Roll-up pubblicitari monofacciali o bifacciali: quando utilizzarli?
I roll-up pubblicitari sono strumenti di comunicazione visiva efficaci e versatili, utilizzati in numerosi contesti per attirare l’attenzione di possibili clienti. Tra le varie opzioni disponibili, i roll-up monofacciali e bifacciali sono tra i più comuni. Ma quando è opportuno utilizzare uno piuttosto che l’altro? Di seguito andremo ad esplorare le caratteristiche, i vantaggi e le situazioni ideali per l’uso dei roll-up monofacciali e bifacciali.
Cosa sono i roll-up pubblicitari?
I roll-up pubblicitari sono supporti grafici costituiti da un banner avvolgibile che può essere facilmente montato e smontato. La struttura è leggera e portatile, rendendola ideale per eventi temporanei come fiere, congressi, e presentazioni. I roll-up possono essere monofacciali o bifacciali, a seconda che presentino una sola faccia stampata o entrambe.
Aziende come Delducaprint.com offrono una vasta gamma di modelli di roll-up banner tra cui scegliere, ciascuno caratterizzato dalla funzionalità di auto-avvolgimento del telo sulla struttura portante. Questa caratteristica consente di spostare facilmente il roll-up da un ambiente all’altro, garantendo praticità e versatilità.
In base al budget a disposizione, è possibile scegliere un espositore roll-up banner che combini qualità e convenienza. Il modello più richiesto è il monofacciale, che presenta la grafica stampata su un solo lato, mentre il retro rimane invisibile o posizionato in modo da non attirare l’attenzione.
Caratteristiche dei roll-up monofacciali
I roll-up monofacciali presentano una sola superficie stampata, visibile solo da un lato. Questo tipo di roll-up è particolarmente utile in contesti dove l’attenzione del pubblico è concentrata in una direzione specifica. Sono spesso utilizzati in ambienti interni come punti vendita, showroom, e stand fieristici. La loro semplicità li rende facili da installare e da gestire, oltre a essere generalmente più economici rispetto ai modelli bifacciali.
Vantaggi dei roll-up bifacciali
I roll-up bifacciali offrono una visibilità a 360 gradi, grazie alla stampa su entrambe le facce del banner. Questa caratteristica li rende ideali per situazioni dove il messaggio deve essere visibile da più angolazioni, come eventi all’aperto, centri commerciali e grandi spazi espositivi. I roll-up bifacciali sono particolarmente efficaci nel catturare l’attenzione del pubblico da diverse direzioni, aumentando così l’impatto del messaggio pubblicitario.
Quando scegliere i roll-up monofacciali
I roll-up monofacciali sono la scelta giusta quando si ha bisogno di una soluzione semplice ed economica per un’esposizione diretta. Sono ideali per:
- Eventi interni: come conferenze, workshop e presentazioni aziendali;
- Punti vendita: per promozioni temporanee o informazioni sui prodotti;
- Stand fieristici: dove lo spazio è limitato e l’attenzione del pubblico è diretta verso un’unica direzione.
Quando optare per i roll-up bifacciali
I roll-up bifacciali sono preferibili quando si necessita di una visibilità maggiore e da diverse angolazioni. Sono perfetti per:
- Eventi all’aperto: come fiere, mercati e manifestazioni;
- Centri commerciali: dove il pubblico si muove in tutte le direzioni;
- Grandi spazi espositivi: dove è fondamentale catturare l’attenzione da più punti di vista.
Conclusioni finali
La scelta tra roll-up monofacciali e bifacciali dipende dalle specifiche esigenze di visibilità e dal contesto in cui saranno utilizzati. Entrambe le soluzioni possono offrire vantaggi significativi in termini di comunicazione visiva e possono essere facilmente personalizzate per adattarsi a diverse situazioni.
Per una vasta gamma di soluzioni pubblicitarie, inclusi i roll-up monofacciali e bifacciali, è possibile visitare il sito di Delducaprint.com. Del Duca Print è una tra le migliori aziende del settore, specializzata nella realizzazione di insegne pubblicitarie e roll-up, in grado di offrire prodotti di alta qualità per soddisfare ogni esigenza promozionale.
