamente, imponendo un governo fantoccio a Kiev.

Il docente critica anche Trump, accusandolo di perseguire esclusivamente progetti economici con la Russia e di voler allontanare Mosca dall’influenza cinese. Tuttavia, Lazer ritiene che questa strategia sia destinata a fallire, poiché sia la Russia che la Cina condividono una radicata mentalità antiamericana che nessuna politica di Trump potrebbe modificare.

Nei primi giorni dell’invasione, Lazer cercava di proteggere la figlia Anna, di 4 anni, raccontandole fiabe per distrarla dalle esplosioni, in uno scenario simile a quello del film “La vita è bella”. Oggi, tuttavia, afferma che gli ucraini rappresentano per Trump solo un problema da risolvere rapidamente. Questo si traduce, secondo Lazer, in discorsi retorici sulla pace, accompagnati da pressioni militari ed economiche sull’Ucraina, oltre alla riduzione degli aiuti internazionali e a campagne mediatiche contro il Paese.

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Ucraina-Russia, Mosca accusa Kiev: “Agisce contro la pace”  

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La Russia accusa l’Ucraina di agire contro gli sforzi per la pace. Dopo un colloquio telefonico tra Vladimir Putin e Donald Trump, Mosca, attraverso le dichiarazioni di Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, denuncia attacchi alle proprie infrastrutture energetiche, in particolare nella regione di Kuban. Questi attacchi, secondo il Cremlino, sono avvenuti nonostante l’accordo tra i due leader per sospendere tali operazioni.

“Fino a ora, purtroppo, non abbiamo ricevuto alcuna reciprocità dal governo di Kiev. Ci sono stati tentativi di danneggiare le nostre infrastrutture energetiche“, ha dichiarato Peskov. “Questi atti vanno contro gli sforzi congiunti che stiamo portando avanti con gli Stati Uniti“. Tuttavia, ha precisato il portavoce, Putin ha mantenuto l’ordine di non colpire le infrastrutture energetiche ucraine. “Il cessate il fuoco si applica esclusivamente al settore energetico, non a tutte le infrastrutture”, ha aggiunto.

Inoltre, il Cremlino ha sottolineato che tra Putin e Trump esiste una forte intesa e fiducia reciproca. Secondo Peskov, entrambi i leader sono determinati a lavorare verso una graduale normalizzazione delle relazioni bilaterali.

Durante la telefonata, ha spiegato Peskov, è stato discusso anche lo stop agli aiuti militari americani a Kiev. Trump avrebbe affermato che non vi è stata alcuna richiesta in tal senso da parte di Putin. Nel corso del colloquio, non sono stati affrontati temi come un possibile cambio di regime a Kiev, il coinvolgimento dell’Unione Europea nei negoziati o questioni legate al gasdotto Nord Stream.

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Ucraina, Poletti: ”Putin abile manipolatore con Trump, toglie a Kiev arma di...

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Il presidente russo Vladimir Putin viene descritto come un *abile manipolatore*, qualità che è emersa chiaramente durante il recente colloquio telefonico con l’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Secondo l’analisi di Ugo Poletti, direttore del quotidiano online in lingua inglese The Odessa Journal, Putin, dichiarando di voler fermare gli attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine e chiedendo reciprocità a Kiev, in realtà priva l’Ucraina di una arma offensiva strategica.

Poletti osserva come il leader del Cremlino, con una comunicazione estremamente *abilitata*, riesca a far sembrare una concessione ciò che in realtà è un vantaggio per la Russia. Infatti, interrompere gli attacchi energetici in estate non causa sofferenze significative agli ucraini, mentre protegge le raffinerie russe e le centrali del gas, che si sono dimostrate vulnerabili ai colpi di Kiev. Attraverso una sorta di “cessate il fuoco limitato”, Putin sembra voler ridurre gli obiettivi ucraini, ma si assicura la protezione delle proprie infrastrutture energetiche.

Secondo Poletti, non si è trattato di un accordo formale, bensì solo di una telefonata. A dimostrarlo è il fatto che, nonostante Putin avesse dichiarato a Trump di non voler colpire le infrastrutture energetiche, poche ore dopo ha ordinato un attacco a una centrale elettrica. Questo dimostra una chiara discrepanza tra le dichiarazioni e le azioni del Cremlino.

L’imprenditore milanese, residente a Odessa dal 2017, sottolinea come, sebbene in Ucraina si sia accolto positivamente l’iniziativa di Trump di aprire un dialogo con Putin, i risultati ottenuti sembrano essere contraddittori. Infatti, un vero cessate il fuoco dovrebbe significare la fine dei combattimenti e la riduzione delle perdite umane, ma al momento migliaia di uomini continuano a morire ogni settimana.

In sintesi, Poletti evidenzia che non vi sono *buone notizie* per l’Ucraina, che vede la propria posizione indebolita. Accettare le richieste di Putin significherebbe fare importanti concessioni militari, riconoscere i territori conquistati dalla Russia e trasformarsi in uno stato neutrale, privato della propria sovranità. Poletti paragona questa situazione a “chiedere un pappagallo per farlo parlare e ricevere invece un piccione colorato di verde”.

Per Trump, tuttavia, è fondamentale comunicare agli americani che Putin è disposto a dialogare con lui. Trump spera di restituire al leader russo la figura di un *leader globale*, ma Poletti ricorda che Putin non ha mai rinnegato le sue motivazioni ideologiche alla base dell’operazione speciale, che puntano a rendere l’Ucraina un protettorato russo sotto il controllo di Mosca.

Nel frattempo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, dopo il suo incontro nello Studio Ovale, ha suscitato reazioni miste in Ucraina. Da un lato, ha riacquistato il favore di chi si era sentito offeso dall’approccio di Trump, ma dall’altro è stato criticato per aver rischiato di compromettere i rapporti con gli Stati Uniti, considerati un alleato cruciale.

Poletti conclude affermando che Zelensky sta giocando una complessa partita a scacchi. Ha accettato un cessate il fuoco totale per osservare la reazione russa, lasciando spazio a Trump per comprendere le tattiche manipolatorie di Putin. L’obiettivo di Zelensky è che Trump, deluso dall’atteggiamento del Cremlino, decida di aumentare la pressione con nuove sanzioni.

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Trump: “Putin non ha chiesto stop armi Usa a Ucraina”. Domenica a Gedda...

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Proseguono gli attacchi russi in Ucraina, a poche ore dalla telefonata tra Vladimir Putin e Donald Trump. Durante il colloquio, sarebbe stato raggiunto un accordo per interrompere temporaneamente i bombardamenti sulle infrastrutture energetiche ucraine, con una pausa prevista di un mese. Tuttavia, Trump nega che Putin abbia chiesto agli Stati Uniti di fermare la fornitura di armi all’Ucraina, condizione che il leader russo considera essenziale per una tregua.

Il rappresentante speciale di Trump per la Russia, Steve Witkoff, ha dichiarato che i negoziati tra Washington e Mosca riprenderanno domenica 23 marzo in Arabia Saudita.

In un’intervista a “The Ingraham Angle” su Fox News, il presidente americano ha affermato: “Non abbiamo discusso degli aiuti militari degli Stati Uniti all’Ucraina. Non è stato un argomento della nostra conversazione”. Trump ha descritto la telefonata, durata oltre due ore, come “eccellente”, sottolineando che si è parlato di varie questioni legate al raggiungimento della pace. “La guerra non sarebbe mai dovuta iniziare. La Russia si trova in una posizione di vantaggio, con circa 2500 soldati ucraini circondati nella regione di Kursk”, ha aggiunto, reiterando la sua versione secondo cui le truppe di Kiev sarebbero bloccate in territorio russo.

L’Ucraina, dal canto suo, ha smentito queste affermazioni. Il presidente Volodymyr Zelensky ha dichiarato che i militari ucraini stanno combattendo nella regione di Kursk e che l’operazione continuerà fino a quando sarà considerata vantaggiosa. Kiev sembra voler mantenere una posizione strategica nei negoziati, giudicando utile la presenza militare oltre confine.

Durante la notte, le forze armate russe hanno scatenato un’ondata di attacchi, lanciando sei missili balistici e 145 droni Shahed di produzione iraniana contro il territorio ucraino. L’esercito di Kiev ha riferito che 45 droni hanno colpito la capitale. Tra le 12 regioni colpite figurano Kiev, Sumy, Odessa, Poltava, Dnipro e Chernihiv. Nella regione del Donetsk, si segnalano diversi feriti.

Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha commentato: “Putin sta giocando. Gli attacchi contro le infrastrutture civili non sono affatto diminuiti dopo questa telefonata, apparentemente significativa”.

Secondo quanto dichiarato da Steve Witkoff a Fox News, il Segretario di Stato americano Marco Rubio e il Consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz si recheranno nuovamente in Arabia Saudita per proseguire i colloqui sul cessate il fuoco. Witkoff ha spiegato che le negoziazioni inizieranno a Gedda, poche ore dopo l’importante telefonata tra Trump e Putin.

Parlando di una possibile tregua focalizzata sulle infrastrutture energetiche e sugli obiettivi strategici nel Mar Nero, Witkoff ha dichiarato: “Credo che questi punti siano stati concordati con i russi. Sono fiducioso che anche gli ucraini accetteranno”.

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Consiglio Ue, niente intesa a 27 sull’Ucraina: la frattura dell’Ungheria di...

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Il Consiglio Europeo di marzo sembra destinato a concludersi senza un accordo unanime tra i 27 Stati membri sull’Ucraina, a causa delle persistenti divergenze tra l’Ungheria di Viktor Orban e gli altri paesi. Questa frattura emerge in un contesto di pressioni da parte degli Stati Uniti per porre fine al conflitto in corso da oltre tre anni ai confini dell’Unione Europea.

Il ministro per gli Affari Europei ungherese, Janos Boka, ha ribadito ieri che Budapest non intende sottoscrivere conclusioni che prevedano il proseguimento degli aiuti militari a Kiev. Questa posizione si contrappone al dialogo avviato da Donald Trump con Vladimir Putin, che esclude il coinvolgimento diretto degli europei.

Secondo Boka, l’Ungheria non è nelle condizioni di appoggiare il testo attuale del Consiglio Europeo sull’Ucraina. È quindi probabile che, come accaduto il 6 marzo scorso, si arrivi a conclusioni sostenute dalla maggioranza dei membri, ma non dall’Ungheria.

Un alto funzionario dell’UE ha confermato che, in caso di mancato consenso, si procederà con un documento approvato da 26 Stati. Ha inoltre sottolineato che il dialogo con Budapest continua quotidianamente, nella speranza di superare queste divergenze strategiche.

La frattura con l’Ungheria appare ormai strutturale, soprattutto dopo l’apertura di Trump al dialogo con Putin. Tuttavia, il presidente del Consiglio Europeo, Antonio Costa, ha dichiarato che il lavoro con l’Ungheria prosegue, nonostante le difficoltà. Orban, dal canto suo, ha accusato l’UE di essere isolata rispetto a paesi come gli Stati Uniti, la Cina e la Russia, con cui Budapest mantiene ottime relazioni.

I leader europei si incontreranno a Bruxelles domani per discutere di Ucraina, difesa comune e altri temi, molti dei quali potrebbero essere ripresi nel Consiglio di giugno. Si prevede anche un possibile summit straordinario prima di allora. Tradizionalmente, il Consiglio di marzo è dedicato ai temi economici, e quest’anno l’attenzione sarà rivolta alla competitività dell’UE e ai nuovi pacchetti proposti dalla Commissione, tra cui l’Unione dei risparmi e degli investimenti.

Le divergenze tra gli Stati membri rimangono forti, soprattutto sulla supervisione unica dei mercati finanziari. Gli Stati continuano a mantenere opinioni divergenti su questi temi, rendendo difficile un accordo a breve termine.

La bozza delle conclusioni del Consiglio Europeo inizia con l’Ucraina, ribadendo l’impegno dell’UE verso una politica di “pace attraverso la forza” e il sostegno alle robuste capacità militari di Kiev. Tuttavia, alcuni paesi come Spagna e Italia mantengono una posizione fredda rispetto alla proposta di aiuti militari da 40 miliardi di euro l’anno avanzata dall’Alta Rappresentante Kaja Kallas.

Il secondo punto in agenda riguarda il Medio Oriente, con un focus sul cessate il fuoco a Gaza e sulla Siria. Si condannano le violenze in Siria e si accoglie con favore l’accordo tra le nuove autorità di Damasco e le Forze Democratiche Siriane. L’UE proseguirà con la graduale rimozione delle sanzioni.

Un’altra priorità sarà la competitività dell’UE, con l’obiettivo di rafforzare il mercato unico e completare le transizioni verde e digitale. Tra le misure proposte figurano la riduzione degli oneri burocratici, il contenimento dei prezzi dell’energia e la mobilitazione dei risparmi privati per finanziare gli investimenti necessari.

Per quanto riguarda i prezzi dell’energia, si esorta a intensificare gli sforzi per proteggere cittadini e imprese dagli alti costi e a migliorare l’integrazione del mercato energetico europeo. È inoltre considerato prioritario realizzare l’Unione dei risparmi e degli investimenti entro il 2025.

Nel settore della difesa comune, i leader europei mirano a incrementare significativamente la prontezza difensiva nei prossimi cinque anni. La Commissione presenterà oggi un Libro Bianco sulla difesa, che dovrebbe includere proposte ambiziose per rafforzare la sicurezza dell’UE.

Sul Quadro finanziario pluriennale, si prevede un primo scambio di opinioni, concentrandosi sul divario tra i nuovi compiti dell’Unione e le risorse finanziarie disponibili. In tema di migrazioni, si sottolinea la necessità di contrastare l’immigrazione illegale e accelerare i rimpatri, oltre a lavorare sui concetti di “Paesi terzi sicuri”.

Infine, si discuteranno temi legati agli oceani e al multilateralismo. È previsto un intervento in videoconferenza del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, oltre a un discorso della presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola.

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Ucraina, Putin detta condizioni a Trump: stop armi a Kiev per chiudere guerra  

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Uno stop totale agli aiuti militari e di intelligence da parte dell’Occidente all’Ucraina è stato indicato come il requisito fondamentale dalla Russia per porre fine al conflitto con Kiev. Questa è la condizione che Vladimir Putin ha presentato durante una lunga telefonata con Donald Trump, durata circa due ore e definita “costruttiva” dal leader statunitense. Nel corso del colloquio, la Russia ha accettato di sospendere gli attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine per un mese, un passo che la Casa Bianca ha descritto come un primo segnale di pace, ma che rappresenta un ostacolo significativo secondo molti osservatori.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, tuttavia, ha definito insufficiente la tregua parziale sulle strutture energetiche. Zelensky ha dichiarato di voler stabilire un contatto diretto con Trump, sottolineando che le condizioni avanzate da Putin mirano a indebolire l’Ucraina piuttosto che a concludere il conflitto. “La Russia non è pronta per la pace, nemmeno per un cessate il fuoco iniziale”, ha affermato Zelensky, aggiungendo che “il piano di Putin è indebolire il nostro Paese”.

Riguardo alla proposta di cessate il fuoco parziale, Zelensky ha ribadito che Kiev attenderà ulteriori dettagli dall’America prima di formulare una risposta definitiva, sottolineando che gli Stati Uniti dovrebbero agire come garanti di qualsiasi accordo. “Rispetteremo questa posizione finché anche la Russia lo farà”, ha affermato il presidente ucraino.

Nel frattempo, sono stati raggiunti alcuni accordi preliminari nella telefonata tra i leader. Mosca e Kiev hanno concordato uno scambio di 175 prigionieri di guerra ciascuno, oltre al trasferimento di 23 militari ucraini feriti gravemente da parte della Russia. Il Cremlino ha descritto questa iniziativa come un “gesto di buona volontà”.

Tuttavia, a mettere in discussione le promesse di Putin sono stati gli allarmi antiaerei risuonati a Kiev poche ore dopo la telefonata, accompagnati da attacchi con missili e droni russi che hanno causato esplosioni nella capitale ucraina.

Secondo una nota diffusa dal Cremlino, “la condizione essenziale per evitare un’escalation del conflitto e procedere verso una risoluzione politica è la sospensione totale dell’assistenza militare e dell’intelligence a Kiev”. La Russia ha inoltre annunciato la disponibilità a un cessate il fuoco di 30 giorni mirato alle infrastrutture energetiche ucraine, ma ha espresso dubbi su un più ampio cessate il fuoco senza condizioni, proposto da Stati Uniti e Ucraina.

La stessa nota ha sottolineato diversi aspetti “significativi” che richiedono ulteriore analisi, tra cui il controllo sul rispetto del cessate il fuoco lungo la linea del conflitto. Inoltre, la Russia ha ribadito la richiesta di interrompere la mobilitazione delle forze ucraine e il loro riarmo, oltre a eliminare le cause alla base della crisi, secondo quanto espresso da Putin nei giorni precedenti.

Il Cremlino ha anche comunicato che Putin si è dichiarato disponibile a collaborare con Trump per raggiungere la pace. A tal fine, saranno istituiti “gruppi esperti congiunti” tra Stati Uniti e Russia per lavorare a un accordo di pace.

Trump, dal canto suo, ha espresso grande ottimismo, definendo la telefonata “molto positiva e produttiva” sul suo social network Truth. “Abbiamo concordato un cessate il fuoco immediato sulle infrastrutture energetiche e lavoreremo rapidamente per un cessate il fuoco completo e una pace definitiva”, ha annunciato, aggiungendo che “questa guerra non sarebbe mai iniziata se fossi stato presidente”. Trump ha evidenziato che entrambi i leader, Putin e Zelensky, desiderano la fine del conflitto e che il processo di pace è ora avviato con buone prospettive.

Secondo una dichiarazione ufficiale della Casa Bianca, “Trump e Putin hanno discusso della necessità di porre fine al conflitto in Ucraina attraverso una pace duratura e del miglioramento delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Russia”. I leader hanno sottolineato che le risorse spese nella guerra da entrambi i Paesi dovrebbero invece essere destinate alle necessità dei rispettivi cittadini.

La dichiarazione ha inoltre evidenziato che il percorso verso la pace inizierà con un cessate il fuoco sulle infrastrutture, seguito da negoziati tecnici per un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero e, infine, con la definizione di una pace permanente.

Oltre al conflitto in Ucraina, i due leader hanno discusso di avviare immediatamente negoziati in Medio Oriente, identificata come una regione chiave per la cooperazione e la prevenzione di nuovi conflitti. È stato affrontato anche il tema della proliferazione di armi strategiche, con l’impegno a lavorare con altri Paesi per limitarne la diffusione.

Infine, Trump e Putin hanno concordato sull’importanza di impedire all’Iran di rappresentare una minaccia per Israele. Hanno anche sottolineato che un futuro miglioramento delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Russia potrebbe portare a significativi benefici economici e stabilità geopolitica una volta raggiunta la pace.

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Turchia, arrestato sindaco di Istanbul: è principale avversario politico di Erdogan  

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La polizia turca ha proceduto all’arresto di Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul e uno dei principali rivali politici del presidente Recep Tayyip Erdogan. L’operazione è legata a un’indagine su presunti collegamenti con corruzione e terrorismo, secondo quanto riportato dai media locali.

Secondo l’agenzia statale Anadolu Agency, i procuratori hanno emesso mandati di cattura per oltre 100 persone. Le autorità hanno inoltre bloccato diverse strade a Istanbul e vietato le manifestazioni pubbliche per quattro giorni, presumibilmente per evitare proteste a seguito dell’arresto.

Nel frattempo, sono state introdotte restrizioni all’accesso a piattaforme di social media come X, YouTube, Instagram e TikTok, come segnalato dall’osservatorio Internet Netblocks. L’arresto è avvenuto dopo una perquisizione nella residenza di Imamoglu, appena un giorno dopo che un’università aveva annullato il suo diploma di laurea, invalidandolo di fatto come candidato alle presidenziali. In Turchia, un diploma di laurea è un requisito legale per partecipare alle elezioni.

Il Republican People’s Party, il partito di opposizione al quale appartiene Imamoglu, ha programmato per domenica le primarie, dove il sindaco era considerato il favorito come candidato per le prossime elezioni presidenziali. Sebbene le elezioni siano previste per il 2028, cresce la possibilità di elezioni anticipate. “Siamo di fronte a una grande oppressione, ma voglio che sappiate che non mi arrenderò”, ha dichiarato Imamoglu in un messaggio video condiviso sui social media, accusando il governo di “espropriare la volontà del popolo”.

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Trump-Putin, Zelensky non si fida: “Russia non vuole fine guerra”  

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Putin punta a indebolire l’Ucraina senza mettere fine al conflitto. La recente conversazione telefonica tra Vladimir Putin e Donald Trump non convince pienamente Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino ha accolto favorevolmente il cessate il fuoco parziale annunciato da Mosca, che prevede una sospensione degli attacchi contro le infrastrutture energetiche per un mese. Tuttavia, Zelensky sottolinea che l’obiettivo di Putin rimane invariato: non cerca la pace, ma cerca di indebolire l’Ucraina. Secondo il leader di Kiev, le condizioni poste dalla Russia confermano questa strategia.

Putin avrebbe chiesto a Trump di interrompere l’invio di armi all’Ucraina, ritenendolo, secondo il Cremlino, la “soluzione chiave” per porre fine al conflitto. “Il piano di Putin è mirato a indebolire il nostro Paese”, ha dichiarato Zelensky, che auspica un confronto diretto con Trump. “Accogliamo con favore il cessate il fuoco e la sospensione degli attacchi alle infrastrutture energetiche, ma ci aspettiamo che gli Stati Uniti garantiscano il rispetto dell’accordo”, ha aggiunto. Zelensky ha poi affermato: “Ritengo fondamentale dialogare con il presidente Trump per comprendere nel dettaglio le proposte avanzate dai russi agli americani o viceversa”.

Nel frattempo, il conflitto prosegue tra accuse reciproche. La Russia sostiene che l’Ucraina abbia tentato un’incursione nella regione di Belgorod, mentre Kiev teme un’offensiva russa nell’oblast di Sumy. Le forze ucraine continuano a combattere nella regione di Kursk, che Putin considera completamente sotto il controllo russo.

“I nostri soldati continueranno a combattere per tutto il tempo necessario”, ha dichiarato Zelensky, che sembra determinato a mantenere una posizione forte da utilizzare nei futuri negoziati. “L’Ucraina sta svolgendo il proprio compito nella regione di Kursk. Le nostre forze militari sono presenti e rimarranno lì fino a quando sarà necessario portare avanti questa operazione”, ha concluso.

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Trump-Putin, due ore di colloquio. Mosca: “Stop attacchi a centrali...

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La guerra tra Ucraina e Russia deve concludersi con una pace solida e duratura. Durante una telefonata di oltre due ore, Donald Trump e Vladimir Putin hanno trovato un punto di accordo per un cessate il fuoco parziale: il presidente russo ha accettato di sospendere gli attacchi alle infrastrutture energetiche per un periodo di 30 giorni.

Secondo quanto riferito dal Cremlino, Putin ha dichiarato al presidente americano di essere disposto a collaborare per raggiungere la pace in Ucraina. Come primo passo, il leader russo ha ordinato la sospensione degli attacchi alle centrali energetiche ucraine per 30 giorni, aprendo la strada a un possibile cessate il fuoco nel Mar Nero e, successivamente, a una tregua completa. Tuttavia, il presidente russo ha richiesto a Trump di interrompere gli aiuti militari e la condivisione di informazioni di intelligence con Kiev, definendo questa condizione essenziale per una soluzione pacifica del conflitto.

In vista di un accordo di pace, Mosca ha annunciato la creazione di “gruppi esperti americani e russi” che lavoreranno insieme. Oltre alla questione ucraina, i due leader hanno affrontato temi legati al Medio Oriente e al Mar Rosso, discutendo anche una serie di questioni internazionali.

La Casa Bianca ha sottolineato nella sua nota ufficiale che Trump e Putin hanno ribadito la necessità di migliorare le relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Russia. “Il conflitto in Ucraina deve terminare con una pace duratura. Entrambi i leader hanno convenuto che le risorse e le vite sacrificate in questa guerra dovrebbero essere destinate ai bisogni delle rispettive popolazioni”, si legge nella dichiarazione.

La nota prosegue affermando che il percorso verso la pace inizierà con il cessate il fuoco per le infrastrutture energetiche e proseguirà con negoziati tecnici per un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero, fino ad arrivare a una tregua totale e permanente.

Il colloquio ha inoltre aperto la strada a negoziati immediati sul Medio Oriente. I leader hanno discusso ampiamente della regione, considerandola un’area strategica per prevenire futuri conflitti. Hanno anche posto l’accento sulla necessità di fermare la proliferazione di armi strategiche, impegnandosi a coinvolgere altri attori internazionali per garantire un’applicazione su vasta scala.

Infine, i due presidenti hanno condiviso la convinzione che l’Iran non debba mai essere in grado di minacciare la sicurezza di Israele. Entrambi hanno riconosciuto che un futuro di relazioni bilaterali migliorate tra Stati Uniti e Russia potrebbe portare vantaggi significativi, inclusi accordi economici rilevanti e maggiore stabilità geopolitica.

Secondo il vice capo di gabinetto della Casa Bianca, Dan Scavino, che ha commentato su ‘X’ durante la telefonata, la conversazione tra i due leader è stata “molto positiva”. La Casa Bianca ha inoltre dichiarato che Trump si aspetta una soluzione al conflitto in Ucraina “in tempi molto brevi”. Anche fonti russe hanno confermato alla CNN che il colloquio è stato “molto costruttivo”.

Tra i risultati raggiunti, Mosca e Kiev procederanno a uno scambio reciproco di 175 prigionieri di guerra. Il Cremlino ha definito questa iniziativa un “gesto di buona volontà” e ha annunciato che, oltre ai prigionieri di guerra, la Russia trasferirà in Ucraina 23 militari gravemente feriti.

Le Nazioni Unite hanno espresso apprezzamento per il colloquio, definendolo “significativo”. Il portavoce del Segretario generale dell’ONU, Farhan Haq, ha dichiarato: “Il fatto stesso che questa telefonata abbia avuto luogo è importante. Riteniamo positivo che le leadership degli Stati Uniti e della Federazione Russa siano in contatto diretto”.

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Esteri

Gaza, 59 gli ostaggi ancora prigionieri di Hamas: solo 24 sarebbero vivi  

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Sono ancora 59 gli ostaggi trattenuti nella Striscia di Gaza da Hamas e altri gruppi attivi nell’enclave palestinese. Secondo i media israeliani, solo 24 di loro sarebbero ancora vivi. I familiari degli ostaggi hanno intensificato le loro proteste, accusando il governo di Benjamin Netanyahu di averli “abbandonati”, soprattutto dopo i recenti raid aerei condotti da Israele nella notte contro Gaza, sotto il controllo di Hamas dal 2007.

Questa mattina, un esponente di Hamas, citato da Al-Alaby Al-Jadeed, ha dichiarato che uno degli ostaggi sarebbe stato ucciso e altri feriti durante i nuovi attacchi, mentre la Striscia di Gaza continua a essere il teatro di operazioni militari israeliane. Queste azioni sono una risposta al raid del 7 ottobre 2023 in Israele, durante il quale furono catturate 251 persone.

Lo scorso 19 gennaio, un fragile cessate il fuoco tra Israele e Hamas era stato siglato, con una prima fase durata 42 giorni. Tuttavia, nelle ultime ore, Netanyahu ha ordinato nuovi attacchi contro Gaza, accusando Hamas di aver “rifiutato ripetutamente” il rilascio degli ostaggi e di aver respinto le proposte ricevute dall’inviato del presidente statunitense, Steve Witkoff, e dai mediatori.

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Esteri

Trump-Putin, quando c’è il colloquio oggi e cosa diranno  

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Oggi, martedì 18 marzo, tra le ore 16 e le 18 (ora di Mosca, 14-16 in Italia), è previsto un importante colloquio tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il presidente russo, Vladimir Putin. La notizia è stata confermata dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, attraverso l’agenzia Tass. Durante la conversazione, verranno affrontati temi cruciali come i rapporti bilaterali tra Russia e Stati Uniti e la situazione in Ucraina. Peskov ha inoltre precisato che non è stato ancora deciso il modo in cui verranno resi noti i risultati della discussione.

Alla vigilia dell’incontro, Trump ha dichiarato: “Non siamo mai stati così vicini a un accordo di pace”. Anche dalla Russia sono arrivate conferme: Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, ha utilizzato una metafora calcistica per spiegare la situazione, affermando: “Siamo sulla linea delle 10 yard della pace”. Secondo indiscrezioni, Trump potrebbe persino considerare il riconoscimento della Crimea come parte della Russia per raggiungere l’obiettivo.

Uno dei temi centrali del colloquio riguarda i territori che la Russia ha sottratto all’Ucraina e che non intende restituire. Il presidente americano ha anticipato che i negoziati hanno già toccato il tema della “divisione di alcuni beni”, utilizzando il termine generico di ‘asset’. Da parte sua, Kiev ha accettato una tregua di 30 giorni, ma secondo Washington sarà necessario accettare delle concessioni territoriali. “Siamo a un punto cruciale e avremo una conversazione importante”, ha sottolineato Trump.

Nel frattempo, l’Ucraina prosegue nella sua attività diplomatica. Il presidente Volodymyr Zelensky ha avuto una conversazione telefonica con il presidente francese Emmanuel Macron. Zelensky ha ribadito: “Siamo pronti per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni. Tuttavia, perché ciò avvenga, la Russia deve rinunciare a porre condizioni”. Durante il colloquio con Macron, sono stati affrontati anche temi legati alla definizione di garanzie di sicurezza. Zelensky ha espresso pieno sostegno alla posizione della Francia, sottolineando che è molto chiara su questa questione.

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Raid di Israele su Gaza, la tregua è finita: “Oltre 350 morti”  

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Israele ha condotto una nuova serie di attacchi aerei sulla Striscia di Gaza, ripresi durante la notte su ordine del primo ministro Benjamin Netanyahu. L’operazione, denominata ‘Strength and Sword’ (Forza e Spada), è stata avviata dopo il fallimento degli sforzi per prolungare il cessate il fuoco. Secondo fonti mediche locali citate dalla rete satellitare al-Jazeera, il bilancio delle vittime ha raggiunto i 356 morti.

Il direttore del ministero della Sanità di Gaza, Mohammed Zaqout, ha confermato che la maggior parte delle vittime sono donne e bambini palestinesi, mentre i feriti si contano a centinaia.

Tra le vittime c’è anche il generale di divisione Mahmoud Abu Watfa, a capo del ministero dell’Interno del governo di Hamas, secondo quanto riferito da fonti del movimento di resistenza islamico all’agenzia Afp.

Nel frattempo, le Forze di Difesa Israeliane (Idf) hanno emesso nuovi ordini di evacuazione per alcune aree della Striscia di Gaza, in particolare nelle estremità dell’enclave. Il portavoce delle Idf, Avichay Adraee, ha invitato gli abitanti a “lasciare immediatamente” zone considerate pericolose, descrivendole come “aree di combattimento”. Fra queste, sono menzionate Beit Hanoun, Khirbet Khuza’a, Abasan al-Kabira e Abasan al-Jadida, con l’indicazione di spostarsi verso ovest, a Gaza City, o nella zona di Khan Younis.

L’ufficio del primo ministro ha annunciato che Netanyahu, insieme al ministro della Difesa Israel Katz, ha incaricato le Idf di intensificare le operazioni contro Hamas. “Questo è avvenuto dopo il rifiuto di Hamas di rilasciare gli ostaggi e accettare le proposte avanzate dall’inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori internazionali”, ha dichiarato l’ufficio di Netanyahu in un post sui social. La dichiarazione, riportata dal Times of Israel, sottolinea che i piani di ripresa delle operazioni erano stati già approvati la scorsa settimana.

Il ministro Katz ha ribadito che Israele combatterà a Gaza “fino al ritorno degli ostaggi e al raggiungimento di tutti gli obiettivi”. Anche il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha sottolineato che l’obiettivo è distruggere Hamas, liberare gli ostaggi e neutralizzare ogni minaccia proveniente dall’enclave.

Dal lato opposto, Hamas ha accusato Netanyahu di aver “condannato a morte gli ostaggi” con la decisione di riprendere le ostilità. In un comunicato, il movimento ha denunciato la ripresa della guerra come un sabotaggio degli accordi di cessate il fuoco, utilizzata dal premier israeliano per distrarre l’opinione pubblica dalla crisi politica interna. Hamas ha inoltre chiesto ai mediatori internazionali di ritenere Israele responsabile per la violazione degli accordi e di fermare l’aggressione.

La Casa Bianca ha confermato che Israele ha consultato l’amministrazione americana prima di lanciare i nuovi raid. Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, Brian Hughes, ha dichiarato che Hamas avrebbe potuto prolungare il cessate il fuoco rilasciando gli ostaggi, ma ha scelto invece di continuare il conflitto. A sua volta, la portavoce presidenziale Karoline Leavitt ha ribadito che “gli Stati Uniti non tollereranno atti di terrorismo contro Israele o gli Stati Uniti”, minacciando conseguenze severe per i responsabili.

Il cessate il fuoco, durato circa due settimane e mezzo, si era interrotto mentre si negoziavano ulteriori termini per estendere la tregua. Hamas aveva richiesto che Israele si ritirasse completamente da Gaza come parte della seconda fase dell’accordo, ma Netanyahu ha respinto ogni proposta senza la distruzione completa delle capacità militari del movimento.

Nel frattempo, gli Houthi dello Yemen hanno condannato la ripresa delle operazioni israeliane, dichiarando che i palestinesi non saranno lasciati soli e che intensificheranno il loro sostegno alla causa. Secondo le reti satellitari arabe, l’Iran sarebbe accusato di sostenere il gruppo yemenita.

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Trump: “80mila documenti sull’omicidio di JFK saranno pubblicati”  

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“Tutti i documenti sul caso Kennedy saranno resi pubblici”, ha dichiarato Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, durante una visita al Kennedy Center. L’annuncio riguarda la diffusione dei file sull’omicidio di John Fitzgerald Kennedy, programmata per martedì 18 marzo.

Il presidente Kennedy fu assassinato a Dallas il 22 novembre 1963, mentre attraversava Dealey Plaza a bordo di un’auto scoperta. L’attentato fu attribuito a Lee Harvey Oswald, arrestato e poi ucciso due giorni dopo da Jack Ruby nella centrale di polizia di Dallas, prima del trasferimento al carcere della contea.

Trump ha spiegato di aver incaricato un team guidato da Tulsi Gabbard, direttrice della National Intelligence, per coordinare il rilascio dei documenti. “Si tratta di una mole enorme di informazioni, circa 80mila pagine, e non sarà effettuata alcuna modifica,” ha dichiarato. “È un impegno che ho preso durante la campagna elettorale e intendo mantenerlo. I file saranno disponibili nel pomeriggio e forniranno spunti molto interessanti.”

Il processo per la pubblicazione dei documenti è iniziato a gennaio, quando Trump ha firmato un ordine esecutivo. A febbraio, l’FBI ha annunciato di aver identificato circa 2.400 nuovi file relativi al caso.

Nel 2023, gli Archivi Nazionali hanno completato la revisione dei documenti classificati sull’assassinio, rendendo pubblico il 99% del materiale. Tuttavia, alcuni file rimangono riservati per proteggere l’identità di fonti sensibili che potrebbero essere ancora in vita, come richiesto da CIA, Pentagono e Dipartimento di Stato.

Dopo l’omicidio, il presidente Lyndon B. Johnson istituì la Commissione Warren, che concluse che l’assassinio fu opera di un unico tiratore. Nel 1976, una nuova indagine fu avviata dalla United States House Select Committee on Assassinations (HSCA). Nel 1979, analisi acustiche suggerirono la possibilità della presenza di un secondo tiratore, riaprendo il dibattito sull’evento.

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“Città Geopolitiche”: viaggio nelle capitali dell’intrigo, del potere e della...

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Paesi Edizioni, una casa editrice romana conosciuta per la sua specializzazione in saggi di attualità, amplia il proprio catalogo con una nuova collana intitolata “Città Geopolitiche”. Questo progetto, curato dall’editore Luciano Tirinnanzi, si concentra su reportage e saggi narrativi che analizzano le città più influenti a livello internazionale come centri strategici di relazioni globali, conflitti e trasformazioni epocali.

Ben lontani dall’essere semplici guide turistiche, i volumi di questa collana offrono un’esplorazione approfondita delle città selezionate per la loro importanza geopolitica. Dalle zone di crisi ai nuovi poli economici, fino alle capitali simbolo di cambiamenti sociali e culturali, i libri sono arricchiti con mappe illustrative e suggestive gallerie fotografiche, pensate per un pubblico ampio che spazia dai 14 ai 99 anni.

I primi tre titoli, programmati per il lancio a marzo 2025, saranno dedicati a città di grande rilevanza: Pietroburgo, Teheran e Pyongyang.

Il primo volume della serie, intitolato “Pietroburgo” e scritto da Anna Zafesova, una delle maggiori esperte italiane di Russia, racconta la storia della città imperiale dalle sue origini sotto Pietro il Grande fino all’era di Vladimir Putin. Il libro esplora come Pietroburgo sia stata la culla di zar, rivoluzionari e oligarchi, intrecciando le vicende storiche con i grandi personaggi che l’hanno plasmata, tra cui Lenin, Dostojevskij, Rasputin e Prigozhin. La città, segnata dall’assedio nazista e dagli orrori staliniani, emerge come laboratorio della storia russa e protagonista nell’attuale scacchiere politico del Cremlino.

Il secondo volume, “Teheran”, scritto da Pegah Moshir Pour, offre una prospettiva intima sulla capitale iraniana. L’autrice, attivista per i diritti umani, guida i lettori attraverso le contraddizioni di una società oppressa da un regime teocratico, ma animata da una gioventù che sogna il cambiamento. Il libro dà voce a donne che lottano per i propri diritti, giovani che sfidano il patriarcato e intellettuali che resistono alla censura. Attraverso il simbolo del Farawahar, lo “spirito guida” della Persia, Moshir Pour accompagna i lettori in una Teheran nascosta, dove la libertà si esprime in versi poetici clandestini e aspirazioni soffocate dalla repressione.

Il terzo titolo, “Pyongyang”, è firmato da Federico Giuliani, uno degli ultimi giornalisti occidentali a visitare la Corea del Nord prima della chiusura totale del Paese dovuta alla pandemia. Questo libro offre un ritratto unico della capitale nordcoreana, superando i soliti stereotipi legati alla dinastia dei Kim. Giuliani descrive una città costruita come monumento alla glorificazione dei leader, raccontando una popolazione che vive sotto un controllo statale ferreo. Attraverso un mix di reportage e analisi storica, l’autore svela le dinamiche del regime nordcoreano e le strategie che ne garantiscono il potere in uno degli stati più isolati del mondo.

Nei prossimi volumi, la collana esplorerà altre città di cruciale importanza geopolitica, tra cui Istanbul (a cura di Marta Ottaviani), Odessa (scritto da Micol Flammini e Monica Perosino) e Aden (firmato da Laura Silvia Battaglia).

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Trump: “Ogni colpo sparato dagli Houthi è attacco dell’Iran, conseguenze...

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“Ogni singolo attacco lanciato dagli Houthi sarà trattato, da ora in avanti, come un’azione diretta delle armi e della leadership dell’Iran,” ha affermato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, attraverso un post su Truth. “L’Iran ne sarà ritenuto responsabile e dovrà affrontare conseguenze terribili.”

“Non lasciatevi ingannare!” ha proseguito Trump, sottolineando come “gli innumerevoli attacchi compiuti dagli Houthi, una banda di criminali e mafiosi operanti nello Yemen e disprezzati dal popolo yemenita, siano orchestrati direttamente dall’Iran.” Il presidente ha inoltre avvertito che “qualsiasi ulteriore azione o provocazione da parte degli Houthi sarà contrastata con estrema durezza, e non è garantito che tale risposta resti limitata.”

Trump ha accusato l’Iran di “fingere di essere una vittima innocente, sostenendo di aver perso il controllo sui terroristi che agiscono per suo conto.” Tuttavia, ha aggiunto, “l’Iran non ha mai perso il controllo: sta dirigendo ogni loro mossa, fornendo armamenti, supporto finanziario, attrezzature militari avanzate e persino informazioni d’intelligence.”

Nelle prime ore della giornata, i ribelli Houthi hanno dichiarato di aver colpito per la seconda volta in 24 ore una portaerei americana, la USS Harry S. Truman, e altre unità navali nel Mar Rosso settentrionale. Un portavoce del gruppo ha definito l’attacco una “rappresaglia per le aggressioni statunitensi.”

Nel frattempo, nuovi raid aerei statunitensi hanno colpito alcune aree dello Yemen, tra cui la città portuale di Hodeidah e il governatorato di Al Jawf, situato a nord della capitale Sana’a. Secondo l’emittente degli Houthi, Al Masirah, gli attacchi odierni sono una risposta alle minacce dei ribelli di colpire navi dirette verso Israele, dopo il blocco degli aiuti umanitari verso la popolazione nella Striscia di Gaza.

Il ministero della Sanità affiliato agli Houthi ha aggiornato il bilancio delle vittime degli attacchi statunitensi: 53 morti, tra cui cinque bambini e due donne, e 98 feriti. Questi dati sono stati condivisi dal portavoce del ministero, Anis Al-Asbahi, attraverso un post su X.

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Trump dichiara nulle le grazie di Biden: “Non le ha firmate lui con una vera...

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Donald Trump ha dichiarato “nulle, non valide e prive di efficacia” le grazie concesse da Joe Biden, sostenendo che queste non sarebbero state firmate con una vera penna. In particolare, l’ex presidente ha affermato la sua intenzione di annullare le misure preventive a tutela dei membri della commissione d’inchiesta sull’assalto al Congresso, che ha definito come il “comitato dei banditi politici”.

In un post pubblicato su Truth Social nel cuore della notte, Trump ha accusato Biden di aver utilizzato un “Autopen”, uno strumento meccanico in grado di riprodurre una firma, per convalidare le grazie. “In altre parole, Biden non le ha firmate, e cosa ancora più grave, non era nemmeno consapevole della loro esistenza”, ha scritto Trump. Questa dichiarazione riprende quanto espresso poche ore prima ai giornalisti a bordo dell’Air Force One, sebbene in tono meno categorico.

“Non spetta a me decidere, ma sarà un giudice a stabilirlo. Tuttavia, io ritengo che siano nulle, poiché sono certo che Biden non fosse minimamente consapevole di quanto stava accadendo e che qualcuno abbia usato l’autopen per firmare le grazie”, ha aggiunto Trump. Le sue parole si basano su un rapporto della Heritage Foundation, un think tank conservatore vicino alla sua amministrazione, che ha analizzato l’uso della penna automatica per firmare le grazie concesse il 20 gennaio scorso, ultimo giorno di Biden alla Casa Bianca.

Trump ha inoltre affermato: “I documenti necessari per la concessione della grazia non sono stati né spiegati né approvati da Biden. Non era a conoscenza di nulla e chiunque abbia compiuto questo atto potrebbe aver commesso un crimine. I membri della commissione, che hanno distrutto tutte le prove raccolte durante i due anni di caccia alle streghe contro di me e altre persone innocenti, devono sapere che saranno oggetto di indagini al massimo livello”.

Le dichiarazioni di Trump sembrano mettere in discussione le basi stesse del sistema costituzionale americano. La Costituzione assegna al presidente il potere di concedere la grazia, senza prevedere alcun meccanismo per revocarla. Inoltre, la giurisprudenza contraddice l’affermazione secondo cui la firma del presidente deve essere fisica: già nel 1929 il Dipartimento di Giustizia stabilì che spetta unicamente al presidente decidere il metodo per concedere una grazia, e una corte federale ha successivamente confermato che un perdono presidenziale può persino non essere formalmente scritto.

Tra i destinatari delle grazie concesse da Biden ci sono i membri della commissione d’inchiesta sul Congresso, tra cui l’odiata (da Trump) Liz Cheney e l’altro repubblicano Adam Kinzinger, entrambi ormai esclusi dal Congresso per le loro posizioni anti-Trump. Le grazie sono state concesse anche a figure come l’ex capo degli Stati Maggiori Riuniti, Mark Milley, e Anthony Fauci. Inoltre, Biden ha firmato atti di grazia per il figlio Hunter e per altri membri della sua famiglia, misure che continuano a suscitare controversie.

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Ucraina-Russia, il Kursk raccontato dai soldati: alla Bbc le testimonianze da “film...

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“Come un film dell’orrore” è la descrizione dei soldati ucraini che si trovano a ritirarsi dal fronte nella regione russa di Kursk. Questo territorio, teatro dell’operazione iniziata nell’agosto scorso dalle forze di Kiev, ha visto la perdita del controllo di Sudzha, la città più grande conquistata dagli ucraini. Il ritiro è stato definito catastrofico, segnato da incessanti scontri, distruzione di colonne militari e continui attacchi di droni russi, secondo le testimonianze raccolte dalla BBC. Alcuni osservatori parlano di un vero e proprio crollo del fronte, con difficoltà nel delineare un quadro completo della situazione.

Gli esperti militari stimano che la Russia abbia radunato fino a 70.000 soldati, tra cui 12.000 nordcoreani, per riconquistare Kursk. Dall’altra parte, l’offensiva ucraina ha coinvolto circa 12.000 truppe, molte delle quali dotate di armamenti avanzati forniti dall’Occidente, tra cui carri armati e mezzi blindati. Tuttavia, video condivisi da blogger russi mostrano parte di questi equipaggiamenti distrutti o catturati.

Il 9 marzo, un soldato ucraino identificato come ‘Volodymyr’ ha confermato via Telegram di trovarsi ancora a Sudzha, descrivendo la situazione come un mix di panico e disorganizzazione, con droni russi che colpivano senza sosta le colonne militari. Ha sottolineato che la strada tra Sudzha e Sumy, inizialmente sicura, era ormai sotto il controllo del fuoco nemico, con droni operativi 24 ore su 24. Secondo ‘Volodymyr’, la sorpresa del comando ucraino di fronte a questa situazione ha aggravato le difficoltà.

Un altro soldato, ‘Maksym’, ha raccontato via Telegram che l’11 marzo le truppe ucraine erano impegnate in combattimenti per evitare l’interruzione della strada. Ha spiegato che era stato dato ordine di abbandonare le linee di difesa attraverso un ritiro organizzato, mentre la Russia continuava a rafforzare le proprie forze, includendo molti soldati nordcoreani e utilizzando i migliori droni FPV. Secondo ‘Maksym’, la Russia ha distrutto decine di equipaggiamenti, creando congestioni nelle rotte di rifornimento.

