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Gratta e Vinci, casinò online e le scommesse sportive: gli italiani amano il gioco d’azzardo. Amano la rincorsa al montepremi milionario del Superenalotto, le slot machine con la loro musica e le combinazioni numeriche della lotteria. Dai casinò terrestri fino a quelli virtuali, il divertimento è assicurato, anche con le scommesse, che sono una vera scossa di adrenalina.

Insomma, tra la caccia ai premi grandi, tornei di poker e tiro dei dadi, in Italia si gioca per divertirsi. E le sorprese non sono finite qui. Ecco 5 curiosità sul mondo del gioco d’azzardo nel Bel Paese.

Abbiamo la casa di gioco più antica del mondo

Si tratta del Casinò di Venezia, che è stato aperto nel 1638. Proprio questa data garantisce al casinò veneto il titolo di “più antico del mondo.” È iniziato tutto con il Ca’ Vendramin Calergi sul Canal Grande, una destinazione iconica tanto quanto la sua ubicazione. Si trova all’interno di un tipico palazzo veneziano elegante, la cui costruzione risale al 15° secolo. Le innumerevoli finestre si affacciano sul canale d’acqua principale della bella Venezia, per cui è un luogo pieno di fascino.

All’interno, i giocatori si divertono con il blackjack, i ristoranti tipici e i tavoli di carte. Chi ama la storia può anche ammirare il portego, lo scalone e le mostre all’interno delle Sale Wagner. Un vero gioiello italiano.

La roulette è online e dal vivo

Mentre il Casinò di Venezia è terrestre e fisico, gli italiani amano anche divertirsi online con app e piattaforme dedicate. Infatti, online è possibile giocare alla roulette live con soldi veri e con un croupier altrettanto reale. È come essere al casinò fisico, ma comodamente dal divano, dal treno oppure durante la pausa pranzo. Sempre di più, esistono siti in italiano che propongono giochi come la roulette, le slot e i tornei di poker dal vivo. Tutto per non perdere l’adrenalina.

L’età media dei giocatori

Sono gli over 65 i giocatori italiani più appassionati. Lo riporta una ricerca dell’Osservatorio Nomisma sul Gioco d’Azzardo del 2021. Infatti, il 25% degli over 65 ha giocato durante il 2020, a volte scoprendo questo mondo per la prima volta. Scelgono di provare il gioco d’azzardo per distrazione e come passatempo, per poi scoprire che è una vera passione -tanto che il 16% gioca mensilmente. Proprio per la loro età, questi giocatori preferiscono i luoghi fisici (22%) come sale bingo e bar, mentre solo il 3% sceglie di giocare da smartphone e tablet.

Il valore del gioco d’azzardo in Italia

Quanto vale questa industria per lo Stato italiano? Nel 2020, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha riportato un’entrata di 88,38 miliardi di euro, un calo del 20% rispetto al 2019 per colpa della pandemia. L’incasso dello Stato ammonta a 7,24 miliardi, un calo del 36%. Si tratta dell’effetto pandemia, che ha spinto il gioco online tanto che le entrate online sono arrivate a 49,2 miliardi di euro (+35% rispetto al 2019), oltre il 55% delle giocate complessive in Italia.

Dove si gioca

Ovviamente, nei casinò terrestri e in quelli online con licenza. Ma forse non sapevi che lo Stato italiano permette anche il gioco d’azzardo sulle navi da crociera naviganti fuori dal bacino del Mediterraneo. Per cui si può giocare sulla crociera che da Genova ti porta verso l’oceano, con un cocktail in mano e ammirando la piscina. Però solo dopo che queste navi giganti hanno attraversato lo stretto di Gibilterra, lasciandosi il Mediterraneo alle spalle. Si gioca con soldi veri, anche se in vacanza, per cui non manca l’adrenalina.

Insomma, l’Italia ama tentare la fortuna e questa è un’industria piena di opportunità e sviluppi, sia tecnologici che non. Italiani, popolo di giocatori.

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Attualità

La storia del telefono cellulare: Dal sogno alla...

