Intervista esclusiva ad Agata Reale: «Chloe è la cosa più bella della mia vita»
E’ la conduttrice di The Coach, il talent show in onda su 7 Gold, che si prepara ad andare in scena con la sua quarta edizione, ma il pubblico la conosce soprattutto per essere stata una delle allieve della sesta edizione di Amici di Maria De Filippi. In fondo, Agata Reale non ha bisogno di tante presentazioni, visto che è una delle ex concorrenti più amate dello show di Canale 5. Un percorso artistico, quello della Reale, che oggi fa la conduttrice e la vocal coach, segnato anche da una battaglia contro la leucemia. Agata si è raccontata a noi, attraverso questa intervista.
Intervista di Roberto Mallò, in collaborazione con Massmedia Comunicazione
Ciao Agata, hai raggiunto la notorietà grazie alla sesta edizione di Amici. Che cosa ricordi maggiormente di quel percorso?
“La cosa che ricordo di più di Amici è sicuramente l’incontro con Maria De Filippi e le domande che le ho fatto. Ricordo il suo essere così dolce, tenera e sempre presente per aiutarmi tutte le volte che ero giù di morale. E poi, sicuramente, Luca Zanforlin e la grande squadra di Amici. Sono queste le cose che rammento sempre con grande piacere”.
E se ti dico Alessandra Celentano?
“Se mi dici Alessandra Celentano, preferisco sorridere perché, sicuramente, non è un ricordo bello. Sono passati tanti anni e va bene, ma non è di certo una cosa bella che ricordo, a differenza di quelle che ho elencato prima. Mi vengono in mente l’incoerenza e tante cose che, ancora oggi, mi porto dietro di questa persona”.
L’Amore per la danza in che modo è cominciato?
“La mia passione per la danza è cominciata moltissimi anni fa. Ero piccolissima, avevo cinque anni. Inizialmente, mia madre mi iscrisse a ginnastica artistica, ma non ero in grado. Tra l’altro, scoprii di avere il piede piatto e l’ortopedico mi disse che non potevo ballare, né fare la ballerina… o che, comunque, sarebbe stato difficile. Ma a me piacevano i tutù, le scarpette e, quindi, mia madre mi iscrisse a danza, perché quando vedevo ballare qualcuno in televisione lo facevo anche io. La mia passione è iniziata così. In seguito, è diventata la mia vita. Non c’erano giornate dove non andavo a scuola di danza. E’ un percorso dove ci sono state tante rinunce e tanti altri fatti per inseguire un sogno. E’ stato tutto molto bello, anche se molto difficile”.
Hai poi smesso di fare la ballerina, come mai?
“Qui devo parlare di una situazione particolare successa prima di Amici. Ho scoperto di avere un problema di artrite. Ero arrivata ad uno stadio un po’ difficile. Dovevo pensare se fare un intervento all’anca, perché avevo dei problemi. Il medico mi disse di riguardarmi, visto che i tempi da ballerina erano tosti, per via dei loro sforzi e così via. Iniziai quindi con delle terapie, ma la situazione non migliorò. Ad un certo punto, come ultima spiaggia, provai a fare il casting di Amici e, fortunatamente, andò bene e mi presero. In pratica, ho solamente posticipato il mio fermarmi come ballerina. Dopo il musical di Costanzo, a tre anni da Amici, ho avuto la botta finale, ossia un problema alle vertebre del collo. Dovevo fare un’operazione ma, visto che ho delle allergie importanti ai medicinali, il rischio era quello di avere un rigetto. Per paura di dover fare l’intervento e avere il rigetto, ho dovuto così prendere una decisione abbastanza traumatica: abbandonare la danza”.
Sei anche una vocal coach. Quando è nata in te questa passione?