‘Anton’, un altro soldato ucraino, ha definito la situazione nel quartier generale del fronte di Kursk come catastrofica. Ha dichiarato che la logistica era ormai paralizzata, rendendo impossibili le consegne organizzate di armi, munizioni, cibo e acqua. Nonostante ciò, è riuscito a lasciare Sudzha a piedi, di notte.

Tra l’11 e il 12 marzo, ‘Dmytro’ ha condiviso sui social media immagini del ritiro, paragonandolo a scene da film horror. Ha descritto strade piene di veicoli distrutti, mezzi blindati danneggiati e un alto numero di feriti e caduti. La situazione è stata definita difficile e critica, culminando in una condizione catastrofica.

‘Artem’, ferito e ricoverato in un ospedale militare, ha raccontato via Telegram la resistenza delle forze ucraine nei pressi di Loknya. Ha elogiato il coraggio dei soldati, che “combattevano come leoni”, sottolineando l’importanza della creazione di una zona cuscinetto che impedisse ai russi di entrare a Sumy. Tuttavia, il 13 marzo, la Russia ha dichiarato che la situazione nel Kursk era sotto il suo completo controllo.

Secondo gli analisti, gli ucraini hanno perso due terzi dei mille chilometri quadrati conquistati inizialmente. Il generale ucraino Oleksandr Syrskyi ha difeso la decisione del ritiro verso posizioni più favorevoli, sottolineando che l’operazione russa ha causato oltre 50.000 perdite tra soldati morti, feriti e catturati.

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Ucraina, Starmer ai volenterosi: “Putin fermi attacchi barbari”. Meloni:...

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In una videoconferenza, il premier britannico Keir Starmer ha riunito la cosiddetta “coalizione dei volenterosi” per discutere della situazione in Ucraina e della sicurezza internazionale. Durante l’incontro, a cui hanno partecipato 26 leader, insieme a rappresentanti della NATO e dell’Unione Europea, Starmer ha sottolineato che il presidente russo Vladimir Putin sarà inevitabilmente costretto a sedersi al tavolo delle trattative.

Starmer ha ribadito che se Putin è davvero intenzionato a raggiungere la pace, deve immediatamente porre fine agli attacchi brutali contro l’Ucraina e accettare un cessate il fuoco. “Il nostro obiettivo è lavorare per una pace che sia stabile e duratura,” ha dichiarato il premier britannico, esortando i partecipanti a mantenere alta la pressione su Mosca.

Secondo Starmer, è essenziale rafforzare le difese ucraine e creare una coalizione internazionale pronta a far rispettare qualsiasi accordo di pace. Ha inoltre evidenziato che l’Ucraina ha dimostrato di essere genuinamente favorevole alla pace, mentre Putin sembra intenzionato a ritardare ogni progresso. “Il mondo ha bisogno di azioni concrete, non di parole vuote,” ha aggiunto.

Al termine della videoconferenza, Starmer ha annunciato che i “pianificatori militari” si riuniranno nel Regno Unito per sviluppare piani pratici a supporto della sicurezza futura dell’Ucraina. Ha anche sottolineato che la coalizione comprende partner di tutto il mondo, dall’Unione Europea a Paesi come Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone.

Il premier britannico ha ribadito l’importanza di continuare a fornire aiuti militari all’Ucraina e mantenere le sanzioni contro la Russia per indebolirne la macchina bellica. “È il momento di accelerare il nostro impegno, lavorando insieme per raggiungere una pace giusta e garantire sicurezza a livello globale,” ha dichiarato.

Starmer ha anche accusato la Russia di alimentare il conflitto e creare instabilità, minacciando la sicurezza internazionale. Ha invitato Putin a fermare gli attacchi contro l’Ucraina e ha criticato il Cremlino per il suo approccio dilatorio, sottolineando che il mondo non può attendere oltre.

In conferenza stampa, Starmer ha ribadito che qualsiasi piano di pace dovrà coinvolgere strettamente gli Stati Uniti. Ha sottolineato che l’amministrazione americana, guidata da Donald Trump, rimane impegnata nella ricerca di una soluzione duratura. “Le relazioni tra Regno Unito e Stati Uniti sono tra le più strette al mondo,” ha aggiunto.

Nel caso in cui Putin rifiutasse un cessate il fuoco, il premier britannico ha affermato che sarà necessario intensificare gli sforzi per rafforzare l’Ucraina e aumentare la pressione economica sulla Russia. “Il nostro obiettivo è garantire che Mosca paghi per i danni causati dall’invasione,” ha dichiarato.

Durante la videoconferenza, è emersa una maggiore determinazione collettiva tra i partecipanti, con nuovi impegni messi sul tavolo per contrastare l’aggressione russa. Tra i leader collegati c’era anche la premier italiana Giorgia Meloni, che ha confermato il sostegno dell’Italia all’Ucraina, pur escludendo la partecipazione a una forza militare sul terreno.

In un post su X, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha ringraziato Starmer per l’iniziativa, ribadendo il pieno sostegno dell’Europa al popolo ucraino e alle sue forze armate. Ha annunciato anche l’intenzione di rafforzare le difese europee tramite il programma ReArm Europe.

Nel frattempo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto di mantenere alta la pressione sulla Russia, denunciando le tattiche dilatorie del Cremlino. Zelensky ha affermato che la Russia continua a mentire sulla situazione al fronte e prolunga deliberatamente il conflitto.

Secondo Zelensky, la pace sarà possibile solo con uno sforzo collettivo volto a garantire la sicurezza e a impedire che l’aggressore ottenga vantaggi da questa guerra. Ha ringraziato i partner internazionali per il loro sostegno, menzionando anche i progressi tecnologici delle forze ucraine, come il test del nuovo missile Long Neptune.

Infine, il Cremlino ha lanciato un ultimatum alle truppe ucraine nella regione di Kursk, chiedendone la resa. Tuttavia, Zelensky ha negato qualsiasi accerchiamento delle forze ucraine e ha ringraziato i militari per la loro resilienza. Ha ribadito che l’Ucraina è pronta a fornire ai partner internazionali tutte le informazioni necessarie per comprendere le reali intenzioni di Mosca.

Starmer, concludendo la giornata, ha ribadito che il mondo non può permettersi di aspettare ulteriormente. “Dobbiamo agire ora per garantire una pace stabile e duratura,” ha affermato, sottolineando la necessità di intensificare la pressione economica e militare sulla Russia per porre fine a questa guerra.

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Ucraina, Trump: “Non c’è stato nessuno più inflessibile di me verso la Russia”

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Trump risponde in un’intervista a Fox News sulle ripercussioni dello stop ai sussidi militari a Kiev.

L’Ucraina rischierebbe di non sopravvivere senza gli aiuti degli Stati Uniti? “Potrebbe non sopravvivere comunque,” afferma il presidente americano Donald Trump in un’intervista rilasciata a Fox News, interpellato sulle conseguenze della sospensione del sostegno militare statunitense a Kiev. Trump ha bloccato il supporto e interrotto la condivisione di informazioni di intelligence con l’Ucraina. In seguito a questa svolta di Washington, la situazione sul campo è diventata ancor più ardua per le forze di Kiev. La Russia avanza con maggiore determinazione nell’area di Kursk, che l’Ucraina ha invaso nell’agosto del 2024, puntando a piazzare un colpo decisivo prima di eventuali colloqui di pace. “Nessuno è stato più fermo di me nei confronti della Russia, lo ammetterebbe persino Putin,” dichiara Trump.

“Nessuno è stato più duro di Donald Trump contro la Russia,” ribadisce il presidente Usa, che torna a esprimere giudizi poco entusiasti sul leader ucraino Volodymyr Zelensky, di fatto allontanato dalla Casa Bianca dopo un diverbio di 2 settimane fa. “Zelensky ha sottratto delle caramelle a un bambino, è una persona energica e astuta. Con Biden alla presidenza, ha ottenuto fondi da questo Paese rubando caramelle a un bambino. È stato un gioco da ragazzi. Gli Stati Uniti hanno versato 350 miliardi di dollari, mentre l’Europa ne ha stanziati solo 100. Io ho fornito all’Ucraina i Javelin, che hanno consentito di distruggere i carri armati russi. Obama non ha dato nulla all’Ucraina. Se fossi rimasto io alla Casa Bianca, non ci sarebbe stata la guerra in Ucraina e non sarebbe accaduto il 7 ottobre 2023 in Israele,” sostiene Trump.

“Credo che succederà,” afferma, rispondendo alla domanda su un possibile ritorno di Zelensky alla Casa Bianca per sottoscrivere un patto sulle terre rare: un’intesa che permetterebbe agli Stati Uniti di accedere alle risorse minerarie dell’Ucraina. Secondo Trump, si tratterebbe di una specie di compensazione: “Abbiamo speso 350 miliardi – ripete – e abbiamo un oceano che ci separa dall’Europa. Sa cosa mi irrita dell’Europa? Hanno trasferito più fondi alla Russia per acquistare petrolio e gas di quanti ne abbiano investiti in aiuti all’Ucraina.”

All’interno di una logica di riduzione della spesa pubblica, per il momento Trump non tocca la difesa: “Vorrei ridurre le spese militari ma non è il momento: c’è la Russia, c’è la Cina, ci sono numerose criticità. Investiamo ingenti somme sui missili nucleari, con un potenziale distruttivo inimmaginabile. Tutti destinano risorse a qualcosa che, se utilizzato, annienterebbe il mondo,” dichiara.

Trump non esclude che gli Stati Uniti possano entrare in recessione nell’anno in corso. A una domanda specifica, risponde: “Detesto fare previsioni in merito. Stiamo attraversando una fase di transizione, perché ciò che stiamo realizzando è molto imponente. Stiamo riportando ricchezza negli Stati Uniti. È un processo su vasta scala e richiede sempre un po’ di tempo.”

Per quanto riguarda Elon Musk, “ha mostrato a tutti quante persone si potrebbero tagliare. Normalmente si sfoltisce il 4% della forza lavoro, lui ha suggerito di eliminare il 50%, perfino il 60%. Ha svolto un lavoro notevole, ma ne sta pagando le conseguenze. Non era obbligato a farlo. In verità è un autentico patriota.”

Infine, la questione dei dazi: quelli nei confronti di Messico e Canada potrebbero subire ulteriori aumenti. “Le tariffe potrebbero salire con il passare del tempo,” dichiara Trump, aggiungendo che “per anni i globalisti hanno raggirato gli Stati Uniti, sottraendo denaro a questo Paese, e tutto ciò che stiamo facendo è recuperare parte di quelle risorse.” “Questa nazione è stata frodata da ogni Paese del mondo, da ogni azienda del globo. Siamo stati ingannati come mai in precedenza e quello che faremo,” sottolinea, “è riprenderci quello che ci appartiene.”

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Israele prepara un piano per il trasferimento da Gaza, con avvio nelle prossime settimane

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Lo ha annunciato il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, sottolineando che le iniziative in atto “si svolgono in coordinamento con l’Amministrazione Usa”. Nel frattempo, è atteso a Doha l’inviato speciale della Casa Bianca per il Medio Oriente, Steve Witkoff.

Il piano di migrazione
Su impulso del premier Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Israel Katz, il governo israeliano sta istituendo un ente per la migrazione incaricato di gestire l’esodo dei palestinesi dalla Striscia di Gaza, in linea con il progetto annunciato dal presidente americano Donald Trump. A renderlo noto è stato nuovamente Smotrich, precisando che tutte le operazioni sono condotte in collaborazione con l’amministrazione statunitense.

Un progetto “logisticamente complesso”
Come dichiarato dal ministro del partito del sionismo religioso, il piano risulta “logisticamente complesso” e prevede come unica soluzione che i palestinesi lascino volontariamente l’area. Le operazioni inizieranno già nelle prossime settimane, ha aggiunto, affermando: “Ai residenti attuali della Striscia di Gaza non rimarrà nulla nella regione nei prossimi 10 o 15 anni”.

Witkoff in arrivo a Doha
L’inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff è atteso a Doha per favorire la ripresa dei negoziati volti a estendere il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Lo riferisce Axios, dopo l’annuncio di Israele sull’invio di una delegazione in Qatar “su invito dei mediatori sostenuti dagli Stati Uniti”. Hamas ha parlato di segnali “positivi” in merito alla possibilità di negoziare la seconda fase dell’accordo.

Estensione della tregua
Secondo Axios, l’Amministrazione Trump, in linea con l’intenzione espressa da Israele, auspica che la prima fase dell’accordo sulla tregua – conclusasi sabato scorso – possa essere prorogata fino alla fine del Ramadan (fine marzo) e della Pesach, fissata per il 20 aprile.

Colloqui con Hamas
Il Times of Israel, citando il consigliere del movimento palestinese Taher Al-Nono, riporta che si sono svolti diversi incontri tra i leader di Hamas e il mediatore americano per gli ostaggi Adam Boehler. In proposito, un funzionario israeliano ha dichiarato all’emittente pubblica Kan che, durante un incontro avvenuto la scorsa settimana tra Boehler e un’importante delegazione di Hamas guidata da Khalil al-Hayya, sono stati compiuti progressi verso la prosecuzione dell’accordo.

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Esteri

Gaza, l’Italia con Francia, Germania e Regno Unito: “Favorevole l’iniziativa araba”

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I ministri degli Esteri dei quattro Paesi: “Ribadiamo chiaramente che Hamas non deve più governare Gaza né costituire una minaccia per Israele”

“Noi, ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito, accogliamo con favore l’iniziativa araba di un piano di ripresa e ricostruzione per Gaza. Il piano indica un percorso concreto per la ricostruzione di Gaza e promette – se attuato – un rapido e duraturo miglioramento delle condizioni di vita, attualmente disastrose, dei palestinesi residenti a Gaza.” È quanto affermano in una dichiarazione congiunta i capi delle diplomazie dei quattro Paesi europei, incluso il ministro degli Esteri Antonio Tajani, sottolineando che “gli sforzi di ripresa e ricostruzione devono poggiare su un solido quadro politico e di sicurezza, accettabile tanto per gli israeliani quanto per i palestinesi, in modo da garantire pace e sicurezza a lungo termine.”

“Ribadiamo con fermezza che Hamas non deve più governare Gaza né rappresentare una minaccia per Israele. Dichiariamo apertamente il nostro sostegno al ruolo centrale dell’Autorità palestinese e all’attuazione del suo programma di riforme”, proseguono i quattro ministri degli Esteri, elogiando “gli importanti sforzi di tutte le parti coinvolte” e apprezzando “il segnale rilevante che gli Stati arabi hanno inviato lavorando insieme a questo piano di ripresa e ricostruzione.”

“Ci impegniamo a operare per sostenere l’iniziativa araba, i palestinesi e Israele nell’affrontare congiuntamente queste questioni, comprese sicurezza e governance. Incoraggiamo tutte le parti a partire dai punti di sostanza del piano come base di riferimento”, concludono.

Il piano arabo per la ricostruzione di Gaza
È costituito da due fasi e prevede un investimento di 53 miliardi di dollari il progetto per la ricostruzione della Striscia di Gaza, presentato durante il summit di emergenza della Lega Araba al Cairo. Rappresenta un’alternativa al piano ipotizzato dal presidente americano Donald Trump. Secondo i media arabi, per i leader arabi, la ricostruzione di Gaza dovrebbe richiedere almeno quattro anni e mezzo. Questa prima fase prevede un cessate il fuoco temporaneo, durante il quale verranno “adottate misure per rafforzare la fiducia”, e nel frattempo Egitto e Giordania forniranno addestramento alla polizia palestinese, in vista del suo dispiegamento nella Striscia di Gaza.

Dai dettagli della bozza del piano egiziano, diffusi dall’emittente qatariota Al-Arabi, emerge che, oltre allo stanziamento di 53 miliardi di dollari per la ricostruzione della Striscia, è prevista l’istituzione di un comitato temporaneo incaricato della gestione di Gaza per un periodo di sei mesi. Si tratta di una fase transitoria, mirata a preparare il ritorno dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) a Gaza. Durante il cessate il fuoco temporaneo, comincerebbero negoziati diretti tra Israele e palestinesi per arrivare a una soluzione a due Stati. Il piano arabo afferma infatti che i palestinesi hanno diritto a uno Stato indipendente che coesista accanto allo Stato di Israele, sottolineando: “La soluzione dei due Stati consentirà l’avvio di relazioni tra i Paesi della regione e Israele.”

Il progetto arabo apre anche alla possibilità che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite valuti l’invio di forze internazionali a Gaza. In base alle anticipazioni, il comitato che si insedierebbe nella Striscia di Gaza sarebbe composto da figure indipendenti, escluderebbe membri di organizzazioni terroristiche palestinesi e opererebbe sotto l’autorità del governo dell’Anp di Ramallah. Inoltre, in sette aree della Striscia di Gaza verrebbero realizzati alloggi temporanei per 1,5 milioni di palestinesi, in contrasto con l’ipotesi di “massiccio sfollamento” immaginata da Trump.

L’emittente Al-Arabiya riferisce che la prima fase di ricostruzione dovrebbe durare due anni, per un costo di circa 20 miliardi di dollari. La seconda fase, invece, si estenderebbe su due anni e mezzo, con una spesa di circa 30 miliardi di dollari. Gran parte dei fondi è destinata alla ristrutturazione delle abitazioni dei residenti, precisa la tv. Il comitato temporaneo avrebbe il compito di raccogliere il sostegno e i finanziamenti necessari per la ricostruzione, mentre un fondo fiduciario supervisionato a livello internazionale gestirebbe le risorse raccolte, come riportato dai media arabi.

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Esteri

Trump insofferente anche con Putin, la pace in Ucraina più complessa del previsto?

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Mosca, dal punto di vista militare, non rallenta: continua a colpire e a minacciare l’Europa dopo l’approvazione del piano di riarmo, provocando l’ira del presidente degli Stati Uniti.

Come sta reagendo Mosca in queste ore convulse, mentre prende forma un nuovo scenario intorno alla guerra in Ucraina? E soprattutto, Vladimir Putin è disposto a dare ascolto alla pressante richiesta di Donald Trump di fermare il conflitto? I fronti aperti sono diversi: c’è il campo di battaglia, dove la Russia avanza per conquistare quanto più territorio possibile; c’è la questione dei rapporti con l’Europa, con la propaganda del Cremlino che alza il tono delle minacce dopo il Consiglio Ue che ha approvato il piano di riarmo proposto da Ursula Von der Leyen; infine, c’è il legame con gli Stati Uniti, più che mai complicato dalle dichiarazioni quotidiane di Donald Trump, che non contribuiscono a fare chiarezza.

Sul piano militare, la strategia è quella più chiara. I russi continuano a sferrare attacchi contro l’Ucraina, con l’obiettivo di infliggere quanti più danni possibili. Il ministero della Difesa di Mosca ha fatto sapere che nella notte appena trascorsa, le forze aeree, navali e terrestri russe hanno condotto operazioni con missili e droni “contro infrastrutture del gas e dell’energia che sostengono il funzionamento del complesso militare-industriale dell’Ucraina”. Kiev ha confermato gli assalti: l’Ucraina è stata bersagliata da almeno 58 missili russi e 194 droni, e per contrastare l’offensiva ha impiegato per la prima volta i caccia francesi Mirage 2000, consegnati dalla Francia il mese scorso.

Il secondo fronte è la reazione a ciò che è emerso dal Consiglio Ue, dove l’Europa ha espresso una posizione unitaria particolarmente decisa. “Questa retorica e questi piani aggressivi che vediamo a Bruxelles e nelle capitali europee – ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov – sono in profondo contrasto con lo spirito di ricerca di soluzioni pacifiche in Ucraina”. Ha poi sottolineato che il riarmo della Ue “è diretto principalmente contro la Russia” e ha aggiunto, secondo il classico copione, la minaccia conseguente: Mosca è pronta ad “adottare contromisure appropriate”.

Nel frattempo, il Cremlino può contare su un alleato affidabile anche all’interno dell’Unione Europea. Il premier ungherese Viktor Orban, unico a non approvare la risoluzione del Consiglio a favore di Kiev, ribadisce la sua netta posizione filorussa: “L’ingresso dell’Ucraina nell’Ue significherebbe il tracollo dell’Europa”.

Il terzo tema riguarda proprio il rapporto con Donald Trump. L’attuale linea degli Stati Uniti, più distanziata dall’Europa e interessata a chiudere in fretta la guerra in Ucraina, rappresenta sulla carta un vantaggio per Vladimir Putin, finora “isolato” dalla comunità internazionale che faceva riferimento alla Nato. Tuttavia, le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti iniziano a rivelare un certo nervosismo verso le reali intenzioni di Putin. Dopo aver detto che Kiev “desidera trovare un accordo perché non intravede alternative”, Trump ha aggiunto: “Credo che anche la Russia voglia trovare un’intesa perché pure lei non ha scelta, in un certo senso… un senso che conosco solo io”. A cosa allude Trump? Cosa significa “un senso che conosco solo io”? Il presidente degli Stati Uniti rimane fedele al suo stile: ha promesso la fine del conflitto e a quella soluzione intende arrivare. E adesso, dopo aver ridicolizzato Zelensky alla Casa Bianca, torna a prendere di mira anche Putin.

Significativo è ciò che Trump ha scritto su Truth: “Considerando che la Russia in questo momento sta letteralmente ‘martellando’ l’Ucraina sul campo di battaglia, sto valutando con molta serietà di introdurre sanzioni bancarie su vasta scala e dazi contro la Russia finché non sarà avviato un cessate il fuoco e non verrà sottoscritto un ACCORDO DI RISOLUZIONE FINALE SULLA PACE”. Le lettere maiuscole servono sempre a rendere il post più incisivo. “Russia e Ucraina, sedetevi subito al tavolo delle trattative, prima che sia troppo tardi. Grazie!!!”, ha concluso il presidente statunitense.

Tuttavia, la realtà mostra come la strada verso la pace possa rivelarsi più ostica di quanto lo stesso Trump si aspetti.
(Di Fabio Insenga)

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Esteri

Corea del Sud, revocato l’arresto per il presidente Yoon

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Atteso per metà mese il verdetto della Corte costituzionale chiamata a decidere se rimuoverlo dall’incarico o restituirgli i poteri.

Il presidente della Corea del Sud, Yoon Suk Yeol, sospeso dalle sue funzioni in seguito al tentativo di imporre la legge marziale nel Paese, è stato rilasciato dopo che un tribunale ha stabilito di non convalidare la richiesta di arresto. Lo riferisce l’agenzia sudcoreana Yonhap, ricordando come la difesa di Yoon avesse presentato un ricorso il mese scorso sostenendo l’illegittimità delle accuse relative all’imposizione della legge marziale.

Nel frattempo, è atteso per la metà di questo mese il verdetto della Corte costituzionale, incaricata di valutare il caso Yoon per stabilire se rimuoverlo formalmente dall’incarico o ricondurlo al potere. Durante l’ultima udienza, tenutasi davanti alla stessa Corte nell’ambito del procedimento di impeachment, Yoon ha respinto le accuse di «insurrezione».

Il tribunale sudcoreano ha disposto la liberazione di Yoon, accogliendo le ragioni della difesa e rilevando come siano state violate le procedure che hanno consentito di tenerlo sospeso dall’incarico e in stato di detenzione più a lungo di quanto previsto dalla legge, prima dell’incriminazione. Stando a quanto riportato dal New York Times, le accuse formali di insurrezione sono state formulate il 26 gennaio scorso.

Tuttavia, Yoon, in stato di arresto dalla metà di gennaio dopo essersi asserragliato per settimane nella sua residenza, non è ancora uscito dal centro di detenzione di Uiwang, a sud di Seul. A denunciarlo è stato uno dei suoi legali, Seok Dong-hyun, secondo il quale la Procura avrebbe una settimana di tempo per ricorrere contro la decisione. Durante questo periodo, ha spiegato Seok, Yoon rimarrà in custodia.

La decisione odierna del tribunale riguarda esclusivamente il fascicolo legato alle procedure seguite dai pubblici ministeri e non tocca nel merito le accuse contro Yoon in relazione alla scelta di imporre, lo scorso 3 dicembre, la legge marziale, poi revocata dopo breve tempo.

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Esteri

Israele-Hamas, primo venerdì di Ramadan: sicurezza intensificata a Gerusalemme

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Le Forze di Difesa Israeliane (Idf) si dichiarano pronte a “riprendere i combattimenti contro Hamas”, ma il capo dell’organizzazione palestinese avverte: “Se lo farete, uccideremo altri ostaggi.”

Oggi, 7 marzo, a Gerusalemme, le misure di sicurezza sono state potenziate in occasione del primo venerdì del mese sacro di Ramadan, mentre la tensione rimane alta a causa della crisi a Gaza e di un cessate il fuoco sempre più precario. Circa 3mila agenti saranno impegnati per garantire l’ordine sulla Spianata delle Moschee (conosciuta dagli ebrei come Monte del Tempio), nella Città Vecchia di Gerusalemme. Secondo fonti locali, l’accesso alla Spianata per la preghiera del venerdì – momento particolarmente delicato durante la crisi a Gaza – sarà consentito a un massimo di 10mila fedeli.

La Spianata delle Moschee – sotto la custodia della Giordania, mentre Israele ne gestisce la sicurezza – è un complesso che ospita la Cupola della Roccia e la moschea di Al Aqsa, considerato il terzo luogo più sacro per i musulmani dopo La Mecca e Medina. In passato, quest’area sensibile è stata teatro di episodi di violenza durante il Ramadan.

Ministro della Difesa Katz: “Rilasciate i rapiti o ci sarà un nuovo attacco”
Nel frattempo, il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha minacciato di riprendere la guerra contro Gaza con “un’intensità mai vista” qualora non venissero rilasciati gli ostaggi israeliani ancora trattenuti nella Striscia. Katz ha assicurato che tutti i prigionieri torneranno a casa, compresi coloro che sono stati uccisi “dal vile popolo della Striscia di Gaza”, secondo quanto riportato dal Times of Israel.

“L’accordo di cessate il fuoco con l’omicida Hamas e gli elevati prezzi che Israele ha pagato, e continuerà a pagare nell’ambito di tale accordo, mirano a ottenere la rapida liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora in vita, detenuti nelle condizioni più dure a Gaza, nonché il recupero dei corpi di coloro che non sono sopravvissuti, per consentirne la sepoltura in Israele”, ha dichiarato Katz. “È chiaro che i combattimenti termineranno con due risultati evidenti: la liberazione di tutti i nostri ostaggi e la sconfitta di Hamas.”

Idf: “Pronti a un’escalation contro Hamas”

L’esercito israeliano ha fatto sapere di “prepararsi a riprendere i combattimenti” contro i miliziani di Hamas nella Striscia di Gaza. Lo ha affermato il nuovo capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano, Eyal Zamir, nel suo primo giorno in carica. Incontrando le comunità israeliane vicine ai confini con Gaza, Zamir ha ribadito: “Dobbiamo sconfiggere Hamas. Ci stiamo preparando a ricominciare a combattere. Gli ostaggi sono la nostra massima priorità.”

Hamas avverte: “Se attaccate, uccideremo altri ostaggi”
Il portavoce di Hamas, Abu Obeida, ha sottolineato che qualsiasi offensiva militare israeliana contro il gruppo porterà con ogni probabilità all’uccisione di altri ostaggi. Obeida ha inoltre precisato che le minacce di guerra o di blocco degli aiuti non determineranno il rilascio dei prigionieri e ha confermato che l’organizzazione è ancora impegnata a rispettare l’accordo di tregua con Israele, la cui prima fase si è recentemente conclusa.

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Esteri

Vertice Ue, i Ventisette danno nuovo slancio alla difesa europea – accordo senza...

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Il Consiglio Europeo ha approvato all’unanimità le conclusioni sulla difesa comune, ma non è riuscito a ottenere il via libera di tutti sull’Ucraina.

Intesa europea sulla difesa, ma non su Kiev a causa di Orban
Secondo il presidente Antonio Costa, l’Ungheria si è “isolata” rispetto agli altri Stati membri, che invece hanno condiviso la linea comune. Durante il Consiglio Europeo straordinario a Bruxelles, i leader hanno concordato che l’Unione Europea debba diventare “più sovrana”, “maggiormente responsabile in materia di difesa” e “meglio equipaggiata” per affrontare sfide e minacce, sia future che immediate. Tuttavia, non si è giunti a un accordo unanime sull’Ucraina: Viktor Orban ha mantenuto la sua opposizione e non ha ritirato il veto in cambio di concessioni, come era accaduto più volte in passato.

Per non indebolire il documento, i Ventisei hanno preferito un testo a 26: tecnicamente non si tratta di conclusioni formali del Consiglio Europeo, ma di un allegato “fortemente sostenuto da 26 Stati membri”. Orban, premier ungherese e leader più longevo nel Consiglio Europeo, ha quindi scelto di non firmarlo. Secondo Antonio Costa, l’Ungheria resta isolata dagli altri Paesi, ma questa divergenza non rappresenta una Ue divisa, poiché gli altri 26 mantengono una posizione unitaria a sostegno di Kiev. Di fronte alle critiche, Orban ha replicato che, a suo avviso, l’Ue si è fatta “isolare” da Usa, Cina e Russia, mentre l’Ungheria vanta ottimi rapporti con tutte e tre. Il premier ha anche annunciato che consulterà il popolo ungherese sull’Ucraina, servendosi del “meccanismo di consultazione” previsto dalle norme nazionali.

Lo slovacco Robert Fico, inizialmente contrario, ha poi sostenuto il testo in cambio di un riferimento al transito del gas attraverso l’Ucraina: per la Slovacchia, che non ha accesso al mare, il metano via tubo rimane cruciale.

Questo primo vertice a 27 dopo la ripresa dei contatti diplomatici tra Donald Trump e il Cremlino certifica la divergenza tra la netta maggioranza dei Paesi europei e l’Ungheria, confinante con l’Ucraina e dotata di una visione diversa sulla Russia di Vladimir Putin.

Unità sul rafforzamento militare dell’Europa

Nonostante ciò, Orban si è unito ai colleghi nell’approvare le conclusioni sulla difesa, che sostengono i pilastri del piano ReArmEu da circa 800 miliardi di euro, finalizzato a colmare il ritardo decennale dell’Ue in ambito militare. Questo rinnovato impegno è motivato dal ritorno di un certo imperialismo russo e dalle rinnovate pressioni americane, intensificatesi con la presidenza Trump.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha però ribadito, insieme al ministro degli Esteri Antonio Tajani, che il termine “riarmo” non copre tutte le sfaccettature di sicurezza e difesa: si includono infatti materie prime, infrastrutture critiche e cyberattacchi.

Nelle conclusioni a 27, i leader sostengono l’uso della clausola nazionale di salvaguardia, che secondo la Commissione potrebbe consentire 650 miliardi di euro di spese aggiuntive per la difesa senza incorrere nelle sanzioni previste dalla procedura per deficit eccessivo. Paesi come Italia e Francia, già sotto osservazione, otterrebbero così ulteriore margine. Le aperture tedesche a una possibile revisione del Patto di Stabilità, già irrigidito poco più di un anno fa a richiesta di Berlino, sono state accolte positivamente dalla premier italiana, che auspica un “dibattito” aperto sull’argomento.

Per Meloni, la revisione dovrebbe superare il tema della difesa e riguardare in senso ampio la competitività dell’Ue. Dal 2008 in poi, l’area euro ha perso terreno in termini di PIL pro capite rispetto agli Stati Uniti: se allora erano su livelli simili, oggi gli Usa quasi raddoppiano l’Eurozona. E fra 2010 e 2021, la crescita media annua del PIL pro capite è stata del 3,4% negli Usa e appena dell’1,6% nell’Ue.

Meloni ha aggiunto che, se l’Italia fosse stata ascoltata sul finire del 2023, probabilmente il contesto sarebbe differente. L’Ue si ritrova ad aver appena riformato le regole di bilancio, ma a doverle nuovamente sospendere (sebbene parzialmente, tramite la clausola nazionale). A quanto pare, la Commissione preferisce soluzioni a breve termine piuttosto che aprire subito un lungo negoziato per rivedere il Patto di Stabilità.

I leader hanno anche sostenuto il secondo pilastro del piano, un fondo da 150 miliardi di euro in prestiti, finanziato con emissione di obbligazioni garantite dall’headroom (il divario tra impegni e pagamenti) del bilancio Ue. Questa strategia, già usata in passato, soddisfa i Paesi più rigoristi, poiché limitata e coperta dal bilancio comune. La base giuridica è l’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue (Tfue), che non prevede il coinvolgimento del Parlamento Europeo, come era accaduto con il Next Generation Eu. I leader invitano inoltre la Banca Europea per gli Investimenti a rivedere i criteri di concessione del credito, in modo da rendere la difesa più facilmente finanziabile (in particolare, si chiede di riconsiderare i criteri ESG).

Riguardo all’uso di fondi europei esistenti, come quelli di coesione, per la difesa, la Commissione è chiamata a proporre soluzioni. Meloni ha precisato che l’Italia non intende destinarli a scopi militari, ma riconosce che alcuni Paesi, soprattutto i Baltici, potrebbero considerare la difesa una necessità urgente, date le nuove tensioni geopolitiche legate alla linea degli Stati Uniti sulla guerra in Ucraina. Ursula von der Leyen ha annunciato che le proposte di legge dettagliate verranno presentate prima del prossimo Consiglio Europeo (20-21 marzo), così come un Libro Bianco sulla difesa il 19 marzo, che delineerà la strategia Ue nel settore. È allo studio anche un “provvedimento Omnibus” per snellire le norme che ostacolano la crescita dell’industria bellica europea.

I leader ribadiscono inoltre l’importanza di aggregare la domanda militare: in pratica, si mira a superare la frammentazione delle spese nazionali, perché, pur spendendo più della Russia in termini globali, l’Ue non dispone di capacità altrettanto efficaci.

Si evidenzia, infine, che un’Europa più “forte” è complementare alla Nato, non sostitutiva. I Paesi Ue membri dell’Alleanza sono dunque invitati a coordinarsi in vista del summit dell’Aja di giugno. I confini dell’Ue, in particolare quello orientale, vengono menzionati come priorità da difendere, ma si fa riferimento anche ad altri fronti, su richiesta degli Stati mediterranei.

Testo a 26 sull’Ucraina: i contenuti principali

Sull’Ucraina è stato quindi adottato un allegato, sostenuto da 26 Paesi su 27. Lo slovacco Fico ha ottenuto un passaggio dedicato al tema del transito del gas (punto 12), che impegna Commissione, Slovacchia e Ucraina a trovare soluzioni concretamente attuabili, tenendo conto delle esigenze di Bratislava.

Il testo stabilisce alcuni principi cardine per futuri negoziati di pace:

  1. Non ci saranno colloqui sull’Ucraina senza Kiev.
  2. Non ci saranno trattative sulla sicurezza europea senza coinvolgere l’Europa, data la reciproca interdipendenza con la situazione ucraina.
  3. Tregue o cessate il fuoco dovranno inserirsi in un percorso verso un accordo di pace complessivo.
  4. Qualunque intesa dovrà includere robuste garanzie di sicurezza per Kiev, per scoraggiare ogni aggressione russa futura.
  5. La pace dovrà rispettare indipendenza, sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina.

Viene sottolineato il concetto di “pace attraverso la forza”: l’Ue intende rafforzare l’Ucraina sul campo di battaglia, per metterla nelle condizioni di difendersi. La capacità di autodifesa di Kiev è ritenuta la migliore garanzia contro l’“Orso russo”. “La maggiore tutela per l’Ucraina sono gli stessi ucraini”, ha detto Costa.

Nel concreto, l’Ue conferma un sostegno di 30,6 miliardi di euro in aiuti fino al 2025. Costa ha ribadito che “26 Paesi credono che per arrivare alla pace occorra migliorare le difese di Kiev, mentre l’Ungheria ha una strategia diversa”. In ogni caso, conclude, “rispettiamo la posizione di Budapest, ma 26 Stati sono più di uno”.

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Esteri

Turchia, annunciato un muro anti-migranti al confine con la Grecia

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Un nuovo muro anti-migranti tra Turchia e Grecia è stato annunciato dalle autorità di Ankara. Il governatore della provincia di Edirne — situata a nord-ovest della Turchia, al confine con Grecia e Bulgaria — ha presentato un progetto che prevede una barriera di 8,5 chilometri sul confine occidentale. Secondo quanto riportato dal quotidiano turco Sabah, l’obiettivo è impedire ai migranti di raggiungere i Paesi dell’Unione Europea, come dichiarato dal governatore Yunus Sezer.

“Quest’anno, per la prima volta, adotteremo misure di sicurezza fisica sul nostro confine occidentale”, ha spiegato Sezer ai giornalisti, senza escludere di poter ampliare in seguito la costruzione del muro lungo un tratto di frontiera che supera i 200 chilometri, in gran parte delimitati dal corso del fiume Meric (o Evros, per i greci).

“Inizieremo al confine con la Grecia e da lì, se Dio vorrà, potremmo procedere in futuro a seconda di come evolverà la situazione”, ha aggiunto Sezer, sottolineando l’impegno di Ankara nel contrastare l’immigrazione irregolare. Dati del ministero degli Interni turco riferiscono che, dal 2020, oltre un milione di migranti — principalmente afghani e siriani — sono stati fermati nel Paese. In passato, la Turchia aveva già annunciato la costruzione di barriere simili ai confini con Iran e Siria.

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Esteri

Gaza, Israele accusa: “Hamas rifiuta l’estensione della tregua e si riarma”

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Nel frattempo, secondo alcune fonti, sarebbero in corso colloqui diretti tra l’amministrazione Trump e il gruppo sciita riguardo al rilascio degli ostaggi americani e a un possibile accordo più ampio per porre fine al conflitto.

Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar, attraverso un messaggio su X, ha spiegato di aver discusso con il ministro degli Esteri britannico David Lammy in merito alla proposta dell’inviato speciale degli Stati Uniti Steve Witkoff, che mirava a estendere il cessate il fuoco temporaneo a Gaza durante Ramadan e Pasqua. «Israele ha accettato la proposta di Witkoff a condizione che Hamas rilasci gli ostaggi», ha dichiarato Sa’ar, sottolineando però che «Hamas ha respinto l’offerta».

«Nella fase uno di 42 giorni, 25mila camion di aiuti sono entrati a Gaza: la metà del bilancio di Hamas a Gaza proviene da questi camion! Hamas sta ricostruendo le proprie capacità militari e arruolando nuovi, giovani terroristi. Questo non può continuare!», ha aggiunto Sa’ar.

“Colloqui diretti Usa-Hamas su ostaggi americani e fine guerra”

Parallelamente, due fonti a conoscenza diretta delle discussioni hanno rivelato ad Axios che l’amministrazione Trump starebbe tenendo negoziati senza precedenti con Hamas riguardo alla liberazione degli ostaggi americani ancora detenuti a Gaza e alla possibilità di un accordo più ampio per porre fine alle ostilità. Questi incontri, che avrebbero visto coinvolto l’inviato presidenziale americano per la questione degli ostaggi Adam Boehler, si sarebbero svolti nelle ultime settimane a Doha, in Qatar.

Dei cinque ostaggi che si ritiene siano ancora tenuti nella Striscia di Gaza, soltanto uno, il 21enne Edan Alexander, sarebbe tuttora in vita. Stando a Axios, Israele sarebbe stata consultata dalla Casa Bianca prima dell’inizio dei colloqui, ma avrebbe appreso i dettagli delle discussioni attraverso canali differenti. Al momento non sarebbe stato raggiunto alcun accordo.

Israele

Netanyahu: «Israele raggiungerà i propri obiettivi e otterrà la vittoria»
Nonostante tutto, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito la determinazione di Israele a «raggiungere pienamente gli obiettivi della guerra» e a «ottenere la vittoria» contro l’Iran e i suoi alleati. Durante la cerimonia di insediamento del nuovo capo di Stato maggiore delle Forze di sicurezza israeliane (Idf), il generale Eyal Zamir, Netanyahu ha indicato come elementi cardine per la sicurezza di Israele «una mentalità offensiva, una forza soverchiante, la perseveranza, la sicurezza e un senso di rettitudine».

«La missione contro Hamas non è ancora conclusa», ha dichiarato il generale Zamir durante la cerimonia. «Il compito che mi viene affidato oggi è chiaro: guidare le Idf alla vittoria», ha aggiunto, rivolgendosi alle famiglie degli ostaggi ancora nella Striscia di Gaza. «I vostri cari sono davanti ai miei occhi. Il nostro dovere morale è evidente: riportare tutti a casa, in qualunque modo possibile e nel più breve tempo».

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Esteri

Expo 2025 Osaka, il Gruppo Bracco diventa Official Gold Sponsor del padiglione Italia

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Il commissario generale per l’Italia a Expo 2025 Osaka, l’ambasciatore Mario Vattani, e la presidente e CEO del Gruppo Bracco, Diana Bracco, hanno siglato un accordo di partnership che rende il gruppo farmaceutico Official Gold Sponsor del padiglione Italia in Giappone.

“L’accordo con il Gruppo Bracco ha un grande valore, poiché coinvolge più ambiti nel padiglione Italia. Insieme collaboreremo su arte, scienza e alta tecnologia, fattori cruciali che l’Italia vuole promuovere per rafforzare e completare la propria immagine a livello globale, in sinergia con aziende italiane di eccellenza”, afferma Vattani. “Grazie a Bracco, nel padiglione Italia verrà esposto il ritratto del giovane diplomatico Ito Mancho realizzato da Domenico Tintoretto, simbolo del consolidato dialogo tra i nostri due Paesi. Inoltre, Bracco avrà uno spazio dedicato alla persona, con iniziative legate alla salute e al benessere, ambiti in cui il Gruppo è leader mondiale”, aggiunge.

“Il tema scelto dall’Italia per la sua partecipazione a Expo 2025 Osaka, ‘L’Arte rigenera la Vita’, rappresenta un’occasione irripetibile per mostrare l’eccellenza italiana nel campo culturale, artistico, scientifico e tecnologico”, dichiara Diana Bracco, CEO del Gruppo, leader globale nell’imaging diagnostico e presente nel Paese del Sol Levante fin dal 1992. “Per noi sarà una tappa molto importante, anche perché il Giappone è un mercato strategico: qui la cultura della prevenzione è molto radicata e sostenuta da un sistema sanitario avanzatissimo, soprattutto nell’imaging diagnostico, cruciale per una popolazione particolarmente longeva.”

La presenza di Bracco – si sottolinea in una nota – sarà parte integrante del padiglione Italia per tutti i sei mesi dell’Expo, innanzitutto tramite il progetto Ito Mancho: l’azienda porterà infatti a Osaka il ritratto del giovane, dipinto nel 1585 da Domenico Tintoretto e custodito nella collezione della Fondazione Trivulzio a Milano. L’opera, che rappresenta il capo della prima missione diplomatica giapponese inviata in Europa, ha un valore non solo artistico ma anche culturale e simbolico per i rapporti tra Italia e Giappone. Il dipinto introdurrà i visitatori all’interno del padiglione Italia e sarà accompagnato da un video-racconto a cura del team creativo di Mauro Belloni e dei Cromazoo, con un focus sul lavoro di indagine diagnostica coordinato da Fondazione Bracco in collaborazione con il gruppo della prof.ssa Isabella Castiglioni. Per Bracco, infatti, arte e scienza sono da sempre un connubio vincente, e la Fondazione mette da anni a disposizione le proprie competenze nell’imaging diagnostico per l’analisi e il restauro del patrimonio artistico italiano.

Inoltre, in occasione del National Day dell’Italia all’Expo (11-12 settembre), alla presenza delle più alte cariche istituzionali, il Gruppo Bracco sosterrà un’iniziativa culturale durante la cerimonia ufficiale: l’Accademia Teatro alla Scala, attraverso la sua Scuola di Ballo, offrirà uno spettacolo in anteprima per l’Esposizione giapponese.

Durante la Settimana della Salute e del Benessere (20 giugno – 1 luglio), Bracco Imaging organizzerà diversi eventi scientifici incentrati sulle varie modalità di diagnostica per immagini, mentre il Centro Diagnostico Italiano – la divisione healthcare del Gruppo – parteciperà al Forum Agevity promosso da Assolombarda, dedicato anche alla Japan Health. Infine, all’interno di un programma di “Fuori Expo”, Fondazione Bracco porterà in Giappone la mostra fotografica “Milano con gli occhi di Leonardo”, arricchendo ulteriormente l’offerta culturale italiana sul territorio nipponico.

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Esteri

Trudeau critica i dazi statunitensi definendoli “stupidi”, mentre Trump replica con...

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L’ira del premier canadese si è manifestata chiaramente, tanto che ha annunciato contromisure dopo l’entrata in vigore delle tariffe volute da Washington. Non è mancata la risposta secca di Ottawa: “Se aumentano le tariffe? Le alzeremo anche noi.” È quindi guerra commerciale tra Stati Uniti e Canada, con il presidente americano che minaccia nuove misure contro il Paese vicino qualora Ottawa – come anticipato dal primo ministro Justin Trudeau – imponesse dazi del 25% sulle importazioni dagli USA, in reazione alle tariffe statunitensi appena entrate in vigore sui prodotti canadesi.

L’ira di Trudeau: “Dazi stupidi, mi aspetto di parlare presto con Trump”

Il Canada introdurrà dazi per un valore di 30 miliardi di dollari canadesi, con effetto immediato. Si tratta di una misura in risposta alla “guerra commerciale” voluta dagli Stati Uniti, rispetto alla quale, sottolinea Trudeau, “il Canada non farà marcia indietro”. Secondo il premier, i dazi del 25% su importazioni da Messico e Canada imposti dal presidente USA “sono davvero stupidi”.

“Ho offerto di parlare con Donald negli ultimi giorni e mi aspetto di farlo a breve”, ha aggiunto Trudeau in conferenza stampa, rivendicando l’impegno del suo Paese contro il traffico di fentanyl, tema su cui Trump ha più volte polemizzato: “I fatti dimostrano chiaramente che siamo attivi contro il fentanyl, non solo per gli Stati Uniti ma anche per i canadesi, contrastando questa piaga.”

“Gli Stati Uniti hanno lanciato una guerra commerciale contro il Canada, il loro alleato più stretto. E contemporaneamente dichiarano di lavorare positivamente con la Russia, facendo pace con Vladimir Putin, un dittatore bugiardo e assassino. Ha senso tutto ciò?”, ha incalzato Trudeau, aggiungendo: “I canadesi sono ragionevoli ed educati. Ma non ci tireremo indietro di fronte a una lotta, soprattutto quando è in gioco il nostro Paese e il benessere di chi ne fa parte.”

