Intervista esclusiva a Frank Crudele: «Il mio cuore è Italiano e la mia anima è Canadese»
Il nostro ospite di oggi è l’attore di fama internazionale Frank Crudele, nato a Bari da genitori canadesi di origini italiane. Svolge la sua professione in Italia e in Canada spaziando tra televisione, cinema e teatro. Ha recitato nelle fiction “Un medico in famiglia“, “Ho sposato un calciatore“, “Gente di mare” e “Gente di mare 2“, per citarne alcune. Ecco la nostra intervista esclusiva, a cura di Roberto Mallò e con la partecipazione di Sante Cossentino per l’agenzia di stampa Massmedia Comunicazione.
Ti ringraziamo per essere con noi, Frank. Come procede il tuo vissuto?
“Sto passando un’estate abbastanza movimentata, ma allo stesso tempo positiva, dato che sono sempre circondato dal mare dove mi sento a mio agio (sono nato il 27 ottobre, appartengo ad un segno astrologico dell’acqua). Scherzi a parte, in Europa lavoro soprattutto per il cinema e la tv, mentre in Canada ho la mia vita artistica teatrale dove convivo, con la mia compagna spagnola Virginia Perez, in un paesino di nome Roberts Creek che si trova sul mare, esattamente vicino allo stretto di Georgia dell’oceano Pacifico. Per arrivare qui si deve prendere un traghetto di 40 minuti da Vancouver. Per adesso i miei 3 figli universitari vivono nell’altra sponda dello stretto, ossia nella città di Victoria. Dunque, in tempi di Covid non stiamo lontani. A livello professionale sto girando un ruolo divertente per “I Delitti di Barlume” sull’isola d’Elba e per i miei viaggi in Italia da Vancouver faccio sempre stop a Toronto per visitare mia madre, che sta in una casa di anziani e che deve compiere 98 anni. Venendo dal teatro, la più grande soddisfazione, questa estate, è stata comunque preparare una lettura al pubblico della nuova e ultima opera teatrale di Raphael Burdmam; “Whose Gerusalem?” (La Gerusalemme di chi?). Quest’opera ha tre personaggi immaginari del 1191: il re Riccardo d’Inghilterra e capo di una terza crociata a Gerusalemme- il quale catturandola diventerebbe più potente del papa -, il sultano Saladino che per mantenere potere del Califato deve battere re Riccardo a tutti i costi e, infine, un rabbino-medico personale al sultano e Ebreo e mediatore tra questi due. Il soggetto, purché allegorico, tratta la tragedia del conflitto del Medio Oriente non ancora politicamente risolto ai nostri giorni. Per ragioni ovvie dare energia a livello artistico a questo lavoro per me stato molto soddisfacente. Lo scrittore era già molto malato di un serio tumore ed era alla fine dei suoi giorni e, facendo uno sforzo epico per finire l’ultima bozza, giorni dopo è morto”.

Come hai affrontato il periodo legato al lockdown, che ha inevitabilmente “fermato” le nostre vite?
“Non lo dico per vantarmi però, per me, quando succedono cose negative nella vita, è tipico e nelle mie corde riuscire a risolvere intoppi che in tempi normali trovo impossibili. Per esempio, durante il lockdown, senza andare in palestra, mi sono dato l’obiettivo di fare 100 flessioni cinque volte a settimana e di perdere i 5 chili presi in Puglia di focacce, panzerotti e mozzarelle inghiottiti nell’estate del 2020, ossia nel periodo di chiusura estiva mentre giravo la serie “Zero” a Roma, che non erano facili da smaltire per il caldo e per i divieti di camminare fuori liberamente. Al mio arrivo in Canada ho costruito un one-man show del quale non posso ancora parlare perché i diritti sono un po’ complicati. Comunque, farlo come spettacolo è molto meno importante di averci lavorato perché il percorso è sempre più importante del risultato. Ad ogni modo, l’aspetto più importante, che durante il lockdown mi ha salvato dall’impazzire, era avere giornalmente un obiettivo artistico. Boh, forse farò questo one man show solo per amici. Poi se dai un occhiata su Google, il mio paesino si trova in una foresta fluviale circondato da grandissimi alberi e le mie passeggiate giornaliere senza mascherina mi hanno molto aiutato a non impazzire”.
Qual è stato il momento in cui hai realizzato di voler fare l’attore?
“Questo l’ho raccontato recentemente in un’altra intervista. Tecnicamente questo l’ho ammesso a me stesso solo mesi prima del mio ventottesimo compleanno, dopo avere partecipato in un laboratorio dove si valutavano, o meglio si approfondivano, le proprie abilità. A livello inconscio l’ho sempre saputo, però mai permesso di ammettermelo perché da figlio di immigranti, fare l’attore credevo fosse solo per figli di papà. Dunque, come molti ragazzi agli inizi dei vent’anni non sapevo che cosa volevo fa’ ed era normale. Avevo studiato lingue e avevo già quella che oggi chiamano la laurea breve di quattro anni; avevo studiato letteratura italiana, spagnolo e un po’ di francese. Mettevo una bella faccia sfacciata e ipocrita di uno sicuro di quello che voleva fare nella vita e stavo facendo ricerche per una posizione nella zecca canadese per un lavoro di relazioni pubbliche a banche del terzo mondo usando le lingue che conoscevo e viaggiando per il mondo. In verità, sapevo solo di essere infelice nell’interiore e non sapevo veramente quello che volevo fare o diventare. Ero l’unico figlio nella mia famiglia che aveva fatto l’università (mio fratello Vincenzo e mia sorella Maria erano molto più bravi e intelligenti a livello accademico però l’economia e circostanze della vita non gli hanno permesso di studiare) e dunque non potevo fallire. Poi successe il finimondo quando mio padre venne a vedermi nel mio primo spettacolo da protagonista interpretando il pugile Jake La Motta in un opera di teatro “off/alternativo”, la quale era una ripresa di una premiatissima opera fatta a Chicago, però quando mio padre si trovò in un magazzino convertito in teatro per questa opera, il suo sguardo diceva tutto e chiaramente….”E questo si è laureato per venire a fare l’attore qui”?”.