“Esatto. Sono una vocal coach. Ho sempre amato l’arte in generale. Ho studiato canto e recitazione, anche se la danza è stato il mio primo amore. Per il canto ho sempre avuto una passione, ma non aveva mai avuto il coraggio, finchè non ho cantato pubblicamente ad Amici. Dopo che ho lasciato la danza, ho iniziato un percorso. Mi sono chiesta, quindi, che cosa potessi fare. In principio, ho insegnato danza ma, a causa dei problemi che ho esposto prima, stavo spesso male. Sono una persona che, se fa una cosa, la deve fare bene, altrimenti non la porta avanti direttamente. Se dovevo mostrare ai ballerini determinate cose, dovevo farle bene. Mentre, invece, rischiavo continuamente di stare male anche quando insegnavo. A un certo punto, interrogandomi su cosa mi piacesse fare, ho pensato al canto. Un giorno Maria mi disse: ‘Non è che tu sei proprio così brava a cantare’. La presi come sfida: dovevo dimostrarle che riuscivo anche a cantare, che non ero così male come lei mi stava dicendo. Iniziai a studiare per me, per poi cantare alle serate. Ho così scoperto un mondo bellissimo, dove ho fatto dei corsi per svolgere il ruolo di vocal coach. Mi sono innamorata di un mestiere, che adesso è il mio. Oltre la conduttrice, faccio questo. E ho avuto tantissime soddisfazioni: alcuni dei miei ragazzi sono stati a Ti Lascio Una Canzone, a Io Canto, a X Factor, a The Voice. Ho avuto tra gli studenti una vincitrice di Sanremo Young. Ho avuto tante soddisfazioni con i miei allievi”.
Da diversi anni sei la conduttrice del talent show The Coach, in onda su 7Gold. Che tipo di esperienza è?
“Esatto, conduco The Coach dalla prima edizione. Sono molto contenta di questa esperienza. Non posso dire che è nata per gioco, perché quando mi butto in una cosa mi piace farla bene, ma il casting come conduttrice è stato un po’ così. Mi fa sorridere l’incontro. Contattai la produzione, che nemmeno conoscevo, per far partecipare i miei allievi. Quando vennero a fare i casting, a scuola da me, mi proposero quindi di presentarmi come coach, perché comunque conoscevano il mio percorso artistico. E io spudoratamente, esattamente come sono fatta, ho detto: ‘No, al massimo faccio la conduttrice, mica posso fare il coach’. Ovviamente, scherzando e ridendo per il carattere che ho, non perché sono una che se la tira. Al che, il produttore mi ha risposto: ‘Guarda, abbiamo già la conduttrice, ma fammi vedere qua: facciamo un provino live’. Mi ricordai di quello che mi spiegò al telefono mesi prima del talent, con mia figlia appena nata che piangeva, e gli riproposi la spiegazione di The Coach nel provino. Per questo definisco il mio inizio nel programma come un gioco. Ed è iniziato tutto così: si sono fidati e affidati a me. Oggi sono la padrona di casa, come loro mi chiamano. Sono molto contenta, perché sono diventata da tre anni anche autore del programma. E’ molto bello: ci sono tante dinamiche. Non ho copione, non preparo nulla, ma faccio tutto real-talent. Mi piace non seguire sempre un qualcosa. Non sappiamo mai che cosa accade tra i concorrenti che si esibiscono: a volte uno si scorda un testo, un altro cade. Personalmente, non conosco nemmeno i coach che partecipano, se non quando arrivano sul palco, in studio. E’ bello perché non conosco le reazioni, non so i loro caratteri. Inoltre, faccio un corso motivazionale, dove conosco le persone, oltre che gli artisti”.
Qualche mese fa, è uscito T Pens, il primo singolo di tuo fratello Giuseppe. So che anche tu hai avuto un ruolo in questo nuovo progetto. Quale?
“Proprio così. T Pens è il primo inedito di mio fratello Giuseppe. In realtà, è stata una sfida: spesso ci sono dei pensieri un po’ strani, soprattutto nella mia terra siciliana, sui brani neomelodici o classici napoletani. Vengono sempre visti come di seconda categoria. Ho quindi voluto utilizzare mio fratello, e non i miei allievi, per capire che non c’è un genere di prima, seconda o terza categoria. La musica è bella tutta, se fatta bene. Mi sono calata nella direzione e sceneggiatura del video. Ho scelto gli attori. Questo è stato il mio ruolo”.
Chi è Agata Reale nella vita di tutti i giorni? Cosa fa quando può ritagliarsi un po’ di tempo per sé?