Il premier ha poi annunciato che il Canada si rivolgerà all’Organizzazione mondiale del commercio, specificando però che “le nostre tariffe rimarranno in vigore fino a quando quelle statunitensi non saranno ritirate e non un momento prima”.

“Il Canada non sarà mai il 51esimo stato americano, questo non accadrà mai”, ha ribadito Trudeau a proposito di possibili mire di Trump, che spesso si riferisce al premier chiamandolo “governatore”.

“Ciò che vuole il presidente americano”, ha denunciato Trudeau, “è un collasso totale dell’economia canadese, in modo da renderci più facili da annettere”. Ha infine ribadito che la scusa del fentanyl è “fasulla e completamente infondata.”

La ritorsione di Trump

In risposta alla dura reazione canadese, Trump ha rilanciato la propria minaccia nei confronti del Canada. “Per favore, spiegate al governatore canadese Trudeau che, se imporrà una tariffa di ritorsione contro gli Stati Uniti, la nostra tariffa di ritorno aumenterà immediatamente di pari importo!”, ha scritto Trump sul suo profilo Truth, confermando un ulteriore irrigidimento delle posizioni statunitensi.

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Esteri

Trump nel discorso sullo stato dell’Unione, ecco come userà la comunicazione

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Un’osservazione degli ultimi contenuti apparsi su Truth evidenzia quattro classici elementi della narrazione trumpiana: il nemico, la minaccia, la ritorsione, la promessa.

Donald Trump si appresta a prendere la parola davanti al Congresso, agli americani e a tutto il mondo in occasione del discorso sullo stato dell’Unione. Considerando che è in carica soltanto da 40 giorni, sarà di fatto un discorso davanti al Congresso in seduta comune. Per sapere con esattezza cosa dirà, dovremo attendere le tre di notte, ma sappiamo già come lo dirà, ovvero quale strategia comunicativa adotterà.

La comunicazione di Trump, nel suo secondo mandato alla Casa Bianca, possiede infatti un codice già riconoscibile: di base, è identica sia nei post sui social sia nelle occasioni ufficiali e istituzionali, come si è visto nello Studio Ovale durante l’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Si tratta di uno stile che segue schemi consolidati, come emerge da una rapida indagine degli ultimi messaggi pubblicati su Truth.

Il primo schema collega in maniera diretta un nemico a una minaccia. È il caso della ritorsione promessa contro il primo ministro canadese Justin Trudeau, che ha annunciato dazi del 25% sui prodotti americani in risposta a un’analoga misura di Trump. “Please explain to Governor Trudeau, of Canada, that when he puts on a Retaliatory Tariff on the U.S., our Reciprocal Tariff will immediately increase by a like amount!”. Ovvero, “Spiegate a Trudeau che, se applica dazi sui prodotti americani, i nostri dazi reciproci saliranno immediatamente della stessa cifra”. Un messaggio semplice, che ignora la causa iniziale del problema, ossia l’azione (commerciale) originaria. Allo stesso modo, si trascura l’origine della crisi in Ucraina, vale a dire l’aggressione (militare) avviata da Putin.

Il secondo schema, che la comunicazione trumpiana tende a ripetere di continuo, consiste nel collegare un’azione desiderata a una ricompensa. Ci sono moltissimi esempi, anche solo guardando gli ultimi interventi su Truth e il caso del Canada: “IF COMPANIES MOVE TO THE UNITED STATES, THERE ARE NO TARIFFS!!!”. Scritto tutto in maiuscolo: se le imprese si spostano negli Stati Uniti, non ci saranno dazi. Un messaggio basilare, con una chiara inclinazione commerciale, quasi pubblicitaria.

Un altro schema frequente prevede di citare una fonte autorevole per sostenere la propria tesi. Di recente Trump ha menzionato il New York Times, tre ore prima, riportando un titolo a lui funzionale: “Trump Threats and Mexico’s Crackdown Hit Mexican cartel”. Vale a dire, le pressioni di Trump (spesso viste come indebite) e l’azione del Messico colpiscono il cartello messicano, sottolineando come il presidente statunitense, con le sue pressioni, risolva i problemi.

Compare spesso anche lo schema “classico” che lega una ritorsione economica a un comportamento ritenuto sconveniente: “All Federal Funding will STOP for any College, School, or University that allows illegal protests”. Cioè, ogni finanziamento federale verrà tagliato per college, scuole o università che autorizzano proteste illegali.

In sintesi: la minaccia rivolta al nemico, l’eliminazione dell’origine del problema, la ricompensa per le condotte gradite, la ritorsione per quelle sgradite e l’uso di una fonte autorevole per nobilitare la propria posizione compongono un codice di comunicazione estremamente prevedibile. (Di Fabio Insenga)

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Esteri

Re Carlo e l’incontro con Zelensky, fonte reale: “Estremamente significativo”

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Ha ricevuto il presidente ucraino dopo il suo turbolento confronto di venerdì con l’ex presidente americano Donald Trump

Gli incontri di Re Carlo con Zelensky e Trudeau sono stati definiti “altamente significativi”. Il sovrano è “pienamente consapevole” della propria responsabilità globale e dell’“unico ruolo diplomatico” che riveste, ed è determinato a metterlo in pratica. Lo ha dichiarato una fonte reale citata dal Guardian, all’indomani del faccia a faccia del monarca con il primo ministro canadese Justin Trudeau nella tenuta di Sandringham, nel Norfolk, avvenuto subito dopo l’udienza concessa al presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Re Carlo è stato elogiato per aver espresso solidarietà a Zelensky, accogliendolo dopo il burrascoso incontro di venerdì alla Casa Bianca con Donald Trump e il suo vicepresidente JD Vance.

La stessa fonte ha specificato che “Sua Maestà è molto consapevole della sua responsabilità su scala globale, regionale e nazionale, e segue con grande passione ogni dettaglio. In veste di statista e capo di Stato sia per il Regno Unito sia per il Canada, il suo ruolo è estremamente rilevante e Sua Maestà è determinato a svolgerlo entro limiti appropriati: la sua funzione, per necessità e per vincolo costituzionale, è quella di offrire gesti simbolici, piuttosto che rilasciare dichiarazioni esplicite.”

È stato poi sottolineato come le udienze di Re Carlo con Zelensky e Trudeau fossero “di routine, ma di grandissimo rilievo”, visti i recenti sviluppi internazionali. Buckingham Palace non fornisce informazioni dettagliate su ciò che viene discusso durante questi colloqui privati, ma è emerso che, oltre al sostegno all’Ucraina, uno dei temi centrali è stato l’atteggiamento del Canada nei confronti degli Stati Uniti, in particolare a causa della retorica incendiaria di Trump. Re Carlo, che ha invitato Trump per una seconda visita di Stato senza precedenti nel Regno Unito, è visto con crescente favore come figura unificante, grazie alla cosiddetta “diplomazia del soft power” della famiglia reale.

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Esteri

Dazi, Canada e Cina rispondono a Trump: tariffe su merci Usa

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Pechino impone dazi del 15% sui prodotti statunitensi, mentre Ottawa introduce tariffe del 25% sulle merci provenienti dagli Usa. Justin Trudeau: “Non c’è alcuna giustificazione per queste azioni”.

Dopo le iniziali minacce, i provvedimenti sono ora effettivi. La guerra dei dazi promossa da Donald Trump si concretizza e sia il Canada sia la Cina reagiscono alle misure volute dal presidente degli Stati Uniti.

Ottawa introduce da oggi dazi al 25% sulle merci provenienti dagli Usa. “Dopo una pausa di 30 giorni, l’Amministrazione americana ha scelto di procedere con dazi del 25% sulle nostre esportazioni e del 10% sulle risorse energetiche – ha dichiarato il premier canadese Justin Trudeau in una nota diffusa di recente – Non c’è alcuna ragione per giustificare queste azioni”.

Le tariffe statunitensi sui prodotti canadesi e messicani hanno effetto da oggi. Trump ha motivato l’aumento delle imposizioni doganali citando la mancanza di progressi nella lotta al traffico di droga.

“Il Canada non permetterà che questa decisione ingiustificata passi inosservata – ha aggiunto Trudeau – e se i dazi americani entreranno in vigore, il Canada risponderà dalla mezzanotte con tariffe del 25% su 155 miliardi di dollari di prodotti statunitensi, partendo immediatamente da dazi per 30 miliardi e proseguendo con ulteriori 125 miliardi entro 21 giorni”. Misure che, ha precisato, “resteranno valide finché l’Amministrazione Trump non revocherà” i provvedimenti adottati.

Rappresaglia della Cina, tariffe su prodotti Usa e aziende in ‘lista nera’

Anche Pechino risponde imponendo dazi del 15% a partire dal 10 marzo su importazioni dagli Stati Uniti, con particolare attenzione al settore agroalimentare: pollo, grano, mais, cotone. Stabiliti anche dazi del 10% su sorgo, soia, carne suina, manzo, frutta, verdura e latticini.

Sempre secondo quanto riportato dal Global Times, il ministero del Commercio cinese ha comunicato l’inserimento di 15 “entità” americane in un’ulteriore lista di controllo delle esportazioni, oltre ad altre dieci aziende incluse in un elenco di “entità inaffidabili”. La motivazione fornita è legata alla “vendita di armi a Taiwan” o alla “cosiddetta cooperazione tecnico-militare” con l’isola de facto indipendente, ma considerata da Pechino come provincia ribelle da “riunificare”.

Se gli Stati Uniti continueranno con una guerra dei dazi, una guerra commerciale o qualsiasi altro conflitto, la parte cinese è pronta a contrastarli fino in fondo”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Lin Jian.

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Esteri

Ucraina, Trump sospende gli aiuti militari. Vance: “Porta aperta a Zelensky se vorrà pace”

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Secondo quanto riferito dai media statunitensi, Donald Trump ha momentaneamente interrotto la consegna di qualunque fornitura militare destinata all’Ucraina, incluse le attrezzature non ancora arrivate sul territorio ucraino. La notizia, riportata dal New York Times e confermata da vari funzionari americani, segue lo scontro avvenuto venerdì scorso tra lo stesso Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Un esponente della Casa Bianca ha ribadito alla Cnn che la scelta è maturata dopo una serie di riunioni sulla Sicurezza nazionale.

Il Presidente si concentra sulla pace – ha dichiarato la fonte – e desidera che i nostri partner si impegnino davvero. Stiamo sospendendo e rivalutando i nostri aiuti per assicurarci che contribuiscano a una soluzione pacifica”. Stando a quanto riferito, la pausa interesserà tutto il materiale bellico non ancora consegnato.

Anche Fox News, basandosi su fonti di alto livello, ha confermato che si tratta di una misura temporanea – e non di una sospensione definitiva – che include le armi in transito o già collocate in Polonia. The New York Times e Cnn concordano che il supporto a Kiev verrà ripristinato solo quando Trump valuterà seriamente l’impegno dell’Ucraina a trattare la pace con la Russia, Paese che, il 24 febbraio di tre anni fa, ha avviato l’offensiva su vasta scala contro Kiev. Sempre secondo il quotidiano, la scelta tocca armamenti e munizioni per un valore superiore a un miliardo di dollari.

Vance: “Porta aperta se Zelensky vuole parlare seriamente di pace”
La porta resta aperta”, ha dichiarato il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance in un’intervista a Fox News, “ma solo se Volodymyr Zelensky dimostrerà di voler discutere seriamente di pace”. Nell’intervista, registrata lunedì dopo l’incontro conflittuale tra Trump e Zelensky nello Studio Ovale e dopo la decisione di sospendere gli aiuti militari a Kiev, Vance ha precisato che “Trump è stato chiaro fin dall’inizio: la porta è aperta, a patto che Zelensky sia pronto a un dialogo concreto”.

Non farà felice nessuno – ha proseguito – perché i russi dovranno rinunciare a qualcosa e anche gli ucraini dovranno rinunciare a qualcosa. Non ci si può presentare nello Studio Ovale pretendendo garanzie di sicurezza senza chiarire a cosa si è disposti a rinunciare. Questa, finora, è stata la posizione ucraina”. Vance ha poi sottolineato che Trump sarà il “primo a prendere il telefono” non appena riterrà che Zelensky si mostri interessato a trattare per la pace.

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Esteri

Ucraina, leader Ue con Zelensky: “Incrementare rapidamente le spese militari”

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L’Unione Europea si prepara a prendere posizione in vista di possibili negoziati volti a concludere il conflitto: nella bozza delle conclusioni del summit previsto a Bruxelles giovedì prossimo (datata 27 febbraio e ancora soggetta a modifiche durante i successivi Coreper), si mette in evidenza come la guerra iniziata dalla Russia abbia “ampie ripercussioni sulla sicurezza europea e internazionale”. Alla luce del “nuovo slancio” verso potenziali negoziati che dovrebbero portare a una pace “complessiva, giusta e duratura”, si specificano alcuni principi da rispettare.

Anzitutto, “non possono esserci negoziati sull’Ucraina senza l’Ucraina” e “non possono esserci trattative sulla sicurezza europea senza il coinvolgimento dell’Europa”, poiché la difesa dell’Ucraina e la sicurezza del continente sono “interconnesse”. Il summit verrà aperto da un “confronto” con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che era stato praticamente allontanato dalla Casa Bianca venerdì scorso dopo un acceso scambio in diretta tv con il presidente Donald Trump e il vicepresidente Jd Vance, ma è stato comunque ricevuto a Londra dai leader europei con tutti gli onori.

Inoltre, i leader Ue precisano che “un cessate il fuoco può avvenire solo all’interno di un accordo di pace globale” e che “qualsiasi accordo di questo tipo dovrebbe includere solide e credibili garanzie di sicurezza per l’Ucraina”. Sottolineano, quindi, che la “pace” va raggiunta “attraverso la forza”, facendo sì che l’Ucraina si trovi “nella posizione più vantaggiosa possibile”, uno scenario che al momento non sussiste.

Di conseguenza, l’Ue “rimane impegnata (…) a fornire sostegni più consistenti di tipo politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico” a Kiev e al popolo ucraino. Un’Ucraina capace di difendersi, secondo i leader, rappresenta un tassello essenziale per qualunque futura garanzia di sicurezza.

Per questo, nella bozza si legge che è necessario “accrescere urgentemente” la fornitura di “sistemi di difesa aerea, munizioni e missili, oltre all’addestramento e all’equipaggiamento necessari” a sostenere l’esercito di Kiev. Qui si fa riferimento a una prossima iniziativa dell’Alta Rappresentante Kaja Kallas mirata ad aumentare gli aiuti militari all’Ucraina, evidenziando anche l’importanza di sostenere il settore militare-industriale di Kiev. I leader chiedono a Kallas di “valutare le condizioni per un ulteriore contributo dell’Ue alle garanzie di sicurezza” a favore dell’Ucraina, anche avvalendosi degli strumenti della politica comune di sicurezza e difesa, “in consultazione con partner affini e nel contesto di un futuro accordo di pace”. Il Consiglio Europeo avrà modo di riesaminare queste questioni nella prossima seduta.

Dal momento che le conclusioni devono essere approvate all’unanimità, sarà interessante vedere il comportamento di Ungheria e Slovacchia, entrambe restie a proseguire il sostegno incondizionato a Kiev nel conflitto contro l’invasore russo. Riguardo alla difesa europea, dopo aver ricordato la dichiarazione di Versailles del marzo 2022 e l’urgenza per l’Ue di diventare più “sovrana” e “responsabile” in campo difensivo, si sottolinea che l’Unione dovrebbe “accelerare” il ricorso agli strumenti finanziari necessari per gli investimenti da effettuare.

I leader europei, infatti, sottolineano la necessità che gli Stati membri aumentino “in modo sostanziale” la spesa per la difesa. Per questa ragione, invitano la Commissione a proporre come sfruttare le “flessibilità” del Patto di Stabilità (riformato poco più di un anno fa, al termine di lunghi negoziati) per “facilitare” una spesa adeguata a livello nazionale. Tale approccio sembra dare ragione a chi, come il ministro della Difesa Guido Crosetto, ha spesso indicato le regole Ue come vincolo alla spesa militare di alcuni Stati membri. Si chiede inoltre alla Commissione di ipotizzare “ulteriori fonti di finanziamento per la difesa a livello Ue, incluso l’utilizzo di una flessibilità aggiuntiva per i fondi strutturali” e di presentare rapidamente delle proposte in merito.

Successivamente, si cita la lettera che Ursula von der Leyen dovrebbe inviare oggi, contenente le opzioni di finanziamento per “riarmare l’Europa”. Si sollecita il consiglio dei governatori della Banca Europea per gli Investimenti (Bei) ad adattare “con urgenza” le proprie prassi di sostegno finanziario alla difesa in Europa, “rivedendo la lista delle attività escluse”. Al momento, secondo gli standard Esg (Environmental, Social, Governance), la difesa rientra nelle categorie escluse dai finanziamenti. Come ha evidenziato una fonte diplomatica europea, però, investire negli armamenti non equivale a investire “nella pornografia o nel tabacco”.

Successivamente vengono individuate aree “prioritarie” per le capacità militari a livello Ue, in linea con il lavoro svolto dall’Agenzia Europea per la Difesa e in “piena coerenza” con la Nato: “aerei e sistemi di difesa missilistica; artiglieria; missili e munizioni; droni e contromisure anti-droni; risorse strategiche come gli aerei cisterna; protezione delle infrastrutture critiche, inclusa la dimensione spaziale; mobilità militare; sicurezza informatica; intelligenza artificiale e guerra elettronica”. In sintesi, quasi tutti i sistemi necessari a condurre una guerra moderna. Si ribadisce, pensando in particolare ai Paesi sul fianco est dell’Ue, che difendere il confine orientale significa tutelare l’intera Unione. Viene nuovamente sottolineata l’importanza di una “aggregazione della domanda, un’armonizzazione dei requisiti e acquisti congiunti” nel settore della difesa.

Si invita la Commissione, insieme a Consiglio e Parlamento, a semplificare le procedure di appalto per rimuovere le “strozzature” che impediscono “un rapido sviluppo dell’industria della difesa”. Si raccomanda inoltre all’esecutivo Ue di dare priorità a un provvedimento Omnibus per la difesa. Un’Unione Europea più solida in questo ambito è vista come “complementare” alla Nato e costituisce “un contributo positivo alla sicurezza transatlantica e globale”. Gli Stati Ue membri dell’Alleanza sono incoraggiati a “coordinarsi” in vista del summit dell’Aja del giugno 2025, che si prospetta complesso. Il Consiglio Europeo attende di esaminare il Libro Bianco sul futuro della difesa europea, “inclusi elementi per un incremento significativo dei finanziamenti”, e sollecita la Commissione a considerare tali priorità nel prossimo Mff (il Quadro finanziario pluriennale dell’Ue 2028-2034). Il Consiglio Europeo tornerà a discutere di questi temi nei prossimi incontri di marzo e giugno, ulteriore segnale dell’impatto provocato dalla svolta radicale dell’amministrazione Trump in politica estera, in particolare sulla questione ucraina.

Nella bozza non si fa cenno alla possibilità di nominare un inviato speciale dell’Ue per l’Ucraina, ipotesi comunque sul tavolo e che l’Unione dovrebbe concretizzare. In caso contrario, sarebbe complicato chiedere un posto ai negoziati senza neppure riuscire a concordare un nominativo condiviso.

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Esteri

Ucraina-Russia, Meloni: “Trump punta a un’intesa che non possa essere contestata”

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La Presidente del Consiglio: “Non ho preso le difese di Zelensky? Mi dispiace si preferiscano sempre polemiche sterili”.

In merito al conflitto tra Ucraina e Russia, e a seguito delle recenti tensioni tra Trump e Zelensky, Giorgia Meloni – ospite del programma XXI secolo su Rai1, in onda in seconda serata – ha spiegato che “non è un momento semplice per nessuno, tanto meno per me, quando ci si ritrova a dover prendere decisioni che inevitabilmente influenzeranno il futuro della propria nazione, dell’Europa e dell’intero scenario geopolitico”.

La premier ha quindi proseguito affermando che “non sono scelte da compiere con leggerezza” e che, proprio per questo, occorre “ponderare con attenzione ogni passo, mantenere la calma e ragionare con lucidità, ricordando sempre quale sia l’obiettivo e la priorità”. L’interesse nazionale italiano resta al centro per Meloni, convinta che per l’Italia sia fondamentale evitare “qualsiasi possibile frattura in seno all’Occidente, poiché divisioni di questo tipo ci renderebbero tutti più vulnerabili”.

Per questa ragione, aggiunge la Presidente del Consiglio, “in una fase in cui prevaleva molta emotività, ho ritenuto opportuno chiedere un confronto sincero su come affrontare la questione della guerra in Ucraina, ma anche le principali sfide che Europa, Stati Uniti e l’Occidente si trovano ad affrontare”.

“Trump non può permettersi un accordo che venga disatteso”
Secondo Meloni, “al di là di quello che può sembrare, l’obiettivo è condiviso: tutti vogliamo la pace in Ucraina, una pace giusta, stabile e definitiva”. La questione centrale, osserva, è garantire una sicurezza tale per l’Ucraina da evitare il ripetersi del conflitto, un interesse comune “ai Paesi europei che si sentono comprensibilmente minacciati dalla Russia e a Donald Trump, leader forte che non può permettersi di firmare un’intesa che in seguito qualcuno potrebbe violare”.

“Non ho difeso Zelensky? Mi spiace prevalga la polemica fine a se stessa”
Sul tema delle presunte mancate difese di Zelensky, Meloni commenta che “dispiace si preferisca sempre la polemica fine a se stessa: quando esplose la guerra, e io ero all’opposizione del governo Draghi, offrimmo comunque il nostro sostegno. Ci sono momenti in cui bisogna smettere di fare polemiche e impegnarsi seriamente per ricomporre, piuttosto che dividere ulteriormente. A chi serve la tifoseria?”.

La premier ribadisce di star lavorando per ricomporre, consapevole che qualcuno potrebbe anche non condividere questa posizione, ma è un impegno “sotto gli occhi di tutti, grazie anche alla possibilità di dialogare con tutte le parti in causa, cosa che può dare un contributo utile in un contesto così delicato”.

“Non manderemo soldati a Kiev”

A proposito dell’idea di un invio di truppe europee, ipotizzato da Francia e Gran Bretagna, Meloni sottolinea che l’Italia “ha espresso perplessità, dato che si tratta di una questione di difficile attuazione e non sono convinta della sua efficacia. Per questo – come noto – non manderemo militari italiani in Ucraina”.

Tuttavia, la premier riconosce che qualsiasi proposta nata con l’obiettivo di trovare una soluzione in questo contesto “può essere utile”. E aggiunge che la sua linea è stare “con l’Italia, in Europa, per l’Occidente, e lascio ad altri le letture semplificate, che in questo momento non possiamo permetterci”.

Si domanda, infine, se quando alcune forze di opposizione affermano che l’Italia debba sostenere l’Europa “senza se e senza ma”, ciò implichi anche l’invio di soldati italiani in Ucraina, come pensano di fare Francia e Regno Unito. Meloni spiega che “gli slogan sono affascinanti, ma poi bisogna compiere scelte concrete: gradirei maggiore chiarezza anche dalle opposizioni, proprio perché su temi come questi sarebbe preferibile trovare una posizione condivisa”.

“Dazi? Il nostro interesse è l’opposto rispetto a quanto dichiara Trump”
Sui dazi, la Presidente del Consiglio ricorda che “l’interesse nazionale italiano è in totale contrasto con quanto sostiene Donald Trump”. E prosegue: “In ogni caso, avviare una guerra commerciale, con dazi seguiti da contro-dazi europei, non conviene a nessuno, nemmeno agli Stati Uniti. Tuttavia, è chiaro che su questo tema possono esistere punti di vista diversi”.
Essendo l’Italia un Paese esportatore, l’adozione di dazi “non ci favorisce, dunque farò tutto il possibile per scongiurare che ciò accada”, conclude Meloni.

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Esteri

Ucraina-Stati Uniti: Zelensky pronto a firmare l’accordo con Trump sulle terre rare

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LONDRA – Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si dice pronto a formalizzare un accordo con gli Stati Uniti che consentirebbe a Washington di accedere alle terre rare presenti in Ucraina. Nonostante la recente tensione emersa nello Studio Ovale tra Zelensky e il presidente americano Donald Trump, la volontà di Kiev di consolidare la collaborazione con gli Stati Uniti rimane immutata.

La posizione di Zelensky dopo il confronto con Trump

Intervenendo da Londra, dove si è tenuto un vertice con le autorità britanniche e francesi, Zelensky ha ribadito il valore strategico della relazione con Washington. Il leader ucraino ha evitato di entrare nei dettagli della discussione avvenuta con Trump, sottolineando invece l’importanza del supporto americano nella difesa dell’indipendenza ucraina.

Noi eravamo pronti a firmare e, onestamente, credo che anche gli Stati Uniti lo fossero”, ha dichiarato ai giornalisti presenti, senza fare alcuna menzione diretta alla tensione con la Casa Bianca.

Pur senza scusarsi per eventuali fraintendimenti, Zelensky ha espresso riconoscenza per il sostegno ricevuto dagli Stati Uniti. “Ogni giorno ci sentiamo grati per la difesa della nostra indipendenza. La nostra resistenza si basa su ciò che i nostri partner fanno per noi e per la loro sicurezza”, ha aggiunto.

Nessun contatto diretto con Trump dopo il vertice

Nonostante la volontà di Kiev di rafforzare la cooperazione, Zelensky ha rivelato che non ci sono stati ulteriori contatti diretti con Trump dopo l’incontro di venerdì scorso. I canali di comunicazione tra i due paesi rimangono aperti, ma a livelli istituzionali inferiori rispetto ai leader.

Alla domanda su presunte mancanze di rispetto nei confronti del presidente americano, Zelensky ha respinto le accuse ricordando l’impegno personale profuso per essere presente alla Casa Bianca. “Ho viaggiato in treno per 12 ore, poi ho preso l’aereo per un volo di 11 ore perché il presidente degli Stati Uniti mi ha invitato. Questo dimostra il mio rispetto per gli Stati Uniti e per il loro ruolo cruciale nella nostra difesa”, ha sottolineato.

L’ipotesi di una tregua e la posizione dell’Ucraina

Durante il vertice londinese, Francia e Regno Unito hanno avanzato l’ipotesi di una tregua di un mese nella guerra tra Ucraina e Russia. Un’iniziativa di cui Zelensky è stato informato, pur manifestando un atteggiamento prudente rispetto alla possibilità di un cessate il fuoco senza garanzie concrete.

L’Ucraina, ha chiarito il presidente, non accetterà alcuna soluzione che implichi la cessione dei territori occupati dalla Russia. “Sarebbe una separazione forzata dalle nostre terre, una coercizione che non farebbe altro che generare nuove tensioni in futuro”, ha affermato. Secondo Zelensky, qualsiasi accordo che non garantisca una pace equa potrebbe alimentare risentimenti destinati a sfociare in nuove instabilità.

I paesi che ci sostengono o che vogliono porsi come intermediari comprendono che, se la guerra finisce in modo non equo, sarà solo questione di tempo prima che la gente cerchi di farsi giustizia”, ha avvertito, ribadendo che l’Ucraina non rivendica altro se non il ripristino della propria integrità territoriale.

Conclusioni

L’asse tra Kiev e Washington resta solido, nonostante i momenti di frizione. L’apertura di Zelensky a firmare un accordo con gli Stati Uniti sulle terre rare rappresenta un ulteriore passo verso una collaborazione più stretta tra i due paesi, mentre le tensioni sul campo di battaglia continuano a influenzare gli equilibri geopolitici. La posizione dell’Ucraina sulla guerra rimane ferma: nessuna concessione territoriale e nessun compromesso che possa minare la sovranità nazionale.

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L’Europa accelera sulla pace in Ucraina: piano strategico e sostegno cruciale dagli...

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L’Europa compie un passo decisivo nella ricerca di una soluzione alla guerra in Ucraina. Il vertice di Londra segna un momento cruciale, con la proposta di un piano di pace strutturato, sostenuto in modo determinante dagli Stati Uniti. Il primo ministro britannico, Keir Starmer, ha definito l’incontro come un’opportunità per imprimere una svolta alla gestione del conflitto in corso dal 2022, sottolineando il ruolo chiave dell’Unione Europea e del Regno Unito nella stabilizzazione della regione.

Il piano di pace e il coinvolgimento internazionale

Al termine del summit, Starmer ha annunciato un’iniziativa diplomatica che vede il coinvolgimento attivo della Francia e la collaborazione imprescindibile con Washington. “Ho già parlato con il presidente Trump”, ha dichiarato il premier britannico, senza rivelare dettagli della conversazione. “Stiamo lavorando per un obiettivo comune: garantire una pace duratura con il sostegno congiunto di Ucraina, Europa, Regno Unito e Stati Uniti”.

Il piano delineato si articola in quattro punti fondamentali:

  • Mantenimento del supporto militare all’Ucraina e intensificazione delle pressioni economiche sulla Russia.
  • Definizione di garanzie concrete per la sovranità e la sicurezza di Kiev, con la partecipazione diretta dell’Ucraina a ogni negoziato.
  • Creazione di un sistema di deterrenza per impedire future aggressioni da parte di Mosca.
  • Costituzione di una “coalizione di volenterosi” per garantire il rispetto degli accordi di pace.

La proposta di tregua di Londra e Parigi

Parallelamente, Francia e Regno Unito hanno avanzato una proposta di tregua temporanea della durata di un mese, concentrata su specifici settori strategici: lo spazio aereo, il traffico marittimo e le infrastrutture energetiche ucraine. Emmanuel Macron, in un’intervista a Le Figaro, ha evidenziato l’importanza di un cessate il fuoco misurabile, pur riconoscendo la vastità del fronte, esteso per migliaia di chilometri.

Macron ha inoltre posto l’accento sulla necessità di una revisione delle regole europee in materia di difesa, suggerendo l’adozione di soluzioni finanziarie innovative per incrementare le spese militari fino al 3-3,5% del PIL, superando il limite attuale del 2% imposto dalla NATO.

Il sostegno statunitense e il ruolo dell’Europa

“Ci troviamo a un bivio della storia”, ha affermato Starmer, ribadendo l’urgenza di un impegno europeo determinato, ma sostenuto dagli Stati Uniti. “L’Europa deve assumersi le proprie responsabilità, ma il successo di questa iniziativa dipende anche dal forte sostegno di Washington”.

A conferma dell’impegno britannico, Londra ha annunciato un nuovo accordo finanziario che consentirà all’Ucraina di accedere a 1,6 miliardi di sterline (1,9 miliardi di euro) per l’acquisto di 5.000 missili di difesa aerea prodotti nel Regno Unito. “Questo investimento sarà cruciale per la protezione delle infrastrutture strategiche ucraine”, ha sottolineato Starmer.

Le reazioni della NATO e dell’Unione Europea

Il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha accolto con favore gli sviluppi del vertice, evidenziando la volontà di diversi paesi europei di aumentare il proprio budget per la difesa. “Si tratta di un passo nella giusta direzione per riequilibrare il peso dell’impegno transatlantico”, ha dichiarato. Una linea condivisa anche dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ha ribadito la necessità di un rafforzamento del settore difensivo europeo.

Il primo ministro polacco, Donald Tusk, ha definito l’iniziativa “un segnale chiaro” per Mosca, sottolineando che “l’Occidente non intende cedere al ricatto e all’aggressione russa”.

Zelensky: “Un sostegno forte e concreto”

A chiusura della giornata, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha commentato gli esiti del vertice su Telegram, esprimendo soddisfazione per il rinnovato sostegno internazionale. “Avvertiamo un forte supporto per il nostro paese, per i nostri soldati e per i nostri civili. L’unità europea è a livelli eccezionalmente alti, come non si vedeva da tempo”.

L’incontro di Londra rappresenta, dunque, un momento decisivo per il futuro del conflitto. L’Europa si prepara a un ruolo sempre più attivo nella gestione della crisi, con la consapevolezza che il sostegno americano rimarrà un fattore determinante per qualsiasi sviluppo futuro.

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Piano di Pace per l’Ucraina: Iniziativa congiunta tra Starmer e Macron

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Londra – Il premier britannico Keir Starmer, in collaborazione con il presidente francese Emmanuel Macron, ha annunciato l’avvio di un ambizioso piano per promuovere una pace duratura in Ucraina. Questo progetto, frutto di un incontro a Londra presso Lancaster House, mira a coinvolgere gli Stati Uniti, con una presentazione ufficiale a Donald Trump in programma a breve.

Durante la conferenza, Starmer ha espresso fiducia nel successo dell’iniziativa, sottolineando l’importanza di una “svolta storica”. Ha dichiarato che l’incontro con il presidente francese si inserisce in una serie di azioni destinate a consolidare il sostegno europeo al piano di pace. La necessità di un’azione immediata e coordinata è stata ribadita dal premier britannico, che ha evidenziato come l’iniziativa non si limiti a discussioni, ma si traduca in un impegno concreto.

“Abbiamo discusso con il presidente Trump ieri sera”, ha aggiunto Starmer. “Non intraprenderemmo questo percorso se non avessimo fiducia nel risultato positivo che può derivare dal coinvolgimento diretto di tutte le parti in gioco”. A tal fine, il premier ha sottolineato l’importanza di un’alleanza solida tra Ucraina, Europa, Regno Unito e Stati Uniti per garantire una pace duratura.

Starmer ha ribadito anche la necessità di coinvolgere la Russia nelle trattative, ma ha avvertito che Mosca non può “determinare i termini” di un accordo, altrimenti non ci sarà alcun progresso. La storia recente, infatti, insegna che in passato accordi di cessate il fuoco non sono stati rispettati, soprattutto a causa della mancanza di un meccanismo di enforcement.

Un Impegno Continuo per l’Ucraina

L’intensificazione degli aiuti militari all’Ucraina è stata confermata durante l’incontro, con la promessa di una continua pressione economica sulla Russia. Starmer ha sottolineato che Kiev dovrà essere un interlocutore privilegiato in ogni negoziato di pace e che la sua sicurezza rimane una priorità assoluta. Il Regno Unito si propone di rafforzare ulteriormente il suo ruolo nella formazione di una “coalizione di volenterosi”, composta da nazioni pronte a sostenere un eventuale accordo di pace.

“Non possiamo permetterci di restare spettatori”, ha affermato il premier britannico, spiegando che chi è pronto a impegnarsi deve intensificare la pianificazione operativa. Il Regno Unito, ha aggiunto, è pronto a fornire truppe e risorse, inclusi aerei, insieme ad altri alleati internazionali, per sostenere la stabilità nella regione.

In un altro sviluppo, Starmer ha annunciato un nuovo accordo che permetterà all’Ucraina di accedere a 1,6 miliardi di sterline in finanziamenti alle esportazioni britanniche. Questi fondi saranno utilizzati per acquistare ulteriori 5.000 missili di difesa aerea, fondamentali per la protezione delle infrastrutture critiche del paese.

L’Europa sotto la Minaccia di Nuove Crisi: Le Parole di Von der Leyen

Anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha partecipato attivamente al vertice di Lancaster House, concludendo con un messaggio forte e chiaro: “È necessario riarmare l’Europa”. Dopo il summit, von der Leyen ha sottolineato l’urgenza di rafforzare le difese europee, facendo appello ad un incremento degli investimenti nella sicurezza.

La presidente della Commissione ha dichiarato che l’Europa deve essere messa in una “posizione di forza”, sottolineando l’importanza di garantire all’Ucraina “sicurezza completa”, tanto sul piano economico quanto su quello militare. Il piano, secondo von der Leyen, dovrebbe avere come obiettivo la creazione di una “fortezza inespugnabile”, capace di resistere a eventuali invasioni.

Il 6 marzo, in occasione del prossimo Consiglio europeo, la Commissione presenterà un piano per potenziare ulteriormente le capacità difensive dell’Unione Europea, una misura considerata imprescindibile alla luce dell’attuale contesto geopolitico. “Dobbiamo fare un passo avanti massiccio”, ha detto von der Leyen, sottolineando che la sicurezza dell’Europa richiede azioni concrete e tempestive.

In merito alla relazione con gli Stati Uniti, la presidente ha confermato che l’Europa è pronta a collaborare con gli alleati transatlantici per “difendere la democrazia e il principio dello Stato di diritto”, opponendosi a qualsiasi tentativo di cambiamento dei confini con la forza, in pieno rispetto del diritto internazionale.

Il vertice di Lancaster House ha rappresentato un momento cruciale nella definizione della strategia internazionale per il futuro dell’Ucraina e della sicurezza globale. Con il coinvolgimento di potenze europee e Stati Uniti, il piano di pace delineato da Starmer e Macron ha il potenziale di cambiare gli equilibri geopolitici, ma l’efficacia delle soluzioni proposte dipenderà dalla capacità di coinvolgere attivamente tutte le parti in causa e di garantire che eventuali accordi siano veramente sostenibili nel lungo periodo.

Rimane, tuttavia, una costante la necessità di rafforzare le difese europee, come sottolineato con forza da Ursula von der Leyen, affinché il continente possa essere preparato ad affrontare le sfide future con maggiore resilienza.

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Cronaca

Israele sospende l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza: la reazione internazionale

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Il governo israeliano ha deciso di bloccare l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, in seguito alla scadenza dell’accordo di cessate il fuoco e scambio di prigionieri con Hamas. Questa mossa è stata comunicata in un breve comunicato dal primo ministro Benjamin Netanyahu, il quale ha dichiarato che la sospensione riguarderà tutte le forniture destinate alla popolazione della Striscia. La decisione arriva dopo che Hamas ha rifiutato l’accordo proposto da Israele per la continuazione dei negoziati.

Secondo Netanyahu, l’accordo sugli ostaggi ha raggiunto la sua “prima fase” e il blocco degli aiuti è una conseguenza diretta del rifiuto di Hamas di aderire al piano negoziale proposto, ovvero il “quadro Witkoff”. In una riunione di gabinetto, il premier ha affermato: “Non ci saranno pranzi gratis. Se Hamas pensa che potrà continuare a beneficiare del cessate il fuoco senza restituire gli ostaggi, si sbaglia di grosso”. A questo proposito, Netanyahu ha anche aggiunto che ci saranno “ulteriori conseguenze” se il gruppo palestinese non cederà sulla questione degli ostaggi.

L’ufficio del primo ministro ha precisato che, sebbene l’ingresso degli aiuti sia sospeso, le forniture già entrate sono sufficienti per coprire le necessità della popolazione di Gaza per almeno cinque mesi. Inoltre, il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar ha smentito con fermezza le preoccupazioni internazionali sulla carestia imminente nella Striscia, definendo “bugie” le affermazioni relative a una possibile crisi alimentare.

Nonostante la situazione tesa, Netanyahu ha ribadito che Israele non ha violato gli accordi e ha riaffermato l’impegno del governo israeliano per il ritorno degli ostaggi. L’azione di blocco degli aiuti avviene in stretto coordinamento con gli Stati Uniti, con Donald Trump che sostiene la prosecuzione del cessate il fuoco.

La reazione di Hamas

La reazione di Hamas non si è fatta attendere. Il movimento ha accusato Israele di voler “far morire di fame” la popolazione di Gaza, fermando l’ingresso di beni vitali come cibo e medicine. In un’intervista rilasciata al canale televisivo qatariota Al-Arabi, il portavoce di Hamas ha affermato che la sospensione degli aiuti rappresenta una violazione del diritto internazionale e una chiara volontà dell’occupazione israeliana di infliggere sofferenza alla popolazione. Inoltre, il gruppo ha messo in dubbio la possibilità di proseguire i negoziati e ha dichiarato che la sospensione del flusso di aiuti rischia di compromettere il processo di pace, che già si trova a un punto critico.

Il leader di Hamas, Mahmoud Mardawi, ha insistito sull’importanza di completare la seconda fase dell’accordo, che include il rilascio di prigionieri e ostaggi. “L’unico modo per garantire la stabilità e il ritorno dei prigionieri è proseguire con l’accordo”, ha dichiarato Mardawi, esprimendo preoccupazione per l’ulteriore escalation delle ostilità nella regione.

Le reazioni internazionali

La decisione di Israele ha suscitato reazioni preoccupate a livello internazionale. Thomas Fletcher, capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, ha definito la sospensione degli aiuti come un’azione “preoccupante”, sottolineando che il diritto umanitario internazionale garantisce l’accesso agli aiuti essenziali. Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha espresso preoccupazione per la situazione e ha chiesto il ritorno immediato degli aiuti. Il suo portavoce, Stéphane Dujarric, ha sollecitato tutte le parti coinvolte a fare il massimo per evitare un’ulteriore escalation delle ostilità.

Anche Medici Senza Frontiere (MSF) ha condannato con fermezza la decisione israeliana, affermando che gli aiuti umanitari non dovrebbero mai essere utilizzati come strumento di pressione politica. Caroline Seguin, responsabile per l’emergenza Gaza di MSF, ha dichiarato che la sospensione degli aiuti avrà conseguenze devastanti per la popolazione locale, già fortemente provata dal conflitto. Inoltre, ha segnalato che l’incertezza causata dalla decisione ha portato a un aumento dei prezzi dei generi alimentari, aggravando ulteriormente la crisi.

Il blocco degli aiuti umanitari rappresenta un nuovo capitolo nell’intenso conflitto tra Israele e Hamas. Le tensioni, alimentate dal rifiuto di Hamas di accettare il piano di pace proposto da Israele, rischiano di minare ulteriormente il fragile processo negoziale. Mentre la comunità internazionale chiede il ripristino degli aiuti e il rispetto del diritto umanitario, la situazione a Gaza continua a destare serie preoccupazioni, con il rischio di un’escalation del conflitto che potrebbe coinvolgere ulteriormente la popolazione civile. La questione del ritorno degli ostaggi rimane al centro dei negoziati, con la speranza che il processo possa proseguire senza ulteriori interruzioni.

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Esteri

Gli Stati Uniti esprimono dubbi sulla leadership di Zelensky, chiedendo un cambiamento a...

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Il rapporto tra gli Stati Uniti e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sembra trovarsi in un momento di forte tensione. Dopo il confronto dello scorso venerdì tra il presidente ucraino e Donald Trump nello Studio Ovale, numerosi esponenti politici americani hanno sollevato dubbi sulla capacità di Zelensky di continuare a guidare il suo paese. Le dichiarazioni che seguono indicano una crescente frustrazione tra i leader americani, con alcuni che suggeriscono che Kiev possa aver bisogno di una nuova leadership per raggiungere la pace con la Russia.

Il consiglio di Mike Waltz: “Serve un leader in grado di trattare con i russi”

Mike Waltz, consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Donald Trump, ha rilasciato dichiarazioni che pongono una serie di interrogativi sulla condotta di Zelensky. Intervistato dalla CNN, Waltz ha dichiarato che l’Ucraina ha bisogno di un leader che sia disposto a trattare con la Russia per porre fine alla guerra. La sua richiesta di una “svolta” a Kiev è chiara: “Abbiamo bisogno di un leader che possa trattare con noi, ed eventualmente con i russi, per fermare i combattimenti”, ha affermato. Secondo Waltz, se dovesse diventare evidente che le motivazioni politiche o personali di Zelensky siano in conflitto con l’obiettivo di mettere fine al conflitto, gli Stati Uniti dovranno affrontare una “seria questione”.

Waltz ha inoltre precisato che la conclusione della guerra richiederà probabilmente concessioni territoriali da entrambe le parti. A tal proposito, ha suggerito che l’accordo di pace potrebbe comprendere scambi di territori in cambio di garanzie di sicurezza per tutte le parti coinvolte. Un coinvolgimento internazionale, con truppe di paesi come Regno Unito e Francia, potrebbe essere parte di una soluzione. “Questa guerra deve finire, e ciò richiederà concessioni. Stiamo lavorando duramente per far avanzare questi negoziati”, ha concluso Waltz.

Marco Rubio critica la posizione di Zelensky e ribadisce l’importanza del negoziato

Un altro esponente di spicco della politica estera americana, Marco Rubio, ha espresso preoccupazione per l’atteggiamento di Zelensky durante l’incontro con Trump. Il Segretario di Stato ha lamentato che, nonostante gli sforzi per spingere la Russia al tavolo delle trattative, Zelensky avrebbe ostacolato questo processo. Rubio ha sottolineato come il presidente ucraino, durante l’incontro, abbia messo in discussione le dichiarazioni del vicepresidente JD Vance sulla diplomazia e abbia insistentemente voluto raccontare la “storia dal punto di vista ucraino”. Questo comportamento, secondo Rubio, ha contribuito a complicare gli sforzi degli Stati Uniti per trovare una via diplomatica.

Rubio ha precisato che l’obiettivo degli Stati Uniti è negoziare con la Russia per porre fine alla guerra, e ha criticato Zelensky per aver adottato un approccio troppo intransigente. “Quando il vicepresidente ha detto che l’obiettivo è la diplomazia, Zelensky lo ha immediatamente interrotto, chiedendo: ‘Di che tipo di diplomazia parliamo?'”, ha ricordato Rubio. Secondo il politico repubblicano, solo un presidente che comprenda le dinamiche diplomatiche potrà ottenere una pace duratura, e in questo contesto, Trump sarebbe l’unico in grado di costringere Vladimir Putin a sedersi al tavolo negoziale.

La posizione di Mike Johnson: “Zelensky deve cambiare atteggiamento”

Il coro delle critiche è stato amplificato anche da Mike Johnson, speaker della Camera dei Rappresentanti, che ha rilasciato dichiarazioni simili a quelle di Rubio. Intervistato da NBC News, Johnson ha affermato che Zelensky dovrebbe “tornare in sé” e presentarsi con un atteggiamento di gratitudine, o altrimenti dovrebbe essere sostituito con un altro leader in grado di guidare l’Ucraina verso la pace. La sua posizione ribadisce la necessità di un approccio diplomatico, piuttosto che uno basato su richieste unilaterali che potrebbero allontanare le possibilità di un accordo con la Russia.

La crescente frustrazione nei confronti della leadership di Zelensky

Le recenti dichiarazioni di Waltz, Rubio e Johnson suggeriscono che il governo degli Stati Uniti stia diventando sempre più insoddisfatto della postura di Zelensky. Nonostante l’appoggio iniziale che Washington ha offerto all’Ucraina nella sua resistenza contro l’invasione russa, la crescente pressione per una soluzione diplomatica al conflitto ha portato alcuni a chiedere un cambiamento nella leadership a Kiev. La preoccupazione principale è che l’ostinazione di Zelensky possa ostacolare la possibilità di raggiungere un accordo che ponga fine alla guerra e apra la strada alla ricostruzione del paese.