Attualità
Notre-Dame: Il simbolo che torna a splendere
Ci sono momenti che restano scolpiti nella memoria e quella sera di aprile del 2019, beh, è sicuramente è uno di quelli. Notre-Dame in fiamme. Chiunque abbia visto quelle immagini – e chi non le ha viste? – non può averle dimenticate. Parigi sembrava fermarsi, il mondo intero tratteneva il fiato. La guglia che crollava, il tetto ridotto a cenere, tutto sembrava irreale. Come se un pezzo dell’anima del mondo si stesse sgretolando sotto i nostri occhi. Era storia che bruciava. Arte, fede, bellezza che diventavano fumo nel cielo della sera. Ma oggi, sei anni dopo, non possiamo fare a meno di guardare a quel momento con occhi diversi. Perché, contro ogni previsione, Notre-Dame è tornata. Non solo intatta: viva. Più viva che mai.
Quel giorno che cambiò tutto
Era il 15 aprile 2019. Alle 18:20, un incendio si sviluppò nel sottotetto della cattedrale, la parte conosciuta come “la foresta” per via delle travi in legno secolare. In poche ore, 1.300 metri quadrati di storia vennero distrutti. La guglia, aggiunta nel XIX secolo, collassò sotto lo sguardo attonito del mondo. Le immagini fecero il giro del pianeta, portando con sé un carico di sgomento e tristezza.
Le cause? Beh, si è parlato di un corto circuito. Forse è andata davvero così. Ma – e non è facile ammetterlo – si sapeva già che la cattedrale aveva bisogno di cure, di mani esperte che la custodissero meglio. Era lì, fragile e bellissima, e per anni nessuno aveva fatto abbastanza. E poi, in quel caos di fiamme e disperazione, c’è stato un miracolo. Alcune reliquie sacre, come la corona di spine, sono state salvate. Salvate davvero. Ed è strano dirlo ma in mezzo a tutto quel disastro, avere qualcosa che si è potuto stringere al petto è stato un piccolo conforto. Un briciolo di luce in una giornata che sembrava buia come la notte.
La promessa: ricostruire in cinque anni
Pochi giorni dopo il disastro, Macron si fece avanti. Con quella sua aria decisa, quasi sfidando l’impossibile, promise: “Ricostruiremo Notre-Dame in cinque anni.” Cinque. Anni. Chiunque ascoltò quelle parole pensò: è pazzo, è solo politica. E invece qualcosa si accese. Era come se quella promessa avesse dato il via a un’energia collettiva incredibile. Donazioni? Arrivarono da ogni angolo del pianeta. 840 milioni di euro raccolti in un batter d’occhio. Un fiume di speranza e di solidarietà che travolse ogni cinismo.
Poi iniziarono i lavori. E qui la parola “eroico” non è sprecata. Stabilizzare quelle mura, quelle pietre antiche, non fu semplice. Operai e ingegneri si arrampicavano, sospesi nel vuoto, lavorando senza sosta, anche sotto il peso di un mondo che guardava. Ogni giorno era una lotta contro il tempo, una corsa tra tecnologia futuristica e maestria artigianale. Scanner 3D e modellazione virtuale per i dettagli, e poi mani esperte di falegnami, scalpellini, vetrai. Mille persone, mille storie, mille mani che ricostruivano un sogno.
La guglia? Tornata identica, orgogliosa, come l’aveva immaginata Viollet-le-Duc. Il tetto? Una magia che unisce vecchio e nuovo. Tradizione e innovazione che si incontrano e si abbracciano. Era chiaro: non si trattava solo di mettere insieme pietre e legno. Si trattava di ricreare un cuore, di farlo battere di nuovo. E ci sono riusciti.
Una cerimonia per il mondo intero
Il 7 dicembre 2024, un giorno che è destinato a rimanere nella memoria. Quel suono, le campane di Notre-Dame, che tornavano a riempire l’aria dopo anni di silenzio. Era come un respiro trattenuto troppo a lungo, finalmente liberato. La gente, accalcata fuori, sembrava trattenere il fiato mentre l’arcivescovo di Parigi, Laurent Ulrich, con un pastorale di legno di quercia in mano, bussava alla porta. Tre colpi, secchi, profondi. E poi, quella porta che si apriva. Era un momento che sembrava gridare al mondo intero che Notre-Dame era viva.