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Proviamo a immaginare com’era la vita senza i telefoni cellulari. Strano, vero? Oggi sembra quasi impossibile pensarci, ma c’è stato davvero un tempo in cui tutto questo semplicemente non esisteva. Immaginate di voler parlare con qualcuno e dover per forza trovare un telefono fisso, o magari aspettare di tornare a casa per fare quella chiamata. Magari eravate per strada, sotto la pioggia, cercando una cabina telefonica che funzionasse e spesso le monete finivano proprio sul più bello. Niente messaggi veloci, niente videochiamate, niente selfie da mandare al volo. Insomma, era un altro mondo. Nessuna possibilità di prenotare un taxi all’ultimo momento o di chiedere indicazioni semplicemente guardando lo schermo del vostro telefono.

Tutte queste piccole comodità che oggi diamo per scontate, un tempo erano sogni irraggiungibili. Gli smartphone che ormai ci portiamo dietro ovunque sono il risultato di anni di prove, errori, fallimenti e sogni grandi. Ci sono stati momenti di successo, ma anche tanti fallimenti e ognuno di questi ci ha portato più vicini a quello che oggi consideriamo normale. Ma da dove è partito tutto? Andiamo a scoprirlo passo dopo passo, tra storie pazze e momenti epici. Prendetevi un po’ di tempo, la storia è più incredibile di quanto si possa immaginare.

Dove tutto comincia: i primi esperimenti

Allora, la storia del telefono cellulare inizia con tentativi che sembrano quasi pazzie. Parliamo degli anni ’40, quando c’erano questi pionieri, veri e propri visionari, che facevano esperimenti senza neanche sapere se sarebbero riusciti. Tutto comincia nei laboratori della Bell Labs, una divisione di AT&T. Immaginate questi scienziati, chiusi in stanze piene di cavi e valvole, roba strana che forse manco noi capiremmo. Già negli anni ’40, stavano provando a inventare qualcosa che somigliasse alla telefonia mobile. Ma lasciate perdere: era tutto rudimentale, un disastro. Nel 1946, Bell mise insieme la prima rete mobile, ma non pensate ai cellulari che conosciamo oggi: erano enormi, installati sulle automobili, pesanti e scomodissimi. Altro che metterli in tasca, impossibile!

Nel frattempo, in altre parti del mondo, nessuno stava con le mani in mano. Negli Stati Uniti, la RCA stava facendo esperimenti con nuovi sistemi di comunicazione radio. In Europa, la Plessey cercava di migliorare la copertura e la qualità del segnale. Ma qual era il problema più grande? La “banda”. Non c’era abbastanza spazio per tutte le chiamate, una specie di ingorgo telefonico continuo. L’idea di avere una piccola scatoletta in tasca per parlare con qualcuno dall’altra parte del mondo? Beh, scordatevelo. Era pura fantascienza, un sogno lontanissimo.

Il momento storico: Martin Cooper e il primo vero cellulare

Per arrivare a parlare di telefoni cellulari veri e propri, dobbiamo spostarci negli anni ’70. E qui entra in gioco Martin Cooper, uno di quei tipi che cambiano tutto. Martin Cooper, ingegnere in Motorola, viene ricordato come il “padre” del telefono cellulare. Siamo al 3 aprile 1973 e sapete cosa fa? Prende questo enorme aggeggio, un mattone di nome DynaTAC 8000X, pesante come un dannato chilo e chiama il suo rivale, Joel Engel di Bell Labs. Una cosa tipo: “Hey Joel, ce l’abbiamo fatta!”. Provate a immaginarvi la scena: un telefono che pesava più di una bottiglia d’acqua, con un’autonomia ridicola di 30 minuti dopo 10 ore di ricarica… eppure, era magia pura.

Cooper e il suo team ci avevano messo l’anima in quel progetto. Tre anni di ricerca, prove e tanti problemi da risolvere. Dovevano capire come rendere più piccoli tutti quei componenti elettronici, come far sì che la batteria durasse abbastanza da fare almeno una chiamata decente. Non era facile, affatto. Ma alla fine ce l’hanno fatta. Quel giorno d’aprile ha cambiato tutto. La telefonia mobile, che fino a quel momento sembrava da film di fantascienza, stava diventando realtà.

Gli anni ’80: la prima commercializzazione

Dopo quella chiamata epica di Cooper, passano altri dieci anni… dieci anni! Prima che il primo cellulare vero e proprio finisse nelle mani del pubblico. Arriva il Motorola DynaTAC 8000X, nel 1983. E sapete qual era il prezzo? Tenetevi forte: circa 4.000 dollari. Cioè, una piccola fortuna per quei tempi, roba da pochi eletti. E infatti, nonostante il prezzo assurdo, il DynaTAC diventò subito un simbolo di status. Lo vedevi nelle mani di uomini d’affari e di quei pionieri digitali pieni di soldi che volevano far vedere che erano avanti.