In questo scenario, il futuro della leadership ucraina appare incerto, con gli Stati Uniti che potrebbero dover riconsiderare la loro strategia se non dovessero esserci progressi significativi nei negoziati di pace. Il dibattito su come procedere resta aperto, con molti che auspicano che Kiev faccia un passo verso una maggiore disponibilità al dialogo, anche se le condizioni per arrivare a una soluzione restano complesse e in continua evoluzione.

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Esteri

USA-Russia, nuovo scenario sulla crisi ucraina: prospettive di riavvicinamento e accuse a...

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Il recente mutamento della strategia statunitense in materia di politica estera sembra delineare una sostanziale convergenza con la posizione del Cremlino sull’Ucraina. Secondo quanto riferito da fonti vicine alle istituzioni russe, la gestione adottata dal presidente americano Donald Trump – in particolare dopo il suo confronto con l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky – si collocherebbe in sintonia con gli interessi di Mosca. Nel frattempo, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha duramente criticato il leader di Kiev, definendolo un “nazista puro” e accusandolo di aver tradito le sue radici.

Una linea estera che favorisce il dialogo russo-americano

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha osservato che la nuova postura assunta dagli Stati Uniti “corrisponde in larga misura” alla visione russa, lasciando intendere la volontà di consolidare un percorso di normalizzazione dei rapporti con Washington. Il contesto, segnato dalle pesanti tensioni bilaterali degli ultimi anni, è stato aggravato dalla questione ucraina, ma l’accelerazione impressa dalla nuova Amministrazione statunitense sembra offrire spiragli inediti.

Peskov, in un’intervista rilasciata durante la trasmissione televisiva “Mosca. Cremlino. Putin”, poi condivisa sul canale Telegram del giornalista Pavel Zarubin, ha illustrato i cambiamenti in atto, sottolineando che il Cremlino intravede una rotta comune per “cambiare rapidamente ogni configurazione di politica estera”. A suo dire, l’attuale direzione rispecchia in molti aspetti le valutazioni avanzate da Vladimir Putin.

Prospettive di distensione con gli Stati Uniti

Parallelamente, la possibilità di ricostruire un canale di comunicazione stabile tra Mosca e Washington risulta, secondo il Cremlino, dipendere in modo significativo dalla volontà politica dei capi di Stato di entrambe le nazioni. “Se questa volontà verrà rafforzata – ha chiarito Peskov – potremo compiere passi concreti verso la normalizzazione dei rapporti in maniera rapida e proficua”. Il portavoce ha comunque messo in guardia dalla complessità del processo, ricordando che gran parte dell’assetto bilaterale è stato compromesso da anni di incomprensioni.

Nel corso dell’ultimo summit dei leader dell’Unione Europea a Londra, focalizzato proprio sulla sicurezza di Kiev, si è tornati a discutere dell’incontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky, segnato da toni particolarmente accesi. L’atteggiamento del presidente americano, che pare abbia ridefinito diverse priorità in ambito internazionale, ha contribuito a delineare possibili scenari di collaborazione con la Russia, pur non dissipando tutte le incertezze intorno alla questione ucraina.

Lavrov contro Zelensky: accuse senza precedenti

Nel frattempo, si è registrata un’escalation di polemiche a seguito delle dichiarazioni rilasciate da Sergei Lavrov. In un’intervista trasmessa dall’emittente televisiva Zvezda, il ministro degli Esteri russo ha espresso un giudizio estremamente duro nei confronti di Volodymyr Zelensky, definendolo “un nazista puro” e accusandolo di essere un “traditore degli ebrei”. Si tratta di affermazioni che rischiano di acuire ulteriormente le tensioni nell’area, sollevando dubbi sulle prospettive di un compromesso condiviso.

Il Cremlino, dal canto suo, sembra considerare l’atteggiamento ucraino un ostacolo per eventuali colloqui di pacificazione. L’auspicio, per la parte russa, resta quello di imprimere una svolta risolutiva alla crisi, agevolata dalla disponibilità manifestata dalla nuova leadership degli Stati Uniti. Tuttavia, come ha ribadito lo stesso portavoce Peskov, soltanto un effettivo consenso tra Putin e Trump potrebbe garantire risultati tangibili in tempi ristretti.

In conclusione, l’evoluzione di questi rapporti internazionali si annuncia decisiva per l’assetto futuro dell’Ucraina e per la ridefinizione degli equilibri globali. La severa invettiva di Lavrov contro Zelensky, unita al clima ancora incerto sul destino del Paese, suggerisce che la partita diplomatica sia lontana dal concludersi. Tuttavia, la prospettiva di un ravvicinamento tra Washington e Mosca potrebbe imprimere una svolta, segnando una fase potenzialmente più stabile nel panorama geopolitico mondiale.

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Esteri

Hamas respinge l’estensione della prima fase: si intensificano le incertezze in Medio...

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La fragile tregua stabilita tra Israele e Hamas è giunta al termine senza trovare un accordo per prolungarla. Il portavoce del gruppo, Hazem Qassem, ha dichiarato che l’organizzazione non ha accettato la proposta di Israele finalizzata a estendere la prima fase dell’intesa, sottolineando l’assenza di trattative attualmente in corso per avviare una seconda fase del cessate il fuoco.

Le preoccupazioni delle Nazioni Unite

La fine della tregua ha suscitato timori presso le istituzioni internazionali, in particolare all’Onu. Il Segretario generale, António Guterres, ha ribadito l’importanza di mantenere il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, esortando entrambe le parti a compiere ogni sforzo per evitare nuovi scontri. In un comunicato diramato poco prima della scadenza dell’accordo, Guterres ha infatti puntualizzato che “i prossimi giorni saranno decisivi”, invitando a preservare ogni condizione atta a impedire una pericolosa escalation.

Secondo le disposizioni che regolavano la tregua, i combattimenti avrebbero dovuto restare sospesi finché israeliani e palestinesi si fossero impegnati a negoziare la prosecuzione del cessate il fuoco. La scadenza, tuttavia, è giunta in un clima di crescente incertezza, data l’insistenza di Hamas nel rifiutare ogni proroga della prima fase per concentrarsi direttamente sulla seconda.

L’accordo e i punti critici

In base ai termini già concordati, la seconda fase dell’accordo avrebbe il compito di segnare una fine definitiva alle ostilità nella guerra di Gaza. Tale scenario includerebbe la liberazione di tutti gli ostaggi rimanenti e il contestuale ritiro dell’esercito israeliano dal territorio di Gaza. Il mancato progresso nei negoziati, però, potrebbe alimentare nuove tensioni, minando la possibilità di stabilire una tregua duratura.

Dalla prospettiva di Hamas, la proposta avanzata da Israele per prolungare la prima fase non risponde alle esigenze necessarie a garantire un cessate il fuoco permanente. In mancanza di un’intesa condivisa, la strada verso la seconda fase appare incerta, mentre la comunità internazionale continua a monitorare con apprensione l’evolversi della situazione.

Uno scenario incerto

Le parti coinvolte si trovano adesso davanti a uno scenario colmo di interrogativi. Guterres ha sottolineato che “le parti non devono lesinare gli sforzi per evitare una rottura dell’accordo”, ricordando quanto siano critici i momenti successivi alla scadenza della tregua. Resta da vedere se nuove soluzioni diplomatiche si profileranno nelle prossime ore, oppure se il rifiuto di Hamas a prolungare la fase iniziale dell’accordo condurrà a una ripresa delle ostilità, con rischi umanitari e politici che potrebbero aggravare ulteriormente la crisi.

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Esteri

Hamas: “Serve pressing su Israele, passare subito a seconda fase accordo”

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Hamas chiede alla “comunità internazionale pressioni” su Israele affinché “rispetti integralmente” quanto previsto “dall’accordo” per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e lo scambio di prigionieri “e si entri immediatamente nella seconda fase” dell’intesa “senza rinvii né esitazioni”. In un messaggio di cui dà notizia la tv satellitare al-Jazeera il gruppo rivendica il suo “pieno rispetto” degli impegni.

“Al termine della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco e scambio di prigionieri, confermiamo il nostro pieno impegno per l’attuazione di tutte le disposizioni dell’intesa in tutte le fasi e tutti i dettagli”, si legge nel testo.

La prima fase dell’accordo si conclude domani. Per venerdì sera è atteso l’inizio del mese sacro di Ramadan e nei giorni scorsi il Jerusalem Post aveva scritto della possibile proroga di 42 giorni di questa prima fase. Fonti di Hamas citate da Haaretz parlano ora della richiesta israeliana di estendere la prima fase dell’accordo di cessate il fuoco in cambio del rilascio di altri prigionieri palestinesi detenuti in Israele come di una prospettiva che il gruppo non giudica positiva.

Le fonti considerano gli ostaggi israeliani in mano al gruppo dal 7 ottobre 2023 come la “carta vincente” per Hamas e ripetono che non verranno liberati tutti fin quando Israele non esporrà una posizione – ritenuta chiara dal gruppo – sulla fine del conflitto, delle operazioni militari nella Striscia di Gaza scattate in risposta all’attacco dell’autunno di due anni fa in Israele. Secondo le fonti citate da Haaretz, ci potrebbero essere progressi con altre forme di ‘compromesso’, come la liberazione di ostaggi malati e la consegna a Israele di salme di ostaggi morti in cambio della scarcerazione di prigionieri palestinesi o il miglioramento delle condizioni in cui vengono trattenuti i prigionieri e l’aumento degli aiuti che entrano a Gaza.

Intanto anche l’esponente di Hamas Taher Al-Nunu si è espresso contro l’ipotesi di una proroga della prima fase. “La rottura” da parte di Israele sulla “seconda fase dell’accordo non consente una proroga della prima fase – ha detto al canale Al Araby – Noi confermiamo l’impegno riguardo l’accordo di cessate il fuoco e ora la responsabilità è dei mediatori. Devono costringere (Israele) ad attuarlo”.

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Esteri

Ucraina, su terre rare ‘accordo opaco’: sogno Trump si scontra con realtà

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Molte delle risorse minerarie ucraine, su cui il presidente americano Donald Trump ha messo gli occhi come ‘risarcimento’ per gli aiuti forniti a Kiev, sono in realtà difficili da sfruttare, soprattutto in tempo di guerra. Lo fa notare la Cnn che ha visitato la miniera di titanio assediata a Irshansk, nel nordovest dell’Ucraina, la cui estrazione appare urgente. Ma che si scontra con il problema di una “elettricità che alimenta le grandi macchine e che è a volte è disponibile solo tre ore al giorno”, per i grandi danni inflitti dalla forze armare russe alle infrastrutture elettriche dell’Ucraina.

Alcuni attuali ed ex funzionari statunitensi hanno espresso dubbi sulla tesi di Trump secondo cui il potenziale accordo con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky offrirebbe agli Stati Uniti un facile accesso a una serie di minerali di terre rare. “Adesso non sappiamo più se e come andrà avanti il nostro lavoro”, ha detto Dmytro Holik, direttore dell’impianto di estrazione e concentrazione del conglomerato ucraino Group DF. “Ogni giorno assistiamo alla distruzione del sistema energetico ucraino. Ogni giorno, intere regioni vengono tagliate fuori in caso di emergenza”, ha aggiunto, riferendosi ai droni e missili con cui ogni notte la Russia colpisce le case e le infrastrutture energetiche ucraine.

Il personale dell’impianto di Irshansk è composto per lo più da uomini, esentati dalla leva obbligatoria perché il titanio è considerato un settore importante. I profitti sono bassi, le prospettive sono scarse. “La nostra azienda è ora molto instabile e questo comporta un costo molto elevato dei nostri prodotti”, ha spiegato Holik.

La natura dell’accordo quadro, che secondo un testo visionato dalla Cnn sarebbe stato firmato dal Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent e dal Ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha, è stata definita ”tanto opaca quanto gli elementi del settore che cercano di sfruttare”. La Cnn spiega che il testo si riferisce alla metà del valore delle ”risorse naturali rilevanti di proprietà del governo ucraino”, ma afferma che i dettagli specifici saranno ”concordati da entrambi i partecipanti, come potrebbe essere ulteriormente descritto nell’accordo del Fondo”. L’accordo prosegue affermando che questi non includeranno ”le fonti di entrate correnti già parte delle entrate di bilancio dell’Ucraina”.

L’entità della ricchezza mineraria dell’Ucraina non è chiara, fa notare la Cnn. I funzionari ucraini ammettono di fare affidamento sulla datazione geologica dell’era sovietica, ma in una recente presentazione del ministero dell’Ecologia e delle Risorse Naturali Kiev ha affermato di possedere il 7% della produzione mondiale di titanio e il 3% delle riserve di litio che non sono ancora state estratte. L’Ucraina ha anche affermato di essere tra le prime cinque nazioni per riserve di grafite e di avere depositi di minerali di terre rare come tantalio, niobio e berillio.

Prima dell’invasione russa, l’US Geological Survey aveva affermato che l’Ucraina era il quinto produttore di spugna di titanio e il sesto produttore di grafite. Definiva inoltre l’Ucraina una fonte di scandio. La geologa Natalia Bariatska, membro dell’Australian Institute of Geoscientists, ha affermato che ”è molto difficile parlare del valore effettivo di questi depositi. Possiamo parlare del valore degli elementi nel sottosuolo, ma dobbiamo capire che ci vogliono molti investimenti per estrarli, elaborarli e venderli”.

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Esteri

Dazi Usa, Macron: “Ue non sia debole, tariffe reciproche su alluminio e...

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L’Unione europea prevede l’istituzione di “dazi reciproci” con gli Stati Uniti sull’acciaio e sull’alluminio e dovrà “rispondere” sugli altri prodotti. Lo ha dichiarato il presidente francese Emmanuel Macron commentando la decisione del presidente americano Donald Trump di imporre dazi del 25% sui prodotti europei. Se i dazi americani sull’acciaio e l’alluminio “saranno confermati, gli europei risponderanno e allora ci saranno dazi reciproci. E questo perché dobbiamo proteggerci da chi ci offende”, ha detto il capo dell’Eliseo corso di una conferenza stampa congiunta a Porto con il primo ministro del Portogallo Luís Montenegro.

“Non abbiamo nessun altra scelta, non dobbiamo in alcun modo mostrarci deboli di fronte a queste misure”, ha aggiunto Macron, sottolineando di avere “pochissime speranze” in una soluzione positiva della questione dopo il suo incontro alla Casa Bianca con Trump.

Macron ha parlato di “incomprensioni” da parte dell’Amministrazione statunitense. Questa, ha spiegato il capo dell’Eliseo, vede l’imposta sul valore aggiunto della Ue come dazi doganali, il che è “falso”.

Parlando ai giornalisti dallo Studio Ovale prima del bilaterale con il primo ministro britannico Keir Starmer, Trump ha sottolineato che “non ci piace come ci tratta” l’Unione europea e dal 2 aprile “ci saranno dazi reciproci”. “La Ue è dura con gli Stati Uniti in ambito commerciale, non ci piace come tratta le aziende americane”, ha aggiunto. “‘Dazio’ è la mia parola preferita del vocabolario”, perché “non vogliamo essere presi in giro da tutto il mondo”, ha dichiarato. “Poi ci sono Dio, amore, famiglia, moglie”, ha aggiunto Trump.

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Russia accusa Ucraina: “Ha provato a uccidere il confessore di Putin”

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Il Cremlino ha condannato il presunto, sventato attentato condotto dall’Ucraina ai danni del metropolita di Crimea. Secondo la presidenza russa, il tentativo di uccidere l’alto prelato ortodosso legato al presidente Vladimir Putin, dimostra che “per Kiev non c’è nulla di sacro”.

Il servizio di sicurezza russo Fsb ha arrestato un russo e un ucraino, sospettati di aver complottato per uccidere Tikhon Shevkunov, che i media russi hanno descritto come “il confessore di Putin”, su ordine dell’intelligence militare ucraina.

L’intelligence militare ucraina (Gur) ha negato un coinvolgimento nella vicenda. Lo ha riferito Sky News, sottolineando come in precedenza l’Fsb – la principale agenzia di intelligence russa – abbia annunciato di aver sventato un piano del Gur per uccidere Shevkunov. Un portavoce dell’agenzia ucraina ha definito le accuse “assurde” e “bugie”. “Stiamo combattendo secondo le regole: le regole della guerra e le regole internazionali”, ha affermato il portavoce del Gur, Andriy Yusov.

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Trump riceve Zelensky alla Casa Bianca: “Accordo su minerali molto equo, grande...

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Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è arrivato alla Casa Bianca, accolto all’ingresso dall’omologo statunitense, Donald Trump. Poi l’incontro allo Studio Ovale. Trump ha confermato che oggi sarà firmato l’accordo sui minerali con l’Ucraina. “Abbiamo un accordo molto equo – ha detto il presidente americano ai giornalisti – È un grande impegno da parte degli Stati Uniti”. Zelensky si augura che “questo documento sia un passo avanti per l’Ucraina”, e ha dichiarato ai giornalisti di voler discutere nell’incontro con il tycoon di ciò che gli Stati Uniti sono “pronti a fare”.

Il presidente americano non ha risparmiato una battutina al leader ucraino al suo arrivo alla Casa Bianca. “Oggi è tutto vestito elegante”, ha detto Trump riferendosi a Zelensky, che – come accaduto spesso quando si trova all’estero – indossa una felpa nera con il tridente ucraino sul petto. Una battuta apparentemente molto apprezzata anche da Elon Musk, che non ha perso tempo per rilanciarla su X accompagnata dall’emoticon con la faccina che ride.

Su X Zelensky ha riferito di aver incontrato una delegazione bipartisan del Senato degli Stati Uniti. “Le nostre discussioni si sono concentrate sulla continua assistenza militare all’Ucraina, sulle iniziative legislative pertinenti, sul mio incontro con il presidente Trump, sugli sforzi per raggiungere una pace giusta e duratura, sulla nostra visione per mettere fine alla guerra e sull’importanza di solide garanzie di sicurezza”, ha scritto Zelensky.

“Siamo orgogliosi di avere partner strategici e amici come gli Stati Uniti. Siamo grati per l’incrollabile sostegno bipartisan all’Ucraina durante tutti e tre gli anni di aggressione su vasta scala della Russia”, ha aggiunto il leader ucraino.

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Esteri

Trump e le mire sul Canada, perché re Carlo non dice nulla?

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Un portavoce di Buckingham Palace ha dichiarato che si tratta di una questione di competenza del governo canadese, in base ai cui consigli il re agisce

Re Carlo - (Fotogramma/Ipa)

Le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sul fatto che il Canada diventi il ​​51esimo Stato degli Usa hanno portato a un netto rifiuto nell’opinione pubblica canadese dell’idea, considerata “non fattibile”, a spontanee esplosioni di orgoglio nazionale e a una tenace determinazione ad acquistare ‘made in Canada’. Accanto a queste scontate reazioni, molte persone si interrogano sul ruolo del capo di Stato canadese: perché re Carlo non dice nulla? Un portavoce di Buckingham Palace ha dichiarato alla Cbc che si tratta di una questione di competenza del governo canadese, in base ai cui consigli il re agisce.

Il Canada è infatti una monarchia costituzionale, dove il monarca è una figura rappresentativa e il governo eletto in carica agisce in suo nome. “Se si pensa al Parlamento come a un cerchio e al re e a ciò che può fare come a un cerchio, la sovrapposizione è in realtà piuttosto ridotta”, ha affermato Justin Vovk, commentatore reale e professore ordinario di storia alla McMaster University di Hamilton. “È stabilito, e risale a poco meno di 400 anni fa, il fatto che il re non possa svolgere le funzioni del Parlamento e fare leggi, dirigere la politica estera, dichiarare guerre, dato che non è un funzionario eletto. Se hai una situazione in cui un re comanda su tutto, questo è dispotismo, è tirannia. Ciò solleva interrogativi su chi è al di sopra della legge”.

Anche se il governo potrebbe chiedere a Charles di intervenire, non ci sono indicazioni che ciò sia avvenuto. “Penso che ci siano probabilmente diverse ragioni” per questo, ha detto Vovk. “Penso che la cosa più importante, prima di tutto, sia il fatto che il nostro governo ha ripetutamente chiarito che l’idea che il Canada diventi il ​​51esimo stato non è fattibile. La risposta alla domanda perché re Carlo non abbia preso posizione è che non è in atto una crisi costituzionale. Quindi, nel caso in cui la Costituzione canadese fosse in crisi, il ruolo del sovrano sarebbe quello di intervenire e garantire che il Parlamento mantenga una governance adeguata”.

Potrebbe esserci un altro fattore complicato: Carlo è re del Canada, non solo del Regno Unito, il che lascia aperta la possibilità che interessi diversi vengano alla ribalta. “Cosa succederebbe se il governo del Regno Unito e il governo del Canada dessero al re consigli contrastanti?”, ha affermato Craig Prescott, esperto costituzionale e docente di diritto presso la Royal Holloway dell’Università di Londra. “Se il re dicesse qualcosa del tipo: ‘Giù le mani dal Canada’, allora Trump potrebbe benissimo cercare di rispondere con dazi contro il Regno Unito, perché non farebbe distinzione tra re del Canada e re del Regno Unito”.

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Cronaca

Congo, malattia misteriosa uccide 53 persone: la morte in sole 48 ore

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L’epidemia scoperta per la prima volta in tre bimbi che hanno mangiato un pipistrello. Il punto dell’Oms: “Significativa minaccia per la salute pubblica”

Personale medico in Congo - Afp

Nella Repubblica democratica del Congo una malattia al momento sconosciuta ha causato la morte di oltre 50 persone nel nord-ovest del Paese nelle ultime cinque settimane. L’epidemia – secondo gli operatori sanitari – è stata scoperta per la prima volta in tre bambini che hanno mangiato un pipistrello, e ha causato, dati del bollettino dell’Oms al 16 febbraio, 431 casi e 53 morti.

“Le epidemie, che hanno visto i casi aumentare rapidamente in pochi giorni, rappresentano una significativa minaccia per la salute pubblica. La causa esatta rimane sconosciuta”, ha detto ieri in un briefing il portavoce dell’Oms, Tarik Jašarević. “I villaggi hanno una capacità di sorveglianza e infrastrutture sanitarie limitate”, ha osservato.

“L’epidemia più ampia, segnalata il 13 febbraio nel villaggio di Bomate, nella zona sanitaria di Basankusu, ha ucciso 45 persone su 419 casi”, ricorda l’Oms. L’intervallo tra la comparsa dei sintomi – che comprendono febbre, vomito ed emorragia interna – e la morte è stato nella maggior parte dei casi di 48 ore e “questo è ciò che è veramente preoccupante”, ha affermato Serge Ngalebato, direttore medico dell’ospedale di Bikoro, un centro di monitoraggio regionale.

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Cronaca

sraele, corteo funebre per i Bibas: folla per l’addio a Shiri, Ariel e Kfir uccisi...

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Cartelli e bandiere per la mamma e i due bimbi morti durante la prigionia. La famiglia: “Ci date forza”. Gli Usa sul cessate il fuoco nella Striscia: “Fase 2 sulla buona strada”. Idf confermano raid in Siria

Ariel, Shiri e Kfir Bibas, uccisi a Gaza - Afp

Folla in strada, nel centro di Israele, per assistere al passaggio del corteo funebre di Shiri, Ariel e Kfir Bibas, presi in ostaggio il 7 ottobre 2023 e uccisi durante la prigionia a Gaza.

Persone con bandiere e cartelli si sono radunate a Ramat Gan, città situata alla periferia est di Tel Aviv, da cui partiranno alcuni membri della famiglia. Successivamente, le bare saranno portate a Rishon Lezion, passando per Yavne, Ashdod e Ashkelon e raggiungendo infine il Consiglio regionale di Sha’ar HaNegev, vicino al confine con Gaza. A riferirne è il Times of Israel.

“Abbiamo avviato il corteo funebre accompagnati da masse di israeliani. Vi vediamo e vi sentiamo, e siamo commossi, ci date forza“. Questa la dichiarazione che la famiglia Bibas ha rilasciato all’inizio del corteo. Il marito di Shiri e padre dei due piccoli Kfir e Ariel, Yarden, “si scusa per non essere potuto scendere ad abbracciare personalmente ognuno di voi”. “Desideriamo ardentemente il giorno in cui potremo di nuovo unirci in momenti di gioia piuttosto che di dolore”, si legge ancora nella dichiarazione citata dal Times of Israel.

“Ariel e Kfir uccisi da Hamas a mani nude”

Ariel e Kfir Bibas “sono stati brutalmente assassinati” da Hamas. Israele ha lanciato l’accusa dopo la restituzione dei corpi dei due bambini il 21 febbraio scorso. Daniel Hagari, portavoce delle forze di difesa israeliane, aveva affermato che “i terroristi non hanno sparato ai due bimbi. Li hanno uccisi a mani nude”. Hagari – citato dai media locali – ha aggiunto che Israele ha condiviso quanto scoperto con i suoi alleati in tutto il mondo.

In un messaggio trasmesso alla tv Hagari aveva spiegato che i fratelli Bibas “sono stati uccisi brutalmente in prigionia a Gaza durante le prime settimane della guerra da terroristi omicidi”.

“Contrariamente alle bugie di Hamas, non sono stati uccisi in un attacco aereo. Il neonato Kfir e Ariel di quattro anni sono stati assassinati a sangue freddo. I terroristi non li hanno assassinati sparandogli, li hanno assassinati con le loro mani. In seguito, hanno commesso atti terribili per cercare di coprire le atrocità”, aveva aggiunto.

Seconda fase cessate il fuoco, cosa dicono gli Usa

L’inviato speciale degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha intanto annunciato che potrebbe partire per il Medio Oriente domenica per finalizzare la seconda fase del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, a seconda dei progressi che i negoziatori israeliani faranno nei prossimi giorni nei colloqui che si terranno a Doha o al Cairo. “Se i negoziati iniziali andranno bene, se stabiliremo i limiti e il quadro di ciò di cui vogliamo parlare, forse sarò in grado di andare domenica e concludere un accordo”, ha detto. “Questo è ciò che speriamo. Fase 2 sulla buona strada, rilascio di altri ostaggi. Pensiamo che sia una possibilità reale”.

Idf confermano raid in Siria

Le Forze di Difesa israeliane hanno intanto confermato di aver colpito “obiettivi militari” nel sud della Siria, compresi siti di stoccaggio di armi. “La presenza di mezzi e forze militari nella parte meridionale della Siria costituisce una minaccia per i cittadini dello Stato di Israele”, afferma l’esercito in una dichiarazione citata dal Times of Israel. “L’Idf – aggiunge – continuerà ad agire per rimuovere qualsiasi minaccia ai cittadini dello Stato di Israele”.

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Esteri

Trump inventa la Gold Card, cittadinanza in vendita per 5 milioni

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“I ricchi verranno nel nostro paese acquistando questa card.Creeranno posti di lavoro e pagheranno tasse”

Donald Trump

Donald Trump annuncia l’introduzione della Gold Card per entrare negli Stati Uniti e offre di fatto la cittadinanza ai ricchi di tutto il mondo. Con circa 5 milioni di dollari, dice il presidente, “si apre la strada alla cittadinanza”. Il ‘comune mortale’ che vuole diventare cittadino americano punta ad acquisire la green card già prevista. Trump, però, punta all’immigrazione ‘di lusso’ con la ‘carta d’oro’.

“Venderemo la Gold Card, metteremo un prezzo di circa 5 milioni di dollari. Sarà una strada per la cittadinanza. I ricchi verranno nel nostro paese acquistando questa card. Saranno ricchi, creeranno posti di lavoro e pagheranno tasse. Spenderanno tanti soldi”, dice Trump. “Non è mai stata fatta una cosa del genere in questo paese, la metteremo a punto in un paio di settimane”, aggiunge il presidente.

“La Gold Card porterà qui persone di altissimo livello che saranno in grado di creare posti di lavoro. Penso che le grandi aziende pagheranno per comprare le Gold Card per figure professionali che escono dai college. Magari riusciremo a vendere un milione di queste card, sarebbero 5 trilioni di dollari” per il governo americano. “Abbiamo studiato tutto a livello di norme, è totalmente legale”, aggiunge. A chi chiede se la Gold Card sarà a disposizione anche di oligarchi russi, risponde: “Perché no? Conosco alcuni oligarchi, sono persone gradevoli. Magari non sono più ricchi come prima, ma avranno ancora 5 milioni…”.

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Esteri

Ucraina pronta all’accordo con gli Usa sulle terre rare: cosa prevede

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Con l’intesa Kiev punterebbe ottenere un impegno a lungo termine degli Stati Uniti in materia di sicurezza. Trump: “Sostegno fino a quando non avremo un accordo con la Russia”

Zelensky e Trumo - Afp

L’Ucraina è pronta a cedere le terre rare agli Usa. Kiev ha concordato con Washington un accordo che, secondo i funzionari ucraini, migliorerà i rapporti con l’amministrazione Trump e aprirà la strada a un impegno a lungo termine degli Stati Uniti in materia di sicurezza dopo l’eventuale accordo con la Russia per porre fine alla guerra.

I funzionari ucraini affermano che Kiev è ora pronta a firmare l’accordo sullo sviluppo congiunto delle sue risorse minerarie, tra cui petrolio e gas, dopo che gli Stati Uniti hanno ritirato le richieste di diritto a 500 miliardi di dollari di potenziali entrate derivanti dallo sfruttamento di tali risorse.

Trump: “Intesa che frutta all’Ucraina 350 miliardi”

Con l’imminente accordo, dice Trump, “l’Ucraina ottiene 350 miliardi di dollari, equipaggiamento militare, il diritto a combattere. Gli ucraini sono ottimi soldati, ma senza i soldi e le armi americane questa guerra sarebbe finita prestissimo. Io sono stato quello che ha dato i javelin all’Ucraina, con i javelin hanno distrutto tanti tank. Senza le forniture americane e senza i nostri soldi, questa guerra sarebbe finita subito. Il sostegno potrebbe andare avanti per un po’ ancora, forse fino a quando avremo un accordo con la Russia. Io credo che la situazione verrà sistemata presto, ho parlato con il presidente Vladimir Putin e lui vuole un accordo”.

Nel mirino di Trump, non ci sono solo risorse ucraine. Del resto, Putin ha fatto riferimento a contatti tra aziende statunitensi e russe per potenziali partnership. “Non ne ho parlato con Putin, ma vorrei acquistare minerali anche dai territori russi. Hanno terre ricche, hanno anche petrolio e gas. Le sanzioni? Non abbiamo parlato di eliminare sanzioni”, aggiunge Trump.

Chi garantirà la sicurezza dell’Ucraina dopo l’accordo? “L’Europa sarà responsabile per questo. L’Europa ha messo 100 miliardi, noi abbiamo speso 300 miliardi. Vogliamo equilibrio. Non credo che la sicurezza dell’Ucraina sarà un problema. Una volta che faremo l’accordo, la Russia non tornerà lì”.

Non sembra in discussione la presenza di soldati statunitensi in Europa e l’impegno americano nella Nato: “Noi siamo coinvolti ora in Europa e lo saremo in futuro. L’Europa è nostra amica, se n’è approfittata a livello di commercio ma sistemeremo tutto, le cose cambieranno”.

Cosa prevede il testo

Sebbene il testo non contenga esplicite garanzie di sicurezza, i funzionari ucraini hanno sostenuto di aver negoziato condizioni molto più favorevoli e hanno descritto l’accordo come un modo per ampliare le relazioni con gli Stati Uniti e consolidare le prospettive dell’Ucraina dopo tre anni di guerra. “L’accordo sui minerali è solo una parte del quadro. Abbiamo sentito più volte dall’amministrazione statunitense che fa parte di un quadro più ampio”, ha detto al Financial Times Olha Stefanishyna, vice primo ministro e ministro della giustizia ucraino che ha guidato i negoziati.

Le condizioni altamente onerose della bozza originale, presentate dal presidente Donald Trump come un modo per l’Ucraina di ripagare gli Stati Uniti per gli aiuti militari e finanziari ricevuti dopo l’invasione su vasta scala della Russia nel 2022, hanno provocato indignazione a Kiev e in altre capitali europee. Dopo che la scorsa settimana il presidente Volodymyr Zelensky ha respinto il testo iniziale, Trump lo ha definito un “dittatore” e ha incolpato l’Ucraina di aver iniziato la guerra. La versione finale dell’accordo, datata 24 febbraio e visionata dal FT, istituirebbe un fondo in cui l’Ucraina contribuirebbe con il 50 percento dei proventi derivanti dalla “monetizzazione futura” delle risorse minerarie di proprietà statale, tra cui petrolio e gas, e la logistica associata. Il fondo investirebbe in progetti in Ucraina.

Esclude le risorse minerarie che già contribuiscono alle casse del governo ucraino, il che significa che non coprirebbe le attività esistenti di Naftogaz o Ukrnafta, i maggiori produttori di gas e petrolio dell’Ucraina. Tuttavia, l’accordo omette qualsiasi riferimento alle garanzie di sicurezza degli Stati Uniti su cui Kiev aveva inizialmente insistito in cambio dell’accettazione dell’accordo. Lascia anche questioni cruciali come la dimensione della quota statunitense nel fondo e i termini degli accordi di “proprietà congiunta” da discutere in accordi successivi. Dopo tre anni in cui gli Stati Uniti sono stati il principale donatore di aiuti militari a Kiev, Trump ha ribaltato la politica di Washington aprendo colloqui bilaterali con la Russia, senza alcun alleato europeo o l’Ucraina al tavolo.

L’ok dal governo di Kiev

I funzionari ucraini hanno affermato che l’accordo è stato approvato dai ministri della giustizia, dell’economia e degli esteri, e hanno lasciato intendere che Zelensky si recherà alla Casa Bianca nelle prossime settimane per una cerimonia di firma con Trump.  “Questa sarà un’opportunità per il presidente di discutere qual è il quadro generale. E poi, saremo in grado di pensare ai prossimi passi”, ha detto un funzionario.

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Esteri

Ucraina, Tusk: “Summit su difesa comune domenica a Londra”

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L’annuncio dopo il bilaterale con il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. Secondo fonti italiane la premier Meloni avrebbe dato la sua disponibilità a partecipare

Ucraina, Tusk:

Domenica prossima dovrebbe tenersi un vertice di leader europei a Londra per discutere della difesa comune e per rafforzare la posizione dell’Ucraina in vista dei negoziati di pace. Lo ha detto il primo ministro polacco Donald Tusk, parlando a Varsavia a fianco del presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa, riporta il Guardian. “Spero – ha affermato – che una maggiore mobilitazione di difesa dell’Europa, degli Stati membri e dell’Europa in senso più ampio, diventi un fatto”. Prima del prossimo Consiglio Europeo del 6 marzo a Bruxelles, “saremo a Londra domenica, insieme ai nostri amici britannici e a un gruppo di leader, per parlare di questi piani comuni sulla difesa”.

Fonti italiane fanno sapere che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, avrebbe dato la sua disponibilità a partecipare al vertice. Le stesse fonti sottolineano però come il vertice non sia stato ancora ufficialmente convocato, aggiungendo che le interlocuzioni tra i leader sono in corso.

Per quanto riguarda il futuro dell’Ucraina, Costa ha insistito sul mantenimento del sostegno a Kiev in questa fase della guerra, in cui il presidente statunitense Donald Trump e il suo omologo russo Vladimir Putin si sono dimostrati aperti a raggiungere un accordo per un cessate il fuoco. “Abbiamo sostenuto l’Ucraina fin dal primo giorno. Abbiamo sostenuto l’Ucraina in guerra e continueremo a farlo. Ora nella guerra, speriamo in futuro, nei futuri negoziati di pace”, ha dichiarato, sottolineando che l’Ue ha un ruolo da svolgere nel mantenimento della pace, nella ricostruzione del Paese e nell’adesione dell’Ucraina al blocco europeo. Costa ha precisato che alla riunione di marzo si discuterà anche di un aumento degli aiuti all’Ucraina per “rafforzare la sua posizione nella guerra e nei futuri negoziati di pace”.

Starmer: “Spesa aumenterà a 2,5% Pil entro 2027”

Dal canto suo il primo ministro britannico, Keir Starmer, ha annunciato che il Regno Unito aumenterà la spesa per la difesa dal 2,3% del pil al 2,5% entro il 2027 per far fronte alle nuove sfide per la sicurezza in Europa. “Posso annunciare che questo governo realizzerà il più grande aumento della spesa per la difesa dalla fine della Guerra Fredda”, ha dichiarato Starmer ai Comuni. “E’ il mio principale dovere in quanto primo ministro mantenere questo Paese al sicuro. Questo è il motivo per cui incrementiamo la spesa per la difesa al 2,5% del pil entro aprile 2027. In un mondo pericoloso con non mai, è vitale proteggere il popolo britannico”, ha confermato poi il primo ministro britannico su X.

L’aumento annunciato da Starmer sarà sostenuto da un taglio nel bilancio britannico alla voce dedicata agli aiuti allo sviluppo internazionale, che scenderà dallo 0,5% allo 0,3% del Pil.

Parlando alla Camera dei Comuni, Starmer – che si presenta dunque giovedì alla Casa Bianca da Donald Trump con la promessa di un impegno più volte sollecitato dal presidente americano – ha sottolineato: “Dobbiamo cambiare la nostra postura la sicurezza nazionale, perché una sfida generazionale richiede una risposta generazionale”. E questo, ha ammesso in un riferimento alla riduzione degli aiuti internazionali allo sviluppo per compensare l’aumento delle spese per la difesa – richiede “scelte estremamente difficili e dolorose”.

Domani videoconferenza leader Ue per ascoltare Macron

Il presidente del Consiglio Europeo Antonio Cosa ha organizzato una videoconferenza dei capi di Stato e di governo domattina, per ascoltare il resoconto del presidente francese Emmanuel Macron del suo incontro con il presidente degli Usa Donald Trump. La call, informa Costa via social, è in preparazione del summit del 6 marzo prossimo.

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Cronaca

Paura a bordo di un volo Delta Air Lines: la cabina si riempie di fumo – Video

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Il Boeing 717-200 costretto ad invertire la rotta ed effettuare un atterraggio d’emergenza

Paura a bordo di un volo Delta Air Lines: la cabina si riempie di fumo - Video

Momenti di paura a bordo di un volo Delta Air Lines. Un Boeing 717-200, regolarmente decollato da Atlanta con destinazione Columbia in North Carolina, è stato costretto ad invertire la rotta ed effettuare un atterraggio d’emergenza per del fumo all’interno della cabina. Secondo i media locali, al momento dell’incidente a bordo dell’aereo Delta c’erano 94 passeggeri e cinque membri dell’equipaggio che sono stati fatti evacuare con gli scivoli.

In una nota la Federal Aviation Administration in una nota ha confermato l’incidente spiegando che il volo Delta 876 per Columbia è tornato in sicurezza all’aeroporto internazionale di Hartsfield-Jackson lunedì mattina “dopo che l’equipaggio ha segnalato un possibile fumo nella cabina passeggeri”.

Sui social un passeggero ha condiviso il video della cabina avvolta dal fumo e ha raccontatop che una voce all’interfono ha consigliato ai presenti di “respirare attraverso i vestiti” e di “stare bassi”.

La FAA ha detto che sta indagando sull’incidente, che è arrivato dopo che un aereo Delta si è capovolto la scorsa settimana mentre atterrava a Toronto, ferendo 21 persone. E sabato, un altro volo Delta è tornato a Los Angeles dopo essere partito per Sydney, in Australia, quando del fumo è stato rilevato nella cambusa, secondo la compagnia aerea.

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Esteri

Guerra in Ucraina potrebbe finire “entro poche settimane”, Trump:...

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Il presidente Usa parlando nello Studio Ovale con al fianco il presidente francese Macron il quale ha sottolineato: “Cogliamo un accordo rapido ma non fragile. Pace non può significare resa di Kiev”.

Emmanuel Macron e Donald Trump - (Afp)

Per il presidente degli Stati Uniti Donald Trump la guerra della Russia contro l’Ucraina potrebbe finire “entro poche settimane” e il presidente russo Vladimir Putin permetterebbe alle forze di pace europee di stazionare in Ucraina come parte di un potenziale accordo. “Penso che potremmo finirla entro poche settimane. Se siamo intelligenti. Se non siamo intelligenti, continuerà ad andare avanti e continueremo a perdere giovani e belle persone che non dovrebbero morire”, ha detto il tycoon, parlando con il presidente francese Emmanuel Macron alla Casa Bianca.

Trump ha affermato che gli Stati Uniti sono favorevoli all’invio di truppe europee per monitorare il cessate il fuoco e che ha discusso la proposta con Putin, che “la accetterebbe”. Alla domanda se l’Ucraina sia disposta a cedere territori alla Russia nell’ambito di una soluzione negoziata, Trump ha risposto: “Vedremo”, sottolineando che i colloqui sono ancora nelle fasi iniziali.

Dal canto suo Macron ha fatto sapere che gli europei sono “pronti ad arrivare fino all’invio di truppe” in Ucraina per verificare che “la pace venga rispettata”. Per risolvere la guerra in Ucraina “vogliamo un accordo rapido, ma non fragile”, ha quindi sottolineato il presidente francese a tre anni esatti dall’inizio dell’invasione russa.E ha insistito sul fatto che la pace non possa significare la “resa” dell’Ucraina, mettendo in guardia da un mondo in cui vince la “legge del più forte”. “Questa pace non può significare la resa dell’Ucraina”, ha detto Macron.

Macron corregge Trump sui soldi europei

Proprio le cifre degli aiuti destinati a Kiev diventano terreno di confronto pubblico tra Macron e Trump. “L’Europa ha prestato soldi all’Ucraina e li riavrà. Noi, no”, dice il presidente americano, che si ‘becca’ il fact checking dell’ospite in diretta, con un po’ di imbarazzo e qualche smorfia a fare da cornice.

“Per essere onesti, noi paghiamo. Abbiamo pagato per il 60% dello sforzo totale. Come gli Stati Uniti, prestiti, garanzie… Abbiamo dato denaro reale, per essere chiari”, le parole di Macron, che cita stanziamenti europei per 138 miliardi di dollari. I fondi russi congelati dall’Ue, evidenzia, al momento non possono essere considerati ma potrebbero entrare in gioco in base all’esito dela trattativa. “Se credete a tutto questo, per me va bene -chiosa Trump-. Ma loro riavranno i loro soldi. Noi, no”.

Da Onu via libera a risoluzione Usa con sostegno Russia

Intanto ieri il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato, con il sostegno della Russia, una risoluzione degli Stati Uniti che chiede una rapida pace in Ucraina, ma senza fare riferimento all’integrità territoriale del Paese, nonostante le obiezioni degli alleati europei di Kiev.

La risoluzione, che “sollecita la fine del conflitto il prima possibile e invoca una pace duratura”, ha ricevuto 10 voti a favore, tra cui quello della Russia, e nessuno contrario. I quattro paesi dell’Ue (Francia, Slovenia, Grecia, Danimarca) e il Regno Unito si sono astenuti.

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva adottato in precedenza una risoluzione che ribadiva il sostegno all’Ucraina e alla sua integrità territoriale. La risoluzione, voluta dall’Ucraina e dai suoi alleati europei, ha raccolto 93 voti a favore, 18 contrari e 65 astensioni.

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Esteri

Ucraina, i tempi di Putin e Trump: Cremlino paziente, il tycoon freme

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Per la Russia allungare la trattativa significa anche consolidare la sua posizione di forza al fronte. Ma il presidente Usa è impaziente

Donald Trump e Vladimir Putin - Afp

Vladimir Putin e Donald Trump? Hanno tempi completamente diversi nel processo negoziale sullo stop alla guerra tra Ucraina e Russia che ha preso il via la scorsa settimana a Riad, tempi che non potranno non generare scintille nel corso della trattativa. Mentre il presidente Usa ha fretta, l’omologo russo al contrario vuole aspettare e può permettersi di farlo. Il Cremlino lo ha dimostrato aprendo la strada a trattative infinite che hanno già visto la riunione di due tavoli tecnici nei giorni scorsi, con un “incontro a tutto campo”, dedicato però solo al ripristino della funzionalità delle ambasciate, previsto per questa settimana, a livello di capo gabinetto dei ministeri interessati, come ha confermato ieri mattina il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Ed è solo l’inizio.

Putin temporeggia, perché succede

La macchina della Russia in guerra è oramai oliata e funziona. Il Paese ha un’inflazione molto alta che non sarà sostenibile solo sul medio lungo periodo. Nel frattempo, le forze al fronte avanzano nel Donbass e cercano di riprendere il controllo della regione di Kursk.

Mosca ha una lunga tradizione di negoziati condotti in parallelo ad azioni sul fronte che il negoziato infine influenzano in modo decisivo. Alla fine della Seconda guerra mondiale, mano a mano che le forze sovietiche avanzavano in Polonia contro le forze del Reich, Stalin aumentava le richieste rivolte a Winston Churchill e Franklin D. Roosvelt, con le conseguenze sull’Est Europa perdurate fino al crollo dell’Urss.

A livello diplomatico, già lo sblocco delle relazioni con gli Stati Uniti è una vittoria per Mosca che ha visto così incrinarsi l’isolamento internazionale a cui è soggetta da tempo in modo crescente.

La fretta di Trump

Il presidente americano invece ha fretta. Non solo per questioni caratteriali – la sua proverbiale impazienza per la sua mancanza di capacità di concentrazione su un singolo dossier – o perché durante la campagna elettorale aveva promesso di porre fine alla guerra in 24 ore dal suo insediamento.

Trump ha bisogno di un risultato in tempi veloci anche per dare sostanza a una delle sue principali politiche ‘disruptive’ dell’assetto messo in atto dalla precedente amministrazione su cui la narrativa del Presidente mira a far ricadere la responsabilità del conflitto e per allentare il fronte comune Russia Cina, in modo da poter esercitare il suo braccio di ferro con Pechino con maggior peso. Uno sforzo che la telefonata fra Xi Jinping e Vladimir Putin di ieri mattina sembra aver frustrato, con il Presidente cinese che ha ribadito come Russia e Cina “non possano essere allontanati, di come si sostengano a vicenda e ricerchino uno sviluppo comune”, e la partnership “senza limiti” lanciata alla vigilia dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.

Cosa serve alla Russia, gli assi nella manica degli Usa

Sarà necessario tempo per i negoziati, aveva detto Putin nei giorni scorsi. “Quanto tempo, non posso dirlo in questo momento”, aveva aggiunto. Mosca, è stato detto a diversi livelli, non è interessata solo a un cessate il fuoco ma a eliminare “alla radice” le cause che hanno portato al conflitto, quindi non solo l’Ucraina nella Nato, ma un controllo sull’intero apparato militare dell’Ucraina, che non ci siano armi straniere sul territorio, e limiti al numero delle forze, mezzi e armi, l’intero assetto della sicurezza in Europa. Per raggiungere tali obiettivi, a Putin serve molto di più delle esternazioni filorusse di Trump.

