Note di successo: la storia di Amadeus tra radio, televisione e Sanremo
A cura di Pierluigi Panciroli
Amedeo Umberto Rita Sebastiani, in arte Amadeus nasce a Ravenna il 20 settembre 1962, portando con sé le radici di una famiglia unita e legata alle proprie origini palermitane.
Frutto dell’unione tra Antonella e Corrado Sebastiani, quest’ultimo un esperto maestro di equitazione, Amedeo cresce in un ambiente permeato dalla passione per i cavalli.

La sua infanzia è segnata da un significativo cambiamento. A soli sei anni, la sua famiglia decide di trasferirsi nella pittoresca Verona. Il padre, Corrado, spinto da esigenze professionali legate al suo ruolo di maestro di equitazione, trasloca la sua famiglia e introduce, così, il giovane Amedeo in una nuova realtà.
È proprio in questo contesto che, sin da giovane età, sviluppa una profonda passione per l’equitazione.
Il destino lo mette alla prova
A soli sette anni, una malattia renale invalidante mette in serio pericolo la sua giovane vita. Due lunghi mesi in ospedale, tra la vita e la morte, forgiano la sua resilienza: l’isolamento forzato è una tappa fondamentale nella costruzione della sua personalità e del suo spirito battagliero.
Tornato a casa guarito, Amedeo intraprende il percorso educativo: prima l’istituto agrario, poi l’istituto tecnico per geometri.
I primi inizi
A 17 anni, accompagnando un amico a un provino presso la piccola emittente locale Blu Radio Star, finisce per intraprendere la strada dei microfoni: la miccia che accende il fuoco di una lunga carriera. Ed è qui che grazie alla sua naturale verve, Amedeo si trova a collaborare con Fiorello, Jovanotti, Marco Baldini a Radio Deejay.

Grazie alla sua grinta e al suo talento, il giovane è destinato al piccolo schermo, nel 1988, debutta come conduttore nel programma “1, 2, 3 Jovanotti” su Italia 1. Saranno poi altri programmi a costituire il suo trampolino verso il successo:”DeeJay Television” e “Deejay Beach“, che contribuiscono, così, a rendere sempre più solida la sua presenza in tv.
Un incontro fatidico
A segnare la svolta nella personale carriera del giovane fu l’incontro fortunato con Vittorio Salvetti, che gli affida uno dei ruoli di punta del Festivalbar. Siamo infatti nel 1993 e su Italia 1 Amedeo guiderà una delle edizioni più memorabili di sempre.Un’occasione che non solo consolida la sua fama televisiva, ma gli conferisce il preminente riconoscimento del pubblico e della critica.
Il Festivalbar diventa la vetrina che proietta Amedeo al centro dell’attenzione nazionale. Susseguono, poi a ruota numerose conduzioni e programmi di differenti generi musicali e quiz.
L’anno 1999 segna un passaggio significativo nel suo curriculum: debutta in Rai e inizia la lunga e fortunata collaborazione con “Domenica In”, di cui sarà volto di punta per moltissime edizioni.
La sua poliedricità e il suo magnetismo fanno di lui una presenza insostituibile in tv. Programmi come “L’eredità” e “Soliti Ignoti” ben riusciti, ne fanno di lui una figura iconica e uno dei personaggi più amati del piccolo schermo.
Ma i successi non finiscono qui…
Il 2 agosto 1999: la Rai con eloquenza annuncia Amadeus come nuovo direttore artistico della 70° edizione del Festival di Sanremo.
Una montagna impossibile da scalare che Amedeo affronta con coraggio e maestria: un trionfo assoluto – un purissimo 54,78% di share medio –. La cronaca la decreta come l’edizione maggiormente vista.

Il suo destriero televisivo, con la crisi della Rai post emergenzaCovid, si spinge oltre la retorica e diviene vessillo dell’unità nazionale, tanto che la coppia Amadeus–Fiorello riceve il prestigioso Premio Biagio Agnes 2020, proprio per avere riunito il Paese in un momento di frammentazione e confusione generale.