E questi telefoni, in quegli anni, erano proprio dei mattoni: enormi, pesanti, con pochissime funzioni. Facevano una cosa sola e facevano pure fatica: le chiamate vocali. Niente messaggi, niente app, niente fotocamere. Praticamente era un telefono fisso, ma senza il filo, che però potevi portarti dietro… sempre che avessi abbastanza forza per farlo!

Il boom degli anni ’90: GSM e la democratizzazione del cellulare

Gli anni ’90… che anni! I telefoni cellulari cambiarono completamente. Le vecchie reti analogiche? Un disastro: limitate, piene di interferenze. Piano piano, però, queste reti vennero sostituite dal GSM (Global System for Mobile Communications) e fu un vero punto di svolta. Era il 1991 e l’Europa per prima disse: “Facciamo qualcosa di diverso, rendiamo queste reti standard per tutti!”. E il GSM permise proprio questo: ora potevi usare il cellulare anche fuori dai confini del tuo Paese. Tutto questo fece decollare la produzione di massa e i costi iniziarono a scendere. Fu un momento decisivo.

E poi, sempre negli anni ’90, i telefoni stessi cominciarono a cambiare aspetto: sempre più piccoli, leggeri e finalmente un po’ meno costosi. Nokia, Ericsson e altri brand iniziarono a creare modelli che non erano più dei mattoni, ma qualcosa che la gente poteva usare senza troppi problemi. Chi se lo dimentica il Nokia 3210, uscito nel 1999?? Quello sì che era un telefono: robusto, con il mitico Snake che ci ha fatto perdere ore intere. Subito un successo tra giovani e adulti, un pezzo di storia.

Ma già qualche anno prima, nel 1996, Motorola aveva fatto parlare di sé con un altro colpo di genio: il Motorola StarTAC. Il primo telefono a conchiglia, piccolo, leggero, finalmente qualcosa che potevi davvero infilare in tasca senza sembrare un cyborg. Era un simbolo, un oggetto che faceva dire a tutti: “Wow, guarda che roba!”. Non era solo pratico, era figo. La gente impazziva per questo telefono. Non più un mattone, ma qualcosa di davvero portatile. Il StarTAC ha segnato un passaggio importante, quasi un anticipo dei telefoni moderni. È stato un successo enorme e ha dato il via a tutto ciò che è venuto dopo.

E poi, il Nokia 3310… chi non se lo ricorda? Snake, la resistenza infinita, cadute che avrebbero distrutto qualsiasi altra cosa, ma non lui! Era diventato un’icona e senza dubbio ha contribuito alla diffusione dei cellulari come pochi altri modelli.

E poi, negli anni ’90, c’è un’altra piccola rivoluzione. Gli SMS. Sì, i messaggini. Allora, pensate un attimo: il primo messaggio di testo venne mandato nel 1992. Sì, era un semplice “Merry Christmas”. Roba semplice, niente di epico. Mandato da un computer a un cellulare. Una cosa piccola, ma se ci pensate bene, era l’inizio di qualcosa di enorme. Niente di che, vero? Ma fu solo l’inizio. Da lì in poi, i messaggi di testo diventano uno dei modi più popolari per comunicare. Un “dove sei?”, un “ti voglio bene”, tutto in pochi caratteri. Qualcosa che cambia le relazioni, il modo di parlare, tutto quanto.

Gli anni 2000: la nascita degli smartphone

E poi, eccoci agli anni 2000. Il cellulare smette di essere solo per chiamare. Diventa molto di più. Iniziano a chiamarli smartphone. La vera svolta arriva con il BlackBerry: email sul telefono, internet sempre con te. Nokia, ovviamente, non rimane a guardare. Nel 1996 lancia il Nokia Communicator, qualcosa che cercava di unire le funzionalità di un computer con un telefono. Era strano, ma era un inizio. Un tentativo di fare qualcosa di diverso, di innovativo. E non era l’unico. Tutti volevano essere i primi a creare il vero smartphone.