“Al Cremlino si dubita che Trump e i suoi comprendano le difficoltà o la complessità delle questioni che devono essere affrontate”, ha commentato Thomas Graham, ex consigliere della Casa Bianca sulla Russia con George W. Bush, in una intervista al Wall Street Journal di ritorno da una missione a Mosca.

Gli Stati Uniti hanno qualche asso nella manica per accelerare i negoziati. Nuove sanzioni sull’export di petrolio russo o altri aiuti militari a Kiev, anche se da giorni oramai non se ne fa più cenno nelle dichiarazioni ufficiali, dove invece l’accento è diretto contro l’Ucraina e il presidente Volodymir Zelensky. Ma non è molto. Putin ha già dimostrato in passato di saper aspettare, la Russia di resistere.

Oggi nuovo incontro Usa-Russia a Riad

Intanto inviati russi e americani si incontreranno ancora oggi a Riad per un “follow-up” rispetto a quello del 18 febbraio scorso tra il Segretario di Stato americano Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Lavrov, ha dichiarato una fonte diplomatica all’Afp a condizione di anonimato, sottolineando che si tratta di un incontro ”a livello inferiore” rispetto al precedente, ma che comunque segna dei ”progressi” nella giusta direzione. La fonte non ha indicato chi farà parte delle due delegazioni.

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Esteri

Ucraina, Macron: “Europa pronta a mandare soldati dopo pace”. Trump:...

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Il presidente francese a Washington: “La pace non può significare la resa dell’Ucraina”

Emmanuel Macron e Donald Trump - Afp

Una pace giusta per l’Ucraina e il ruolo centrale dell’Europa quando la guerra con la Russia sarà finita. Emmanuel Macron e Donald Trump riavvicinano le due sponde dell’Atlantico nel dialogo per porre fine al conflitto innescato 3 anni fa dall’invasione ordinata da Vladimir Putin.

L’incontro tra il presidente francese e quello americano alla Casa Bianca evidenzia le priorità il Vecchio Continente sistema sul tavolo delle trattative, per ora monopolizzate da Usa e Russia.

“Questa pace non può significare la resa dell’Ucraina”, dice Macron, affermando che “gli europei sono pronti ad assumersi la responsabilità di garantire una pace duratura. Sono pronti ad arrivare fino all’invio di truppe affinché la pace venga rispettata. Se la Russia viola l’accordo di pace dovrà confrontarsi con tutti i paesi che hanno partecipato alle trattative e sarà un’altra storia, totalmente diversa”, avverte il presidente francese.

Il dialogo con Putin

Il ruolo di Trump come interlocutore del Cremlino, evidenzia Macron, è fondamentale. Il coinvolgimento a lungo termine degli Stati Uniti è un fatto positivo. Il nostro obiettivo comune è quello di stabilire una pace duratura e solida. Gli Stati Uniti e la Francia restano dalla stessa parte”, dice il numero 1 dell’Eliseo. “Io ho smesso di parlare con Putin dopo il massacro di Bucha e i crimini di guerra, ma ora gli Stati Uniti hanno una nuova amministrazione. Ci sono motivi validi per riprendere i contatti con Putin”, aggiunge.

Trump, oltre al suo repertorio consueto, offre un elemento di novità. Il suo sì all’invio di peacekeeper europei si accompagna al via libera di Putin, favorevole anche alla partecipazione dell’Europa al processo negoziale: “Gli ho fatto una domanda specifica, per lui non ci sono problemi”, dice il presidente degli Stati Uniti, che parla ancora di “ottimi colloqui” con la Russia e assicura che in futuro incontrerà il leader del Cremlino: “Andrò a Mosca? Al momento opportuno”.

Sì ai soldati europei in Ucraina, ok anche da Putin

“La mia missione e il mio mandato sono di porre fine a questa guerra abominevole. Potremmo pensare di inviare forze europee per mantenere la pace, sarebbe ottimo inviare peacekeeper“, afferma il presidente americano. “I paesi europei saranno coinvolti, noi forniremo sostegno? Sì, ma non ci sarà granché bisogno. Ci stiamo avvicinando a una soluzione e dovremmo essere in grado di raggiungere presto un accordo”, dice, ipotizzando che la guerra “potrebbe finire in settimane se saremo intelligenti”.

Per Trump, è fondamentale concludere l’accordo con Kiev per ottenere l’accesso alle terre rare, le risorse minerarie ucraine. La fumata bianca potrebbe arrivare la prossima settimana, con la probabile visita di Zelensky a Washington. L’intesa, per il presidente americano, rappresenta una sorta di risarcimento “dopo i 350 miliardi di dollari spesi per l’Ucraina”.

Macron corregge Trump sui soldi europei

Proprio le cifre degli aiuti destinati a Kiev diventano terreno di confronto pubblico tra Macron e Trump. “L’Europa ha prestato soldi all’Ucraina e li riavrà. Noi, no”, dice il presidente americano, che si ‘becca’ il fact checking dell’ospite in diretta, con un po’ di imbarazzo e qualche smorfia a fare da cornice.

“Per essere onesti, noi paghiamo. Abbiamo pagato per il 60% dello sforzo totale. Come gli Stati Uniti, prestiti, garanzie… Abbiamo dato denaro reale, per essere chiari”, le parole di Macron, che cita stanziamenti europei per 138 miliardi di dollari. I fondi russi congelati dall’Ue, evidenzia, al momento non possono essere considerati ma potrebbero entrare in gioco in base all’esito dela trattativa. “Se credete a tutto questo, per me va bene -chiosa Trump-. Ma loro riavranno i loro soldi. Noi, no”.

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Esteri

Trump, primo ‘no’ a Musk: “Non rispondete alla sua email”

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Il magnate chiede ai dipendenti federali di riassumere il proprio lavoro settimanale. L’amministrazione chiede di ignorare la mail

Elon Musk

L’email di Elon Musk ai dipendenti federali va ignorata. L’amministrazione di Donald Trump ‘invita’ a cestinare la mail che i dipendenti hanno ricevuto per iniziativa del magnate, che guida il Dipartimento per l’efficienza governativa (Doge). Nel weekend, i lavoratori hanno ricevuto una comunicazione che li ha invitati ad illustrare, in 5 punti, l’attività svolta nella settimana appena conclusa. Chi non risponde, ha twittato Musk, può andarsene. E’ proprio così? No, decisamente.

Nel weekend, i media americani hanno evidenziato la linea assunta da alcune agenzia, Fbi in testa: ai dipendenti è stato detto di non rispondere alla mail. Ora, riferisce il Washington Post, l”ordine’ di non rispondere è stato inviato direttamente dall’amministrazione Trump – e in particolare dall’Office of Personel Management – a tutte le agenzie. L’OPM, nel frattempo, deve decidere come gestire le email dei lavoratori che hanno deciso di rispondere. Ufficialmente, come ha detto Trump rispondendo ai cronisti nello Studio Ovale, nessun ente ha una posizione conflittuale rispetto a Musk. Chi ha dato indicazione di non rispondere “sta solo dicendo che alcune persone non devono dire cosa hanno fatto la scorsa settimana. Al di là di questo, tutti hanno pensato che” la richiesta “sia stata un’idea brillante”.

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Esteri

Ucraina, Ue cerca unità su aiuti a Kiev e vara altre sanzioni contro la Russia

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L’Europa approva il sedicesimo pacchetto di misure contro Putin. Di fronte all’offensiva diplomatica di Trump, l’Unione cerca di ricompattarsi nel sostegno militare a Zelensky

Bandiera europea e ucraina - Afp

L’Unione Europea tenta di trovare l’unità nel sostegno militare all’Ucraina davanti all’offensiva diplomatica degli Usa di Donald Trump, che trattano con la Russia in Arabia Saudita sul futuro del Paese invaso, senza la partecipazione degli interessati. “Nessun accordo trovato senza l’Ue e senza l’Ucraina funzionerà”, ha ripetuto a Bruxelles l’Alta Rappresentante dell’Ue Kaja Kallas, a margine del Consiglio Affari Esteri, convocato a tre anni esatti dall’inizio dell’invasione russa. E proprio oggi c’è stato l’incontro di Trump con Macron sulla questione. L’ex premier estone si recherà quindi domani a Washington per incontrare il segretario di Stato americano Marco Rubio.

I commissari Ue a Kiev

L’intero collegio dei commissari (tranne cinque, impegnati a Bruxelles per vari motivi, tra cui l’ungherese Oliver Varhelyi) si è spostato a Kiev insieme alla presidente Ursula von der Leyen e al presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa, per segnalare anche visivamente il sostegno dell’Ue al Paese invaso dai russi. In Ucraina, ha detto Costa, “la pace non può essere un semplice cessate il fuoco. Deve essere un accordo duraturo. La pace non dovrebbe ricompensare l’aggressione. Dobbiamo imparare la lezione degli accordi di Budapest e di Minsk”.

Secondo indiscrezioni, circolate alla fine della settimana scorsa, oggi avrebbe dovuto essere annunciato un piano multimiliardario di aiuti militari all’Ucraina, ma così non è stato. Come d’abitudine, si sono messe di traverso Ungheria e Slovacchia, apertamente contrarie secondo fonti diplomatiche europee, ma anche Francia e Italia hanno chiesto delucidazioni in merito. Kallas ha detto di sperare che il nuovo piano venga approvato nel Consiglio Europeo straordinario, convocato da Antonio Costa a Bruxelles per giovedì 6 marzo. Ursula von der Leyen, a Kiev, ha potuto solo annunciare, per ora, un nuovo imminente esborso da 3,5 miliardi di euro di aiuti all’Ucraina, probabilmente nel quadro del programma di assistenza macrofinanziaria già in vigore.

Lo stop al piano straordinario che avrebbe dovuto rappresentare la risposta dell’Ue agli annunci che piovono dagli Usa, conferma le straordinarie difficoltà che l’Unione ha nel procedere con la speditezza che sarebbe necessaria in materia di politica estera, dove è necessaria l’unanimità a 27. L’ex presidente della Bce Mario Draghi ha detto di aspettarsi che nelle prossime settimane e mesi i Paesi Ue discutano di procedere con cooperazioni rafforzate o semplicemente per via intergovernativa, superando i veti.

Tutti a Bruxelles attendono che si formi un nuovo governo in Germania, dopo le elezioni di domenica. Kallas ha detto di augurarsi che un nuovo esecutivo si insedi a Berlino “il prima possibile”, dato che “ci sono decisioni da prendere” e la Germania è indispensabile perché l’Ue possa procedere.

Sedicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia

Intanto il Consiglio ha approvato il sedicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina, concentrato tra l’altro sulla cosiddetta ‘flotta ombra’ di petroliere che Mosca utilizza per vanificare il tetto al prezzo del petrolio russo che l’Occidente ha tentato di imporre, senza grande successo. Vengono anche colpite, tra le altre cose, le esportazioni in Russia di console da videogiochi, apparecchi che possono essere utilizzate per radiocomandare i droni che vengono utilizzati contro l’Ucraina. Kallas ha detto che l’Ue è già al lavoro per un “diciassettesimo pacchetto” di sanzioni contro Mosca.Kallas, che viene dall’Estonia, un Paese direttamente esposto alla minaccia di una Russia ritornata imperiale, non ha nascosto il suo profondo dissenso rispetto alle ultime affermazioni arrivate da Washington riguardo all’Ucraina.

“Se guardiamo ai messaggi che arrivano dagli Usa, è chiaro che la narrazione russa vi è fortemente rappresentata”, ha detto Kallas, per poi criticare direttamente le affermazioni del presidente Donald Trump. “Quando ho sentito la prima volta” le frasi in cui il presidente degli Usa definiva Volodymyr Zelensky un “dittatore”, ha affermato, “ero sicura che si fosse sbagliato e avesse confuso le due persone”, cioè Vladimir Putin e il presidente ucraino.”Perché la Russia – ha continuato – non ha avuto elezioni” libere “in 25 anni, mentre Zelensky è stato eletto in libere elezioni. E non si possono tenere elezioni mentre c’è una guerra e devi combattere il nemico”.

Kallas non ha nascosto la profonda inquietudine che i messaggi giunti da Washington hanno generato in Europa, che vede messa in dubbio la validità dell’ombrello protettivo della Nato. “E’ chiaro che le dichiarazioni che arrivano dagli Stati Uniti” in merito al futuro dell’assetto di sicurezza europeo “preoccupano tutti” nell’Ue, ha sottolineato, per poi ricordare che l’articolo 5 del trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede l’obbligo di aiuto reciproco, è scattato una volta sola, e a beneficio degli Usa, dopo l’11 settembre 2001. L’Estonia, un Paese che ha 1,37 milioni di abitanti, ha ricordato ancora, ha perso “dodici soldati” nelle guerre che seguirono all’attacco contro le Torri Gemelle.

I Paesi nordico-baltici hanno formato una ‘coalizione’ favorevole ad aumentare gli aiuti per l’Ucraina. Mentre a Bruxelles i ministri degli Esteri tenevano un ‘doorstep collettivo’, i presidenti di Finlandia, Lettonia, Lituania e Ucraina e i primi ministri di Danimarca, Estonia, Islanda, Norvegia e Svezia da Kiev assicuravano che i loro Paesi aumenteranno ulteriormente gli aiuti militari a Kiev. Il ministro degli Esteri estone, Margus Tsakhna, ha rilanciato l’idea di confiscare i 300 miliardi di euro di beni congelati alla Russia nell’Ue, per usarli in aiuto dell’Ucraina. La connazionale Kallas ha detto che, anche se un accordo sulla confisca non verrà raggiunto entro fine mese dato che il tema resta controverso, “un Paese” che in precedenza era contrario a questa mossa è ora passato dalla parte di chi la sostiene.

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Esteri

Ucraina, Putin e l’invito a Trump: “Sì a investimenti Usa nei nostri...

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Il presidente russo: “Sì a partner stranieri, aziende americane e russe in contatto”

Vladimir Putin

Mentre Donald Trump e Emmanuel Macron a Washington dialogano sull’impegno di Usa e Europa per la pace in Ucraina, Vladimir Putin lancia messaggi con un’intervista televisiva. Il destinatario principale è il presidente degli Stati Uniti, interlocutore principale per chiudere il conflitto in corso da 3 anni. Trump punta all’accordo con Kiev per accedere alle ‘terre rare’, le risorse minerarie ucraine.

E Putin, ovviamente, si inserisce nel discorso. La Russia, dice, è favorevole agli investimenti americani per lo sfruttamento dei minerali strategici presenti nei territori ucraini occupati dall’esercito russo. “Siamo pronti ad attrarre partner stranieri nei nostri nuovi territori storici che sono stati restituiti alla Russia. Ci sono alcune riserve qui. Siamo pronti a lavorare con i nostri partner, compresi quelli americani, nelle nuove regioni”, dice riferendosi ai territori ucraini, in particolare il Donbass, sottratti a Kiev. “La Russia è pronta a fornire 2 milioni di tonnellate di alluminio al mercato americano, questo stabilizzerebbe i prezzi”.

Putin afferma che aziende russe e americane sono “in contatto” per progetti economici congiunti nell’ambito della risoluzione della guerra. “Alcune delle nostre aziende sono in contatto tra loro e discutono di tali progetti”, dice. La scorsa settimana Washington aveva parlato di “partnership economiche potenzialmente storiche” nel caso in cui il conflitto finisse.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo Trump, potrebbe sbarcare a Washington la prossima settimana per firmare l’accordo sulle terre rare. Finora, il leader di Kiev ha respinto le richieste americane, ‘guadagnandosi’ gli attacchi di Trump. Ovviamente, Zelensky è anche nel mirino di Putin.

“L’attuale capo del regime di Kiev sta diventando una figura tossica per le forze armate ucraine perché impartisce ordini assurdi, dettati non da considerazioni militari, ma politiche, e non è chiaro su cosa si basino. Questo porta a perdite enormi”, dice Putin.

Se Trump invoca elezioni in Ucraina, definendo Zelensky un ”dittatore”, Putin sfrutta l’assist e aggiunge il carico: “Il suo consenso (di Zelensky, ndr), secondo i nostri dati, è esattamente la metà di quello del suo potenziale rivale politico, l’ex comandante delle forze armate dell’Ucraina Valery Zaluzhny”, dice il capo del Cremlino. Un’affermazione in linea con le recenti dichiarazioni di Trump che ha attribuito a Zelensky un gradimento bassissimo nel Paese.

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Esteri

Trump: “Europa ha prestato soldi a Ucraina”. E Macron lo corregge

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Il presidente francese interviene per chiarire gli sforzi economici dell’Europa a favore dell’Ucraina

Macron e Trump

Emmanuel Macron corregge Donald Trump con un fact checking in diretta tv. Il presidente degli Stati Uniti e il presidente francese rispondono alle domande dei giornalisti nello Studio Ovale della Casa Bianca. Trump propone uno dei suoi cavalli di battaglia, affermando che l’Europa “ha prestato soldi all’Ucraina e li riavrà. Noi, no”.

“Per essere onesti, noi paghiamo. Abbiamo pagato per il 60% dello sforzo totale. Come gli Stati Uniti, prestiti, garanzie… Abbiamo dato denaro reale, per essere chiari”, le parole del presidente francese. “Se ci credete, per me va bene -chiosa Trump-. Ma loro riavranno i loro soldi. Noi, no”.

Dopo l’incontro, i due leader si presentano in conferenza stampa. “La pace non può significare la resa dell’Ucraina”, dice Macron, mettendo in guardia da un mondo in cui vince la “legge del più forte” e accendendo i riflettori sulla “guerra d’aggressione russa”, identificando quindi un chiaro responsabile nel conflitto. “L’Europa ha investito 138 miliardi in Ucraina. L’Ucraina ha combattuto per la propria sovranità e per la nostra sicurezza”, dice.

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Esteri

Trump riceve Macron: “Guerra può finire in settimane”. Elogi per Meloni:...

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Il presidente americano: “Presto Zelensky alla Casa Bianca per firmare accordo sulle terre rare”. Meloni ringrazia: “Lavoreremo insieme per affrontare le sfide globali”

Trump e Macron

“Amo l’Italia, è un Paese molto importante. C’è una donna meravigliosa come leader e oggi era nelle discussioni del G7, penso che l’Italia stia facendo molto bene e abbia una leadership molto forte con Giorgia“. Il presidente americano, Donald Trump, accanto al presidente francese Emmanuel Macron nello Studio Ovale prima del bilaterale, elogia la premier italiana Giorgia Meloni.

L’incontro con Macron è incentrato soprattutto sulla guerra tra Ucraina e Russia che, parola di Trump, potrebbe finire “entro settimane se siamo intelligenti. Altrimenti, continueranno a morire tanti uomini”. Il numero 1 della Casa Bianca accende i riflettori sull’accordo con Kiev per lo sfruttamento delle terre rare, le risorse minerarie ucraine. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, dice Trump, “sarà alla Casa Bianca questa settimana o la prossima per firmare l’accordo sulle terre rare… Siamo molto vicini all’intesa. Lui vorrebbe venire qui per firmare, credo che debba esserci un’approvazione” in Ucraina. L’accordo, secondo il presidente americano, sarà una sorta di risarcimento per gli Usa che “hanno speso 350 miliardi di dollari per l’Ucraina”.

Il dialogo con Putin e il ruolo dell’Europa

Trump, impegnato nel dialogo con il presidente russo Vladimir Putin, punta a chiudere la guerra in temi brevi. “Ad un certo punto incontrerò anche Putin, non so quando di preciso”. Andrà a Mosca? “Al momento opportuno”. Trump recentemente ha definito Zelensky “un dittatore senza elezioni”. Userebbe queste parole per Putin? “Non uso quelle parole a cuor leggero… Vediamo cosa succede, credo che abbiamo ottime chance di raggiungere un accordo: vediamo come va. Se fossi stato presidente – ripete Trump – la guerra non sarebbe nemmeno iniziata. E’ un caos terribile e potrebbe sfociare nella terza guerra mondiale. Biden è stato terribile, ha avuto 3 anni e non ha mai parlato con Putin”.

“La mia missione e il mio mandato sono di porre fine a questa guerra abominevole. Potremmo pensare di inviare forze europee per mantenere la pace, sarebbe ottimo inviare peacekeeper. Putin lo accetterà? Sì, non ha problemi con questo: gli ho fatto una domanda specifica. I paesi europei saranno coinvolti, noi forniremo sostegno? Sì, ma non ci sarà granché bisogno. Ci stiamo avvicinando a una soluzione e dovremmo essere in grado di raggiungere presto un accordo – dice – Siamo all’inizio di una soluzione”.

“Gli europei sono pronti ad assumersi la responsabilità di garantire una pace duratura. Il coinvolgimento a lungo termine degli Stati Uniti è un fatto positivo”, dice Macron evidenziando che gli europei sono “pronti ad arrivare fino all’invio di truppe” in Ucraina per verificare che “la pace venga rispettata”.

Il post su Truth

Durante il G7 che si è tenuto oggi in videoconferenza “ho sottolineato l’importanza del vitale ‘Accordo sui minerali critici e sulle terre rare’ tra Stati Uniti e Ucraina, che speriamo venga firmato molto presto!”, il post di Trump su Truth

L’accordo sulle terre rare, che secondo Trump è una “partnership economica”, permetterà al popolo americano di “recuperare le decine di miliardi di dollari e di equipaggiamento militare inviati all’Ucraina, aiutando anche l’economia ucraina a crescere mentre questa guerra brutale e selvaggia giunge al termine”.

Meloni ringrazia Trump

“Grazie a Donald Trump per le sue parole. Italia, Stati Uniti ed Europa condividono valori e responsabilità comuni. Lavoreremo insieme per affrontare le sfide globali con determinazione e visione”, scrive intanto sui social Giorgia Meloni dopo le parole del leader Usa.

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Esteri

Ucraina, sì Onu a risoluzione voluta da Kiev e alleati europei. Usa fanno retromarcia su...

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Riaffermato l’impegno dell’Assemblea per il sostegno a Kiev e alla sua integrità territoriale: prima il no di Washington, poi la rettifica del voto con l’astensione. Trump: “Con Putin colloqui seri”

Mariana Betsa, vice ministra degli Esteri ucraina, all'Onu - Afp

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite – nel giorno del terzo anniversario dell’invasione russa – ha adottato una risoluzione che ribadisce il sostegno all’Ucraina e alla sua integrità territoriale. La risoluzione, voluta dall’Ucraina e dai suoi alleati europei, ha raccolto 93 voti a favore, 18 contrari e 65 astensioni.

La risoluzione, che è stata approvata con un numero di voti sensibilmente inferiore rispetto alle precedenti occasioni, riafferma l’impegno dell’Assemblea generale per “la sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale dell’Ucraina”.

Usa votano no, poi rettifica e astensione

Rettificando il voto all’inizio contrario, gli Stati Uniti si sono astenuti sulla propria risoluzione presentata all’Assemblea generale. Come spiega la Cnn, la decisione è arrivata a causa dei diversi emendamenti che hanno cambiato sostanzialmente il testo della risoluzione.

La bozza di risoluzione originale non definiva la Russia aggressore né riconosceva l’integrità territoriale dell’Ucraina. Prima del voto, tuttavia, è stato aggiunto un paragrafo che riafferma l’impegno “per la sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale, che si estendono alle sue acque territoriali”. Un altro emendamento ha cambiato il linguaggio da “lutto per la tragica perdita di vite umane durante il conflitto Russia-Ucraina” a “invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Federazione Russa”.

La risoluzione redatta dagli Usa, ma modificata, è stata quindi adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Gli Usa, secondo la Cnn, sono pronti a confrontarsi di nuovo con i loro alleati europei più tardi in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove si prevede che presenteranno la stessa risoluzione che non incolpa la Russia per la guerra.

Il monito di Kiev all’Onu

Mentre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si preparava a votare la risoluzione, Kiev ha lanciato un monito ai Paesi membri. “Se l’aggressione è giustificata e la vittima viene incolpata per la sua resistenza e volontà di sopravvivere, allora nessun Paese è al sicuro”, ha dichiarato Mariana Betsa, vice ministra degli Esteri ucraina.

Accordo su terre rare e colloqui con Putin, cosa dice Trump

Durante il G7 che si è tenuto oggi in videoconferenza “ho sottolineato l’importanza del vitale ‘Accordo sui minerali critici e sulle terre rare’ tra Stati Uniti e Ucraina, che speriamo venga firmato molto presto!”, ha dichiarato intanto su Truth il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sottolineando che il vertice è stato convocato in occasione del terzo anniversario della “guerra russo-ucraina, che non sarebbe mai iniziata se fossi stato presidente”.

L’accordo sulle terre rare, che secondo Trump è una “partnership economica”, permetterà al popolo americano di “recuperare le decine di miliardi di dollari e di equipaggiamento militare inviati all’Ucraina, aiutando anche l’economia ucraina a crescere mentre questa guerra brutale e selvaggia giunge al termine”.

“Sono impegnato – ha aggiunto il presidente Usa – in colloqui seri con il presidente russo Vladimir Putin in merito alla fine della guerra”. I colloqui, ha detto Trump, “stanno procedendo molto bene!”. Nel suo post su Truth, parlando dei colloqui con Putin, il presidente americano ha parlato anche di “importanti operazioni di sviluppo economico tra gli Stati Uniti e la Russia”.

Intanto gli Stati Uniti sarebbero “molto restii ad includere garanzie di sicurezza” per Kiev nell’accordo sulle terre rare. O almeno così ha indicato una fonte ucraina al corrente dei negoziati e citata dalla Cnn, secondo cui la bozza si concentra su un fondo di ricostruzione per l’Ucraina, lasciando alcune questioni più problematiche, tra cui le garanzie di sicurezza, a discussioni successive.

Secondo la fonte, Kiev spera che le garanzie di sicurezza possano essere discusse in un futuro incontro tra i presidenti Volodymyr Zelensky e Donald Trump e “stiamo aspettando la risposta della parte americana”. “Tutto è pronto da parte nostra – ha aggiunto – Abbiamo finalizzato la bozza. Abbiamo fatto tutto il possibile per rendere ragionevoli le condizioni. Di conseguenza, questo è un accordo quadro su come creare un fondo di ricostruzione per l’Ucraina”. La fonte ha precisato che “i punti più problematici sono fuori dalla bozza, ma la parte americana è molto restia a includere garanzie di sicurezza nel documento”.

Offensiva di Trump, Ue cerca unità su aiuti

L’Unione Europea tenta intanto di trovare l’unità nel sostegno militare all’Ucraina, davanti all’offensiva diplomatica degli Usa di Donald Trump, che trattano con la Russia in Arabia Saudita sul futuro del Paese invaso, senza la partecipazione degli interessati e neppure degli europei, che pure hanno un interesse strategico nella partita. “Nessun accordo trovato senza l’Ue e senza l’Ucraina funzionerà”, ha ripetuto a Bruxelles l’Alta Rappresentante dell’Ue Kaja Kallas, a margine del Consiglio Affari Esteri, convocato a tre anni esatti dall’inizio dell’invasione russa. L’ex premier estone si recherà domani a Washington D.C. per incontrare il segretario di Stato americano Marco Rubio.

Zelensky: “Usa sostengano Ucraina, non perdano unità con Europa”

Intanto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto agli Stati Uniti “di continuare a sostenere l’Ucraina come tutti gli altri partner”. Incontrando i leader europei a Kiev, il leader ucraino ha sottolineato l’importanza di “non perdere l’unità fra l’Europa e gli Stati Uniti”. La scorsa settimana il presidente americano Donald Trump aveva definito Zelensky un dittatore, e Zelensky gli aveva risposto accusandolo di far parte della bolla informativa della Russia.

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Esteri

Ucraina, Ue con Zelensky: “È democrazia, Russia no”

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Arriva la risposta alle parole del presidente americano Trump: "Abbiamo una posizione chiara, Zelensky è stato eletto legittimamente". Lunedì Costa e von der Leyen a Kiev per riaffermare sostegno

Zelensky, Costa e von der Leyen - (Fotogramma)

All'indomani della 'tirata' sul social Truth del presidente degli Usa Donald Trump contro l'omologo ucraino Volodymyr Zelensky, accusato di essere un "dittatore" che non si sottopone ad "elezioni", una formulazione che ricorda le tesi del presidente russo Vladimir Putin, l'Unione Europea ha elaborato una risposta, che arriva dopo quelle dei leader nazionali. Tra i primi a rispondere a Trump è stato il premier britannico Keir Starmer, che ha fatto sapere di aver chiamato Zelensky, leader "democraticamente eletto" del suo Paese. Anche il cancelliere Olaf Scholz ha detto che "è semplicemente sbagliato e pericoloso negare la legittimità democratica del presidente Zelensky".

L'Unione non si è affrettata a ribattere a Trump ed è abbastanza evidente la volontà di non infilarsi in un botta e risposta con Washington, che non gioverebbe a nessuno: dopo il silenzio di mercoledì, la replica della Commissione è stata affidata ad un portavoce. Nell'Ue, ha detto durante un briefing il portavoce Stefan de Keersmaecker, "abbiamo una posizione chiara. Volodymyr Zelensky è stato eletto legittimamente in elezioni democratiche, libere ed eque. L'Ucraina è una democrazia, la Russia di Vladimir Putin no". Mentre il presidente francese Emmanuel Macron volerà a Washington per incontrare Trump, forse già lunedì prossimo, e il premier britannico Starmer è anch'egli atteso nella capitale Usa la settimana ventura, lunedì 24 febbraio i vertici Ue si recheranno a Kiev.

Il 24 febbraio, ha ricordato il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa, l'unico tra i tre presidenti Ue ad avere risposto indirettamente a Trump via social, "ricorre il terzo anniversario dell’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina. Ho deciso di essere a Kiev per quell'occasione, con la presidente Ursula von der Leyen, per riaffermare il nostro sostegno all’eroico popolo ucraino e al presidente democraticamente eletto Volodymyr Zelensky". Anche il premier spagnolo Pedro Sanchez si recherà in visita a Kiev lunedì prossimo, "per ribadire il sostegno della Spagna alla democrazia ucraina e al presidente" Zelensky. Per il ministro degli Esteri Antonio Tajani, l'Europa "non può essere spettatrice, ma deve essere protagonista sia della pace in Medio Oriente, sia in Ucraina".

Nel frattempo, sempre lunedì prossimo, a Bruxelles, i ministri degli Affari Esteri vareranno il sedicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, concordato nel Coreper, che dovrebbe concentrarsi tra l'altro sulla 'flotta ombra' di petroliere usata da Mosca per aggirare il tetto al prezzo del greggio.

Dalle Barbados, dove è volata per partecipare al vertice della Caricom, la comunità degli Stati caraibici (è la prima volta che un presidente di Commissione vi prende parte), la presidente Ursula von der Leyen ha ricordato che sia l'Europa che gli amici caraibici sono "convinti che sia di grande importanza difendere il multilateralismo e lo stato di diritto; crediamo nella libertà e nel diritto delle persone a scegliere il proprio futuro". "Questo è il motivo – ha aggiunto – per cui siamo stati al fianco dell’Ucraina fin dall’inizio della guerra. L’Ucraina è un futuro membro della famiglia europea. Quindi sostenere loro significa anche sostenere noi. Ed è importante chiedere anche una pace giusta non solo in Ucraina ma anche in Medio Oriente, in Sudan e Haiti, come avete sempre fatto". L'Alta Rappresentante Kaja Kallas è a Johannesburg, in Sudafrica, per la Ministeriale del G20.

Nel frattempo, da Mosca sono arrivate velate minacce. Il Cremlino segue con attenzione e preoccupazione le notizie "spesso conflittuali" del dispiegamento di forze europee in Ucraina, ha affermato il portavoce Dmitry Peskov dopo che il Daily Telegraph ha dato notizia del piano europeo da presentare agli Usa per il dispiegamento di almeno 30mila soldati europei in Ucraina. Il tema "genera preoccupazione, perché il potenziale dispiegamento di soldati di Paesi Nato, in Ucraina, ha una particolare importanza in termini della nostra sicurezza. Per noi – ha osservato – è una questione estremamente significativa".

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Esteri

Isis esorta a “nuovi attentati stile Monaco” in Germania e Austria

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Nell'attacco a Monaco di Baviera erano morte una donna e la figlia di due anni

Attentato a Monaco di Baviera - Ipa

Lo Stato islamico (Isis) ha rivolto un appello ai suoi miliziani affinché sferrino attentati in Germania e in Austria ''sul modello di quelli di Monaco e di Villach''. Lo riporta la Bild citando fonti della sicurezza a pochi giorni dalle elezioni tedesche. L'appello dell'Isis è stato rivolto attraverso la piattaforma in lingua tedesca 'Al Saif Media'.

Gli attacchi a cui si fa riferimento sono quelli di Monaco di Baviera, in Germania, dove una donna e la figlia di due anni sono state uccise dopo essere state travolte dall'auto guidata da un richiedente asilo afghano. E a quello di Villach, in Austria, dove un ragazzo di 14 anni è stato accoltellato sabato.

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Esteri

Usa, Senato conferma nomina Patel a direttore Fbi

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Con 51 voti favorevoli e 49 contrari, il fedelissimo di Trump prende il posto di Chris Wray, che il tycoon aveva nominato nel 2017 e che aveva promesso di licenziare non appena tornato alla Casa Bianca

Kash Patel - (Ipa)

Con 51 voti favorevoli e 49 contrari, il Senato ha confermato Kash Patel come direttore dell'Fbi, nonostante la resistenza di due senatrici repubblicane, Susan Collins del Maine e Lisa Murkowski dell'Alaska, che si erano unite ai 47 democratici per votare contro la sua nomina.

Fedelissimo di Trump che vuole colpire il 'deep state'

Patel, fedelissimo di Donald Trump, prende il posto di Chris Wray, il capo dell'Fbi che il tycoon aveva nominato nel 2017 e che aveva promesso di licenziare non appena sarebbe tornato alla Casa Bianca. Wray si è dimesso a gennaio e Patel è stato scelto da Trump per colpire i "gangster governativi", portando con sé le liste di proscrizione per colpire il 'deep state'. "Kash ha fatto un lavoro incredibile durante il primo mandato", ha scritto Trump alla fine di novembre in un post in cui affermava che Patel, che nella sua prima amministrazione aveva avuto incarichi al Pentagono e al consiglio di Sicurezza nazionale, avrebbe riportato "fedeltà, coraggio e integrità nell'Fbi".

La rapida ascesa del 44enne è dovuta alla sua totale lealtà a Trump e alla sua dichiarata volontà di vendicarsi contro gli avversari del tycoon all'interno della struttura federale. Avvocato figlio di genitori indiani fuggiti negli anni '70 dall'Uganda, quando Idi Amin ordinò l'espulsione della minoranza indiana, e rifugiati prima in Canada e poi a New York, da oscuro collaboratore di Capitol Hill è arrivato ai vertici della sicurezza americana. Il suo programma, Patel lo ha dettagliato nel libro intitolato 'Government Gangsters: The Deep State, the Truth, and the Battle for Our Democracy' (Gangster governativi: il deep state, la verità e la battaglia per la democrazia) in cui invoca "un ampio repulisti" all'interno del dipartimento di Giustizia, da cui dipende l'Fbi, che in questi anni avrebbe protetto i democratici colpendo invece i repubblicani.

Al momento dell'uscita, Trump lodò il libro come "il piano per riprendere la Casa Bianca e rimuovere questi gangster dal governo". Il testo conteneva una vera a propria lista di funzionari da colpire, alcuni dei quali avrebbero già preso precauzioni e contattato legali. Tra questi probabilmente anche funzionari dell'Fbi il cui quartier generale dovrebbe essere secondo Patel smantellato a trasformato in un 'museo del deep state'. Nel mirino di Patel rischiano di finire anche giornalisti, come lui stesso ha dichiarato in un'intervista a 'War Room', il podcast di Stephen Bannon, guru alt right fedelissimo di Trump. "Sarete perseguiti, che sia penalmente o civilmente, lo decideremo", la sua minaccia rivolta direttamente ai media.

Tra il 2021 e il 2023, Patel ha avuto anche un suo show, "Kash's Corner", su Epoch Times, sito di informazioni internazionali di estrema destra noto per le sue teorie complottiste, fondato nel 2000 da John Tang ed altri sino americani affiliati al movimento religioso Falun Gong, schierati dal 2020 con Trump. Ed è stato nominato direttore del board di Trump Media Technology Group, la società che controlla Truth Social, il social media creato da Trump.

Cruciale per l'ascesa politica di Patel è stato l'incarico assunto nel 2018 come collaboratore di Devin Nunes, il repubblicano allora capo della commissione intelligence della Camera che avviò un'inchiesta per screditare il Russiagate, l'indagine sulle collusioni tra la campagna di Trump e la Russia. Patel si fece notare come l'autore del memo in cui sosteneva che l'Fbi aveva abusato del Foreign Intelligence Surveilance Act per mettere sotto controllo i consiglieri dell'allora candidato repubblicano, concludendo quindi che l'intera indagine non era valida.

Nel 2019 viene quindi chiamato a lavorare nell'amministrazione, diventando capo dello staff del Pentagono e poi direttore del anti-terrorismo al National Security Council e ancora vice capo del National Intelligence. Negli ultimi mesi della sua prima presidenza, Trump voleva farlo diventare vice direttore della Fbi, ma venne bloccato dal Segretario alla Giustizia che, è stato riferito, avrebbe detto al presidente che avrebbe "dovuto passare sul suo cadavere" per farlo.

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Esteri

Israele, scoperte bombe sui bus a Tel Aviv: era pronto maxi attacco

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Cinque gli ordigni esplosivi dotati di timer, alcuni effettivamente esplosi e altri disattivati per tempo, che si sarebbero dovuti attivare simultaneamente

Un ordigno scoperto e un bus esploso

Tre autobus vuoti sono esplosi oggi a Bat Yam e Holon, sobborghi di Tel Aviv, in Israele. Secondo quanto riportano i media israeliani, nel complesso erano cinque gli ordigni esplosivi dotati di timer: alcuni effettivamente sono esplosi e altri sono stati disattivati per tempo. I congegni per far esplodere le bombe si sarebbero dovuti attivare simultaneamente in un maxi attacco coordinato su autobus e treni venerdì 21 febbraio all'ora di punta. Channel 12, che cita fonti di sicurezza, parla di un "attacco terroristico strategico".

Non ci sono feriti o vittime e secondo la municipalità di Bat Yam i veicoli sono "miracolosamente arrivati ai parcheggi un attimo prima dell'esplosione". Dopo le tre deflagrazioni il ministro dei Trasporti, Miri Regev, che ha interrotto la sua visita in Marocco e tornerà in Israele con la sua squadra prima del previsto, ha ordinato di fermare e controllare "tutti gli autobus, i treni e i treni della metropolitana leggera e agire in conformità con le istruzioni dello Shin Bet e della polizia".

Gli autisti di autobus in tutto Israele hanno ricevuto l'ordine di perquisire i loro veicoli prima di partire. La sicurezza è stata rafforzata anche all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, con controlli rigorosi di tutti gli autobus che entrano ed escono dall'area aeroportuale, e nei treni della metropolitana leggera di Gerusalemme.

Nella tarda serata italiana, allarme ancora attivo e "evento in corso", come ha detto il portavoce della polizia, Aryeh Doron, mentre gli agenti erano in azione nell'area di Tel Aviv alla ricerca di eventuali ordigni. Le autorità hanno esortato la popolazione a prestare attenzione a "ogni borsa o oggetto sospetto", che "potrebbe fare la differenza". Channel 12 ha riferito che uno degli ordigni non esplosi è stato trovato da un passeggero che ha segnalato all'autista una borsa sospetta.

Bombe sembrano 'provenire da Cisgiordania'

Il capo della polizia del distretto di Tel Aviv, Haim Sargarof, ha reso noto che i cinque identici ordigni avevano dei timer e che l'attacco "sembra qualcosa che ha avuto origine in Cisgiordania". Le bombe apparentemente erano state preparate con materiali improvvisati, riporta il Times of Israel.

Sargarof ha aggiunto ai giornalisti che la polizia ha concluso le ricerche sugli autobus e sui treni e sta ancora cercando di capire quanti sospetti siano coinvolti nel presunto attacco terroristico. Il volto di un sospetto è stato immortalato nelle foto diffuse sui social: in realtà si tratta di "un uomo innocente" che non ha nulla a che fare con l'incidente, ha spiegato Sargarof.

Messaggio criptico di gruppo Hamas in Cisgiordania

Un canale Telegram che sostiene di rappresentare il cosiddetto Battaglione Tulkarem di Hamas, con sede in Cisgiordania, ha rilasciato una dichiarazione che potrebbe indicare la responsabilità del gruppo nell'attentato combinato. La dichiarazione recita: "La vendetta dei martiri non sarà dimenticata finché l'occupante sarà presente sulla nostra terra… Questa è una jihad di vittoria o di martirio".

Katz: "Ordinata intensificazione attività antiterroristica in Cisgiordania'

In risposta ai sospetti attentati, il Ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha ordinato all'Idf di intensificare le operazioni in Cisgiordania. "Alla luce dei gravi tentativi di attacco terroristico nell'area di Tel Aviv da parte di organizzazioni terroristiche palestinesi contro la popolazione civile in Israele, ho dato istruzioni all'IDdf di aumentare l'intensità dell'attività antiterroristica nel campo profughi di Tulkarem e in tutti i campi profughi in Giudea e Samaria – ha dichiarato in un comunicato – Daremo la caccia ai terroristi a oltranza e distruggeremo le infrastrutture del terrore nei campi usati come postazioni di prima linea dell'asse del male iraniano”. “I residenti che danno rifugio al terrore pagheranno un prezzo pesante”, ha aggiunto.

L'Idf sta conducendo dal 21 gennaio una grande offensiva nel nord della Cisgiordania, denominata Operazione Muro di Ferro.

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Esteri

Israele, tra i corpi restituiti da Hamas non c’è Shiri Bibas. Netanyahu: “Violato...

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Hamas non ha restituito il corpo della donna morta con i due figli Ariel e Kfir, che sono stati "brutalmente assassinati". Il premier israeliano: "Cinismo e crudeltà senza limiti"

Israele, tra i corpi restituiti da Hamas non c’è Shiri Bibas. Netanyahu:

Non è di Shiri Bibas il corpo restituito da Hamas a Israele, nella giornata del 20 febbraio, insieme a quello dei due figli piccoli Ariel e Kfir, e dell'altro ostaggio Oded Lifshitz. E' quanto hanno reso noto gli esperti forensi israeliani aggiungendo che i resti collocati bella bara con l'immagine del volto di Shiri appartengono in realtà a una donna della Striscia di Gaza non identificata.

Le autorità, sulla base degli elementi acquisiti, ritengono che i due bambini – Ariel 4 anni e Kfir 10 mesi – siano stati "brutalmente assassinati durante la prigionia" a novembre 2023, circa ''un mese dopo essere stati rapiti'' dal kibbutz di Nir Oz insieme alla madre Shiri, il 7 ottobre, e non sarebbero morti in un raid aereo israeliano come avevano invece sostenuto i miliziani di Hamas.

Hamas ammette errore, resti Shiri Bibas insieme ad altri tra macerie dopo raid Idf

Hamas ha ammesso l'errore e chiesto a Israele di restituire il corpo ''Potrebbe esserci stato un errore dovuto al bombardamento israeliano del luogo in cui la famiglia israeliana era presente insieme ai palestinesi. Chiediamo la restituzione del corpo'', si legge in una nota di Hamas.

In precedenza Hamas aveva spiegato che i resti di Shiri Bibas sarebbero stati ''mescolati con altri resti umani rivenuti tra le macerie dopo che un attacco aereo israeliano ha colpito il luogo dove era tenuta in ostaggio'' la donna israeliana insieme ai figli. Il funzionario di Hamas Ismail al-Thawabteh ha spiegato che il corpo di Shiri Bibas "è stato fatto a pezzi'' a causa del raid aereo israeliano ed ''è stato apparentemente mescolato ad altri corpi sotto le macerie".

Il gruppo palestinese ha poi detto di ''respingere il clamore creato in merito ai risultati del test del Dna" e ha ''ribadito il pieno impegno per rispettare tutti gli accordi e non abbiamo alcun interesse a trattenere alcun corpo". Hamas ha poi confermato ufficialmente che domani rilascerà gli ostaggi Tal Shoham, Omer Shem-Tov, Eliya Cohen, Omer Wenkert, Avera Mengistu e Hisham al-Sayed. In precedenza Hamas aveva riferito che i sei sono gli ultimi della lista di 33 ostaggi da rilasciare nella prima fase dell'accordo a essere ancora in vita.

Netanyahu: "Da Hamas cinismo e crudeltà senza limiti

Hamas ha mostrato un "cinismo indescrivibile" inserendo nella bara quello di una donna palestinese della Striscia di Gaza, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu affermando in un video messaggio che "la crudeltà dei mostri di Hamas non conosce limiti".

Nel filmato, Netanyahu dice che "non solo hanno rapito il padre, Yarden Bibas, la giovane madre, Shiri, e i loro due bambini piccoli. Ma in modo indescrivibilmente cinico non hanno restituito Shiri insieme ai suoi bambini piccoli, i piccoli angeli, e hanno messo il corpo di una donna di Gaza nella bara".

Violazione accordo

La mancata consegna del corpo di Shiri Bibas rappresenta per Israele una violazione dell'accordo sul cessate il fuoco e per questo ''ne pagherà il prezzo'', ha aggiunto Netanyahu, che ha poi promesso che Israele ''agirà in modo risoluto per riportare a casa Shiri insieme a tutti i nostri ostaggi, sia vivi che morti, e garantire che Hamas paghi il prezzo intero per questa crudele e malvagia violazione dell’accordo''.

"E' una grave violazione commessa dall'organizzazione terroristica di Hamas, che secondo l'accordo avrebbe dovuto restituire i corpi di 4 ostaggi. Chiediamo che Hamas restituisca Shiri", la posizione delle Idf. "Condividiamo il profondo dolore della famiglia Bibas in questo momento difficile e continueremo a compiere ogni sforzo per riportare a casa Shiri e tutti gli ostaggi il più presto possibile".

Sulla stessa linea Adam Boehler, inviato speciale del presidente americano Donald Trump per la gestione degli ostaggi. "Se dovessi dare un consiglio a Hamas ora, non è solo di rilasciare immediatamente il suo corpo, ma abbiamo i corpi di quattro americani ancora lì e di un americano che deve tornare a casa. Devono rilasciare tutti o affronteranno l'annientamento totale'', ha dichiarato alla Cnn.