Nel panorama televisivo, la sua affascinante presenza continua a diffondersi attraverso programmi come I Soliti Ignoti, Sanremo Giovani, L’anno che verrà e Arena Suzuki ’60 ’70 ’80.
Nel 2022, il suo trionfo si rinnova in modo impalpabile con l’avvio di una nuova edizione del Festival di Sanremo. La sua epifania nel contesto del Festival non conosce sosta, con la conferma al timone anche per le edizioni 2023 e 2024.
Vita privata
Amadeus Amedeo ha intessuto la sua vita sentimentale tra il filo del destino e gli affetti più cari. Dal suo matrimonio con Marisa Di Martino, celebrato nel 1993 e giunto al capolinea nel 2007, è nata Alice Vittoria, tassello importante delle sue vicende personali.
Ma una ballerina, Giovanna Civitillo, è entrata a far parte della sua vita personale dal 2009, anno cui si sono uniti civilmente. Da questa unione viene alla luce José Alberto.
Un maestro dell’intrattenimento
In questo mondo di luci e colori Amadeus, daltonico dalla nascita, ha un carisma inconfondibile. La sua vena dimostrativa e coinvolgente lo rende un performer capace di crescere, un presentatore animato, inoltre, da un grande spirito di adattamento in grado di affrontare con disinvoltura diversi generi televisivi, dai programmi musicali ai quiz.
Altro elemento che rende così affabile Amadeus è sicuramente l’improvvisazione: difficile coglierlo impreparato in una situazione inaspettata, a dimostrazione che la sua natura dinamica e vivace reca in dote un gran carico di vivacità pratica e operativa.
Un carattere serio, empatico e professionista, da sempre tra i nomi più rispettati nell’ambito del mondo dell’intrattenimento.
Complessivamente, Amadeus rappresenta un’icona dell’intrattenimento italiano, coniugando talento musicale, versatilità, carisma e una solida presenza professionale.

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Intrattenimento
Westworld, il desiderio di un finale continua a pulsare

Ogni volta che qualcuno dice “Westworld” senti qualcosa, no? Cioè, non è solo una serie tv che guardi e passi avanti. È più come un sentimento, una roba che ti prende lo stomaco, ti stringe un po’ il cuore. È futuristico, ok, figo, ma anche un po’ folle, un po’ disordinato. E noi lì, incollati episodio dopo episodio dal 2016, a perderci dentro questo mondo assurdo, fino a quel maledetto giorno del 2022 che hanno detto basta, stop, cancellato.
Così, dal nulla. Ma adesso, dopo tutto sto tempo che abbiamo messo via la speranza, arriva Aaron Paul a dire che forse, magari, chissà, una quinta stagione potrebbe esserci davvero e stavolta finirebbe come si deve. Non lo so voi, ma a noi questa cosa fa un po’ tremare dentro.
Una serie che ha lasciato il segno
Quando Jonathan Nolan e Lisa Joy hanno deciso di mettere le mani su Westworld, non stavano solo rifacendo qualcosa di vecchio, sai? C’era un’intenzione dietro, qualcosa di serio, forte: cercare di capire fin dove siamo davvero liberi e quando invece c’è qualcosa—un algoritmo, una macchina, boh—che decide per noi. La prima stagione ci ha stregato tutti, inutile far finta che non fosse così. Era un disordine bellissimo, ci sentivamo dentro qualcosa di nuovo, diverso, eppure familiare, con quella tensione pazzesca tra uomo e macchina. C’era energia, c’era passione, c’erano cose che ti facevano esplodere il cervello.