“Chi è Agata nella vita di tutti i giorni? E’ una diversamente giovane, come dico io. Ho 36 anni, ma me ne sento forse 20, 24 al massimo. Credo di essere rimasta a quell’età. Sono una diversamente giovane che, adesso, amo ancora di più la vita, la sua famiglia, mia figlia Chloe, mio marito che è il mio compagno di vita, un amico, che è tutto. Amo mia madre, mio padre e mio fratello. Sono una persona molto semplice, amante della famiglia. Vado in giro come mi pare. Non sto lì a badare al trucco, alla borsa, a come sono vestita. Anzi, quando mi vedono sul palco non mi riconoscono, perché vado spesso in giro senza trucco. Ho imparato una filosofia di vita: stare bene. Per il resto, so che la gente mi giudicherà sempre. Preferisco la comodità all’apparenza. Non posso dire di essere buona, perché questo devono farlo gli altri, ma mi ritengo altruista. Nel mio piccolo, cerco sempre di aiutare gli altri, di fare del bene appena posso e quando posso. Sono sempre disponibile e al servizio degli altri. Questa è Agata. Per quanto riguarda il tempo libero, è difficile: sono un’amante del lavoro. Non riesco a stare ferma un attimo. Per lavoro non intendo soltanto la conduzione o i miei impegni da vocal coach. Anche a casa, adoro cucinare e fare un po’ di tutto. Se c’è da fare una festa mi metto a curare tutto l’allestimento. Mi piace proprio fare. A differenza del non fare, che mi spaventa. Cerco di ritagliarmi il tempo, trovandomi sempre qualcosa da fare. In caso contrario, ho paura e la situazione mi deprime. Nel tempo libero, comunque sia, sto con mio marito e mia figlia. Magari facendo qualcosa, eh, ma con loro è tutto migliore”.
Hai qualche sogno o progetto futuro?
“Partiamo dai sogni. Una volta erano diversi. Adesso, dopo la mia malattia, devo dire che il mio sogno più grande è quello di poter continuare a vivere, di veder crescere mia figlia. A livello lavorativo, mi piacerebbe tanto far vedere realmente cosa so fare, chi sono, quanto mi piace lavorare e quanto amore ci metto in quello che faccio. Progetti futuri, ovviamente, ce ne sono. Un po’ per scaramanzia ho imparato a parlarne poco. In linea di massima, mi piacerebbe poter portare la mia esperienza e farla arrivare a un pubblico piuttosto vasto”.
Da tempo stai lottando contro la leucemia. Immagino non sia un percorso facile…
“Non è facile andare avanti. Una malattia del genere ti cambia la vita: ogni tre mesi fai l’agoaspirato, hai l’ansia che possa ritornare, devi aspettare cinque anni per capire come procede. Hai un se continuo in testa: cosa faresti se dovesse tornare, se dovesse accadere questo o l’altro. Spero sempre che il mio ‘se’ duri tantissimi anni. Non vedo l’ora che passino dieci anni, che finisca tutto questo percorso perché voglio stare tranquilla e vivermi tutto serenamente. Anche se, purtroppo, non sarà più così perché la leucemia ti cambia la vita. Conosco tante persone che hanno la mia malattia, che l’hanno avuta, e quando si parla di malati oncologici è sempre tosta. Spesso sorrido, vado avanti e faccio finta di non avere avuto mai nulla, nonostante le chemio, che ancora continuo a fare, la perdita di capelli, il corpo che cambia. Nella vita si va avanti, si sorride. Io l’ho presa un po’ così. In reparto, da me, mi dicono che sono la madrina, la mascotte, un esempio da seguire. In realtà, ho solo voglia di vivere, di veder crescere mia figlia, di vederla sposarsi e avere dei figli; vorrei diventare nonna. La mia forza deriva da questo. Se non avessi avuto mia figlia, forse sarebbe stato molto diverso. Forse non avrei avuto tutta questa voglia di vivere, di lottare, di stare bene, che è quello cerco di fare tutti i giorni. Non c’è stato un giorno in cui io abbia detto che stavo male, nonostante fossi a un passo dalla morte, per via della leucemia fulminante. Il rischio di un’emorragia celebrale, nei primi 15 giorni, era molto alto. Quando arrivai in ospedale, mi è stato detto che, se li superavo, potevo stare bene. Abbiamo pregato. E’ stata tosta, è arrivata a ciel sereno. Ma siamo qui, ne stiamo parlando in questa intervista perché ci sono ancora. Sorrido e vado avanti.
Abbiamo già citato Chloe, tua figlia. Che rapporto hai con la tua bimba?