Herzog: "Lutto nazionale"

Sono ''giorni molto difficili'' quelli descritti dal presidente israeliano Isaac Herzog che su 'X' parla di ''lutto nazionale'' dopo che ''i corpi dei puri e innocenti Ariel e Kfir sono stati identificati e i resti della loro amata madre non sono stati restituiti''. Si tratta, ha scritto Herzog, di ''una violazione scioccante e orribile dell'accordo''. Porgendo ''le mie più sentite condoglianze'' in ''questo momento terribile e doloroso'', il presidente israeliano ha parlato del ''lutto nazionale che ci colpisce accanto all'ansia e all'attesa per la liberazione di sei dei nostri fratelli che sono stati rapiti durante lo Shabbat''.

Herzog ha quindi parlato di un ''dovere supremo: fare ogni passo e agire in ogni modo e con tutte le nostre forze per riportare tutti i nostri fratelli rapiti. Tutti. Fino all'ultimo. Alcuni alla loro case e alcuni alla tomba di Israele''.

Arrestato israeliano sospetto complice attacco a bus

Lo Shin Bet israeliano ha reso noto di aver arrestato un israeliano sospettato di essere coinvolto nell'esplosione di tre autobus alle porte di Tel Aviv. I servizi di sicurezza sospettano che abbia aiutato a trasportare un individuo che ha piazzato gli esplosivi sui veicoli. Lo riporta Haaretz.

Nel frattempo l'Idf ha rafforzato la presenza dei suoi militari in Cisgiordania. In particolare, tre battaglioni dell'Idf saranno schierati oggi in Cisgiordania. L'ufficio di Netanyahu aveva descritto le esplosioni come un tentativo di attacco di massa.

Rubio: "Hamas è il male puro, nessuna pace finché resta a Gaza"

''Hamas è il male puro e va sradicato''. Così il Segretario di Stato americano Marco Rubio a Fox News. ''Hamas non è un governo, non è un'ideologia, sono solo persone malvagie'', ha aggiunto Rubio affermando che ''non permetteremo che continui a detenere armi e a controllare territorio ovunque nel mondo''. "Finché Hamas sarà a Gaza non ci sarà pace a Gaza. Continueranno ad attaccare Israele e Israele sarà costretto a rispondere. Se ci fosse un gruppo del genere vicino al nostro confine (americano, ndr) in Canada o in Messico che compie attacchi, rapisce bambini americani e lancia razzi, lo elimineremmo, lo spazzeremmo via, nessun paese al mondo può vivere accanto a un gruppo come questo'', ha aggiunto Rubio.

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Esteri

Ucraina, Kiev: “Putin annuncerà vittoria della Russia il 24 febbraio”

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Lo riferisce l'intelligence militare ucraina. Secondo il New York Post, la cerchia di Trump vuole mandare "Zelensky in esilio in Francia". In corso con Usa colloqui su terre rare

Vladimir Putin

La Russia vuole dichiarare la vittoria sull'l'Ucraina il 24 febbraio 2025, nel terzo anniversario dell'inizio della guerra. E' quanto sostiene l'intelligence di Kiev, citata dal Kyiv Independent, secondo cui Mosca starebbe dando istruzioni ai suoi propagandisti perché proclamino "la vittoria" nella guerra "contro l'Ucraina e la Nato".

Secondo l'agenzia di intelligence, la Russia mira a seminare disperazione tra gli ucraini, destabilizzare la situazione nel paese e screditare l'Ucraina tra i suoi alleati.

I servizi segreti russi hanno in programma di diffondere la narrazione che "l'Ucraina è stata tradita" dall'Occidente e dagli Stati Uniti, ha affermato HUR. La propaganda russa continuerà inoltre a mettere in discussione la legittimità del presidente Volodymyr Zelensky e "dei funzionari ucraini corrotti che rubano gli aiuti statunitensi".

I servizi di intelligence militare ucraini affermano inoltre che il Cremlino potrebbe sfruttare i recenti colloqui tra Stati Uniti e Russia in Arabia Saudita per imporre al mondo le sue condizioni di pace, tentando di dipingere i governi europei che sostengono Kiev come "nemici della pace".

Media Usa: "Ipotesi esilio Zelensky in Francia"

Intanto dagli Usa arrivano indiscrezioni sul fatto che ''Zelensky ha sempre meno sostenitori alla Casa Bianca, se non addirittura nessuno'' e che, secondo la ''cerchia ristretta di Trump'', dovrebbe lasciare il suo Paese e ''trasferirsi in esilio in Francia''. Anche perché ''il peggioramento dei rapporti'' tra Trump e Zelensky ''rischia di indebolire la posizione di Kiev nei colloqui di pace con la Russia''. Lo scrive il New York Post citando fonti vicine al presidente americano Donald Trump.

Sebbene il peggioramento dei rapporti tra Washington e Kiev sembri improvviso, una fonte a conoscenza delle discussioni alla Casa Bianca ha dichiarato al Post: "Per me non è una novità. Ho sentito mesi fa che è giunto il momento di indire elezioni e di formare una nuova leadership" in Ucraina. Un'altra fonte vicina a Trump concorda e suggerisce che ''la soluzione migliore per Zelensky e per il mondo è che se ne vada immediatamente in Francia''.

Zelensky ha rifiutato una prima proposta degli Stati Uniti di cedere il 50% delle terre rare del suo paese e nei giorni scorsi Trump lo ha definito un "dittatore". Zelensky, da parte sua, ha accusato Trump di vivere in uno “spazio di disinformazione”, ma successivamente ha affermato che Kiev è pronta ad un accordo con gli Stati Uniti, che puntano ad un'intesa per lo sfruttamento delle risorse minerarie dell'Ucraina dopo la conclusione della guerra con la Russia.

In corso con Usa colloqui su terre rare

E a questo proposito, secondo quanto rende noto l'Afp citando un alto responsabile ucraino a condizione di anonimato, funzionari americani e ucraini hanno avviato negoziati. "C'è uno scambio costante di bozze di documenti, ne abbiamo inviata un'altra ieri" e "stiamo aspettando una risposta americana", ha aggiunto la fonte informata sull'andamento dei colloqui.

Kubilius: "Ue manderà segnale molto forte, spero lunedì"

L'Unione Europea manderà un "messaggio molto forte" di sostegno all'Ucraina, probabilmente lunedì prossimo, 24 febbraio, giorno che segnerà tre anni dall'inizio dell'invasione russa. Lo dice a Helskinki, in conferenza stampa, il commissario europeo alla Difesa Andrius Kubilius, confermando le indiscrezioni dei giorni scorsi su un prossimo massiccio piano di aiuti a Kiev. "Possiamo vedere chiaramente – afferma – che gli Stati membri dell'Ue continueranno ad aiutare l'Ucraina. Dobbiamo attuare la pace attraverso la forza: per questo la forza dell'Ucraina deve aumentare. Stiamo discutendo di tutte le possibilità per mandare un segnale molto forte all'Ucraina. Spero l'occasione sia lunedì, giorno del terzo anniversario dell'invasione". "Sulla dimensione" del piano, aggiunge, "non elaborerei. Andiamo verso passi molto pratici e razionali, senza creare false aspettative. E' quello che siamo pronti a fare: sostegno non solo militare, ma anche supporto all'integrazione nell'Ue e per la ricostruzione. Dobbiamo mandare all'Ucraina un messaggio molto forte", conclude.

Cina: "Pronti a ruolo costruttivo per risoluzione crisi"

"La Cina è disposta a continuare a svolgere un ruolo costruttivo nella risoluzione politica della crisi" in Ucraina. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi nel corso di un incontro dei ministri degli Esteri del G20 a Johannesburg. Wang ha incontrato il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov a margine del G20 e ha affermato che le relazioni tra Mosca e Pechino si stanno "muovendo verso un livello superiore e una dimensione più ampia". I due si incontreranno presto a Mosca, aveva affermato in precedenza Lavrov.

Scholz: "Ancora molto lontani da cessate il fuoco"

L'Europa dovrà garantire che l'Ucraina continui a essere in grado di difendersi anche dopo un eventuale cessate il fuoco. Lo ha dichiarato il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, intervistato durante un programma della Zdf. “Siamo ancora molto lontani da un cessate il fuoco – ha ammesso Scholz – La guerra continua a svolgersi ogni giorno con la massima brutalità”. Nel frattempo, ha detto, la Germania e l'Europa devono garantire che l'Ucraina non sia lasciata sola. Per il cancelliere resta da vedere se, in caso di cessate il fuoco, le truppe internazionali potranno svolgere un ruolo in Ucraina, “e se questo debba accadere”.

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Ucraina, chi è Valery Zaluzhny: il possibile sfidante di Zelensky

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Generale simbolo della resistenza ucraina, è stato spedito a fare l’ambasciatore a Londra ma pianifica la sua “seconda vita” in politica

Valery Zaluzhny

Valery Zaluzhny è nato l'8 luglio 1973 a Novohrad-Volynskyi, nella regione di Zhytomyr, in una famiglia con una forte tradizione militare. Dopo aver completato gli studi presso l'istituto tecnico della sua città nel 1993, ha frequentato l'Accademia Militare di Odessa, laureandosi con lode nel 1997. Da quel momento, ha iniziato una rapida ascesa nei ranghi delle Forze Armate ucraine, ricoprendo ruoli di comando sempre più rilevanti.

La carriera militare e il ruolo nella guerra nel Donbass

Dopo il 1997, Zaluzhny ha servito come comandante di plotone, compagnia e battaglione. Nel 2007 ha conseguito una seconda laurea presso l'Accademia Nazionale di Difesa dell'Ucraina, specializzandosi nell'impiego operativo delle unità meccanizzate e corazzate.

Il conflitto nel Donbass, scoppiato nel 2014 con l'annessione russa della Crimea e la guerra tra Kiev e i separatisti filorussi, ha segnato un momento cruciale per la sua carriera. Zaluzhny ha servito come vice comandante del settore "C" nella regione di Donetsk, diventando una figura chiave nella resistenza ucraina.

Nel 2017, è stato promosso a capo di stato maggiore e primo vice comandante del Comando Operativo "Ovest", mentre nel 2018 ha assunto il comando dello Stato Maggiore Operativo Congiunto delle Forze Armate Ucraine. L'anno successivo è stato nominato comandante del Comando Operativo "Nord", con il compito di rafforzare la difesa nelle regioni settentrionali del paese.

Zaluzhny Comandante in Capo delle Forze Armate Ucraine

Il 27 luglio 2021, il presidente Volodymyr Zelensky lo ha nominato comandante in capo delle Forze Armate ucraine, affidandogli il compito di modernizzare l'esercito e renderlo più vicino agli standard Nato. Uno dei suoi primi provvedimenti è stato quello di concedere alle unità sul campo maggiore autonomia, permettendo ai comandanti di rispondere immediatamente al fuoco nemico senza attendere ordini superiori.

L'invasione russa del 24 febbraio 2022 ha messo alla prova la sua leadership. Sotto la sua guida, le forze ucraine hanno impedito la rapida caduta di Kiev e l'esercito russo è stato costretto a ritirarsi dalla capitale dopo settimane di combattimenti. Zaluzhny è stato uno degli artefici delle controffensive ucraine che hanno permesso la riconquista di ampie porzioni di territorio nell’estate e autunno 2022, soprattutto nella regione di Kharkiv e nell'oblast di Kherson.

Durante la guerra, la sua strategia ha ricevuto elogio internazionale, e Zaluzhny è diventato un simbolo della resistenza ucraina. Il suo approccio pragmatico e la sua capacità di adattarsi rapidamente alla guerra moderna lo hanno reso popolare tra i soldati e tra la popolazione civile.

Tensioni con Zelensky e rimozione dal comando

Nonostante il successo militare, nel corso del conflitto sono emerse tensioni tra Zaluzhny e Zelensky sulla gestione della guerra. Le divergenze riguardavano la strategia operativa, i piani per le controffensive e la necessità di una mobilitazione più ampia per rafforzare l’esercito.

A novembre 2023, Zaluzhny ha rilasciato un'intervista all’Economist in cui ammetteva che la guerra era entrata in una fase di stallo, facendo irritare il governo. Le tensioni sono aumentate nei mesi successivi, e l’8 febbraio 2024, Zelensky ha deciso di rimuoverlo dal suo incarico, sostituendolo con il generale Oleksandr Syrskyi.

La decisione ha suscitato forti reazioni: molti soldati e cittadini ucraini vedevano in Zaluzhny una delle figure più credibili del paese, e sondaggi recenti indicano che la sua popolarità superava quella di Zelensky.

Un possibile futuro politico?

Dopo la sua rimozione, Zaluzhny è stato nominato ambasciatore dell'Ucraina nel Regno Unito, in quello che molti analisti hanno interpretato come un tentativo di allontanarlo dalla scena politica interna. Tuttavia, il suo nome continua a essere centrale in ambito politico e militare, e diversi osservatori ritengono che potrebbe emergere come un potenziale sfidante di Zelensky nelle prossime elezioni, avendo un consenso nella popolazione anche più ampio dell’attuale presidente, il cui tasso di gradimento è al 57% (non certo al 4% come ha scritto Donald Trump).

È stato il volto militare della resistenza e resta una delle figure più rispettate nel paese. Non nasconde l’intenzione di preparare futuro politico, visto che a dicembre 2024 ha pubblicato “My War”, il primo di tre volumi autobiografici. Su Telegram, ha spiegato di quali guerra si tratti: “Primo, la guerra con le paure che impediscono di fare qualcosa. Secondo, la guerra con le persone che impediscono di raggiungere i propri obiettivi. Infine, la guerra contro le circostanze che diventano ostacoli nella vita”.

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Esteri

“Trump reclutato dal Kgb”, ex spia kazaka accusa e il web si infiamma

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"Nel 1987 arruolato con il nome in codice Krasnov", in riferimento al generale che tradì Stalin per Hitler

Un'immagine di Donald Trump generata con l'intelligenza artificiale

E se dietro la 'disponibilità' di Donald Trump verso Vladimir Putin ci fossero verità compromettenti? A rilanciare il tormentone su legami di antica data fra il tycoon-presidente e il Cremlino è un post apparso ieri sera su Facebook e rilanciato al volo dal collettivo Anonymous. In poche righe il semi-sconosciuto Alnur Mussayev racconta di essere stato nel 1987 alle dipendenze del 6° Dipartimento del KGB a Mosca: "L'area di lavoro più importante del 6° Dipartimento – spiega – era l'acquisizione di spie e fonti di informazione tra gli uomini d'affari dei paesi capitalisti. Fu in quell'anno che il nostro Dipartimento reclutò un quarantenne uomo d'affari americano, Donald Trump, nome in codice 'Krasnov' ".

Sarebbe una indiscrezione da prendere con le molle se a firmarla non fosse un personaggio con un discreto passato nei servizi dell'ex Urss: la pagina Wikipedia di Alnur Mussayev, infatti, spiega come il 71enne kazakho, esule a Vienna, si è formato alla scuola del Kgb di Minsk, ha operato nei servizi sovietici ed è stato negli anni Novanta alla guida del Comitato per la sicurezza nazionale del Kazakistan (KNB) durante la presidenza di Nursultan Nazarbayev. Dal 2007 l'ex spia vive a Vienna dove si è rifugiato dopo avere accusato il governo di Astana di corruzione e pagamenti di milioni di dollari in tangenti a Nazarbayev. Accuse per le quali è stato condannato in contumacia: poco dopo il suo arrivo in Austria l'uomo è stato oggetto di un tentato rapimento sul quale restano ancora molte ombre. Una figura dunque controversa ma sicuramente non estranea ai servizi di Mosca, fatto che sui social sembra dare credibilità alle sue accuse. Affermazioni peraltro non corroborate da documenti ("Oggi è stato confiscato all'FSB il fascicolo personale del collaboratore "Krasnov". L'operazione è stata condotta privatamente da uno stretto collaboratore di Putin" ha scritto Mussayev in un commento alla 'rivelazione') ma che hanno infiammato il web.

Il viaggio a Mosca

I nemici del presidente Usa ricordano alcuni elementi fattuali giudicati sospetti, a iniziare dal viaggio a Mosca del 1987, di cui lo stesso Trump ha scritto, motivandolo con opportunità di business in loco: l'imprenditore fu ospite dell'ente turistico sovietico Intourist al quale propose inutilmente la costruzione di un albergo di lusso. Altra circostanza contestata al tycoon, la pagina pubblicitaria acquistata su alcuni grandi quotidiani – sempre nel 1987 poco dopo il viaggio a Mosca – per criticare la politica estera degli Stati Uniti. Una lettera aperta indirizzata "Al popolo americano" e apparsa il 2 settembre 1987 sul New York Times, il Washington Post e il Boston Globe: uno scherzetto (in cui si lamentava con 37 anni di anticipo della spesa eccessiva degli Usa per difendere i suoi alleati) che sarebbe costato al futuro presidente ben 94.800 dollari.

A dare forza ai complottisti l'insolita operazione immobiliare con cui nel 2008 il magnate russo dei concimi Dmitry Rybolovlev acquistò per 95 milioni di dollari una villa a Palm Beach che Trump aveva comprato pochi anni prima per 'soli' 41 milioni: una trattativa 'fortunata' per 'The Donald' (all'epoca la villa divenne l'abitazione più costosa mai acquistata negli Stati Uniti) che cadde – secondo i nemici del tycoon – al momento giusto, viste le difficoltà economiche che l'imprenditore affrontava in quel momento.

In realtà le voci su legami pericolosi fra Trump e il Cremlino erano iniziate a circolare già in occasione del primo mandato, con contatti con l'ambasciata di Mosca anche prima dell'insediamento del 20 gennaio 2017 (al centro della commissione di inchiesta guidata da Robert Mueller, ma senza risultati). Un gruppo di lavoro, il Moscow Project, sostenuto dal Center for American Progress Action Fund, rivelò tuttavia che la campagna elettorale di Trump e il suo team di transizione avevano avuto almeno 38 incontri 'sicuri' con rappresentanti legati al Cremlino.

In un libro del giornalista Craig Unger (American Kompromat, uscito nel 2017) si riportano poi – per bocca di un alto esponente del Kgb Yuri Shvets – le manovre dei servizi sovietici per 'conquistare' – anche solleticando il suo ego – il rampante Trump, all'epoca peraltro sposato con la modella cecoslovacca Ivana Zelnickova. Fin dove siano arrivate le lusinghe del Kgb è difficile dirlo ma oggi l'attacco di Mussayev rilancia le teorie complottiste: la ex spia kazaka da tempo parla di un Trump "finito all'amo dell'FSB" (la principale agenzia di sicurezza russa che ha preso il posto del KGB). "Non ho dubbi che la Russia possieda kompromat (informazioni dannose) sul presidente degli Stati Uniti e che il Cremlino lo abbia preparato per anni per salire alla presidenza della principale potenza mondiale", ha affermato Mussayev. Ipotesi, naturalmente, anche se il New York Magazine ha suggerito che la riluttanza di Trump a pubblicare le sue dichiarazioni dei redditi potrebbe derivare dalla possibilità che mostrino un sostegno finanziario ricevuto dalla Russia per molti anni attraverso vari canali.

A Washington qualcuno ha iniziato ad alzare la voce, come Joe Walsh, un ex deputato repubblicano, che nel 2020 si candidò alle primarie presidenziali: ieri sera alla Cnn ha lamentato come Trump "dice tutto quello che direbbe Vladimir Putin" e si è spinto a ipotizzare che "il presidente americano potrebbe essere una spia, una risorsa al servizio dei russi". Il conduttore della Cnn ha subito preso le distanze da queste parole, in assenza di prove, ma Walsh sui social tira dritto. Mentre già qualcuno – su X – grazie all'intelligenza artificiale propone una finta foto di Trump in divisa da Kgb, sotto la definizione 'President Krasnov'.

Un nome, peraltro, che evoca in Russia brutti ricordi: perché il generale Piotr Nikolaevic Krasnov durante la seconda guerra mondiale appoggiò la Germania nazista in funzione antisovietica appoggiando nel 1943 il progetto di Hitler di creare un corpo cosacco che combattesse a fianco della Wehrmacht. Alla fine della guerra, Krasnov si arrese ai britannici, ma fu subito consegnato ai sovietici. Che dopo un processo lampo lo impiccarono il 17 gennaio 1947 a Mosca, nei sotterranei della Lubjanka, la sede del Kgb. (di Massimo Germinario)

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Esteri

Elon Musk, il ‘Dogefather’: miliardario cambia la foto X e ora impugna...

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Il proprietario di Tesla ha apprezzato il regalo del presidente argentino Javier Milei

Elon Musk - Ipa/Fotogramma e X

Elon Musk, il 'Dogefather'. Parafrasando il noto film di Coppola 'The Godfather', ovvero 'Il Padrino', Elon Musk si è assegnato un nuovo soprannome, ufficializzato nella sua nuova foto del profilo di X. Il milardiario, proprietario di Tesla e Space X, ha infatti cambiato l'immagine del proprio account ufficiale sostituendola con una foto diventata già iconica negli Stati Uniti.

Musk, con occhiali da sole e catena d'oro al collo, che impugna una motosega, donata dal presidente argentino Javier Milei. La motosega è stata il simbolo principe della campagna elettorale di Milei, per rappresentare i tagli che avrebbe apportato alla spesa pubblica. Lo stesso obiettivo che si pone Musk, che fa parte del nuovo Dipartimento dell'Efficienza Governativa dell'amministrazione Trump. Sulla motosega inoltre è inciso il nome di Musk e la scritta, in spagnolo: "Viva la libertà, dannazione".

L'incontro con Musk si è svolto nell'ambito di una nuova visita di Milei negli Stati Uniti, in cui il presidente argentino incontrerà il direttore generale del FMI, Kristalina Georgieva, il presidente della Banca Mondiale, Ajay Banga, e inoltre presenzierà alla Conservative Action Conference, incontro a cui parteciperà anche Donald Trump.

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Esteri

Elezioni Germania, due giorni al voto: coalizione a 2 o a 3? Sui partiti preme il fattore...

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A fronte di sondaggi sostanzialmente stabili si ragiona su possibili ipotesi di coalizione, tenendo conto di tutte le variabili

I candidati (Afp)

Il cancelliere in carica non si perde d'animo, resta combattivo, la Cdu/Csu dello sfidante Friedrich Merz conserva il suo vantaggio. Mancano ormai solo due giorni al voto che rinnoverà la Camera federale della Germania, il Bundestag, e a fronte di sondaggi sostanzialmente stabili si ragiona su possibili ipotesi di coalizione, tenendo conto di tutte le variabili. E del fattore tempo.

 L'ESITO DEL VOTO. Il leader della Spd e attuale capo dell'esecutivo, Olaf Scholz, insiste: "Questa volta, come mai in un'altra elezione, molte persone decideranno solo quando si troveranno nella cabina elettorale", afferma fiducioso. "E credo che molti diranno: dovrebbe essere di nuovo Olaf Scholz". La mente va alla leggendaria rimonta del 2021: allora, come oggi, il suo partito iniziò la campagna elettorale con un ritardo di circa 15 punti percentuali, ma arrivò a superare la Cdu/Csu settimane prima delle elezioni e poi riuscì a tagliare il traguardo con uno stretto vantaggio. Questa volta, il distacco resta e il candidato cancelliere dell'Unione Merz sembra già il sicuro vincitore.

Tanto che alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco dello scorso fine settimana è stato presentato come 'cancelliere' da un organizzatore. Nei dibattiti televisivi, si lascia scivolare addosso gli attacchi di Scholz con fare da statista, commentano gli osservatori citati dai media tedeschi. E si sta preparando meticolosamente a formare un governo il giorno dopo le elezioni. "Qui nella Adenauer Haus ci siamo già preparati a diversi scenari, che sono anche stati messi per iscritto", ha dichiarato di recente a Politico.

 QUATTRO GRUPPI PARLAMENTARI. La formazione del governo dipende in gran parte dal numero di partiti che entreranno nel Bundestag. Quattro gruppi parlamentari faranno sicuramente parte del nuovo Parlamento: Cdu/Csu (27-31% nei sondaggi di questa settimana), AfD (20-21%), Spd (15-17%) e Verdi (12-14%). La sinistra (Die Linke, in netta rimonta), la Fdp e la Bsw (Alleanza Sahra Wagenknecht) stanno lottando per superare la soglia di sbarramento del cinque per cento. Se nessuno o uno solo di questi tre partiti entrasse nel Bundestag, le possibilità di una coalizione a due sarebbero buone.

 COALIZIONI A DUE. Tutti gli altri partiti hanno escluso una coalizione con l'AfD, compresa la Cdu/Csu. "Questo è chiaro e definitivo", ha ribadito Merz mercoledì nel duello televisivo di ‘Bild’ e ‘Welt’. Per ora restano due opzioni: in quasi tutti i sondaggi attuali, la Cdu/Csu forma una maggioranza con la Spd, e per la metà degli istituti lo stesso vale per l'opzione Cdu/Csu-Verdi. Tuttavia, la Csu non vuole governare con i Verdi in nessun caso, motivo per cui i negoziati di coalizione tra Cdu/Csu e Spd sono considerati l'opzione più probabile al momento.

Il problema per la Spd è il rischio di ottenere un risultato non all'altezza delle aspettative (20,5% del 2017 è stato il peggior risultato) e di entrare indebolita nelle trattative di coalizione. Con quale leader? Olaf Scholz, Lars Klingbeil o il politico più popolare in Germania, Bororis Pistorius?

In un modo o nell'altro, la Spd cercherà di far salire il prezzo di una partecipazione alla coalizione, ragionano gli esperti citati dai media tedeschi. Alla fine, il risultato dovrebbe essere approvato da un congresso di partito o anche da un voto degli iscritti, una leva in più da usare nei negoziati. Se il prezzo dovesse diventare troppo esoso, la Cdu/Csu potrebbe comunque ricorrere all'opzione nero-verde. In ogni caso, è probabile che Merz parli anche con i Verdi – se una coalizione bipartitica con loro fosse aritmeticamente possibile – a prescindere dal leader della Csu Markus Söder, che è assolutamente contrario a una coalizione nero-verde. Se non altro per evitare di cedere alle richieste della Spd fin dall'inizio.

 COALIZIONI A TRE. L'esperimento della coalizione tripartita a livello federale è fallito clamorosamente con il governo semaforo (Spd-Fdp-Verdi). Per questo motivo, tale ipotesi è ora vista solo come una soluzione di emergenza nel caso non funzionasse nient'altro. Poiché la Fdp ha escluso una coalizione con i Verdi con una risoluzione del congresso del partito, rimangono solo due opzioni: una cosiddetta coalizione tedesca (dai colori della bandiera, nero, giallo, rosso) tra Cdu/Csu, Spd e Fdp, se i liberali dovessero entrare nel Bundestag. Oppure una coalizione nero-rosso-verde (Cdu/Csu-Spd, Verdi conosciuta da alcuni anche come coalizione Kenya, dal nome dei colori del Paese). In entrambi i casi, più persone siedono al tavolo, più la situazione si complica, commentano gli osservatori.

Tuttavia, resta da vedere se la Fdp riuscirà a entrare nel Bundestag. Sarebbe solo la seconda volta dal 1949 che i liberali non vengono ammessi in Parlamento. Il Partito della Sinistra potrebbe invece riservare alcune sorprese. Dopo il successo a livello regionale della neonata Bsw dell'ex capogruppo parlamentare Sahra Wagenknecht, non era più stato sotto i riflettori. Tuttavia, la discussione sul 'cordone sanitario' dell'AfD e un'abile campagna sui social hanno permesso al partito di tornare in auge nei sondaggi. Per contro, lo slancio iniziale della Bsw si sta nuovamente affievolendo. Resta comunque altamente improbabile che BSW o il Partito della Sinistra partecipino a un governo guidato dalla SPD o dai Verdi. I sondaggi non lo confermano e il Cancelliere Scholz sottolinea: "Non è un piano che nessuno di noi ha, quindi non c'è da preoccuparsi".

 IL PARTITO CON CUI NESSUNO VUOLE GOVERNARE, sarà sicuramente uno dei vincitori di domenica. Secondo tutti i sondaggi, l'AfD, che è stato classificato dall'Ufficio per la protezione della Costituzione come estremista di destra in alcune parti del paese, probabilmente raddoppierà il suo risultato del 10,3% nelle elezioni del 2021. Il partito si è già assicurato i suoi successi in campagna elettorale: con il suo aiuto, la Cdu/Csu ha ottenuto una maggioranza nel Bundestag per portare a termine una risoluzione sulla politica migratoria. La leader del partito Alice Weidel è apparsa per la prima volta in televisione alla pari con i candidati cancellieri Scholz, Merz e Robert Habeck dei Verdi. L'AfD scommette sulle prossime elezioni, dove conta di poter diventare la forza più importante. Per i partiti centristi – sottolineano i commentatori – sarà importante evitare che ciò accada nei prossimi quattro anni. Il prerequisito numero uno è quello di una coalizione che questa volta non combatta al suo interno una guerra di trincea.

 FATTORE TEMPO: da quasi quattro mesi la Germania ha un governo di minoranza rosso-verde con una capacità d'azione limitata. Scholz rimarrà cancelliere fino al giuramento di un nuovo governo, qualunque siano i risultati. Tuttavia, una volta costituito il nuovo Bundestag, sarà solo un amministratore delegato della Germania, senza potere. E questo in un momento in cui il mondo sta subendo un forte cambiamento. Mentre la Germania si avvia al voto, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta negoziando con il Presidente russo Vladimir Putin il futuro dell'Ucraina, mentre l'Ue appare sempre più isolata. Il fattore tempo è sentito dagli esponenti politici: non a caso Merz ripete di volere un governo in carica entro Pasqua. (di Laura Cingolani)

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Esteri

Da Trump-Trudeau a Obama-Putin, quando i leader litigano per lo sport

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Calcio, hockey su ghiaccio, Olimpiadi e non solo. Gli eventi sportivi sempre più spesso teatro della discordia tra Paesi

Trump e Trudeau

Finale Canada-Stati Uniti di hockey sul ghiaccio, nuovo scontro tra Justin Trudeau e Donald Trump. Al termine dell'attesissima partita del 4 Nations Face Off, andata in scena al Td Garden di Boston, il premier canadese ha pensato subito di fare un post per esultare, "rinfacciando" la vittoria al leader americano, che nelle ore precedenti alla sfida era sembrato ottimista di poter battere il "futuro cinquantunesimo Stato". Quello tra i due nordamericani sullo sport è stato solo l'ennesimo capitolo di una storia già vista più volte, con leader internazionali che si punzecchiano o "litigano" per grandi sfide sportive.

Trump-Trudeau, cantante canadese modifica l'inno

"Non potete prendere il nostro Paese, e non potete prendere il nostro gioco". Trudeau ha celebrato così su X la vittoria per 3 a 2 all'overtime della nazionale di hockey del Canada contro gli Stati Uniti. Nelle ore antecedenti alla sfida, in un post su Truth Trump aveva fatto sapere che avrebbe guardato la partita contro quello che "un giorno, forse presto, diventerà il nostro amato, e importantissimo, Cinquantunesimo Stato". La partita, da sempre molto sentita, aveva stavolta un sapore particolare, tanto che anche Chantal Kreviazuk, incaricata di cantare l'inno "O' Canada", ne ha cambiato una parte del testo: nel'apertura, invece di cantare “Il vero amore patriottico, in tutti noi comanda”, Kreviazuk l'ha cambiato in “che solo noi comandiamo”.

Trump-Macron al Mondiale 2018

Non solo battibecchi sull'hockey: nonostante Trump non sia noto per essere un grande esperto di calcio, durante il G7 di Biarritz nel 2019 non fece mistero con il presidente Emmanuel Macron del suo disappunto per la vittoria della Francia l'anno prima alla coppa del mondo, dichiarando in modo piuttosto provocatorio: "La Francia ha vinto il Mondiale, ma l'America ha vinto la guerra. Quindi, beh, chi ha vinto veramente?" Macron, pur sorridendo e cercando di sdrammatizzare, rispose con un tono scherzoso: "Sì, abbiamo vinto il Mondiale, ma non dimenticare che la Francia ha anche vinto molte battaglie. E sul campo di calcio siamo stati inarrestabili".

Juncker-Johnson a Euro 2020

Altro campionato, altre contestazioni, protagonisti questa volta i leader europei. La finale di Euro 2020 a Wembley, in cui l'Italia riuscì a sconfiggere a sorpresa l'Inghilterra ai calci di rigore, era stata anticipata da pronostici molto ottimisti da parte degli inglesi. Tra questi, c'era ovviamente anche l'allora premier Boris Johnson, che a poche ora dalla finale aveva dichiarato: "L’Inghilterra è pronta, siamo determinati e non vediamo l'ora di portare a casa la coppa!", facendo eco al celebre slogan dei tifosi inglesi "it's coming home". Ma l'allora presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker, che già era in disaccordo con Johnson per le sue posizioni pro-Brexit, colse l'occasione della sconfitta in finale dei "tre leoni" per rispondere al premier: "Come sempre, nel calcio come nella politica, alla fine, l’Inghilterra perde sempre".

Putin-Obama a Olimpiadi Londra 2012 e Sochi 2014

Ben prima della guerra in Ucraina, quando i rapporti tra Stati Uniti e Russia erano di gran lunga migliori, mentre si disputavano le Olimpiadi di Londra 2012, Vladimir Putin scherzò sulle proprie capacità fisiche, anche per promuovere i successi del suo Paese in ambito sportivo. "La Russia non è solo un gigante politico. Siamo anche i campioni di molte discipline". La risposta dell'allora presidente americano, Barack Obama, arrivò indiretta ma con un riferimento molto chiaro: "Gli Stati Uniti sono sempre pronti a vincere. Ma la Russia deve ricordare che la vera forza non viene solo dalle vittorie sportiva, ma dal rispetto".

Poi nei mesi antecedenti alle Olimpiadi Invernali di Sochi del febbraio del 2014, un mese prima l'annessione della Crimea, l’amministrazione Obama aveva espresso preoccupazioni riguardo ai diritti umani e alla situazione in Ucraina, minacciando anche un boicottaggio della rassegna. La situazione divenne particolarmente tesa quando Obama decise di non mandare alti funzionari del governo nella delegazione. Putin, che aveva scommesso molto sull'immagine internazionale delle Olimpiadi, rispose con sarcasmo: "Se non vogliono venire, non c'è problema. Sochi sarà un successo comunque, perché non è la politica che ci interessa, ma lo sport." La risposta di Obama: "Non possiamo ignorare certe cose, e non dovremmo mai permettere che lo sport venga usato come strumento per fini politici".

Bolsonaro-Fernandez Copa America 2019

Nel calcio per nazionali, ci sono poche rivalità accese come quella tra Brasile e Argentina, con motivazioni che trascendono lo sport e sono anche politiche e culturali. In semifinale di Copa América 2019 – rassegna ospitata dal Brasile – i verdeoro sconfissero per 2 a 0 in semifinale l'Argentina di Lionel Messi. Il presidente Jair Bolsonaro celebrò il risultato: "Il Brasile è sempre il migliore, non solo nel calcio, ma anche in molti altri ambiti. Quella che vediamo oggi è una conferma che il nostro paese è al vertice in tutto, e quando si tratta di calcio, non c'è storia". Il presidente argentino Alberto Fernandez fece appello all'orgoglio dei suoi connazionali: "Anche se oggi non abbiamo vinto, la nostra nazionale ci ha dato emozioni e motivazioni per continuare a credere in noi stessi. Non importa se siamo stati battuti, noi siamo orgogliosi della nostra squadra e della nostra storia."

Chavez-Uribe Qualificazione Mondiale 2010

La rivalità tra il presidente venezuelano Hugo Chávez e l'omologo colombiano Álvaro Uribe, partita su basi politiche e ideologiche (Chávez, leader di una rivoluzione bolivariana socialista anti-americana contro Uribe, neoliberista di destra) trovò sfogo anche nel calcio. Nel 2007, dopo la vittoria della Colombia nelle qualificazioni per il Mondiale 2010, Chávez commentò sarcasticamente la sconfitta della sua squadra, dicendo che la Colombia "vinceva sempre", ma che "un giorno il Venezuela avrebbe vinto anche in politica e calcio". Uribe rispose con ironia tagliente: "Chávez potrebbe migliorare se si concentrasse su come fare vincere il Venezuela e non su come perdere in politica".

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Esteri

Ucraina-Russia, Trump: “Zelensky non conta nei negoziati”

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Nuovo affondo del presidente degli Stati Uniti: "Kiev non ha carte in mano"

Donald Trump e Volodymyr Zelensky

Donald Trump non ritiene essenziale la presenza del presidente ucraino Volodymyr Zelensky ai negoziati volti a porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina. "Non credo che sia molto importante la sua presenza agli incontri", ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti in un'intervista a Fox News. "È lì da tre anni. Rende molto difficile fare accordi", ha detto Trump, ribadendo i concetti espressi dopo il vertice tra le delegazioni di Usa e Russia andato in scena all'inizio della settimana a Riad, in Arabia Saudita. L'Ucraina non ha "carte in mano. Ho avuto ottime discussioni con Putin, e non ho avuto ottime discussioni con l'Ucraina. Non hanno carte in mano, ma stanno giocando duro. Non permetteremo che questo continui".

Zelensky ha stigmatizzato il mancato coinvolgimento di Kiev nel dialogo e Trump, a stretto giro, ha attaccato duramente il presidente ucraino con una serie di dichiarazioni tra social e tv. "Si lamenta perché non era al vertice. E' stato ai meeting per 3 anni e non è stato concluso niente, quindi non credo sia molto importante la sua presenza agli incontri. Ha partecipato per 3 anni, rende più complicata la conclusione di accordi", afferma Trump.

Zelensky è stato definito un "dittatore senza elezioni" con parole che hanno ricordato le accuse mosse dalla Russia al presidente ucraino. Per Mosca, Zelensky è un leader illegittimo visto che il suo mandato è scaduto e le elezioni sono state rinviate. In Ucraina vige la legge marziale dall'inizio della guerra e, in tali condizioni, la Costituzione non prevede lo svolgimento delle elezioni presidenziali.

Perché Trump attacca Zelensky

I toni di Trump contro Zelensky sono diventati durissimi dopo il mancato accordo con Kiev sullo sfruttamento delle 'terre rare', le immense risorse minerarie ucraine che gli Stati Uniti vogliono blindare con un'intesa.

Il segretario al Tesoro, Scott Bessent, la scorsa settimana si è recato a Kiev e ha incontrato Zelensky: la fumata bianca, però, non è arrivata. "Non sono arrivato ad un accordo. Onestamente, era meglio se non fosse nemmeno andato. E' stata solo una perdita di tempo", dice Trump che alla fine, pressato, individua nella Russia la principale responsabile della guerra: "Ha attaccato, ma non c'era ragione di farlo. Si sarebbe potuto evitare facilmente con i colloqui".

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Esteri

Aviaria, l’uomo potrebbe trasmettere il virus ai gatti

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Esaminati casi di 2 felini contagiati e morti a maggio in Michigan

Un gatto

Due lavoratori del settore lattiero-caseario del Michigan potrebbero aver trasmesso l'influenza aviaria ai loro gatti domestici. E' l'ipotesi su cui indaga un nuovo studio dei Centers for Disease Control and Prevention statunitensi (Cdc). I due felini si sono contagiati con il virus H5N1 a maggio 2024 e sono morti. Vivevano in casa e i rispettivi proprietari non si conoscevano e non avevano contatti fra loro. I due lavoratori hanno rifiutato il test, ma hanno riferito di aver avuto sintomi compatibili con l'influenza aviaria H5N1 prima che i gatti si ammalassero. I ricercatori che hanno esaminato i casi non sono riusciti a confermare come i gatti si siano infettati, ma i potenziali scenari che si aprono non possono essere ignorati, riflettono gli esperti.

In generale è successo che dei "gatti che vivono all'aperto negli allevamenti di mucche da latte statunitensi" siano stati "infettati dal virus dell'influenza aviaria ad alta patogenicità A H5N1 – ricordano i Cdc – tuttavia, non è stata riportata infezione nei gatti domestici". Fino a quando nel maggio 2024, "il Dipartimento di sanità pubblica e servizi umani del Michigan ha ricevuto segnalazioni di influenza aviaria H5N1 in due gatti che vivevano solo in casa". Il proprietario di un primo gatto contagiato vive in una famiglia con altri 3 componenti (in tutto sono 2 adulti e due adolescenti), l'altro vive da solo e lavora nel trasporto di latte non pastorizzato da più aziende lattiero-casearie e ha riferito un episodio in cui è stato schizzato nel viso e negli occhi con questo latte. Entrambi i lavoratori operano in una contea nota per la presenza del virus H5N1.

Nel primo caso, ad ammalarsi è stata una femmina a pelo corto di 5 anni d'età (in casa c'erano altri due felini). La gatta, che viveva esclusivamente indoor, ha cominciato a mostrare diminuzione dell'appetito, mancanza di cura, disorientamento e letargia, seguiti da progressivo e grave deterioramento neurologico. Il secondo giorno di malattia, l'animale è stato valutato in una clinica veterinaria locale; il quarto giorno trasferito al centro medico veterinario della Michigan State University dove, a causa della rapida progressione della malattia, è stato sottoposto a eutanasia.

Poiché era nota l'esposizione professionale del proprietario, sono stati eseguiti i test post mortem e i campioni raccolti e sequenziati sono risultati positivi al virus H5N1, clade 2.3.4.4b, genotipo B3.13, indistinguibile da quello circolante nei bovini da latte del Michigan. Successivamente anche l'altro gatto di casa ha cominciato a presentare sintomi come secrezioni oculari, aumento della respirazione e diminuzione dell'appetito 4 giorni dopo l'esordio della malattia nella prima gatta, ma 11 giorni dopo si sono risolti. E il terzo gatto di famiglia invece non presentava segni di malattia.

Né la famiglia né i loro gatti consumavano latte crudo non pastorizzato. Sei giorni dopo che il primo gatto si è ammalato, uno degli adolescenti ha avuto tosse, mal di gola e dolori muscolari, e l'altro ha riferito di una tosse attribuita ad allergie. Ma poiché gli adolescenti sono stati sottoposti tardivamente al test, 11 giorni dopo che il primo gatto si era ammalato, non è possibile escludere che si siano infettati, secondo esperti.

Sempre a maggio, anche il gatto domestico del secondo lavoratore ha sviluppato gravi sintomi neurologici, tra cui anoressia e movimenti minimi, ed è morto nel giro di un giorno, risultando post mortem positivo all'influenza aviaria. Il proprietario non indossava protezioni. E secondo quanto riportato dallo studio, il gatto che si è ammalato era solito "rotolarsi nei vestiti da lavoro del padrone". Gli esperti dei Cdc nel report ribadiscono l'importanza di utilizzare dispositivi individuali di protezione in ambienti a media e alta esposizione. I lavoratori a rischio "dovrebbero rimuovere indumenti e calzature e sciacquare eventuali residui di sottoprodotti di origine animale prima di entrare in casa".

Ma anche i veterinari devono alzare la guardia, è l'invito dei funzionari Cdc. "Se stanno valutando gatti domestici con segni di malattie respiratorie o neurologiche dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di ottenere informazioni sull'esposizione professionale o di altro tipo dei membri della famiglia e adottare precauzioni per ridurre il rischio di esposizione". I Cdc continuano a monitorare la diffusione e l’impatto del virus dell’influenza aviaria A H5N1 tra gli animali e anche nelle persone negli Stati Uniti "al fine di fornire indicazioni su come prevenire e curare al meglio le infezioni".

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Esteri

Hamas consegna i 6 ostaggi: “Tutti liberi con fine guerra e ritiro Idf da...

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Tal Shoham e Abera Mengistu liberati a Rafah, altri tre a Nuseirat. Omer Shem Tov bacia 2 miliziani sulla testa. Israele libererà 602 prigionieri. Consegnato il corpo di Shiri Bibas

I tre ostaggi - Eliya Cohen, Omer Shem Tov e Omer Wenkert - iberati da Hamas - (Afp)

Hamas ha liberato oggi, sabato 22 febbraio, 6 ostaggi, gli ultimi della lista di 33 ostaggi da rilasciare nella prima fase dell'accordo con Israele ad essere ancora in vita. Questa è l'ultima tornata di rilasci previsti dalla fase iniziale di sei settimane dell'accordo di cessate il fuoco entrato in vigore il 19 gennaio. Il passo finale della prima fase sarà la consegna di altri quattro corpi di ostaggi la prossima settimana.

Tal Shoham e Abera Mengistu, dopo essere saliti sul palco a Rafah allestito da Hamas per la loro liberazione, sono stati consegnati alla Croce rossa internazionale che a loro volta li ha affidati alle Idf a Gaza.

Altri tre ostaggi – Eliya Cohen, Omer Shem Tov e Omer Wenkert – sono stati consegnati alla Croce rossa internazionale dopo essere saliti sul palco a Nuseirat, nel centro di Gaza, prima del rilascio da parte di Hamas. Anche loro sono stati affidati all'Idf.

Niente cerimonia pubblica per Hisham al-Sayed

Il sesto e ultimo ostaggio, Hisham al-Sayed, rapito nel 2015, è stato liberato senza una cerimonia pubblica. Consegnato alla Croce rossa internazionale a Gaza City, è in viaggio per essere affidato alle Idf e allo Shin Bet. Lo rende noto l'esercito israeliano, che trasferirà al-Sayed fuori dalla Striscia di Gaza.

In una nota l'Idf ha scritto che "Hamas non terrà la sua 'cerimonia' per l'ostaggio Hisham al-Sayed nel rispetto della comunità beduina-israeliana, non esponendolo a questa esperienza disumanizzante e traumatica". Le Idf si sono chieste: "Dov'era questo 'rispetto' per la comunità arabo-israeliana quando hanno tenuto Hisham in ostaggio per oltre un decennio?".

Al-Sayed, affetto da schizofrenia, è entrato a Gaza nel 2015 ed è stato catturato da Hamas, che ha falsamente affermato che era un soldato. Nel 2022 Hamas ha diffuso il primo segno di vita in sette anni: un video che mostrava l'uomo attaccato a un respiratore. Dopo il 7 ottobre, il suo caso è riemerso e suo padre si è unito all'Hostage Families Forum per riportare la sua storia all'attenzione pubblica.

Omer Shem Tov bacia 2 miliziani Hamas sulla testa

Omer Shem Tov ha baciato sulla testa due miliziani di Hamas in segno di gratitudine mentre era sul palco durante la liberazione. La scena è stata ripresa in diretta dalle telecamere presenti e condivisa sui media. Rapito dal festival Nova e tenuto prigioniero insieme ai suoi amici Mia e Itai Regev, Omer Shem Tov ha salutato sorridente e alzato il pollice durante le operazioni di rilascio (VIDEO).