Ma il vero spartiacque? Beh, arriva nel 2007. E chi c’era? Steve Jobs. Sale sul palco e presenta al mondo l’iPhone. Una presentazione pubblica e il pubblico resta senza parole. Jobs tira fuori questo dispositivo e non è solo un telefono: è un lettore musicale, un navigatore, tutto in uno. La reazione? Incredibile, la gente impazzisce. L’entusiasmo è immediato, le notizie esplodono ovunque, tutti ne parlano. Non è solo un salto tecnologico, è un fenomeno culturale.

La gente fa la fila fuori dagli Apple Store, ore e ore, persino giorni interi, pur di essere tra i primi a metterci le mani sopra. Questo dispositivo segna davvero l’inizio di qualcosa di nuovo, l’era degli smartphone. Cambia per sempre il nostro modo di vivere la tecnologia. Non era solo un telefono, era tutto: una fotocamera, un lettore musicale, un navigatore. Un piccolo computer in tasca, con quella interfaccia touch che cambiava tutto. L’iPhone ridefinisce cosa significa avere un cellulare. E poi, arriva l’era degli app store: puoi scaricare funzionalità, giochi, strumenti di lavoro, social network. Un mondo tutto nuovo e tutto a portata di mano.

Le reti 3G e 4G: connessione sempre più veloce

Ma, diciamocelo, uno smartphone senza una rete come si deve, non avrebbe cambiato molto. E qui entra in gioco il 3G. Prima, navigare in internet era una roba da matti, lento come una tartaruga. Poi arriva il 3G e finalmente la navigazione diventa qualcosa di sopportabile, più fluida, più veloce. Ma non ci fermiamo lì. Dopo un po’, ecco il 4G. Era il 2010 e all’improvviso tutto cambia ancora. Streaming di video in alta definizione, applicazioni che divorano dati senza problemi. E così il cellulare non era più solo per fare chiamate o mandare messaggini. No, diventava lo strumento per guardare contenuti multimediali, Youtube, Netflix, tutto a portata di mano. Insomma, lo smartphone diventa una finestra vera e propria sul mondo.

I giorni nostri: 5G e il futuro del cellulare

Oggi siamo nell’era del 5G. Roba veloce, velocissima. Promette cose mai viste prima, tipo la realtà aumentata, la realtà virtuale e poi tutte quelle applicazioni avanzate per l’Internet delle Cose. Pensateci un attimo: i telefoni di oggi, tipo gli ultimi iPhone o Samsung Galaxy, sono praticamente dei supercomputer che fanno sembrare i computer usati per andare sulla Luna negli anni ’60 delle calcolatrici giocattolo. Assurdo, no?

E il futuro? Dove andremo a finire? Qualcuno dice dispositivi indossabili, roba da tenere addosso tutto il tempo. Occhiali smart, auricolari che non ti togli mai, sempre connessi, senza neanche dover tirare fuori il telefono dalla tasca. Oppure, cose ancora più folli: chip sottopelle, comunicazione invisibile. Magari l’intelligenza artificiale farà tutto per noi, senza nemmeno accorgercene. Chissà… sembra fantascienza, ma piano piano, ci stiamo arrivando davvero.

Un cambiamento culturale profondo

Il telefono cellulare non ha solo cambiato come comunichiamo, ha stravolto il modo in cui viviamo. Negli anni ’80 era un affare per businessman, roba da gente con la valigetta. Poi, anni ’90 e 2000, boom: diventa un oggetto di massa, ce l’avevano tutti. E oggi? Beh è praticamente un pezzo di noi, una estensione del nostro corpo. Pensateci: quante volte al giorno lo controllate? È il nostro calendario, ci dice dove andare, ci fa da macchina fotografica, ci tiene in contatto con tutti. Non possiamo farne a meno.

Questa rivoluzione del cellulare è stata così profonda che ha cambiato tutto: cultura, relazioni, persino la psicologia. Ci ha reso dipendenti, ma allo stesso tempo ci ha dato opportunità incredibili di connessione e accesso all’informazione. Insomma, è una lama a doppio taglio. Ha cambiato le regole del mondo del lavoro, permettendo il remote working e nuove forme di business.