E poi è successo quello che succede sempre, perché la perfezione mica esiste. Qualcosa è andato storto, inutile girarci attorno. Ascolti che calavano, scelte discutibili, fan che si spaccavano in due, tre, mille fazioni diverse. Fino a quel giorno, autunno 2022, quando è arrivato l’annuncio che nessuno voleva sentire: fine della corsa. Uno stop improvviso, una botta secca che ci ha lasciati tutti un po’ spaesati, delusi, amareggiati. Una storia interrotta a metà, con mille domande ancora aperte che ti rimangono lì, ferme nello stomaco. Ed è questa la verità, la dura, brutta verità.
Aaron Paul e la prospettiva di un addio meno amaro
Da allora abbiamo sentito qua e là varie opinioni, alcune più disilluse, altre smaniose di un ritorno, anche simbolico. È stato però Aaron Paul, l’attore che ha dato vita al personaggio di Caleb Nichols a partire dalla terza stagione, a riaccendere i riflettori sulla possibilità di un’ultima corsa. In un’intervista rilasciata a ComicBook, Paul ha confessato di aver avuto un confronto con Nolan su come avrebbe dovuto concludersi tutto. Ha ammesso di non voler alimentare false speranze, eppure un filo di ottimismo nel suo sguardo si è intravisto eccome. Ha detto di avere “le idee molto chiare”, spiegando che l’intenzione esiste, sebbene resti tutto appeso a mille variabili.
Il punto è questo: chi ha seguito Westworld non vuole solo una chiusura rapida o uno special di un’ora. C’è un desiderio di coerenza e di completamento, lo stesso che trapela dalle parole di Aaron Paul. Sembra quasi che l’intero cast – almeno in parte – abbia la necessità di concludere la storia nel modo in cui era stata originariamente pensata.
Jonathan Nolan e quella voglia di finire il lavoro
Prima ancora della cancellazione ufficiale, Jonathan Nolan non aveva fatto segreto di voler portare a termine il progetto. Ad aprile 2024 ribadiva la sua intenzione di dare alla serie un approdo naturale, dichiarando: “Siamo dei perfezionisti… Vorremmo portare a termine la storia che abbiamo iniziato”. A prescindere dai calcoli di produzione o dai numeri d’ascolto, appariva chiaro che la visione dei creatori non era affatto conclusa.
Ora, a distanza di tempo, si risente la stessa spinta ideale. Nolan non mostrava rimpianti per come si erano svolte le cose, eppure parlava di un desiderio molto forte di concludere l’arco narrativo rimasto in sospeso. Ed è qui che la speranza di molti si riallaccia: dare un senso definitivo a vicende, personaggi, visioni futuristiche e atmosfere western che hanno fatto scuola.
Uno spiraglio di luce
A noi, in fondo, interessa sapere se Westworld potrà davvero tornare. È difficile prevedere se le parole di Aaron Paul si trasformeranno in un vero contratto di produzione per una quinta stagione. Tuttavia, questa piccola scintilla di ottimismo sembra sufficiente a riavvivare l’entusiasmo attorno a un universo narrativo che non ha mai smesso di far discutere.
Forse non è ancora finita. E se mai dovesse arrivare l’occasione di vedere Westworld chiudere in grande stile, saremmo pronti a sederci di fronte allo schermo con la stessa trepidazione di quel lontano 2016. Perché alcune storie meritano un addio degno di essere ricordato, e ci auguriamo che, un giorno, l’ultima parola spetti davvero al parco dei sogni (e degli incubi) più futuristico del piccolo schermo.
Intrattenimento
James Cameron e l’ombra personale dietro Jake Sully: quando la fantasia si intreccia con...

Siamo abituati a pensare ai film di Avatar come a spettacolari avventure su mondi lontanissimi, ma dietro le quinte si nasconde un dettaglio ancora più intrigante: l’autore di tutto questo, il regista James Cameron, ha ammesso di avere infuso qualcosa di se stesso in uno dei protagonisti. E non parliamo solo di tratti caratteriali vagamente ispirati, bensì di un vero e proprio riflesso di certe sue sfumature, compresi i lati più “scomodi”.
“Jake Sully ha un po’ del mio carattere… un po’ str**, come me.”