Israele rinvia rilascio di 602 prigionieri palestinesi

E' stato rinviato il rilascio, previsto per oggi, di 602 detenuti palestinesi in cambio di sei ostaggi israeliani. Lo scrive Haaretz spiegando che i prigionieri resteranno sotto la custodia israeliana almeno fino al termine delle consultazioni sulla sicurezza convocate dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Secondo le famiglie dei prigionieri palestinesi, il loro rilascio dovrebbe avvenire intorno alle 20 di oggi. Durante la riunione convocata da Netanyahu si parlerà del rilascio degli ostaggi rimasti ancora nella Striscia di Gaza.

Hamas: "Pronti a passare a seconda fase accordo"

Hamas si è detto pronto a passare alla seconda fase dell'accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e a raggiungere lo scambio completo tra ostaggi israeliani e detenuti palestinesi. L'obiettivo, ha sottolineato Hamas, è quello di arrivare al cessate il fuoco permanente e al ritiro completo delle Forze di sicurezza israeliane (Idf) dalla Striscia di Gaza.

Hamas ha inoltre dichiarato di essere pronto a ''uno scambio totale di prigionieri con Israele'', ovvero a liberare tutti gli ostaggi ancora trattenuti, in cambio della fine permanente della guerra, del ritiro delle Idf dall'enclave palestinese e della ricostruzione della Striscia di Gaza. Lo ha dichiarato il portavoce di Hamas Hazem Qassem, precisando che la ricostruzione della Striscia di Gaza deve essere effettuata tramite un chiaro consenso nazionale e che non verrà permesso a nessuna forza esterna di interferire. Qassem ha spiegato che i negoziati per la seconda fase non sono ancora iniziati, ma i colloqui con i mediatori sono in corso.

Hamas ha aggiunto che "sono passati 33 giorni dall'inizio della prima fase, eppure l'occupazione non ha pienamente implementato tutti i suoi termini", sottolineando che "la situazione a Gaza è catastrofica" e invitando i mediatori a fare pressione sull'occupazione affinché implementi il protocollo umanitario.

Consegnato il corpo di Shiri Bibas

Il corpo della donna consegnato da Hamas è quello di Shiri Bibas, fatta prigioniera dai militanti palestinesi nell'ottobre 2023. La conferma è arrivata dalla famiglia.

"Dopo il processo di identificazione presso l'Institute of Forensic Medicine, questa mattina abbiamo ricevuto la notizia che temevamo di più. La nostra Shiri è stata assassinata in prigionia e ora è tornata a casa dai suoi figli, dal marito, dalla sorella e da tutta la sua famiglia per riposare", ha affermato la famiglia Bibas in una dichiarazione.

"Nonostante i nostri timori per la loro sorte, continuavamo a sperare di poterli riabbracciare, e ora siamo distrutti e addolorati", hanno dichiarato i familiari di Shiri Bibas su Instagram.

Hamas: "False accuse Israele sui Bibas, gioca con sentimenti delle famiglie"

Hamas ha respinto con fermezza le ''false accuse'' mosse da Israele secondo cui Ariel e Kfit Bibas sarebbero, secondo le Idf, ''stati assassinati brutalmente a mani nude''. In una nota Hamas ha ''condannato le false accuse dell'occupazione riguardo all'uccisione dei bambini della famiglia Bibas da parte dei rapitori e i tentativi di incolparci'' per la loro morte. Dal novembre del 2023 Hamas sostiene che i due bambini siano stati uccisi insieme alla loro madre in un raid aereo israeliano.

Hamas sostiene che le affermazioni delle Idf non sono altro che "menzogne ​​e diffamazioni infondate, volte a infangare la reputazione della resistenza e a legittimare i crimini dell'occupazione". Inoltre, ha aggiunto, "la resistenza ha mantenuto gli ostaggi al sicuro con lealtà e responsabilità, nel rispetto dei valori islamici e umanistici". Quindi, prosegue la nota, "le false affermazioni sono il palese tentativo dell'occupazione di giocare con i sentimenti delle famiglie degli ostaggi e di mitigare il risentimento del popolo".

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Esteri

Ucraina, media: “Zelensky non è pronto a firmare accordo su terre rare”

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Kiev riscontrerebbe "una serie di questioni problematiche" nella bozza del documento. Previsto incontro Russia-Usa entro prossime 2 settimane

Ucraina, media:

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non è pronto ad accettare un accordo sullo sfruttamento di minerali e terre rare con gli Stati Uniti. A rivelarlo una fonte anonima a Sky News secondo cui Kiev riscontra "una serie di questioni problematiche" nella bozza del documento.

Il presidente americano Donald Trump, che aveva annunciato che l'accordo era vicino, ha chiesto all'Ucraina un accordo per accedere alle risorse naturali del Paese in cambio di armi. "Oggi le bozze non riflettono una partnership nell'accordo e contengono solo impegni unilaterali da parte dell'Ucraina", ha affermato la fonte.

Secondo il Wall Street Journal, che cita fonti ben informate sui colloqui sull'accordo voluto dall'amministrazione Trump come compensazione per gli aiuti militari forniti da Washington a Kiev per contrastare l'invasione russa, dovrebbe essere invece firmato a breve, probabilmente già oggi.

La minaccia di Trump

"Questa guerra non riguarda tanto gli Stati Uniti quanto l'Europa. Noi abbiamo speso il triplo dell'Europa. Firmeremo un accordo" con gli ucraini "o ci saranno problemi con loro, firmeremo un accordo perché noi stiamo spendendo un tesoro per un paese lontanissimo, che sta spendendo il suo sangue. L'Europa presta il denaro, noi perdiamo i nostri soldi e dobbiamo essere trattati come l'Europa".

L'intesa sulle terre rare – i giacimenti ucraini fondamentali per numerosi settori industriali – consentirebbe agli Usa di riequilibrare i conti: "Speriamo di firmare a breve un accordo che ci permetterà di riavere 400 o 500 miliardi di dollari dopo averne dati 300. Siamo vicini all'accordo, loro lo vogliono. Biden avrebbe dovuto firmarlo, ma non sapeva cosa stava facendo…", ha detto Trump.

Ritiro Russia e Mosca "aggressore": cosa manca in bozza risoluzione Trump

Nessun appello al ritiro delle truppe russe dal territorio ucraino, né la definizione della Russia come ''aggressore''. Sono gli elementi che mancano, più che i contenuti, a fare la differenza nella bozza di risoluzione proposta dagli Stati Uniti alle Nazioni Unite alla vigilia del terzo anniversario dell'invasione russa dell'Ucraina, il 24 febbraio del 2022. La proposta, di cui la Dpa ha visionato una copia, contrasta con la bozza presentata dai Paesi europei e che invece chiede esplicitamente un ritiro immediato dei soldati russi dall'Ucraina.

Nel documento elaborato dagli Stati Uniti si fa appello alla fine del conflitto (non aggressione) e si esprime rammarico per la perdita di vite umane. La proposta europea verrà presentata lunedì all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. La proposta americana arriva dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha definito il presidente ucraino Volodymyr Zelensky "un dittatore". Trump ha anche detto che Zelensky "non avrebbe mai dovuto iniziare la guerra".

Media: "Previsto incontro Russia-Usa entro prossime 2 settimane"

Un secondo incontro tra i rappresentanti di Russia e Stati Uniti è previsto entro le prossime due settimane. Lo ha annunciato il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, citato dall'agenzia di stampa statale Ria, aggiungendo che l'incontro avrà luogo in un paese terzo.

Trump smentisce media: "Non andrò a Mosca il Giorno della Vittoria"

Intanto Trump ha affermato che alcune indiscrezioni dei media secondo cui avrebbe intenzione di visitare la Russia il 9 maggio, Giorno della Vittoria, non sono vere. "No, non è vero", ha detto Trump ai giornalisti alla Casa Bianca quando gli è stato chiesto se ha in programma la visita.

Ieri la stampa francese, citando fonti, aveva riferito che il presidente americano avrebbe intenzione di visitare la Russia il 9 maggio.

Kiev: "Due persone uccise e 12 ferite a seguito di attacchi nel Donetsk"

Due persone sono state uccise e 12 sono rimaste ferite a seguito degli attacchi nemici avvenuti nelle ultime 24 ore nella regione di Donetsk. Lo riferisce il capo dell'amministrazione militare regionale (Ova) Vadym Filashkin su Telegram. "I russi hanno ucciso 2 residenti della regione di Donetsk: a Kostyantynivka e Nykanorivka. Altre 12 persone nella regione sono rimaste ferite", ha scritto Filashkin.

Secondo l'Ova, le perdite totali tra la popolazione civile della regione (escluse Mariupol e Volnovakha) ammontano a 2.977 morti e 6.737 feriti.

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Esteri

Elezioni Germania, affluenza boom oggi: alle 14 ha votato il 52%

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Cittadini alle urne per rinnovare il Bundestag. Olaf Scholz, Friedrich Merz, Robert Habeck e Alice Weidel i candidati cancellieri dei principali partiti

Schede elettorali

Boom dell'affluenza in Germania nelle elezioni per il rinnovo del Bundestag, la Camera federale. Alle 14 di oggi, 23 febbraio, ha votato il 52% degli aventi diritto. Si tratta di una percentuale notevole, sottolinea la Bild, ricordando che nel 2021, l'affluenza alle urne alle 14 era del 36,5%. Nel 2017 alla stessa ora aveva votato il 41,1% degli aventi diritto. Dalla percentuale sono chiaramente esclusi i voti per posta.

Quasi 60 milioni di persone sono chiamate al voto oggi fino alle 18 per scegliere un governo che dovrà fare i conti con il crollo dell'alleanza transatlantica sotto Donald Trump e con le nuove minacce alla sicurezza europea, proprio mentre il modello economico del Paese sta entrando in crisi. Secondo gli ultimi sondaggi, sarà il capo dell'opposizione conservatrice (Cdu/Csu) Friedrich Merz il nuovo cancelliere: dovrebbe vincere con il 29,5% di voti favorevoli.

"Le grandi aspettative rispecchiano le grandi sfide che dovrà affrontare fin dal primo giorno del suo probabile mandato di cancelliere", ha affermato il settimanale tedesco Der Spiegel. "Una Russia aggressiva, un'America ostile e un'Europa che si sta allontanando: Merz potrebbe essere messo alla prova più duramente di qualsiasi cancelliere della repubblica del dopoguerra".

Merz ha recentemente ammesso che l'effettivo abbandono da parte di Trump delle promesse di difesa europee e l'aggressivo sostegno del suo vicepresidente JD Vance all'estrema destra Alternative für Deutschland (AfD) annunciavano "cambiamenti tettonici nei centri di potere politico ed economico del mondo". La Germania, ha detto, non ne sarebbe uscita indenne. L'indebolimento della Nato da parte di Trump e il tradimento dell'Ucraina sono "un pugno straziante allo stomaco", ha affermato Ursula Münch, direttrice del think tank dell'Accademia per l'educazione politica in Baviera, in particolare per l'Unione cristiano-democratica (Cdu) di Merz, che ha "solidarietà e amicizia con gli Stati Uniti nel profondo del suo Dna". "La sfida più grande per la Germania sarà quella di mettere insieme una dimostrazione di forza unita da parte dell'Ue e del Regno Unito".

Secondo i sondaggi, i socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz si attestano al 15% dei consensi, 10 punti in meno delle preferenze ricevute 4 anni fa, mentre l'Afd si attesta al 21%, oltre il doppio (era al 10,3%) rispetto al 2021.

Ecco chi sono i candidati cancellieri dei principali partiti.

Olaf Scholz. Quando il Bundestag lo ha eletto nel 2021 per succedere alla cancelliera Angela Merkel, vantava già una lunga carriera politica: entrato al Bundestag nel 1998, Scholz è stato segretario generale del Partito socialdemocratico (SPD) (2002-2004), ministro federale del Lavoro (2007-2009), sindaco della città-stato di Amburgo (2011-2018), ministro federale delle Finanze e vice-cancelliere del governo Merkel (2018-2021). Nato a Osnabrueck, in Bassa Sassonia, nel 1958, avvocato del lavoro, sposato con l'esponente politica socialdemocratica Britta Ernst, amante della corsa e del canottaggio, aspirante cancelliere fin dall'età di 12 anni – secondo quanto raccontato dal padre – dopo la vittoria elettorale del 2021, Scholz ha dato vita alla prima 'coalizione semaforo' federale in Germania, composta da Spd, Liberali e Verdi, un'esperienza che si è conclusa il 6 novembre scorso con la cacciata del ministro delle Finanze liberale Christian Lindner decisa dallo stesso Scholz e l'uscita dei ministri Fdp dal governo.

L'inizio della fine per un esecutivo che si era trovato fin dal principio a governare in una stravolta realtà politica internazionale: Scholz aveva giurato da cancelliere l'8 dicembre 2021, meno di tre mesi prima dell'invasione dell'Ucraina. Tre giorni dopo l'inizio della guerra, il cancelliere annunciava in parlamento una 'Zeitenwende', o svolta epocale, per la politica estera e di difesa tedesca. Dal punto di vista geopolitico, prometteva un ripensamento radicale delle relazioni della Germania con la Russia. Dal punto di vista geostrategico, annunciava un importante potenziamento delle forze armate tedesche, proponendo di creare un fondo fuori bilancio di 100 miliardi di euro. Dal punto di vista geoeconomico, si impegnava a ridurre drasticamente la dipendenza del Paese dall'energia russa.

Friedrich Merz, 69 anni. E' il principale sfidante di Scholz, il candidato cancelliere per l'Unione (cristianodemocratica e cristianosociale, Cdu/Csu), il favorito, secondo i sondaggi. Aspirante candidato cancelliere alle elezioni del 2002, gli fu preferito il cristianosociale Edmund Stoiber, che perse contro Gerhard Schoeder. Nato a Brilon, nel NordReno Westfalia, il facoltoso avvocato aziendale, appassionato pilota di aerei e proprietario di un jet privato, sposato con una giudice e padre di tre figli, ha esperienza come parlamentare ma non ha mai rivestito un incarico di governo. E' stato membro del Parlamento europeo tra il 1989 e il 1994, quindi deputato al Bundestag tra il 1994 e il 2009 e poi di nuovo dal 2021, e presidente del gruppo parlamentare Cdu/Csu tra il 2000 e il 2002 – quando lascia il posto a Angela Merkel ed inizia ad allontanarsi progressivamente da ogni incarico – e poi di nuovo dal 2022, dopo il suo riavvicinamento alla politica. Per molti anni è stato considerato l'avversario conservatore di Merkel all'interno dell'Unione cristianodemocratica.

Nel 2009, dopo il ritiro dalla vita politica, Merz è tornato a svolgere incarichi di avvocato aziendale, tra cui quello di presidente del Consiglio di vigilanza di BlackRock Germany. Dopo la rinuncia di Angela Merkel alla guida della Cdu, Merz ha annunciato che avrebbe concorso alle elezioni per la leadership del partito nel dicembre 2018. Sconfitto da Annegret Kramp-Karrenbauer, dopo la rinuncia di quest'ultima nel febbraio del 2020, annuncia di voler correre una seconda volta. Sconfitto nel gennaio del 2021 da Armin Laschet, dopo le dimissioni di quest'ultimo a seguito dell'insuccesso del partito alle elezioni federali, viene eletto Presidente del Partito. All'interno del suo stesso schieramento, a Merz – considerato un brillante oratore – viene attribuito il merito di aver riunito la Cdu dopo la sconfitta del 2021 e di aver favorito la riconciliazione con la Csu dopo le divisioni sulle aperture di Merkel in materia di politica migratoria. Se eletto, il 69enne sarebbe il cancelliere più anziano ad assumere l'incarico dai tempi di Konrad Adenauer.

Robert Habeck, candidato cancelliere per i Verdi, nato a Lubecca nel 1969, è stato vice primo ministro e sottosegretario per l'energia, l'agricoltura, l'ambiente e le aree rurali nel governo dello Schleswig-Holstein dal 2012 e tra il 2017 e il 2018. In quanto rappresentante del suo stato al Bundesrat, ha fatto parte della commissione per la politica agricola e la protezione dei consumatori; la commissione per l'ambiente, la protezione della natura e la sicurezza dei reattori; la commissione per gli affari economici; e la commissione per i trasporti. Dal 2014 al 2016, Habeck è stato uno dei membri della Commissione nazionale temporanea per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi della Germania. In qualità di vice-cancelliere e ministro dell'Economia e del Clima della Germania nel governo Scholz, è stato profondamente coinvolto nella transizione del Paese verso un futuro più sostenibile.

È stato co-leader del partito Buendnis 90/Die Gruenen (2018-2022) assieme a Annalena Baerbock. Habeck ha promosso politiche ambientali ambiziose che prevedono l'eliminazione graduale dei sistemi di riscaldamento a combustibili fossili, un piano che ha suscitato resistenze, in particolare da parte di settori preoccupati per i costi e la praticabilità di tali cambiamenti. Habeck è entrato tardi in politica, e si è unito ai Verdi nel 2002 a causa della mancanza di una pista ciclabile nel suo Land natale, lo Schleswig-Holstein, come ama ricordare. In soli due anni è diventato presidente regionale del partito e poi ministro regionale per la transizione energetica, l'agricoltura, l'ambiente e le aree rurali. Ministro dell'Economia, di recente ha dovuto rivedere nuovamente al ribasso le previsioni di crescita per il 2025 dopo due anni di recessione. Habeck ha studiato filosofia e linguistica e ha conseguito un dottorato di ricerca. Ha scritto romanzi e libri per bambini con la moglie e diversi libri di saggistica politica.

Alice Weidel. Nata nel 1979 a Guetersloh, è il primo vero candidato cancelliere dell'AfD nei suoi dodici anni di storia: alle ultime elezioni federali, nel 2021, Weidel e Tino Chrupalla erano stati scelti come coppia 'di punta' espressa dal partito in vista del voto. Soprannominata 'Lille', Weidel è cresciuta con due fratelli a Harsewinkel, nello Stato tedesco occidentale del NordReno Westfalia, in una famiglia di imprenditori. Dopo il diploma e gli studi di economia, ha lavorato presso la banca d'investimento Goldman Sachs, ha trascorso diversi anni in Cina e ha conseguito il dottorato con una tesi sul sistema pensionistico cinese.

Si è unita all'AfD nel 2013, anno della fondazione di un partito che inizialmente si voleva soprattutto euroscettico, frustrata dalla politica della zona Euro. Un tempo su posizioni diverse da quelle del leader di Afd in Turingia, Bjoern Hoecke, che voleva fuori dal partito, Weidel si è da tempo riconciliata con l'estrema destra del movimento. Ha beneficiato, in campagna elettorale, dell'appoggio dichiarato di Elon Musk con la sua piattaforma X. La co-presidente dell'AfD si divide tra la Germania e la Svizzera, dove cresce i due figli con la moglie.

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Esteri

Israele schiera tank in Cisgiordania e lancia attacchi in Libano. A Beirut i funerali di...

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Israele rinvia il rilascio di 620 prigionieri palestinesi. Hamas: "Mette in grave pericolo l'intero accordo di tregua".

Decine di migliaia di persone a Beirut per i funerali di Nasrallah (Afp)

L'esercito israeliano ha annunciato che dispiegherà carri armati a Jenin come parte dell'espansione dell'operazione in Cisgiordania. Secondo l'esercito, le forze della Brigata Nahal e Duvdevan opereranno in altri villaggi, mentre proseguono le operazioni in corso a Jenin e Tulkarem. È la prima volta in 20 anni che i carri armati vengono impiegati in operazioni in Cisgiordania.

"L'Idf, lo Shin Bet e le forze di polizia di frontiera continuano la loro operazione antiterrorismo nel nord della Samaria (Cisgiordania) e stanno espandendo le attività offensive nell'area", si legge in un comunicato militare, aggiungendo che "una divisione di carri armati opererà a Jenin come parte dello sforzo offensivo".

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha reso noto di aver dato ordine alle Idf di restare per il prossimo anno nei campi profughi della Cisgiordania, mentre il presidente della Knesset Amir Ohana ha chiesto l'annessione della Cisgiordania, affermando che gli insediamenti sono l'unico modo per Israele di raggiungere la pace.

Netanyahu: "Pronti a riprendere i combattimenti in ogni momento"

Intanto Benjamin Netanyahu ribadisce che Israele è pronto a riprendere i combattimenti nella Striscia di Gaza. "Noi siamo pronti a riprendere combattimenti intensi in ogni momento, i nostri piani operativi sono pronti. Noi raggiungeremo interamente gli obiettivi della guerra, che sia attraverso il negoziato o con altri mezzi".

E per la sicurezza di Israele il premier chiede anche "la smilitarizzazione totale del sud della Siria". Parlando in occasione di una cerimonia a Holon, il premier Benjamin Netanyahu ha detto: "Noi non permetteremo che le forze di Hts (il gruppo radicale islamico Hayat Tahrir al-Sham che ha preso il potere a Damasco, ndr) o che il nuovo esercito siriano entrino nella zona a sud di Damasco. Noi chiediamo la smilitarizzazione totale del sud della Siria".

Hamas: "Israele mette in grave pericolo l'intero accordo di tregua"

Intanto Hamas ha accusato Israele di "mettere in serio pericolo l'intero accordo di tregua" dopo la decisione del governo israeliano di rinviare il rilascio di 620 prigionieri palestinesi che avrebbero dovuto essere liberati in cambio del ritorno di sei ostaggi israeliani a Gaza. "Ritardando il rilascio dei nostri prigionieri, il nemico si comporta come un delinquente e mette seriamente in pericolo l'intero accordo" di tregua, ha dichiarato Bassem Naïm, un alto funzionario di Hamas, invitando i mediatori che hanno reso possibile l'accordo, "in particolare gli Stati Uniti", a "fare pressione sul nemico affinché applichi l'accordo e rilasci immediatamente questo gruppo di prigionieri".

Attacchi in Libano

Oggi si registrano nuovi attacchi di Israele in Libano. Le Idf confermano di aver effettuato attacchi aerei nel Libano meridionale. Uno degli obiettivi era un sito militare di Hezbollah contenente lanciarazzi e altre armi, dove l'esercito afferma di aver individuato attività da parte del gruppo terroristico.

Secondo l'esercito, l'attività di Hezbollah nel sito costituisce una "violazione degli accordi tra Israele e Libano". Inoltre, le Idf dicono di aver colpito diversi altri lanciarazzi di Hezbollah nel Libano meridionale, "che rappresentavano una minaccia per i civili israeliani".

I media statali libanesi hanno riferito di attacchi israeliani in Libano, a circa 10 chilometri dal confine meridionale, mentre i fedeli si riunivano a Beirut per il grande funerale del leader di Hezbollah assassinato, Hassan Nasrallah. "Aerei nemici hanno lanciato due raid contro la zona tra Qleileh e Sammaaiyah, nel distretto di Tiro", ha affermato l'agenzia di stampa nazionale ufficiale.

Media libanesi riportano anche la notizia di un nuovo attacco aereo israeliano nei pressi del villaggio di Brissa, nel distretto di Hermel, nel Libano settentrionale. Brissa si trova a più di 130 chilometri dal confine israeliano.

Secondo quanto riferisce inoltre la rete libanese affiliata a Hezbollah Al-Mayadeen, Israele ha effettuato un attacco aereo nell'area di Al-Hermel, nella regione della Bekaa, nel Libano orientale.

Decine di migliaia di persone a Beirut per funerali Nasrallah

Decine di migliaia di persone si sono radunate per partecipare ai funerali di Nasrallah, in uno stadio alla periferia di Beirut. Molte le bandiere di Hezbollah e i ritratti del leader assassinato che ha guidato il movimento libanese, sostenuto dall'Iran, per oltre tre decenni. Uomini, donne e bambini provenienti dal Libano e da altri luoghi hanno camminato a piedi nel freddo pungente per raggiungere il luogo della cerimonia, ritardata per motivi di sicurezza dopo la morte di Nasrallah avvenuta in un massiccio attacco israeliano al bastione di Hezbollah a Beirut sud a settembre.

Ritratti giganti di Nasrallah e di Hashem Safieddine (il successore designato di Nasrallah, ucciso in un altro attacco aereo israeliano prima che potesse assumere l'incarico) sono stati affissi sui muri e sui ponti nella parte sud di Beirut.

Secondo quanto riportano i media libanesi, aerei israeliani hanno volato a bassa quota sopra Beirut, poco dopo l'inizio dei funerali di Nasrallah. "Aerei da combattimento nemici hanno sorvolato Beirut e i suoi sobborghi a bassa quota", ha riferito l'agenzia di stampa ufficiale Ani. "Il rumore dei vostri aerei non ci spaventerà", ha risposto uno dei relatori alla cerimonia, mentre decine di migliaia di partecipanti inneggiavano "morte a Israele".

Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha confermato che i caccia dell'Idf hanno sorvolato la cerimonia funebre. Lo riporta il Times of Israel. “Gli aerei dell'aviazione israeliana che attualmente sorvolano Beirut, sopra il funerale di Hassan Nasrallah, trasmettono un messaggio chiaro: sarà la fine di coloro che minacciano di distruggere Israele e attaccano Israele – ha affermato in un comunicato – Voi vi specializzerete nei funerali, noi nelle vittorie”.

Il leader di Hezbollah, Naim Qassem, ha promesso di continuare il percorso tracciato dal suo predecessore Nasrallah, che “rimane vivo in noi”, ha dichiarato Qassem nel suo discorso davanti a decine di migliaia di persone. “Resteremo fedeli all'eredità che ci è stata affidata e continueremo su questa strada”, ha aggiunto.

“Noi in Libano non permetteremo al tiranno americano di controllare il nostro Paese. La resistenza contro Israele non è finita, continua”, ha scandito Qassem da Beirut.

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Esteri

Ucraina, Zelensky: “Pronto a dimettermi per la pace o ingresso nella Nato”

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L'annuncio del presidente ucraino nel corso di una conferenza stampa a Kiev. "Trump mi ha chiamato dittatore? Sono presidente legittimamente eletto"

Volodymyr Zelensky - Fotogramma

Volodymyr Zelensky potrebbe lasciare la presidenza in cambio della "pace in Ucraina o dell'ingresso" del Paese "nella Nato". Lo ha detto esplicitamente lo stesso presidente ucraino, nel corso di una conferenza stampa oggi, 23 febbraio, a Kiev alla vigilia del terzo anniversario della guerra.

Alla domanda se sarebbe disposto a lasciare la presidenza, come sollecitato anche da Donald Trump, che ha chiesto nuove elezioni, in cambio della pace, Zelensky ha risposto: "Sì, sarei felice, se fosse per la pace in Ucraina". E poi ha aggiunto: "Se serve che io lascio il mio posto, sono pronto a farlo, e posso farlo anche in cambio dell'adesione dell'Ucraina alla Nato".

"Io dittatore? Non mi sono offeso"

Quanto alle parole del presidente Usa che lo ha definito un dittatore "non definirei certo le parole usate da Trump come un complimento – ha affermato Zelensky -. Uno si sentirebbe offeso dalla parola dittatore se fosse un dittatore. Non lo sono. Sono il presidente legalmente eletto”.

L'appello a Trump e l'accordo per le terre rare

Zelensky ha chiesto quindi a Donald Trump di “comprendere” la posizione dell'Ucraina e di fornire garanzie di sicurezza. In una conferenza stampa a Kiev, il presidente ucraino ha detto: "Voglio che Trump capisca molto bene la nostra posizione, le garanzie di sicurezza da parte di Trump sono molto necessarie".

Zelensky ha poi affermato che "stiamo facendo progressi" nei negoziati con le autorità statunitensi sulle terre rare in cambia di assistenza alla sicurezza. Le sue parole, arrivate in conferenza stampa da Kiev, confermano quanto anticipato nelle ore precedenti dall'inviato di Donald Trump, Steve Witkoff, che aveva detto di aspettarsi un accordo già in settimana.

E Zelensky ha dichiarato di voler incontrare Trump prima di un eventuale vertice tra il presidente americano e Vladimir Putin. “Dobbiamo incontrarci e parlare” con Washington dell'accordo sulle terre rare, ha dichiarato Zelensky. “Penso che questo incontro debba essere equo, cioè avvenire prima che Trump incontri Putin”, ha aggiunto.

Domani l'incontro con i leder stranieri

Per Zelensky, l'incontro con i leader stranieri di domani – per il terzo anniversario dell'invasione russa – potrebbe essere un "punto di svolta". "Domani abbiamo un incontro importante, un vertice. Forse sarà un punto di svolta, vedremo. Ci saranno 13 leader offline. Ci saranno anche 24 leader online", ha detto in conferenza stampa da Kiev.

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Esteri

Elon Musk e la mail ai dipendenti federali: “Dite cosa fate o andatevene”

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Il magnate in pressing sui lavoratori: "C'è gente che non guarda nemmeno la posta elettronica"

Elon Musk

"Dite cosa avete fatto o dimettetevi". La nuova iniziativa di Elon Musk scuote gli Stati Uniti. Il magnate, responsabile del dipartimento per l'Efficienza del governo (Doge), ha annunciato l'invio di una mail ai dipendenti federali. "In linea con le istruzioni di Donald Trump, tutti i dipendenti federali riceveranno a breve un'e-mail con la richiesta di capire cosa hanno fatto la scorsa settimana. La mancata risposta sarà considerata come una dimissione", si legge nel post che annuncia la comunicazione.

I dipendenti federali riceveranno la mail entro la serata di domenica e dovranno fornire una risposta articolata in 5 punti, più o meno: l'elenco andrà inviato nella risposta e per conoscenza dovrà essere spedito anche la responsabile della struttura in cui opera il dipendente. Nella mail, evidenziano i media americani, non c'è nessun riferimento esplicito alle conseguenze di una mancata risposta. In particolare, non si accenna alla possibilità che l'assenza di una replica venga considerata come automatiche dimissioni.

L'approccio di Musk, in un periodo in cui tutta la macchina pubblica viene sfrondata con licenziamenti massicci, finisce ovviamente sotto i riflettori. I media americani danno ampio spazio ai pareri di legali. In sostanza, l'iter scelto da Mr X non è ortodosso: prima di rispondere, un dipendente federale dovrebbe consultare il proprio responsabile e confrontarsi anche con il sindacato. La Cnn, inoltre, riferisce che diverse agenzie hanno esplicitamente chiesto ai proprio dipendenti di non rispondere, almeno per il momento, visti i temi sensibili trattati nell'attività quotidiana.

Musk, intanto, tira dritto e – ovviamente su X – rivendica la correttezza della propria iniziativa. "Il motivo per cui tutto questo è importante -scrive in un post- che un numero significativo di persone che dovrebbero lavorare per il governo fanno talmente poco da non controllare nemmeno la posta elettronica". "In alcuni casi, crediamo che persone inesistenti o identità di persone decedute vengano utilizzate per riscuotere gli assegni. In altre parole, si tratta di una vera e propria frode", prosegue.

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Esteri

Allarme bomba sul volo New York-Nuova Delhi, atterraggio d’emergenza a Roma

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L'allarme è arrivato da terra mentre l'aereo stava sorvolando il Mar Caspio

L'aereo a Fiumicino

Un aereo dell'American Airlines, partito da New York e diretto a nuova Delhi, è atterrato all'aeroporto di Fiumicino dopo aver ricevuto via terra la segnalazione di un allarme bomba mentre stava sorvolando il Mar Caspio.

Invertita la rotta, l'aereo è giunto nello scalo romano e lì sono state espletate le verifiche di sicurezza con il controllo dei passeggeri, dei bagagli e dell'aereo stesso.

Il Boeing 787 Dreamliner era decollato da New York ieri alle 20:14 e stava sorvolando il Mar Caspio quando è scattato l'allarme. In un comunicato, la compagnia aerea ha dichiarato che il volo "AA 292, che opera da New York a Delhi, è stato dirottato su Roma a causa di una potenziale minaccia alla sicurezza a bordo. Stiamo lavorando a stretto contatto con le autorità locali e forniremo aggiornamenti. Apprezziamo la pazienza e la collaborazione dei nostri passeggeri”.

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Elezioni Germania, ambasciatore Lucas: “Sicurezza europea sfida più urgente, non...

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Intervento a ‘Il voto sopra Berlino’, lo speciale Adnkronos sul voto

Hans-Dieter Lucas

"Dopo le drammatiche dichiarazioni da Washington, che segnano l'inizio di una nuova epoca, il nostro obiettivo rimane lo stretto partenariato con gli Usa, ma dobbiamo trovare un nuovo modo per proteggere la pace e la sicurezza in Europa. Questa è la sfida più urgente non solo per il nuovo governo tedesco". Lo ha detto l'ambasciatore tedesco in Italia, Hans-Dieter Lucas, intervenendo a ‘Il voto sopra Berlino’, lo speciale Adnkronos in diretta dalla sua residenza romana.

"Possiamo superare la sfida se mettiamo da parte il malinteso che vuole l'Euopa debole e sola, e forse questo spirito di fiducia ha già una data simbolica, che potrebbe essere domani 24 febbraio. Esattamente tre anni fa Putin ha cominciato la brutale aggressione contro l'Ucraina. Non tutti sembrano ricordare che la Russia di Putin è l'aggressore contro cui continuiamo a sostenere l'Ucraina", ha aggiunto.

"La campagna elettorale è stata incentrata sulle grandi sfide del nostro tempo: la politica migratoria, la crescita, l'economia, la transizione verde e anche la sicurezza europea e il futuro delle relazioni transatlantiche. Penso che il nuovo governo dovrà affrontare quanto prima queste questioni – ha spiegato -Nessuna di queste sfide può essere affrontata da sola dalla Germania, ed ecco perché continuerà a essere una forza in Europa, e per questo abbiamo bisogno di partner, tra cui naturalmente l'Italia, che è uno dei nostri amici più stretti e partner strategici in Europa. Tutti speriamo che si formi al più presto un governo in grado di agire, ma occorre la maggioranza assoluta".

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Esteri

Elezioni Germania, Cdu verso 30%. Merz: “Governo stabile”. Exploit Afd oltre...

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Urne chiuse, affluenza all'84%: mai così alta dal 1990

Friedrich Merz

Cdu-Csu al 28,8%, Afd al 20,2% Spd al 16,2%, Verdi al 12,4% nelle elezioni in Germania secondo le proiezioni diffuse dall'emittente Ard dopo il voto di oggi, 23 febbraio 2025, per il rinnovo del Bundestag. Il blocco Cdu-Csu sfiora il 30%, l'Afd supera il 20% ed è il secondo partito davanti ai socialdemocratici del cancelliere uscente, Olaf Scholz, che ottengono un risultato estremamente negativo.

La Linke avrebbe ottenuto l'8,5%: la Fdp – il partito liberale – il 4,9% e Bsw il 4,8%, al di sotto della soglia di sbarramento del 5%.

Secondo Zdf, Cdu/Csu è al 28,5%, AfD al 20,1%, Spd al 16,3%, Verdi al 12,4%, Sinistra al 8,7%, Fdp al 4,9%, Bsw al 5%, altri al 4,1%.

Merz: "Abbiamo vinto, ora governo stabile"

"Abbiamo vinto queste elezioni", dice Friedrich Merz, leader della Cdu e a questo punto in pole position per la carica di cancelliere. L'obiettivo "ora è creare un governo stabile al più presto possibile". "Abbiamo vinto perché la Cdu e la Csu hanno lavorato bene insieme e ci siamo preparati molto bene", afferma Merz ringraziando il leader della Csu, Markus Soeder, e, soprattutto, gli elettori.

Il candidato cancelliere dell'Unione parla di una "dura campagna elettorale" con i suoi rivali politici. "Ma ora ci parleremo. La cosa principale è creare un governo stabile il più rapidamente possibile. Il mondo là fuori non ci aspetta. Dobbiamo diventare capaci di agire rapidamente", aggiunge, dicendo di voler dimostrare al mondo che la Germania è di nuovo governata bene.

Afd: "Vittoria storica, pronti a contribuire a nuovo governo"

Alice Weidel, co-leader di Afd, celebra la "vittoria storica" del suo partito. "Siamo pronti ad assumerci la responsabilità del Paese", dice Weidel. L'Afd è pronta contribuire alla formazione del nuovo governo, aggiunge Weidel sottolineando che "la nostra mano sarà sempre tesa per partecipare al governo, al fine di attuare la volontà del popolo, la volontà della Germania". "Non siamo mai stati così forti a livello nazionale", dice Weidel all'Ard. "La nostra mano sarà sempre tesa per partecipare ad un governo e tradurre in pratica la volontà del popolo", ribadisce, ricordando inoltre di voler "chiudere le frontiere" agli stranieri e abbassare le tasse. "Abbiamo bisogno di un cambiamento politico, la nostra mano è tesa, bisogna solo afferrarla".

Spd, il mea culpa di Scholz

"Mi assumo la responsabilità di questa sconfitta amara", il commento di Scholz dopo il deludente risultato dell'Spd. Questo è il momento "in cui dobbiamo riconoscere che abbiamo perso le elezioni", dice Scholz parlando davanti ai suoi sostenitori e ammettendo "gli scarsi risultati" dell'Spd, inchiodata al 16-16,5%, che sarebbe il dato più basso dal 1887. L'esito del voto di oggi "è peggiore" di quello di cinque anni fa e "sono responsabile anche di questo".

Affluenza record

Le elezioni sono state caratterizzate da un'affluenza molto elevata: sarebbe stato raggiunto l'84% secondo l'Ard, che fa riferimento al dato più alto dal 1990.

La ripartizione dei seggi

Cdu-Csu e Spd avrebbero insieme la maggioranza dei seggi al Bundestag. E' quanto emerge da un calcolo della Ard, secondo cui i conservatori di Friedrich Merz e i socialdemocratici del cancelliere uscente Olaf Scholz avrebbero rispettivamente 211 e 116 seggi, per un totale di 327, oltre i 316 necessari per la maggioranza.

All'Afd, con cui è stata esclusa ogni possibile alleanza, andrebbero 142 seggi, ai Verdi 98 e alla Linke 62. Nessun seggio andrebbe ai liberali dell'Fdp e ai populisti del Bsw, che secondo gli exit poll di Ard non avrebbero il 5% dei voti necessari per entrare al Bundestag.

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Esteri

Italia-Emirati, Ghribi: “300 imprenditori al forum, rapporti eccellenti anche...

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L'imprenditore e filantropo alla vigilia del Forum imprenditoriale Italia-Emirati Arabi Uniti che si apre domani a Roma: "Leader della Terra devono promuovere pace e prosperità"

Kamel Ghribi

"Voglio parlare con la chiarezza e concretezza dell’imprenditore: i rapporti dell’Italia con gli Emirati Arabi Uniti hanno avuto alti e bassi. Adesso il livello della relazione diplomatica è veramente eccellente. La visita di Stato del presidente Bin Zayed e l’incontro con il presidente Mattarella è un segno di questo, così come un altro segno chiaro è il conferimento all’Ambasciatore d’Italia negli Emirati, Lorenzo Fanara, del premio come migliore ambasciatore del mondo tra quelli accreditati ad Abu Dhabi. Il Business forum dovrà stabilizzare queste relazioni al livello di eccellenza in cui si trovano raccogliendo il frutto dei rapporti in essere. Mi riferisco a intese e investimenti. La partecipazione di 300 imprenditori dei due Paesi al Forum è la certificazione dell’interesse straordinario e reciproco che ci lega. Del resto la premier Giorgia Meloni è già stata tre volte negli Emirati supportando le imprese. Con la sottoscrizione di 14 intese governative e oltre 30 imprese coinvolte potrebbero determinarsi, tra le altre cose, investimenti per 40 miliardi nel nostro Paese". Così all'Adnkronos l’imprenditore e filantropo Kamel Ghribi, alla vigilia del Forum imprenditoriale Italia-Emirati Arabi Uniti, che si apre domani a Roma, intervenendo sul momento di particolare instabilità politica mondiale.

La diplomazia istituzionale "vale doppio quando promuove canali di diplomazia economica che portano risultati economici consolidando ancor di più l’amicizia tra i Paesi coinvolti", aggiunge Ghribi, che sul ruolo dei leader della Terra in questo momento di grande incertezza dal punto di vista geopolitico non ha dubbi: "Devono promuovere pace e prosperità". Oltre a "difendere l’interesse nazionale conciliandolo con le evoluzioni di un mondo in costante cambiamento. Si tratta di essere visionari e coraggiosi – sottolinea Ghribi – Ogni anno che comincia, se facciamo il conto, ci rendiamo conto che ci sono più guerre dell’anno prima. Per questo dico che il vero leader è quello capace di difendere l’interesse nazionale nel questo dell’evoluzione globale. Senza pace non c’è sviluppo e prosperità e se c’è invece povertà si alimenta l’instabilità e il rischio di conflitti. Per questo occorre sempre ricordare che pace e prosperità camminano insieme". Ci vogliono "saggezza, visione e coraggio; ed è quello che va chiesto ai leader che sono in grado, con le loro decisioni, di condizionare i destini del mondo", conclude.

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Elezioni Germania, Tremonti: “Classica coalizione segnale stabilità, addio ipotesi...

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Giulio Tremonti

"Da queste elezioni emerge la classica combinazione tra cristiano-democratici e socialisti. Credo che sia un'indicazione di forte stabilità, sicuramente positiva per l'Europa, e la fine dell'ipotesi di un sovvertimento totale". Lo ha detto il presidente della Commissione Esteri della Camera, Giulio Tremonti, intervenendo a ‘Il voto sopra Berlino’, lo speciale Adnkronos in diretta dalla residenza dell’ambasciatore tedesco a Roma.

"L'economia tedesca ha dei cicli. Ricordo nel 2003 la Commissione Europea voleva addirittura dare sanzioni, che non ci furono per iniziativa italiana. Poi l'economia si è ripresa, ma ora la crisi è molto più intensa di allora – ha continuato Tremonti – L'impatto della crisi dell'auto ha un impatto molto evidente anche sull'Italia, ma la Germania ha tutto per venirne fuori". "Forse è venuto il momento di ammettere gli errori. Ho sempre pensato che sia stato creato nella logica della globalizzazione un eccessivo rapporto con la Cina, così decisivo e fondamentale. Sarebbe utile che qualcuno in Europa iniziasse a dire 'mea culpa'. La Cina ha a sua volta enormi problemi, ma è un concorrente, non un cliente", ha spiegato. "Ma l'Europa deve lavorare su sé stessa, sui suoi eccessi di regole e i suoi eccessi di austerità", ha detto Tremonti.

"Sono convinto che l'idea della pace, ossia di un accordo tra G7, sia la via maestra e principale. Si diceva nell' '800 che 'i confini non attraversati dalle merci, sono attraversati dagli eserciti'. Più o meno è così: la globalizzazione come ideologia si è piantata negli ultimi anni, ma il mondo resta globale e necessita di regole generali. Io resto convinto che l'Occidente ha un primato sul resto del mondo perché ha la libertà, questa ti dà la scelta. Vedi i vaccini e la Cina", ha concluso.

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Elezioni Germania, Trump: “Vincono i conservatori, grande giorno per il Paese”

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Il presidente Usa: "I tedeschi come gli americani sono stanchi di un'agende senza senso su energia e migranti"

Donald Trump - Fotogramma

Donald Trump saluta con entusiasmo la vittoria di Cdu-Csu alle elezioni tedesche: è "un grande giorno" per la Germania. In un post su Truth social, il presidente americano scrive: "Sembra che il partito conservatore in Germania abbia vinto le grandi e attesissime elezioni. Proprio come negli Stati Uniti, il popolo tedesco si è stancato dell'agenda priva di buon senso, soprattutto in materia di energia e immigrazione, che ha prevalso per tanti anni".

"Questo è un grande giorno per la Germania e per gli Stati Uniti d'America sotto la guida di un signore di nome Donald J. Trump – sottolinea il presidente – congratulazioni a tutti, molte altre vittorie seguiranno"!!!

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Elezioni Germania, chi è Friedrich Merz l’anti-Merkel prossimo cancelliere

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Sposato e padre di tre figli al facoltoso avvocato aziendale, appassionato pilota di aerei viene riconosciuto il merito di aver riunito e riconciliato Cdu e Csu

Friedrich Merz - Afp

Friedrich Merz, 69 anni, esce vincitore dal voto per il rinnovo del Bundestag celebrato oggi, 23 febbraio, in Germania. Il principale sfidante di Olaf Scholz, candidato cancelliere per l'Unione (cristianodemocratica e cristianosociale, Cdu/Csu), era stato già una volta aspirante candidato cancelliere, alle elezioni del 2002, quando gli fu preferito il cristianosociale Edmund Stoiber, che poi perse contro Gerhard Schoeder.

Nato a Brilon, nel NordReno Westfalia, il facoltoso avvocato aziendale, appassionato pilota di aerei e proprietario di un jet privato, sposato con una giudice e padre di tre figli, ha esperienza come parlamentare ma non ha mai rivestito un incarico di governo. E' stato membro del Parlamento europeo tra il 1989 e il 1994, quindi deputato al Bundestag tra il 1994 e il 2009 e poi di nuovo dal 2021, e presidente del gruppo parlamentare Cdu/Csu tra il 2000 e il 2002 – quando ha lasciato il posto a Angela Merkel iniziando ad allontanarsi progressivamente da ogni incarico – e poi di nuovo dal 2022, dopo il suo riavvicinamento alla politica.

Per molti anni è stato considerato l'avversario conservatore di Merkel all'interno dell'Unione cristianodemocratica. Nel 2009, dopo il ritiro dalla vita politica, Merz è tornato a svolgere incarichi di avvocato aziendale, tra cui quello di presidente del Consiglio di vigilanza di BlackRock Germany. Dopo la rinuncia di Angela Merkel alla guida della Cdu, Merz ha annunciato che avrebbe concorso alle elezioni per la leadership del partito nel dicembre 2018.

Sconfitto da Annegret Kramp-Karrenbauer, dopo la rinuncia di quest'ultima nel febbraio del 2020, ha annunciato di voler correre una seconda volta. Sconfitto nel gennaio del 2021 da Armin Laschet, dopo le dimissioni di quest'ultimo a seguito dell'insuccesso del partito alle elezioni federali, è stato eletto Presidente del Partito. All'interno del suo stesso schieramento, a Merz – considerato un brillante oratore – viene attribuito il merito di aver riunito la Cdu dopo la sconfitta del 2021 e di aver favorito la riconciliazione con la Csu dopo le divisioni sulle aperture di Merkel in materia di politica migratoria. Ora il 69enne politico sembra destinato a diventare il prossimo cancelliere, il più anziano ad assumere l'incarico dai tempi di Konrad Adenauer.