Un viaggio incredibile che continua

La storia del telefono cellulare è fatta di tutto: innovazione continua, tentativi assurdi, fallimenti, sogni, successi… un mix di tutto. Immaginate Martin Cooper, nel 1973, che chiama il suo rivale con un apparecchio enorme, un “mattone” che pesava un chilo. E da lì, passo dopo passo, errori su errori, alla fine siamo arrivati ai dispositivi di oggi, quelli che ti porti in tasca e sono più potenti di un computer da tavolo di vent’anni fa. È stato un viaggio lungo, strano, pieno di colpi di scena. Affascinante, insomma.

Ma non è finita qui: il viaggio continua. Ogni anno vediamo nuove funzionalità, nuove tecnologie, nuovi modelli. E chissà come sarà il telefono cellulare tra venti o trent’anni. Forse non avremo nemmeno più bisogno di un “telefono” come lo intendiamo oggi. Forse comunicheremo direttamente con la nostra mente. O forse torneremo a riscoprire il piacere della conversazione faccia a faccia, senza schermi a separarci.

D’ora in poi potrebbe succedere qualsiasi cosa. Ma una cosa è sicura: il cellulare, un oggetto che abbiamo sempre in tasca, ha davvero cambiato tutto. Una svolta epocale. Siamo solo all’inizio e questa tecnologia, non sappiamo neanche dove ci porterà ancora. Siamo all’alba di qualcosa di enorme e ci stiamo solo scaldando i motori.

Il telefono cellulare non è solo tecnologia, è l’evoluzione di un sogno che ha cambiato il nostro modo di vivere, comunicare e sognare il futuro.” – Junior Cristarella

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Curiosità

Chi è Michela Quattrociocche? Tra cinema, famiglia e nuovi...

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Michela Quattrociocche, attrice romana, classe 1988. Molti di voi la ricordano per quel primo grande ruolo, Niki Cavalli, nel film Scusa ma ti chiamo amore, tratto dal libro di Federico Moccia. Era il 2008, eh… sono passati tanti anni. E Michela, in questi anni, ha fatto un bel po’ di strada. Con alti, con bassi. Con decisioni difficili. Con nuove avventure. Insomma, non è mai stata ferma. E oggi è una donna che, oltre a essere mamma, ha un percorso diverso da quello che tanti magari si aspettavano all’inizio. E forse è proprio questo il bello: vedere come la vita possa prendere pieghe diverse.

La carriera che parte presto

Michela comincia presto, già a 12 anni, a fare i primi passi nel mondo dello spettacolo. Frequenta corsi di dizione, portamento, posa per riviste giovanili. E poi arriva il diploma al Collegio Nazareno di Roma nel 2007. Pochi mesi dopo, eccola già lì, accanto a Raoul Bova, a interpretare Niki nel film che le cambierà la vita.

Scusa ma ti chiamo amore è un successo e Michela diventa subito un volto amato. Ma non si ferma qui, no. Nel 2010 torna di nuovo a fare Niki, per il sequel Scusa ma ti voglio sposare. E nel frattempo? Beh, nel 2009 ha fatto anche Natale a Beverly Hills. Uno di quei cinepanettoni, sapete, quelli che tutti conosciamo. Insomma, non si ferma mai. E poi altri film: Una canzone per te e Sharm el Sheikh – Un’estate indimenticabile, tutti e due usciti nel 2010. Michela insomma non si fa mancare nulla.

Non solo film

E non è che Michela si è limitata ai film, no no. Ha partecipato anche a videoclip musicali. Vi ricordate L’applauso del cielo dei Lost? Michela è stata la protagonista del video. E qualche anno dopo, nel 2015 eccola nel videoclip della canzone Perché? di Alex Britti. Michela ha sempre voluto mettersi alla prova in diversi ambiti, esplorare altre forme di espressione. Insomma, non si è mai limitata a fare solo l’attrice di film romantici.

Amori, famiglia e decisioni importanti

E poi c’è la sua vita privata, che è stata anche quella molto sotto i riflettori. Michela, dopo una breve relazione con Matteo Branciamore (quello de I Cesaroni, per intenderci), nel 2008 incontra Alberto Aquilani, calciatore della Roma e del Liverpool e poi allenatore. Una di quelle coppie che tutti guardavano con curiosità: belli, famosi, sembravano la coppia perfetta. Nel 2011 arriva la loro prima figlia, Aurora e l’anno dopo si sposano. E nel 2014 nasce la loro seconda figlia, Diamante.