Dentro, un’atmosfera che ti toglieva le parole. Canti gregoriani che si alzavano verso le volte, riempiendo ogni angolo con un suono antico, quasi sacro. Non era una celebrazione pomposa, no, era qualcosa di diverso. Era come se quelle note volessero abbracciare chiunque fosse lì, ricordare a tutti che c’è qualcosa di più grande, qualcosa che unisce. Tra gli ospiti, leader da ogni parte del mondo – Macron, Zelensky, tanti altri. E per un attimo, anche in un mondo che sembra sempre sull’orlo di spezzarsi, c’era un senso di unità. Speranza. Perché è questo che Notre-Dame riesce a fare: ricordarci che è possibile ricominciare.
Un futuro per tutti
Prima dell’incendio, erano milioni. Dodici, per essere precisi, quelli che ogni anno varcavano quelle porte, che camminavano sotto le sue volte altissime, che si perdevano tra la luce filtrata dai rosoni. Adesso? Le previsioni dicono quindici milioni. Quindici milioni di cuori pronti a lasciarsi incantare. Ma come fai a gestire un flusso così enorme? Hanno dovuto ripensare tutto. Prenotazioni online, controlli biometrici – sì, hai capito bene, impronte digitali e tutto il resto – perché oggi il mondo è così, tra bellezza e tecnologia. Si stanno preparando. Perché Notre-Dame non può permettersi di chiudere le porte a nessuno.
Cosa offre oggi Notre-Dame? Percorsi guidati in 12 lingue, esperienze di realtà aumentata per rivivere la cattedrale com’era prima del disastro e spazi finalmente accessibili a tutti, grazie ad ascensori e rampe.
Il significato di questa rinascita
Notre-Dame ha sempre rappresentato qualcosa di più grande: è un simbolo che resiste, che lotta. Con i suoi 850 anni di storia, ha visto tutto: guerre, rivoluzioni, e ora persino un incendio che sembrava averla distrutta. Ma è ancora qui. Nonostante tutto, con le sue pietre che raccontano storie e il suo spirito che batte ancora più forte.
Macron, quel giorno, lo ha detto chiaramente: “Notre-Dame è il cuore della nostra nazione“. E sai una cosa? Non si sbaglia. Perché guardarla oggi, dopo tutto quello che ha passato, è una lezione. È la prova che anche quando sembra finita, quando sembra che non ci sia più nulla da fare, si può ricominciare. Non si tratta di tornare a com’era ma di essere qualcosa di nuovo, di più grande. Notre-Dame è rinata. E con lei, c’è una nuova scintilla di speranza per tutti noi.
“Ci sono momenti in cui sembra che tutto sia perduto ma è proprio allora che si scopre la forza di ricostruire. Perché dalle ceneri nascono le storie più straordinarie.” (Junior Cristarella)
Attualità
Open Dialogues for the Future: torna la terza edizione
Ci siamo, ci siamo di nuovo. Torna l’appuntamento con “Open Dialogues for the Future”, e quest’anno è la terza edizione. Due giornate piene, cariche di dibattiti, conversazioni, interventi e, soprattutto, di visioni per il futuro.
Quando e dove
Segnatevi queste date, scrivetele su un foglietto, memorizzatele: 6 e 7 marzo 2025, a Udine. Sì, proprio lì, in quel piccolo angolo di Friuli che magari non ci pensi… ma sta diventando un posto speciale. Un posto dove chi ha voglia di parlare di geopolitica e geoeconomia si ritrova, perché sì, questi temi sono sempre stati importanti.
Ma adesso? Adesso sono diventati urgenti. Non possiamo più far finta di niente. Il mondo si sta rompendo, si sta dividendo. Le vecchie potenze stanno perdendo colpi, i nuovi equilibri si stanno creando. E noi? Abbiamo bisogno di un posto dove fermarci, fare un respiro profondo e provare a capirci qualcosa. Un posto dove provare a mettere insieme tutti questi pezzi sparsi, questo puzzle che ormai è diventato una follia. Saremo lì, tutti quanti. Imprenditori, professori, studenti, gente comune. Tutti. A guardarci negli occhi e a chiederci: “Ma davvero, dove stiamo andando? Dove stiamo andando tutti insieme?“
La presentazione a Milano
La presentazione dell’evento è stata qualche giorno fa a Milano, in uno di quei posti che ti fanno sentire un po’ piccolo, un po’ fuori luogo, tipo Palazzo Giureconsulti. Una di quelle sale grandi, un po’ troppo eleganti, che ti mettono soggezione appena ci metti piede. Ma c’era tanta gente. C’era Giovanni Da Pozzo, il presidente della Camera di commercio di Pordenone-Udine, e poi c’era Federico Rampini, il giornalista che ci sta mettendo anima e corpo per dare una direzione scientifica a tutto questo.