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Esteri

Israele schiera carri armati in Cisgiordania, prima volta in 20 anni. Attacchi in Libano

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Hamas: “Israele mette in grave pericolo l’intero accordo di tregua”. Decine di migliaia di persone radunate a Beirut per funerali Nasrallah

Soldati israeliani (Afp)

L’esercito israeliano ha annunciato che dispiegherà carri armati a Jenin come parte dell’espansione dell’operazione in Cisgiordania. Secondo l’esercito, le forze della Brigata Nahal e Duvdevan opereranno in altri villaggi, mentre proseguono le operazioni in corso a Jenin e Tulkarem. È la prima volta in 20 anni che i carri armati vengono impiegati in operazioni in Cisgiordania.

“L’Idf, lo Shin Bet e le forze di polizia di frontiera continuano la loro operazione antiterrorismo nel nord della Samaria (Cisgiordania) e stanno espandendo le attività offensive nell’area”, si legge in un comunicato militare, aggiungendo che “una divisione di carri armati opererà a Jenin come parte dello sforzo offensivo”.

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dichiarato di aver dato ordine alle Idf di restare per il prossimo anno nei campi profughi della Cisgiordania, mentre il presidente della Knesset Amir Ohana ha chiesto l’annessione della Cisgiordania durante una visita nella parte settentrionale del territorio, affermando che gli insediamenti sono l’unico modo per Israele di raggiungere la pace.

Hamas: “Israele mette in grave pericolo l’intero accordo di tregua”

Hamas ha accusato Israele di “mettere in serio pericolo l’intero accordo di tregua” dopo la decisione del governo israeliano di rinviare il rilascio di 620 prigionieri palestinesi che avrebbero dovuto essere liberati in cambio del ritorno di sei ostaggi israeliani a Gaza. “Ritardando il rilascio dei nostri prigionieri, il nemico si comporta come un delinquente e mette seriamente in pericolo l’intero accordo” di tregua, ha dichiarato Bassem Naïm, un alto funzionario di Hamas, invitando i mediatori che hanno reso possibile l’accordo, “in particolare gli Stati Uniti”, a “fare pressione sul nemico affinché applichi l’accordo e rilasci immediatamente questo gruppo di prigionieri”.

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Esteri

Ucraina: “Attacco record della Russia con 267 droni”

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Gb annuncia il più grande pacchetto di sanzioni contro la Russia da inizio guerra. Medvedev: “Il tempo ha dimostrato che l’operazione speciale era giusta”

Droni (Afp)

La Russia ha lanciato 267 droni contro l’Ucraina nella notte tra sabato e domenica, “un record” dall’invasione russa del 24 febbraio 2022. Lo ha dichiarato l’aeronautica ucraina, alla vigilia del terzo anniversario dell’attacco russo su larga scala. “Sono stati avvistati nel cielo ucraino 267 droni nemici, il record per un singolo attacco” dall’inizio dell’invasione, ha scritto su Facebook il portavoce dell’aeronautica ucraina Yuri Ignat, secondo il quale 138 sono stati intercettati dalla difesa aerea e altri 119 sono stati “persi” senza causare danni.

In un comunicato separato pubblicato su Telegram, l’esercito ha riferito che diverse regioni, tra cui Kiev, sono state “colpite”, senza fornire ulteriori dettagli. Un attacco missilistico russo ha ucciso un uomo e ne ha feriti cinque a Kryvyi Rig, città natale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky nell’Ucraina centrale, hanno reso noto le autorità regionali.

Gb annuncia il più grande pacchetto di sanzioni contro la Russia da inizio guerra

Il ministro degli Esteri britannico David Lammy ha dichiarato che domani annuncerà un nuovo importante pacchetto di sanzioni contro la Russia. Lo riporta ITV News. “Domani ho intenzione di annunciare il più grande pacchetto di sanzioni contro la Russia dall’inizio del conflitto, per indebolire la sua macchina militare e ridurre le entrate con cui si sta accendendo il fuoco della distruzione in Ucraina”, ha affermato il ministro, aggiungendo che Londra “lavorerà con i partner americani ed europei per raggiungere una pace giusta e sostenibile”, riconoscendo chiaramente che l’Ucraina deve essere coinvolta.

E’ “un momento critico nella storia dell’Ucraina, della Gran Bretagna e dell’intera Europa”, ha detto ancora. Il sostegno all’Ucraina dovrebbe essere “raddoppiato” e si dovrebbe ricercare “la pace attraverso la forza”. “Sul campo di battaglia, Londra resta impegnata a fornire un supporto militare di 3 miliardi di sterline all’anno per mettere l’Ucraina nella migliore posizione possibile e siamo pronti a contribuire con truppe britanniche alle forze di mantenimento della pace, se necessario”, ha concluso.

Medvedev: “Il tempo ha dimostrato che l’operazione speciale era giusta”

Per il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev la decisione della leadership russa di avviare l’operazione militare speciale in Ucraina è stata del tutto corretta, “il tempo ha dimostrato che questa difficile decisione era l’unica giusta e possibile”. Medvedev lo ha affermato in un post su Telegram in occasione del Giorno dei difensori della patria. La Russia, ha aggiunto, ha dovuto “fare questo passo quando il punto di non ritorno è stato irreversibilmente superato nel confronto con il cosiddetto Occidente collettivo e l’unica via disponibile era quella di difendere la nostra madrepatria e respingere il nemico dai suoi confini”.

“Il popolo russo si è unito e ha resistito nella lotta contro il nemico cinico e crudele che è stato rinforzato con armi e denaro da tutte le parti del mondo. La guerra contro il neonazismo e i suoi complici non è ancora finita, ma il suo esito è molto vicino. Il nemico sarà distrutto. La verità trionferà”, ha sottolineato Medvedev.

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Esteri

Elezioni Germania, oggi si vota: seggi aperti dalle 8

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Cittadini alle urne per rinnovare il Bundestag. Olaf Scholz, Friedrich Merz, Robert Habeck e Alice Weidel i candidati cancellieri dei principali partiti

I 4 principali candidati (Afp)

La Germania va alle urne oggi domenica 23 febbraio 2025 per rinnovare il Bundestag, la Camera federale. Seggi aperti dalle 8. Il voto era in programma per il 28 settembre prossimo, a 4 anni dal precedente: è stato anticipato al mese di febbraio a seguito della crisi politica scoppiata nel Paese. Ecco chi sono i candidati cancellieri dei principali partiti.

Olaf Scholz. Quando il Bundestag lo ha eletto nel 2021 per succedere alla cancelliera Angela Merkel, vantava già una lunga carriera politica: entrato al Bundestag nel 1998, Scholz è stato segretario generale del Partito socialdemocratico (SPD) (2002-2004), ministro federale del Lavoro (2007-2009), sindaco della città-stato di Amburgo (2011-2018), ministro federale delle Finanze e vice-cancelliere del governo Merkel (2018-2021). Nato a Osnabrueck, in Bassa Sassonia, nel 1958, avvocato del lavoro, sposato con l’esponente politica socialdemocratica Britta Ernst, amante della corsa e del canottaggio, aspirante cancelliere fin dall’età di 12 anni – secondo quanto raccontato dal padre – dopo la vittoria elettorale del 2021, Scholz ha dato vita alla prima ‘coalizione semaforo’ federale in Germania, composta da Spd, Liberali e Verdi, un’esperienza che si è conclusa il 6 novembre scorso con la cacciata del ministro delle Finanze liberale Christian Lindner decisa dallo stesso Scholz e l’uscita dei ministri Fdp dal governo.

L’inizio della fine per un esecutivo che si era trovato fin dal principio a governare in una stravolta realtà politica internazionale: Scholz aveva giurato da cancelliere l’8 dicembre 2021, meno di tre mesi prima dell’invasione dell’Ucraina. Tre giorni dopo l’inizio della guerra, il cancelliere annunciava in parlamento una ‘Zeitenwende’, o svolta epocale, per la politica estera e di difesa tedesca. Dal punto di vista geopolitico, prometteva un ripensamento radicale delle relazioni della Germania con la Russia. Dal punto di vista geostrategico, annunciava un importante potenziamento delle forze armate tedesche, proponendo di creare un fondo fuori bilancio di 100 miliardi di euro. Dal punto di vista geoeconomico, si impegnava a ridurre drasticamente la dipendenza del Paese dall’energia russa.

Friedrich Merz, 69 anni. E’ il principale sfidante di Scholz, il candidato cancelliere per l’Unione (cristianodemocratica e cristianosociale, Cdu/Csu), il favorito, secondo i sondaggi. Aspirante candidato cancelliere alle elezioni del 2002, gli fu preferito il cristianosociale Edmund Stoiber, che perse contro Gerhard Schoeder. Nato a Brilon, nel NordReno Westfalia, il facoltoso avvocato aziendale, appassionato pilota di aerei e proprietario di un jet privato, sposato con una giudice e padre di tre figli, ha esperienza come parlamentare ma non ha mai rivestito un incarico di governo. E’ stato membro del Parlamento europeo tra il 1989 e il 1994, quindi deputato al Bundestag tra il 1994 e il 2009 e poi di nuovo dal 2021, e presidente del gruppo parlamentare Cdu/Csu tra il 2000 e il 2002 – quando lascia il posto a Angela Merkel ed inizia ad allontanarsi progressivamente da ogni incarico – e poi di nuovo dal 2022, dopo il suo riavvicinamento alla politica. Per molti anni è stato considerato l’avversario conservatore di Merkel all’interno dell’Unione cristianodemocratica.

Nel 2009, dopo il ritiro dalla vita politica, Merz è tornato a svolgere incarichi di avvocato aziendale, tra cui quello di presidente del Consiglio di vigilanza di BlackRock Germany. Dopo la rinuncia di Angela Merkel alla guida della Cdu, Merz ha annunciato che avrebbe concorso alle elezioni per la leadership del partito nel dicembre 2018. Sconfitto da Annegret Kramp-Karrenbauer, dopo la rinuncia di quest’ultima nel febbraio del 2020, annuncia di voler correre una seconda volta. Sconfitto nel gennaio del 2021 da Armin Laschet, dopo le dimissioni di quest’ultimo a seguito dell’insuccesso del partito alle elezioni federali, viene eletto Presidente del Partito. All’interno del suo stesso schieramento, a Merz – considerato un brillante oratore – viene attribuito il merito di aver riunito la Cdu dopo la sconfitta del 2021 e di aver favorito la riconciliazione con la Csu dopo le divisioni sulle aperture di Merkel in materia di politica migratoria. Se eletto, il 69enne sarebbe il cancelliere più anziano ad assumere l’incarico dai tempi di Konrad Adenauer.

Robert Habeck, candidato cancelliere per i Verdi, nato a Lubecca nel 1969, è stato vice primo ministro e sottosegretario per l’energia, l’agricoltura, l’ambiente e le aree rurali nel governo dello Schleswig-Holstein dal 2012 e tra il 2017 e il 2018. In quanto rappresentante del suo stato al Bundesrat, ha fatto parte della commissione per la politica agricola e la protezione dei consumatori; la commissione per l’ambiente, la protezione della natura e la sicurezza dei reattori; la commissione per gli affari economici; e la commissione per i trasporti. Dal 2014 al 2016, Habeck è stato uno dei membri della Commissione nazionale temporanea per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi della Germania. In qualità di vice-cancelliere e ministro dell’Economia e del Clima della Germania nel governo Scholz, è stato profondamente coinvolto nella transizione del Paese verso un futuro più sostenibile.

È stato co-leader del partito Buendnis 90/Die Gruenen (2018-2022) assieme a Annalena Baerbock. Habeck ha promosso politiche ambientali ambiziose che prevedono l’eliminazione graduale dei sistemi di riscaldamento a combustibili fossili, un piano che ha suscitato resistenze, in particolare da parte di settori preoccupati per i costi e la praticabilità di tali cambiamenti. Habeck è entrato tardi in politica, e si è unito ai Verdi nel 2002 a causa della mancanza di una pista ciclabile nel suo Land natale, lo Schleswig-Holstein, come ama ricordare. In soli due anni è diventato presidente regionale del partito e poi ministro regionale per la transizione energetica, l’agricoltura, l’ambiente e le aree rurali. Ministro dell’Economia, di recente ha dovuto rivedere nuovamente al ribasso le previsioni di crescita per il 2025 dopo due anni di recessione. Habeck ha studiato filosofia e linguistica e ha conseguito un dottorato di ricerca. Ha scritto romanzi e libri per bambini con la moglie e diversi libri di saggistica politica.

Alice Weidel. Nata nel 1979 a Guetersloh, è il primo vero candidato cancelliere dell’AfD nei suoi dodici anni di storia: alle ultime elezioni federali, nel 2021, Weidel e Tino Chrupalla erano stati scelti come coppia ‘di punta’ espressa dal partito in vista del voto. Soprannominata ‘Lille’, Weidel è cresciuta con due fratelli a Harsewinkel, nello Stato tedesco occidentale del NordReno Westfalia, in una famiglia di imprenditori. Dopo il diploma e gli studi di economia, ha lavorato presso la banca d’investimento Goldman Sachs, ha trascorso diversi anni in Cina e ha conseguito il dottorato con una tesi sul sistema pensionistico cinese.

Si è unita all’AfD nel 2013, anno della fondazione di un partito che inizialmente si voleva soprattutto euroscettico, frustrata dalla politica della zona Euro. Un tempo su posizioni diverse da quelle del leader di Afd in Turingia, Bjoern Hoecke, che voleva fuori dal partito, Weidel si è da tempo riconciliata con l’estrema destra del movimento. Ha beneficiato, in campagna elettorale, dell’appoggio dichiarato di Elon Musk con la sua piattaforma X. La co-presidente dell’AfD si divide tra la Germania e la Svizzera, dove cresce i due figli con la moglie.

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Cronaca

Israele, Netanyahu: “Riporteremo a casa tutti i nostri rapiti”. Hamas pronta...

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Il premier israeliano assicura che riporterà “i vivi alle loro famiglie e i caduti a una degna sepoltura nel loro Paese”. L’organizzazione politica palestinese sarebbe disposta a liberare tutti gli ostaggi, ma in cambio chiede che non ci siano interferenze di forze esterne nella ricostruzione della Striscia di Gaza

Manifestazione per chiedere la liberazione di tutti gli ostaggi (Afp)

Israele riporterà “a casa tutti i rapiti”. Ad assicurarlo è il premier israeliano Benjamin Netanyahu su X, dopo che ieri sono stati rilasciati altri sei ostaggi. “Riporteremo i vivi alle loro famiglie e i caduti a una degna sepoltura nel loro Paese”.

“Finora abbiamo rimpatriato in Israele 192 persone rapite. Di questi, 147 sono vivi e 45 sono morti”, ha ricordato Netanyahu, secondo cui “Hamas detiene ancora 63 ostaggi” nella Striscia di Gaza.

Israele “non dimenticherà”, promette il primo ministro “e non perdonerà” gli omicidi di Shiri, Ariel e Kfir Bibas, la madre e i suoi due bambini piccoli i cui corpi nei giorni scorsi sono stati restituiti da Hamas alle autorità israeliane.

Netanyahu ha, poi, sottolineato che grazie “alla nostra insistenza e alla nostra richiesta inequivocabile” Hamas ha restituito il corpo di Shiri Bibas dal momento che la fazione palestinese in un primo momento aveva consegnato a Israele la salma di una donna di Gaza al suo posto.

Hamas e la seconda fase dell’accordo

Hamas si è detta pronta a passare alla seconda fase dell’accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, aggiungendo che sarebbe disponibile anche a ”uno scambio totale di prigionieri con Israele”. L’idea sarebbe quella di liberare tutti gli ostaggi ancora trattenuti in cambio della fine permanente della guerra, del ritiro delle Idf dall’enclave palestinese e della ricostruzione della Striscia di Gaza che, precisa il portavoce di Hamas Hazem Qassem, dovrà avvenire con il consenso nazionale e senza interferenze da parte di forze esterne. Qassem ha spiegato che i negoziati per la seconda fase non sono ancora iniziati, ma i colloqui con i mediatori sono in corso.

Slitta il rilascio dei 602 prigionieri palestinesi

Rinviato, invece, il rilascio, previsto per ieri, sabato 22 febbraio, di 602 detenuti palestinesi. Lo scrive Haaretz spiegando che i prigionieri resteranno sotto la custodia israeliana almeno fino al termine delle consultazioni sulla sicurezza, convocate dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. La loro liberazione era prevista in cambio di quella dei sei ostaggi israeliani, avvenuta ieri.

Un rinvio definito da Hamas come una “grave violazione” dell’accordo sul cessate il fuoco. “Hamas ha risposto agli sforzi dei mediatori per rendere lo scambio un successo, mentre il criminale di guerra (Benjamin) Netanyahu continua a temporeggiare e a ritardare il rilascio dei prigionieri”, ha dichiarato il portavoce di Hamas Abdulatif al-Qanu, citato dall’agenzia di stampa palestinese Sanad. Quindi il movimento di resistenza islamico palestinese ha esortato i mediatori e i garanti dell’accordo a fare pressione su Israele affinché “rispetti l’accordo di cessate il fuoco e faccia la sua parte”.

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Esteri

Ucraina, Trump: “Terre rare o petrolio in cambio dei soldi messi dagli Usa”

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Il presidente americano interviene alla convention dei conservatori a Washington

Donald Trump (Afp)

Donald Trump insiste. L’Ucraina deve ridare agli Stati Uniti i soldi che hanno messo in questi anni. Nel suo discorso alla convention dei conservatori americani di Washington, il presidente americano ha detto: “Sto cercando di recuperare i soldi, voglio che ci diano qualcosa per tutti i soldi che abbiamo messo” sul terreno per Kiev. Ed è per questo che “chiediamo terre rare e petrolio, tutto quello che possiamo ottenere”. Trump, aggiunge, di non voler essere ricordato come un conquistatore. “La mia speranza è che la mia più grande eredità sia quella di essere un pacificatore, non un conquistatore” ha detto nel corso del suo intervento.

Sto trattando con il presidente Zelensky. Sto trattando con il presidente Putin. Sto cercando di ottenere i soldi indietro o garantiti” ha ribadito Trump, affermando che l’Europa “ha dato i soldi all’Ucraina sotto forma di prestito, hanno riavuto i loro soldi. Noi non li abbiamo dato sotto forma di nulla. Quindi voglio che ci diano qualcosa per tutti i soldi che abbiamo messo”.

“Stiamo chiedendo terre rare e petrolio, tutto ciò che possiamo ottenere”, ha insistito il presidente, che ha ribadito l’impegno a “cercare di porre fine a tutte queste morti”. “Ci riprenderemo i nostri soldi perché non è giusto. Vedremo, ma credo che siamo abbastanza vicini a un accordo, e sarà meglio che lo siamo perché la situazione è stata orribile”.

Secondo una fonte anonima a Sky News, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non sarebbe pronto ad accettare un accordo sullo sfruttamento di minerali e terre rare con gli Stati Uniti. Kiev avrebbe riscontrato “una serie di questioni problematiche” nella bozza del documento.

L’attacco a Biden

Dal palco del summit Trump torna ad attaccare il suo predecessore. “Biden è stato il peggior presidente della storia” dice, lamentandosi di dover “sistemare i disastri che ha lasciato, tutto quello che toccava si trasformava in m…”. E, poi, ha aggiunto: l’ex presidente Jimmy Carter “è morto felice perché Biden ha superato i suoi disastri: chi avrebbe mai pensato che qualcuno potesse superare Carter, ma Biden lo ha fatto“.

Il primo bilancio del governo Trump

“Il popolo ci ha affidato un mandato clamoroso e noi lo useremo” assicura Trump nel suo intervento al Cpac, rivendicando che la sua amministrazione ha ottenuto più risultati in quattro settimane che la maggior parte delle amministrazioni in quattro anni: “Abbiamo fatto molti progressi”. “Stiamo finalmente liberando il Paese, stiamo mantenendo le nostre promesse” conclude.

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Esteri

Trump, l’attacco a Biden con parolaccia

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“Ha trasformato in m…. tutto quello che ha toccato”

Donald Trump

“Biden è stato il peggior presidente della nostra storia”. Donald Trump attacca Joe Biden con passaggi durissimi del suo discorso al Cpac, la conferenza dei conservatori. “Sto rimediando ai suoi disastri, dal confine all’inflazione. Ogni cosa che ha toccato è diventato una merda, ogni cosa… E’ così. Non dovrei usare parole volgari, ma è il termine più appropriato e dobbiamo dire la verità”, dice il presidente degli Stati Uniti tra l’approvazione della platea.

“Il popolo ci ha affidato un mandato clamoroso e noi lo useremo”, dice, rivendicando che la sua amministrazione ha ottenuto più risultati in quattro settimane che la maggior parte delle amministrazioni in quattro anni: “Abbiamo fatto molti progressi”. “Ora abbiamo il miglior confine del mondo”, dice riferendosi in particolare ai risultati delle azioni contro l’immigrazione illegale. “Stiamo liberando le comunità che sono state occupate da immigrati illegali”.

“Useremo le strutture di Guantanamo per detenere i criminali entrati illegalmente nel nostro paese. Per 4 anni avete avuto un presidente che metteva gli immigrati illegali nelle suite e negli hotel di Park Avenue o della Quinta Strada a Manhattan -aggiunge-. Ora avete un presidente che li porta a Guantanamo o li rimanda nei luoghi da dove sono arrivati”.

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Esteri

Germania, un giorno al voto: Afd seconda e per Cdu prova ‘Brandmauer’

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Friedrich Merz della Cdu/Csu con il 29,5% dei voti resta il favorito assoluto

Friedrich Merz - Afp

L’ultimo sondaggio pubblicato a un giorno dalle elezioni anticipate in Germania conferma ancora una volta in testa la Cdu/Csu di Friedrich Merz con il 29,5% dei voti, ma per i Popolari sembrerebbero restringersi le opzioni delle forze politiche con cui formare una coalizione di governo stabile.

L’alleanza di centro-destra, composta dai Cristiano democratici e dall’Unione cristiano sociale della Baviera – secondo il sondaggio condotto dall’Insa per la Bild tra il 21 ed il 22 febbraio su un campione di 2.005 intervistati – è scesa dello 0,5% rispetto alla ricerca precedente.

Merz resta comunque il favorito assoluto per prendere il posto di Olaf Scholz come cancelliere, ma avrà quasi certamente bisogno del sostegno di almeno un altro partito per raggiungere la maggioranza al Bundestag, la Camera bassa del Parlamento tedesco.

L’Afd spinta da Elon Musk al 21%

Il sondaggio vede il partito di estrema destra Alternative fur Deutschland (AfD), spinto sui social dal miliardario sudafricano Elon Musk, e i Socialdemocratici di Scholz (SPD) invariati rispettivamente al 21% e al 15%. I Verdi del vice cancelliere, Robert Habeck, sono scesi dello 0,5% al 12,5%, mentre la Sinistra (Die Linke) è salita dello stesso margine al 7,5%.

Merz ha escluso più volte di poter costituire una coalizione con l’AfD, malgrado l’approvazione in Parlamento a fine gennaio di una risoluzione sui migranti grazie ai voti dell’estrema destra avesse sollevato in molti il timore della caduta del cosiddetto Brandmauer, il cordone sanitario che finora ha escluso la destra radicale dal governo federale.

Le possibilità per il leader dei Popolari di formare una coalizione solo con la Spd o i Verdi dipenderanno, tuttavia, probabilmente dal fatto che due partiti minori raggiungano la soglia del 5% necessaria per entrare nel Bundestag. Il sondaggio Insa assegna al Partito liberale democratico (Fdp) il 4,5% e alla populista Alleanza di Sahra Wagenknecht (Bsw) il 5%.

Se uno dei due raggiungesse il 5%, l’assegnazione dei seggi del Bundestag potrebbe ulteriormente frammentarsi, complicando ulteriormente il quadro e le speranze di Merz di formare un governo stabile.

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Cronaca

Francia, attacco con coltello a Mulhouse: un morto e 5 agenti feriti. Macron: “Atto...

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Fermato un 37enne algerino già schedato che avrebbe gridato “Allah Akbar”. Procura nazionale antiterrorismo apre inchiesta

Polizia sul luogo dell'attacco a Mulhouse (Afp)

Nuovo attacco con coltello in Francia. Una persona è morta e cinque agenti sono rimasti feriti a Mulhouse, in Alsazia, in un attacco a margine di una manifestazione nei pressi di un mercato coperto della città. La polizia ha fermato un sospetto, un 37enne algerino che avrebbe gridato “Allah Akbar”, secondo quanto riferito da testimoni citati dai media francesi.

L’uomo era schedato

L’uomo risulta schedato nella lista per la prevenzione della radicalizzazione terroristica (Fsprt). Due agenti della polizia municipale sono rimasti feriti gravemente, ha riferito all’Afp il procuratore locale Nicolas Heitz, precisando che sono stati colpiti uno “alla carotide” e l’altro “al torace”. Altri tre agenti della polizia municipale sarebbero rimasti feriti in modo più lieve, ha aggiunto. Il sospetto aggressore aveva l’obbligo di lasciare la Francia.

L’inchiesta

La procura nazionale antiterrorismo francese ha annunciato in una nota l’apertura di un’inchiesta. Il sindaco di Mulhouse, Michele Lutz, ha spiegato su Facebook che la “pista del terrorismo sembra essere privilegiata al momento” dagli inquirenti.

Macron: “Atto di terrorismo islamista”

Dal momento che la procura nazionale antiterrorismo ha preso in carico l’inchiesta, “non c’è dubbio che si sia trattato di un atto terroristico islamista”, ha detto il presidente francese, Emmanuel Macron.

“Vorrei sottolineare la determinazione del governo e la mia nel continuare il lavoro che stiamo portando avanti da otto anni per fare tutto il possibile per sradicare il terrorismo sul nostro territorio”, ha aggiunto il presidente, precisando che il ministro dell’Interno, Bruno Retailleau, si recherà sul posto e “stasera parlerà per fornire dettagli sull’accaduto”.

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Esteri

Zelensky non vuole accordo su terre rare. Usa minacciano Kiev: “Stop a...

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L’intesa sulle preziose risorse minerarie ucraine è in stallo. Kiev avrebbe individuato una serie di problematiche nella bozza del documento

Trump e Zelensky (Afp)

Gli Stati Uniti minacciano di bloccare l’accesso dell’Ucraina a Starlink, il servizio internet via satellite di proprietà di Elon Musk, se Kiev non dovesse accettare l’accordo proposto dagli Usa sullo sfruttamento anche delle sue risorse minerarie. E’ quanto riferisce il Kyiv Independent, rilanciando un’indiscrezione della Reuters che cita tre fonti al corrente dei negoziati.

Secondo le fonti, Washington ha sollevato per la prima volta la prospettiva di interrompere il servizio Starlink dopo che Zelensky ha respinto l’accordo, presentato dal segretario al Tesoro statunitense, Scott Bessent, lo scorso 12 febbraio. L’accordo riguarderebbe il 50% nelle risorse naturali dell’Ucraina, tra cui terre rare, petrolio e gas, senza offrire alcuna garanzia di sicurezza concreta in cambio. La minaccia su Starlink è stata rilanciata nei colloqui che l’inviato speciale degli Stati Uniti, Keith Kellogg, ha avuto con Zelensky il 20 febbraio.

Una delle fonti di Reuters ha sostenuto che la perdita dell’accesso a Starlink sarebbe devastante per l’Ucraina. “L’Ucraina funziona con Starlink. Lo considerano la loro stella polare – ha detto la fonte -. Perdere Starlink sarebbe un duro colpo”.

Zelensky non è pronto a firmare

Secondo una fonte anonima a Sky News, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non sarebbe pronto ad accettare un accordo sullo sfruttamento di minerali e terre rare con gli Stati Uniti. Kiev avrebbe riscontrato “una serie di questioni problematiche” nella bozza del documento.

Il presidente americano Donald Trump, che aveva annunciato che l’accordo era vicino, ha chiesto all’Ucraina un accordo per accedere alle risorse naturali del Paese in cambio di armi. “Oggi le bozze non riflettono una partnership nell’accordo e contengono solo impegni unilaterali da parte dell’Ucraina”, ha affermato la fonte.

Secondo il Wall Street Journal, che cita fonti ben informate sui colloqui sull’accordo voluto dall’amministrazione Trump come compensazione per gli aiuti militari forniti da Washington a Kiev per contrastare l’invasione russa, dovrebbe essere invece firmato a breve, probabilmente già oggi.

I punti controversi

Nessun appello al ritiro delle truppe russe dal territorio ucraino, né la definizione della Russia come ”aggressore”. Sono gli elementi che mancano, più che i contenuti, a fare la differenza nella bozza di risoluzione proposta dagli Stati Uniti alle Nazioni Unite alla vigilia del terzo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio del 2022. La proposta, di cui la Dpa ha visionato una copia, contrasta con la bozza presentata dai Paesi europei e che invece chiede esplicitamente un ritiro immediato dei soldati russi dall’Ucraina.

Nel documento, elaborato dagli Stati Uniti, si fa appello alla fine del conflitto (non aggressione) e si esprime rammarico per la perdita di vite umane. La proposta europea verrà presentata lunedì all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La proposta americana arriva dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha definito il presidente ucraino Volodymyr Zelensky “un dittatore”. Trump ha anche detto che Zelensky “non avrebbe mai dovuto iniziare la guerra”.

Il prossimo incontro Usa-Russia

Un secondo incontro tra i rappresentanti di Russia e Stati Uniti è previsto entro le prossime due settimane. Lo ha annunciato il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, citato dall’agenzia di stampa statale Ria, aggiungendo che l’incontro avrà luogo in un paese terzo.

Intanto Trump ha affermato che alcune indiscrezioni dei media secondo cui avrebbe intenzione di visitare la Russia il 9 maggio, Giorno della Vittoria, non sono vere. “No, non è vero”, ha detto Trump ai giornalisti alla Casa Bianca quando gli è stato chiesto se ha in programma la visita.

Ieri la stampa francese, citando fonti, aveva riferito che il presidente americano avrebbe intenzione di visitare la Russia il 9 maggio.

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Cronaca

Attacco a Berlino, accoltellatore è un 19enne siriano: voleva uccidere ebrei

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Durante l’interrogatorio il giovane ha confessato. E’ stato arrestato dalla polizia con il coltello ancora in mano

Polizia sul luogo dell'attacco (Afp)

E’ un rifugiato siriano e richiedente asilo di 19 anni il giovane che ieri sera nel quartiere Mitte in centro a Berlino ha accoltellato al collo un turista spagnolo, al Memoriale dell’Olocausto. Lo scrive la Bild. L’aggressore è stato arrestato dalla polizia con il coltello ancora in mano. Il 19enne vive in un centro di accoglienza per rifugiati a Lipsia. Le stanze del centro sono state sottoposte a perquisizione da parte degli agenti della polizia.

Aggressore voleva uccidere ebrei

Durante l’interrogatorio il giovane ha confessato che voleva uccidere perché nutriva odio verso gli ebrei, precisando di aver maturato questa decisione da diverse settimane.

Secondo quanto riferito dalla Bild, gli investigatori hanno trovato nello zaino del sospetto aggressore un Corano, un tappeto da preghiera e la presunta arma del delitto, un coltello da caccia. Il giovane si è avvicinato alla vittima da dietro e ha cercato di tagliarle la gola. Lo spagnolo è stato ferito gravemente e solo grazie al rapido intervento dei soccorritori e ad un intervento chirurgico d’urgenza a cui è stato sottoposto non è più in pericolo di vita.

Il siriano, identificato come Wassim al-M., era arrivato in Germania nel 2023 senza la famiglia, attraverso la Serbia. Nel luglio dello stesso anno aveva presentato domanda di asilo e a Lipsia era stato preso in carico dall’ufficio per l’assistenza ai minori. Durante l’interrogatorio, avrebbe dichiarato: “Le forze di Assad mi hanno dato la caccia, mi hanno imprigionato e torturato”.

Vive in un centro di accoglienza per rifugiati nel quartiere Zentrum-Nord di Lipsia, con circa 230 posti letto. Non è chiaro quando si sia radicalizzato né quando abbia elaborato il suo piano per l’attacco.

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Esteri

Ucraina, ritiro Russia e Mosca “aggressore”: cosa manca in bozza risoluzione...

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Contrasta con la bozza presentata dai Paesi europei, che chiedono un ritiro immediato. Il presidente Usa smentisce: “Non andrò in Russia il Giorno della Vittoria”

Donald Trump - (Afp)

Nessun appello al ritiro delle truppe russe dal territorio ucraino, né la definizione della Russia come ”aggressore”. Sono gli elementi che mancano, più che i contenuti, a fare la differenza nella bozza di risoluzione proposta dagli Stati Uniti alle Nazioni Unite alla vigilia del terzo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio del 2022. La proposta, di cui la Dpa ha visionato una copia, contrasta con la bozza presentata dai Paesi europei e che invece chiede esplicitamente un ritiro immediato dei soldati russi dall’Ucraina.

La bozza Usa

Nel documento elaborato dagli Stati Uniti si fa appello alla fine del conflitto (non aggressione) e si esprime rammarico per la perdita di vite umane. La proposta europea verrà presentata lunedì all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La proposta americana arriva dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha definito il presidente ucraino Volodymyr Zelensky “un dittatore”. Trump ha anche detto che Zelensky “non avrebbe mai dovuto iniziare la guerra”.

Media: “Previsto incontro Russia-Usa entro prossime 2 settimane”

Un secondo incontro tra i rappresentanti di Russia e Stati Uniti è previsto entro le prossime due settimane. Lo ha annunciato il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, citato dall’agenzia di stampa statale Ria, aggiungendo che l’incontro avrà luogo in un paese terzo.

Trump smentisce media: “Non andrò a Mosca il Giorno della Vittoria”

Intanto Trump ha affermato che alcune indiscrezioni dei media secondo cui avrebbe intenzione di visitare la Russia il 9 maggio, Giorno della Vittoria, non sono vere. “No, non è vero”, ha detto Trump ai giornalisti alla Casa Bianca quando gli è stato chiesto se ha in programma la visita.

Ieri la stampa francese, citando fonti, aveva riferito che il presidente americano avrebbe intenzione di visitare la Russia il 9 maggio.

Kiev: “Due persone uccise e 12 ferite a seguito di attacchi nel Donetsk”

Due persone sono state uccise e 12 sono rimaste ferite a seguito degli attacchi nemici avvenuti nelle ultime 24 ore nella regione di Donetsk. Lo riferisce il capo dell’amministrazione militare regionale (Ova) Vadym Filashkin su Telegram. “I russi hanno ucciso 2 residenti della regione di Donetsk: a Kostyantynivka e Nykanorivka. Altre 12 persone nella regione sono rimaste ferite”, ha scritto Filashkin.

Secondo l’Ova, le perdite totali tra la popolazione civile della regione (escluse Mariupol e Volnovakha) ammontano a 2.977 morti e 6.737 feriti.

Trump: “Zelensky non conta nei negoziati”

Quanto ai negoziati volti a porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina, Trump non ritiene essenziale la presenza del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. “Non credo che sia molto importante la sua presenza agli incontri”, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti in un’intervista a Fox News. “È lì da tre anni. Rende molto difficile fare accordi”, ha detto il presidente Usa, ribadendo i concetti espressi dopo il vertice tra le delegazioni di Usa e Russia andato in scena all’inizio della settimana a Riad, in Arabia Saudita. L’Ucraina non ha “carte in mano. Ho avuto ottime discussioni con Putin, e non ho avuto ottime discussioni con l’Ucraina. Non hanno carte in mano, ma stanno giocando duro. Non permetteremo che questo continui”.

Zelensky ha stigmatizzato il mancato coinvolgimento di Kiev nel dialogo e Trump, a stretto giro, ha attaccato duramente il presidente ucraino con una serie di dichiarazioni tra social e tv. “Si lamenta perché non era al vertice. E’ stato ai meeting per 3 anni e non è stato concluso niente, quindi non credo sia molto importante la sua presenza agli incontri. Ha partecipato per 3 anni, rende più complicata la conclusione di accordi”, ha affermato Trump.

Zelensky è stato definito un “dittatore senza elezioni” con parole che hanno ricordato le accuse mosse dalla Russia al presidente ucraino. Per Mosca, Zelensky è un leader illegittimo visto che il suo mandato è scaduto e le elezioni sono state rinviate. In Ucraina vige la legge marziale dall’inizio della guerra e, in tali condizioni, la Costituzione non prevede lo svolgimento delle elezioni presidenziali.

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Esteri

Tal Shoham e Abera Mengistu, chi sono i primi due ostaggi liberati da Hamas oggi

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Tal Shoham ha doppia cittadinanza israeliano e austriaca. Abera Mengistu era invece tenuto in prigionia da 11 anni

Tal Shoham e Abera Mengistu, chi sono i primi due ostaggi liberati da Hamas oggi

Ha doppia cittadinanza israeliano e austriaca Tal Shoham, rapito insieme alla sua famiglia il 7 ottobre del 2023 dal kibbutz Be’eri. Era invece tenuto in prigionia da 11 anni Avera Mengistu, ebreo di origini etiopi entrato per errore nella Striscia di Gaza nel 2014. Sono loro i primi ostaggi rilasciati oggi da Hamas a Rafah, dopo essere fatti salire sul palco allestito davanti alla folla con le stesse modalità adottate in precedenza.

Chi è Tal Shoham

Il primo a salire sul palco è stato Tal Shoham, 39 anni, rapito dalla sua casa insieme ad altri otto membri della sua famiglia Tra questi c’erano Shoshan Haran, 67 anni, Avshalom Haran, 66 anni, Lilach Lea Kipnis, 60 anni, Adi Shoham, 38 anni, Naveh Shoham, 8 anni, Yahel Gani Shoham, 3 anni, Sharon Avigdori, 52 anni e Noam Avigdori, 12 anni. Il 7 ottobre Shoham era in visita a Be’eri per la festività di Simchat Torah con la moglie e i figli perché sua moglie era cresciuta lì. Anche la moglie e i figli di Shoham sono stati presi in ostaggio da Hamas e tenuti insieme, ma separati da Tal. Sua moglie Adi e i figli Naveh e Yahel, ora di 9 e 4 anni, sono stati rilasciati nel primo accordo di sequestro il 25 novembre 2023, dopo 50 giorni.

Chi è Avera Mengistu

Il secondo a essere rilasciato oggi da Hamas è stato Mengistu, un ebreo israeliano di origine etiope che secondo i medici soffriva di una malattia psichiatrica quando attraversò il confine con la Striscia di Gaza il 7 settembre 2014. Nato in Etiopia, emigrato in Israele all’età di cinque anni con la sua famiglia come parte dell’Operazione Salomone. E’ cresciuto ad Ashkelon con i suoi otto fratelli e sorelle. Dopo che suo fratello maggiore, Michael, ha sofferto di anoressia ed è morto all’età di 29 anni, il suo stato mentale è peggiorato e ha iniziato a condurre lunghe marce da solo in tutto Israele.

L’uomo, ora 38enne, aveva 28 anni quando è entrato nella parte settentrionale della Striscia di Gaza dopo aver litigato con la madre, secondo Human Rights Watch. Hamas sostiene che sia un soldato, un’affermazione contestata sia da Human Rights Watch sia dalla sua famiglia. Nel gennaio 2023 Hamas diffuse un video in cui chiedeva a Israele di negoziare la sua liberazione.

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Esteri

Hamas consegna i primi due ostaggi, Israele libererà 602 prigionieri

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Tal Shoham e Abera Mengistu affidati all’Idf. Hamas ha consegnato il corpo di Shiri Bibas: “Pronti a passare a seconda fase accordo”

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Sono stati liberati Tal Shoham e Abera Mengistu. Dopo essere saliti sul palco allestito da Hamas per la loro liberazione, i due sono stati consegnati alla Croce rossa internazionale che a loro volta li ha affidati alle Idf a Gaza.

Israele libererà 602 prigionieri palestinesi

Oggi saranno liberati in tutto 6 ostaggi, vivi. In cambio Israele libererà 602 prigionieri palestinesi dalle sue carceri. Tra questi, 60 prigionieri erano stati condannati a lunghe pene detentive, 50 a ergastolo.

Questa è l’ultima tornata di rilasci previsti dalla fase iniziale di sei settimane dell’accordo di cessate il fuoco entrato in vigore il 19 gennaio. Il passo finale della prima fase dell’accordo sarà la consegna di altri quattro corpi di ostaggi la prossima settimana.

Sul palco preparato da Hamas a Rafah ci sono i soliti cartelli con messaggi tra cui “Noi siamo il diluvio”, così come armi e attrezzature militari che il gruppo sostiene siano state rubate alle Idf il 7 ottobre 2023. Una delle armi è una pistola su cui il gruppo ha scritto ‘Ravshatz’, l’acronimo ebraico del capo della squadra di sicurezza locale di una comunità, a indicare che è stata presa a un individuo ucciso dai terroristi durante l’attacco del 7 ottobre.

Hamas: “Pronti a passare a seconda fase accordo”

Hamas si è detto pronto a passare alla seconda fase dell’accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e a raggiungere lo scambio completo tra ostaggi israeliani e detenuti palestinesi. L’obiettivo, ha sottolineato Hamas, è quello di arrivare al cessate il fuoco permanente e al ritiro completo delle Forze di sicurezza israeliane (Idf) dalla Striscia di Gaza.

Consegnato il corpo di Shiri Bibas

Il corpo della donna consegnato da Hamas è quello di Shiri Bibas, fatta prigioniera dai militanti palestinesi nell’ottobre 2023. La conferma arriva dalla famiglia, mentre mancano poche ore a un nuovo scambio di ostaggi e prigionieri con Israele.

“Dopo il processo di identificazione presso l’Institute of Forensic Medicine, questa mattina abbiamo ricevuto la notizia che temevamo di più. La nostra Shiri è stata assassinata in prigionia e ora è tornata a casa dai suoi figli, dal marito, dalla sorella e da tutta la sua famiglia per riposare”, ha affermato la famiglia Bibas in una dichiarazione.

“Nonostante i nostri timori per la loro sorte, continuavamo a sperare di poterli riabbracciare, e ora siamo distrutti e addolorati”, hanno dichiarato i familiari di Shiri Bibas su Instagram.

Israele accusa: “Fratellini Bibas uccisi a mani nude”

Hamas, che ha consegnato il corpo alla Croce rossa nella tarda serata di venerdì, aveva consegnato i corpi dei figli della 32enne tedesco-israeliana, Ariel e Kfir – che avevano solo 4 anni e 9 mesi quando sono stati rapiti – e di un altro prigioniero deceduto, l’attivista per la pace 84enne Oded Lifshitz. Gli esperti forensi israeliani hanno poi stabilito che i resti in una quarta bara non appartenevano a Shiri Bibas, come sostenuto da Hamas. L’organizzazione terroristica aveva poi ammesso di aver commesso un possibile errore.

Ariel e Kfir Bibas “sono stati brutalmente assassinati” da Hamas, le accuse lanciate da Israele. Hamas ha affermato che sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano nei primi mesi della guerra a Gaza, anche se non sono state fornite prove a sostegno di questa tesi. Il padre dei bambini, Yarden Bibas, 34 anni, è stato rilasciato vivo da Hamas il 1° febbraio. Tutti e quattro i membri della famiglia sono stati rapiti dal Kibbutz Nir Oz, nel sud di Israele, il 7 ottobre 2023.

La famiglia Bibas è diventata il simbolo del calvario subito da Israele in quanto ostaggi dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, che ha innescato la guerra a Gaza.

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Maica Benedicto svela inediti dettagli sulla rottura tra Shaila Gatta e Lorenzo Spolverato

L’influenza di Maica Benedicto nel mondo dei reality show è ormai innegabile e continua a sorprendere il pubblico con ogni...

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Papa Leone XIV inaugura il pontificato tra preghiera, gioventù e invito per la pace...

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13 maggio: amore sincero e riflessione emotiva per ogni segno zodiacale

La giornata del 13 maggio si apre sotto un cielo che invita alla riflessione interiore e all’ascolto sincero, spingendo ogni...

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Domenica del Buon Pastore a Piazza San Pietro tra vocazioni e messaggi di Papa Francesco...

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Elezione di Robert Francis Prevost: il Papa peruviano unisce Bologna e Perù

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Richard Gadd tra successo, pressioni e sfide quotidiane dopo Baby Reindeer su Netflix

Richard Gadd ha vissuto un’esperienza che ha stravolto completamente la sua esistenza. Dopo il successo travolgente di Baby Reindeer, il...

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Audience TV 10 maggio 2025: Techetechetè, Amici e telegiornali segnano numeri rilevanti

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Nuovo Papa Leone XIV, polemiche a Napoli, crisi David e tensioni India-Pakistan

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Bannon denuncia elezione truccata di Papa Leone XIV a favore di Prevost e tradizione

Nel cuore della recente elezione papale si cela una controversa visione secondo la quale il processo sarebbe stato fortemente manipolato....

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Re Carlo III e Principe William saltano l’insediamento di Papa Leone XIV, Edoardo in...

Il Re Carlo III, 76 anni, e il principe William, 42 anni, non prenderanno parte alla messa di insediamento del...

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Vescovo Prevost (futuro Papa Leone XIV) condanna l’aggressione russa e la guerra in...

Durante il suo incarico in Perù, Robert Francis Prevost si espresse con determinazione contro le azioni militari russe, rimanendo fedele...

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Le recenti anticipazioni spagnole di La Promessa delineano i preparativi per il matrimonio privato di Catalina e Adriano, che sceglieranno...

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Domenica In Rai 1: Achille Lauro, Iva Zanicchi, Conti, Grigolo, Golino e Martone tra...

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Oylum dona un rene a Tolga, scatenando conflitti familiari e ultimatum da Kahraman

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Drammatico incidente in gita: Santos si ammala e Marcelo coinvolto, tensioni alla tenuta

Nel corso dell’ultima puntata de La Promessa, l’atmosfera alla tenuta si è inoivata in modo inaspettato a seguito di un...

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Messaggi politici per la festa della mamma: dedizione, resilienza e dramma a Gaza

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L’avvio de L’Isola dei Famosi ha già portato alla luce le prime difficoltà tra i partecipanti, con segni tangibili di...

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Paola Caruso a Verissimo tra carriera TV, relazioni e dramma sanitario del figlio Michele

Paola Caruso si presenta oggi, domenica 11 maggio, come ospite speciale a Verissimo. La showgirl, nota anche per il ruolo...

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Sabato 10 maggio 2025 ha regalato un’altra serata di successo per Canale 5. L’appuntamento con la semifinale di Amici ha...

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Leone XIV: primi segni pontificali e ridefinizione del ruolo globale della Chiesa

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Nel cuore della notte, Napoli ha assistito ad un episodio sconcertante nella zona del quartiere Pianura. L’evento ha visto il...

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