Questo, in sintesi, il fulmine a ciel sereno che Cameron ha rivelato durante un’intervista, e ci ha fatto quasi balzare sulla sedia. Ma perché un regista di tale calibro dovrebbe confessare una cosa del genere? Forse, per aiutarci a capire che, dietro l’incredibile battaglia dei Na’vi contro gli invasori umani, c’è un universo di emozioni reali. E proprio nel cuore di questo universo, c’è un padre – e c’è Cameron – alle prese con responsabilità, timori e durezza. Sì, perché “Jake è tosto, severo con i figli,” come sostiene lui stesso, e c’è una ragione se certi attributi risuonano tanto vicini al regista.
Il successo di un’idea più grande di ogni record
Nel 2009, il primo Avatar ha sbancato i botteghini ed è diventato il film col maggiore incasso nella storia del cinema. Non era solo questione di tecnologia rivoluzionaria o di mondi esotici: la storia di Jake Sully, ex marine paraplegico interpretato da Sam Worthington, ci ha catapultati su Pandora e ci ha mostrato un percorso di identità e appartenenza.
Quel viaggio epico ha convinto milioni di persone a tornare più volte in sala, trasformandolo in un fenomeno planetario. Eppure, la vera sostanza di tutto rimane la complessità dei personaggi. Cameron, insieme ai co-sceneggiatori (tra cui Amanda Silver e Rick Jaffa), non voleva limitarsi a costruire figure ideali e imbattibili. Cercava, al contrario, di rendere i protagonisti un po’ più umani e fallibili.
Un padre che impara a combattere su più fronti
Nel sequel del 2022, Avatar: La via dell’acqua, Jake e Neytiri (interpretata da Zoe Saldaña) diventano il cuore di una famiglia in perenne conflitto fra battaglie esterne e problemi interni. È qui che, secondo Cameron, si nota di più il riflesso delle esperienze personali. Lo vediamo mentre Jake cerca di proteggere i suoi figli da un pericolo sempre più pressante e, nello stesso momento, li spinge a crescere come guerrieri. Non è un compito facile. Anzi, il regista lo definisce un approccio “duro,” che nasce dalla paura di perdere ciò che si ama e dal desiderio di forgiare la resistenza futura.
L’apice di questo conflitto familiare è la morte del primogenito Neteyam (Jamie Flatters), evento che getta Jake e Neytiri nello sconforto e ci fa sentire, quasi sulla nostra pelle, quanto sia amaro il prezzo da pagare per difendere una casa in cui si crede fermamente.
Prospettive future: “Avatar: Fuoco e cenere” e oltre
Le difficoltà che Jake affronta come padre non sono destinate a sparire. Cameron lo ha già anticipato: nei prossimi capitoli – a partire da Avatar: Fuoco e cenere, previsto per quest’anno – il tema familiare sarà ancora più centrale. Non aspettatevi, però, un Jake schiacciato dal senso di colpa: sembrerebbe che la storia voglia spingersi a esplorare il rapporto tra genitori e figli da prospettive sempre nuove.
Dunque, la saga di Avatar continua a essere un contenitore di grandi temi, non solo visivamente sorprendente ma anche emotivamente ricco. E a chi si chiede se davvero un regista pluripremiato abbia bisogno di specchiarsi nelle proprie creature, ci viene da rispondere che forse sta proprio qui la chiave del suo successo. Mostrare la parte più vera, perfino un po’ “str****,” di sé.
In fondo, Avatar ha conquistato il mondo perché ci regala una storia in cui conflitti e sentimenti sono tangibili. Una storia in cui un padre, sia pure in un corpo alieno, combatte fino all’ultimo respiro per difendere la sua famiglia. Ed è una storia che, per quanto lontana nello spazio, risuona vicinissima a chiunque abbia mai provato l’istinto di proteggere ciò che ama. Ecco, forse è questa la magia di James Cameron: la sua capacità di prendere un’epopea futuristica e riempirla di parole, sguardi e debolezze che – in un modo o nell’altro – riflettono la vita di tutti noi.