Con la famiglia in crescita, Michela decide di rallentare un po’ con il lavoro e di seguire più da vicino Alberto, che nel frattempo si sposta da una città all’altra per la carriera calcistica. E per un po’, Michela sembra quasi sparire dalle scene. Poi, nel 2020, l’annuncio che non ti aspetti: lei e Aquilani si separano. La fine di un matrimonio che sembrava perfetto ma Michela è sempre stata molto riservata su questa decisione. “Abbiamo sempre messo la serenità delle figlie prima di ogni cosa”, ha detto. E ciò che colpisce è il rispetto che entrambi hanno mantenuto l’uno per l’altra, senza litigi pubblici o drammi inutili.

Una nuova relazione e nuovi inizi

Alla fine del 2020, Michela inizia una nuova relazione con Giovanni Naldi, un imprenditore di una famosa famiglia di albergatori. E qui la storia è quasi da film: Michela e Giovanni si conoscono nella palestra del Parco dei Principi Grand Hotel & SPA, luogo che lei frequenta spesso. Michela racconta di come Giovanni non fosse affatto come tutti gli altri e anzi, all’inizio pensava di presentarlo a una sua amica single! Poi le cose sono andate diversamente. “È una persona piena di valori, qualcuno di cui mi fido ciecamente”, ha raccontato.

Michela, nonostante tutto, non ha mai smesso di concentrarsi sulle sue figlie, cercando di essere una madre presente, pur continuando con la sua carriera. Certo, il cinema non è più al centro della sua vita come un tempo ma Michela si è reinventata in altre forme: sui social, come imprenditrice e come madre. E durante gli anni in cui è stata con Aquilani, è diventata anche una delle più note WAGS ma senza mai perdere la sua identità.

Nonostante la distanza dal grande schermo, Michela rimane una figura molto seguita. Il suo profilo Instagram conta più di 500 mila follower e qui Michela condivide momenti della sua vita, delle sue figlie, dei viaggi e delle sue giornate. Se volete scoprire di più su di lei, è sicuramente il posto giusto. Michela, pur essendo sempre sotto i riflettori, mostra una parte vera di sé, fatta di quotidianità e normalità, senza troppi filtri.

Motivi della separazione? Michela sceglie la riservatezza

La separazione tra Michela e Alberto… tutti si sono fatti mille domande, mille curiosità. Ma Michela, su questo, è sempre stata molto riservata. Non ha mai voluto dire troppo. In una recente intervista, ha detto solo questo: “Abbiamo sempre messo la serenità delle figlie prima di ogni cosa. Non siamo una di quelle ex coppie che si fa dispetti o ripicche. Devo dire che siamo stati entrambi fortunati”. Insomma, parole mature che mostrano una grande consapevolezza e rispetto reciproco. E diciamocelo, non è così comune vedere questo tipo di atteggiamento nel mondo dello spettacolo.

Che cosa ci aspetta ancora da Michela Quattrociocche? Non è facile dirlo ma una cosa è certa: Michela non ha mai smesso di reinventarsi. Attrice, madre, imprenditrice, ha affrontato ogni sfida con grande determinazione. E anche se oggi la vediamo meno spesso sul grande schermo, il pubblico continua a volerle bene. Forse è proprio questo che rende Michela così speciale: il fatto di essere riuscita a restare se stessa, anche quando la vita l’ha portata su strade diverse da quelle immaginate all’inizio. E chissà quali altri capitoli ci saranno per lei in futuro… qualunque cosa succeda, siamo sicuri che Michela ci sorprenderà ancora, con quella sua semplicità che la rende così straordinaria eppure così normale, come ognuno di noi.

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Curiosità

WAGS: significato di Wives And Girlfriends

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WAGS: significato di Wives And Girlfriends

Il termine WAGS – acronimo di Wives and Girlfriends – nasce tra i tabloid inglesi come soprannome per le partner di sportivi di spicco. Dalla prima volta in cui è apparso in Inghilterra, il termine ha conquistato il mondo, rimbalzando da un continente all’altro fino a diventare un fenomeno di costume. Le WAGS sono oggi una vera forza di stile e potere mediatico, un misto di eleganza, carisma e fama che attrae l’occhio di milioni di tifosi. Ogni loro comparsa è uno spettacolo: sotto i riflettori del glamour e del gossip, loro sono le regine delle copertine, veri e propri simboli di tendenza e lusso sfrenato che sanno come attirare attenzione con una battuta, un abito o un’apparizione in tribuna.