E non erano soli. L’ambasciatrice italiana negli Stati Uniti, Mariangela Zappia, era lì anche lei, insieme ad altri nomi importanti. Carlo Sangalli, per esempio, presidente della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi. E poi rappresentanti di tante istituzioni del Friuli Venezia Giulia. Insomma, una sala piena di gente che conta, ma soprattutto piena di gente che vuole fare la differenza.
Cos’è “Open Dialogues for the Future”?
Ma cos’è davvero “Open Dialogues for the Future”? Be’, è più di un semplice forum. Non è solo un evento in cui ascoltare relatori di spicco e annuire, è un momento per fare domande, per sfidare le idee. L’idea è nata dalla Camera di Commercio di Pordenone-Udine e l’obiettivo è chiaro: fare di questo angolo del nord-est Italia un centro di dibattito sulle sfide economiche e politiche che ci attendono.
Come dice Da Pozzo, “il Friuli è una regione piccola, ma con una grande apertura al mondo“. Due confini, tre lingue, un’economia basata sull’export. Insomma, un territorio che ha qualcosa da dire in fatto di relazioni internazionali.
L’Importanza del Friuli Venezia Giulia
In effetti, a sentir parlare Rampini e l’ambasciatrice Zappia, c’è molto da riflettere. L’ambasciatrice, in particolare, ha portato una prospettiva interessante, ricordandoci quanto è importante che le piccole realtà territoriali si facciano conoscere a livello internazionale, che trovino spazio in contesti come quello degli Stati Uniti.
“La geopolitica non è solo roba da grandi potenze”, ha detto. “È anche una questione di come le comunità locali sanno giocare le loro carte.” E il Friuli Venezia Giulia è una di quelle realtà che ha imparato a farlo, portando il suo sistema produttivo, universitario, il suo tessuto economico, al di là dell’Atlantico.
Trump e il futuro delle relazioni internazionali
E poi c’è Rampini, che ci ricorda che la prossima edizione di Open Dialogues sarà davvero unica: cade poco più di un mese dopo l’insediamento ufficiale di Trump. Già, Trump di nuovo presidente. E sarà interessante capire cosa questo significa per l’Europa, per l’Italia, per le nostre piccole e grandi imprese.
Perché, diciamolo chiaramente, c’è sempre un po’ di incertezza quando si tratta di Stati Uniti e delle loro politiche estere. Ma c’è anche la speranza che, alla fine, le relazioni economiche restino forti, che le nostre aziende possano continuare a trovare spazio in quel mercato così grande e complesso.
La metafora del rinoceronte grigio
La metafora del “rinoceronte grigio”, che Rampini ha tirato fuori durante il suo intervento, è una di quelle che restano impresse. Non è come il cigno nero, l’evento imprevisto che cambia tutto. No, il rinoceronte grigio è l’evento che vedi arrivare da lontano, che tutti sanno che accadrà, ma che comunque, quando succede, è uno shock.
Trump è stato un po’ così, la prima volta. Adesso lo conosciamo, sappiamo cosa aspettarci, eppure resta una figura capace di scuotere gli equilibri. E Rampini, con quella sua lucidità, ci fa capire che siamo entrati in una nuova fase della globalizzazione, più frammentata, più chiusa, con meno certezze.
Ma Open Dialogues non sarà solo Stati Uniti e Trump. Sarà anche un’occasione per parlare di Europa, di conflitti e di pace, di come le nostre economie possano reggere il passo con le trasformazioni digitali e ambientali che ci attendono.
La prima giornata: focus su Europa e conflitti
La prima giornata, il 6 marzo, si aprirà con un’analisi sulle conseguenze geopolitiche dei conflitti in Ucraina e Palestina. “Fattori di accelerazione per la formazione di un nuovo ordine mondiale”, come l’ha definito Filippo Malinverno, responsabile del programma.