Intrattenimento
Jonathan Majors, dalla bufera Marvel a un nuovo inizio: la strada verso un supereroe...

Non useremo scuse o frasi di circostanza. Vi diciamo subito che la storia di Jonathan Majors, ex volto di Kang il Conquistatore all’interno del Marvel Cinematic Universe, non si è conclusa con un semplice licenziamento. È un racconto pieno di salite ripide e qualche luce in fondo al tunnel. Un momento all’apparenza impensabile: da possibile colonna portante dei futuri Avengers, Majors si è ritrovato a dover fare i conti con accuse legali e conseguenze professionali immediate.
Adesso, se ci fermiamo un secondo a riflettere, sembra incredibile che tutto sia accaduto in così poco tempo. Prima Majors era l’uomo che appariva in “Loki” e “Ant-Man and The Wasp: Quantumania”, un attore di talento con lo sguardo pronto a ipnotizzare il pubblico. Poi è arrivata la bufera legale: aggressione di terzo grado e molestie, legate a un alterco con la sua ex fidanzata, Grace Jabbari. Lui ha sempre negato ogni addebito, ma il tribunale penale di Lower Manhattan ha emesso un verdetto di condanna che ha cambiato tutto.
Il duro colpo: l’allontanamento da Marvel Studios
Certe decisioni si apprendono nel modo più duro. Majors ha raccontato a The Hollywood Reporter di aver ricevuto la notizia del licenziamento subito dopo essere uscito dal tribunale, praticamente all’uscita di quella porta che doveva rappresentare la fine di un processo e l’inizio di una ripartenza. E invece, uno del suo team gli ha comunicato che la Marvel aveva deciso di tagliare i ponti. Immaginate il frastuono interiore, la domanda che magari lui stesso si sarà ripetuto mille volte: “Ma è successo per davvero?”.
Lui non ha nascosto di aver provato un dolore sordo, un vuoto che, col passare dei giorni, si è fatto ancora più pesante. E in tutto ciò, per rimettere insieme i pezzi, si è rivolto a un terapeuta e al suo pastore di fiducia, cercando di fare i conti con antiche ferite mai del tutto risolte. D’altronde, quando qualcosa crolla, la prima reazione è cercare di capire da dove ripartire.
L’impegno a ricostruire
Dopo la condanna, l’attore ha svolto un programma di intervento contro la violenza domestica di 52 settimane. Non è uno scherzo: un intero anno a confrontarsi con esperti, a guardarsi dentro, a provare a capire come evitare di commettere errori simili in futuro. È stato un percorso che, a quanto pare, gli ha dato una nuova prospettiva di vita e di lavoro.
E qui arriva la seconda grande notizia: la voglia di un nuovo progetto, fuori dalla sfera Marvel e anche lontano dalla DC. Un film di supereroi indipendente, senza l’ombra dei grandi franchise. Non ci sono dettagli specifici sulla trama, ma si sa che Majors si sta muovendo con cautela, studiando copioni e cercando di capire quale storia possa davvero esaltare il suo talento (e magari restituirgli un po’ di fiducia personale).
Sguardo al futuro (con qualche sorpresa)
Al di là di questa ripartenza, c’è un altro spiraglio che potrebbe riportarlo sotto i riflettori. Pare che Michael B. Jordan abbia espresso il desiderio di vederlo nel quarto capitolo di “Creed”. Che sia l’occasione perfetta per un rilancio definitivo? Mai dire mai.
Nel frattempo, la Marvel si è ritrovata a ridisegnare i propri piani. L’assenza di Kang rischia di cambiare rotta a vari film, inclusi i prossimi Avengers. Questo vuoto narrativo, però, potrebbe trasformarsi in opportunità per nuovi personaggi o storyline. E forse, chissà, è proprio in questi spazi inaspettati che il destino artistico di Majors troverà una direzione più autentica.