Vi è un particolare insegnamento che porti con te, nel tuo percorso artistico?
“Per questo rispondo brevemente nelle scene è sempre molto più interessante osservare e seguire un attore o attrice arrivare a un obiettivo. Lottare per cercare di arrivare all’obiettivo è l’aspetto più interessante. Dunque, per me, lo stesso discorso o metafora è valida per la vita; è il percorso che ci eccita, quando non si sa come arrivare al risultato. Ho detto anche a un intervista indirizzata a ragazzi e figli delle nuove generazioni di immigranti in Canada, quindi di colore, di sbagliare quanto possibile, di fare tutti gli sbagli possibili perché solo con gli sbagli si impara veramente. Sennò, per un’artista, si direbbe in spagnolo “seria un aburrimiento” – come lo è osservando l’attore che dice solo le sue battute a memoria-voila”.
Ad oggi, quale ruolo non hai ancora avuto modo di portare in scena?
“Tanti, specialmente nei lavori classici di teatro. Però, il tempo sta passando e anche l’energia e alla fine la realtà è che, nonostante il teatro sia sempre il teatro, per me non c’è niente di più eletrizzante che riuscire in una scena scritta da Dio, anche di pochi minuti, per il cinema o la tv. Soprattutto quando si crea la magia con un collega; quando la regia capisce gli attori e li lascia volare”.
Quali caratteristiche conservi delle tue origini italiane e quali dell’essere per metà canadese?
“Mi piace dire questo in inglese: “My heart is Italian and my soul is Canadian”, che non ha bisogno di traduzione. Il mio cuore sarà sempre italiano però, essendo cresciuto dall’età di 10 anni in Canada, ho assorbito anche dei valori che mi permettono di azzardare, o meglio di non essere tanto cinico… perché il cinico conosce sempre il prezzo ma non necessariamente il valore. In tutto il vecchio continente si ha a volte un tipo di atteggiamento dove non vale neanche la pena di provarci nella vita, perché tanto il potente sarà sempre potente e i loro figli avranno sempre le migliori opportunità; e una parte di me li capisce . Ecco in questo io sono forse un po’ ingenuo e diverso, però per scelta. Credo nel lottare per scoprire chi siamo e perché esistiamo. Ai miei ragazzi dico sempre che la vita è come una stupenda e breve festa che finirà prima che se ne rendano conto. Anche se sarà doloroso scoprire chi siamo e perché stiamo qui su questa terra, è meglio farlo perché abbiamo solo un dovere: lasciare questo piccolo pianeta un po’ meglio di come l’abbiamo trovato”.

Chi sono gli attori che ammiri e con i quali ti piacerebbe lavorare?
“Per me sono quelli che hanno fatto ruoli difficili in teatro e che hanno la capacità di fare lo stesso al cinema o tv; che saltano facilmente da uno all’altro. Per questo ammiro tanti miei colleghi canadesi che sono poco conosciuti, a meno che non vanno a vivere negli USA. In Canada non abbiamo una nostra vera industria di cinema con volume che crea un sistema di “star” (a parte nel Québec, dove si lavora in francese e che è purtroppo un cinema troppo poco visto, nonostante qualche eccezione). Gli attori che ammiro con i quali mi piacerebbe lavorare, e che mi vengono al volo in mente (e sono sicuro che fra 5 minuti me ne ricorderò altri), sono l’argentino Riccardo Darin, l’australiano Geoffrey Rush, gli italiani Tony Servillo, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, gli spagnoli Javier Bardem, Elvira Minguez, l’austriaco Christoph Waltz, gli americani John Lithgow, Alan Arkin, gli inglesi Claire Foy, Daniel Day-Lewis e tanti tanti altri. Senza offesa, ovviamente, a quelli con i quali ho già avuto l’onore di lavorare”
Puoi anticiparci qualcosa dei tuoi progetti futuri?
“Per scaramanzia direi di farmi questa domanda fra un mese. Il più tangibile progetto per ora è seguire, oltre la mia compagna Virginia, le mie stelle ossia i miei tre figli: Nicholas, Hanna e Gabriel che, anche se hanno perso la loro mamma nel 2015, sono individualmente brillanti nei loro campi”.

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