E poi ci sarà spazio per parlare delle sfide della competitività europea, con un focus su Italia, Francia e Germania. Quelle che una volta erano le locomotive del continente, oggi faticano a ritrovare la fiducia necessaria per trainare tutti gli altri. E forse, proprio a partire da eventi come questo, possiamo cominciare a ricostruirla.
La seconda giornata: Stati Uniti e nuove prospettive
La seconda giornata? Beh, sarà tutta dedicata agli Stati Uniti. E non sarà certo una passeggiata. Ci sarà Federico Rampini, con la sua solita energia, pronto a fare il punto sulla nuova amministrazione Trump. Sì, di nuovo Trump. E poi ci saranno i rapporti con la Cina, l’Europa… insomma, un bel po’ di questioni complicate. Ma ci serve capire. Serve davvero capire come questa superpotenza si sta muovendo, quali sono le intenzioni, cosa ci aspetta. Sarà una giornata bella tosta, piena di spunti, di riflessioni. Di quelle che ti fanno uscire con la testa che gira ma con qualche idea in più su dove stiamo andando.
E non finisce qui. Ci saranno anche delle storie vere, concrete, di aziende friulane che sono riuscite a mettere radici negli Stati Uniti. Persone che hanno vissuto tutto sulla propria pelle. Racconteranno i loro successi, certo, ma anche le difficoltà, i momenti in cui hanno pensato di mollare tutto. Perché alla fine sono quelle storie lì, quelle vere, che ti fanno capire davvero cosa significa essere nel bel mezzo di tutto questo.
È un luogo dove i giovani possono trovare ispirazione, dove possono vedere che ci sono opportunità, nonostante tutto. L’assessore regionale Sergio Emidio Bini l’ha detto chiaramente: “Siamo un popolo un po’ strano, amiamo sottovalutarci. Ma eventi come Odff ci consentono di continuare a trasmettere senso di realtà e conoscenza”. Ed è vero. Spesso ci dimentichiamo di quello che siamo capaci di fare, ma abbiamo tutte le carte in regola per giocare una partita importante.
Un evento diffuso a Udine
E così, tra un panel e una conversazione, tra una sessione plenaria e una chiacchierata informale, Open Dialogues ci darà anche quest’anno l’opportunità di fermarci e di pensare. Di fare il punto su dove siamo e dove vogliamo andare.
Sarà un evento che si spargerà per tutta Udine, un po’ come un abbraccio che coinvolge tutta la città. Non sarà solo la Camera di Commercio ma anche altri posti che hanno un’anima, come la Fondazione Friuli o la vecchia chiesa di San Francesco. Perché sì, vogliamo che sia dappertutto, che si respiri ovunque. E poi, sai, è tutto pensato per essere libero, senza costrizioni. Vuoi seguire un panel e saltarne un altro? Vai tranquillo. Vuoi startene a chiacchierare con qualcuno e perderti una sessione? Nessun problema. Alla fine, è tutto fatto per te, per renderlo davvero qualcosa di tuo. Un’esperienza che scegli tu, che vivi tu, come vuoi tu.
Ospiti di rilievo
Tra gli ospiti attesi, ci saranno volti noti e meno noti, persone che hanno qualcosa da dire, che hanno un punto di vista interessante da condividere. Orietta Moscatelli, analista di Limes, Benedetta Berti, responsabile delle politiche strategiche della Nato, Arduino Paniccia, Paolo Mieli, Gilles Gressani e molti altri. Saranno loro a guidarci in queste due giornate, a farci riflettere, a darci nuovi spunti per capire il mondo.
Perché Open Dialogues è importante
Quello che ci resta è la sensazione che eventi come Open Dialogues siano più importanti che mai. In un mondo che sembra sempre più diviso, dove le certezze vacillano, abbiamo bisogno di momenti come questi, di spazi dove confrontarci, dove costruire insieme un’idea di futuro.
Non è detto che troveremo tutte le risposte ma di sicuro usciremo da quelle due giornate con qualche domanda in più. E forse, è proprio questo il punto. Essere pronti a mettersi in discussione, a guardare il mondo con occhi nuovi, a non accontentarsi mai di quello che già sappiamo. Appuntamento a Udine, il 6 e 7 marzo. Perché il futuro non aspetta e nemmeno noi dovremmo farlo.
Curiosità
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*Foto dal profilo ufficiale su Instagram di Sofia Viscardi.