Origine e significato del termine WAGS

WAGS, ormai simbolo di lusso e mondanità, ha radici molto più semplici. Nacque durante i Mondiali del 2006, quando i quotidiani britannici iniziarono a definire così le fidanzate e mogli dei calciatori della nazionale inglese. Fin qui, sembrerebbe una trovata giornalistica da quattro soldi, eppure il termine è esploso come un fulmine a ciel sereno. Nel giro di poco, WAGS ha iniziato a rappresentare una sorta di tribù glamour: una corte di donne legate da relazioni con sportivi, visibili e influenti, pronte a calcare le scene non solo come appendici di partner celebri, ma come vere e proprie icone. Un fenomeno sociale e culturale, divenuto sinonimo di stile e tendenza, capace di trasformare un’acronimo semplice in un’etichetta che tutti conoscono, indipendentemente dal Paese o dal contesto sportivo.

L’influenza delle wags sulla cultura calcistica

Negli stadi e fuori dal campo, le WAGS sanno come catturare l’attenzione. La loro presenza non passa inosservata: una sola apparizione in tribuna, e gli occhi sono tutti per loro. Questo fenomeno va oltre il glamour: le WAGS sono diventate vere icone di stile, con ogni loro scelta di moda che detta tendenza, da un vestito mozzafiato a un accessorio audace. La loro influenza, tuttavia, non si limita all’apparenza. Possiamo sicuramente affermare che molte di loro hanno saputo guadagnarsi uno spazio autonomo nel mondo dello spettacolo, della moda e perfino nella beneficenza, usando il loro status per influenzare e promuovere cause importanti. In pochi anni, queste donne hanno trasformato una definizione quasi frivola in un simbolo di potere e personalità, capace di dare luce e stile al mondo calcistico.

Le WAGS italiane più belle e iconiche

Tra le WAGS italiane, ci sono icone di fascino che non lasciano indifferenti. Ilary Blasi, regina indiscussa al fianco di Francesco Totti, è stata ben più che una presenza in tribuna: la sua allure mediterranea e il carisma pungente ne fanno una celebrità di casa, sempre al centro della scena. Michela Quattrociocche – sposata con Alberto Aquilani -raffinata e discreta, incarna invece uno stile sobrio, che riflette l’eleganza pacata di un’altra Italia, lontana dal clamore dei riflettori.

In contrasto, Wanda Nara – sposata con Mauro Icardi – porta tutto all’eccesso: un mix esplosivo di provocazione e controllo, l’ideale per lasciare un segno ovunque vada. Altra presenza potente è Olga Plachina, moglie del campione di scherma Aldo Montano, che incarna l’unione tra lo spirito atletico e il glamour. Dalla Russia con passione, atleta dei 400 metri ostacoli, con Aldo forma una coppia magnetica, un mix di forza e stile, con due figli a suggellare questo legame d’acciaio.

Federica Nargi, compagna dell’ex calciatore Alessandro Matri, è un volto molto amato in TV e sui social, conosciuta per la sua bellezza e il suo spirito vivace, sempre capace di portare luce e simpatia nelle sue apparizioni. Da Velina a influencer, Federica ha saputo costruire una carriera di successo, restando sempre legata al mondo dello sport.

Un’altra presenza carismatica è Melissa Satta, ex partner di Kevin-Prince Boateng. Di origine sarda, Melissa ha iniziato come showgirl e modella, ma è diventata ben presto un’icona del piccolo schermo italiano, consolidando la sua fama con programmi televisivi e apparizioni da opinionista sportiva. Anche lei, come molte WAGS, è riuscita a creare una sua identità pubblica indipendente dalla relazione con il celebre calciatore.

Carolina Marcialis, moglie di Antonio Cassano, rappresenta una delle storie più autentiche e particolari. Pallanuotista professionista, Carolina non ha mai smesso di dedicarsi alla sua passione per lo sport, anche mentre sosteneva la carriera di Cassano. Il loro rapporto è noto per la semplicità e la dedizione, caratteristiche che li distinguono nel panorama spesso più mondano delle WAGS.

Queste donne, ciascuna con la propria personalità, arricchiscono la scena italiana e dimostrano come le WAGS possano andare ben oltre il ruolo di “compagne”, incarnando forza, indipendenza e, spesso, una vera passione per lo sport che affiancano.

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