“E’ favoloso. Le dico sempre: ‘Giurami che ti ricordi che mamma ti vuole tanto bene’. Glielo faccio promettere. Farà cinque anni il 23 settembre. E’ una piccola peste, alcuni la definiscono una ‘mini-me’. Vuole fare la fashion blogger, la conduttrice. Canta, balla e fa tutto. Su alcuni aspetti, è davvero una ‘mini-me’. E’ la cosa più bella della mia vita. Per ogni mamma, i figli sono pezzi di cuore. E’ il mio motore, la benzina, per andare avanti in questa grande battaglia. E’ la mia vita. Cantiamo insieme, ogni tanto balliamo, giochiamo e scherziamo. Spero di vivermela ogni giorno di più”.
Interviste
Intervista esclusiva ad Alberto Rossi: «Con la paternità un...
Alberto Rossi. Livorno. Un ragazzo con un sogno gigantesco e il coraggio di seguirlo fino in fondo. Fin da giovane, si buttava a capofitto nel mondo dello spettacolo, come chi sa che quella strada è la sua e non c’è un piano B. A soli 25 anni era già sotto i riflettori, con il debutto in “Un posto al sole” che l’ha reso un volto amato da milioni di italiani. Eppure, Alberto è un uomo che si reinventa, che esplora, che cresce.
La paternità – con Ada – ha cambiato tutto. È come se l’amore per sua figlia gli avesse aperto nuovi orizzonti, spingendolo a vedere la vita da una prospettiva più profonda, più vera. Poi c’è il mare, la vela, il tennis. La voglia di navigare, di scoprire, di confrontarsi con sé stesso. E il teatro? Sempre nel cuore, come un amore mai dimenticato. In ogni progetto, in ogni battuta, c’è una parte della sua anima. E quando parla di futuro, non è solo lavoro: è curiosità, è passione, è quella luce negli occhi di chi ha ancora tanto da dare e da scoprire.
La nostra intervista esclusiva
*Foto di Giuseppe D’Anna
Ciao Alberto, benvenuto su Sbircia la Notizia Magazine! Qui ci piace andare oltre la superficie, scavare davvero dentro la tua storia. Vogliamo parlare dei sogni, dei successi, delle paure, delle sfide che ti hanno trasformato nell’uomo e nell’artista che sei oggi. Il tuo percorso ha attraversato il cuore dello spettacolo italiano, lasciando segni indelebili. Tu sei un racconto che merita di essere ascoltato, pezzo dopo pezzo, emozione dopo emozione. Oggi siamo qui per raccontare questo viaggio insieme a te.
Dopo aver conseguito il diploma all’Accademia “Silvio d’Amico”, hai debuttato in “I ragazzi del muretto” solo due settimane dopo. C’è stato un momento in cui hai realizzato l’impatto che questo rapido inizio avrebbe avuto sulla tua carriera o tutto è accaduto così velocemente da sembrare quasi surreale?
“Surreale no, perché dentro di me, in un certo senso ci speravo e me lo aspettavo. Avevo sempre e solo voluto fare quello che stavo riuscendo a fare e si stavano materializzando tutti, non solo i miei sogni, ma anche le aspettative e i desideri.”
Il tuo primo film, “L’olio di Lorenzo”, è stato un progetto internazionale diretto da George Miller. Come ha influenzato la tua visione dell’industria cinematografica italiana ed estera iniziare la tua carriera cinematografica in un contesto così globale?
“Beh, è stata un’esperienza su un set da Formula 1… difficile trovare così tanto spiegamento di mezzi su un film italiano…”
Interpretare Michele Saviani per oltre 25 anni ti ha permesso di crescere insieme al personaggio. In che modo la tua evoluzione personale ha influenzato Michele? Ci sono aspetti del personaggio che hanno a loro volta plasmato te come individuo?
“No, nella maniera più assoluta no! Michele rimane in camerino quando ne svesto i panni.”
Nel 2006 hai diretto alcuni episodi di “Un posto al sole”. Come ha arricchito questa esperienza la tua comprensione del processo creativo? C’è qualcosa che hai scoperto sul set che ti ha sorpreso come attore-regista?
“Volevo tantissimo fare quell’esperienza. E quando finalmente ci sono riuscito, è stato un po’ come coronare un’altra conferma di ciò che sentivo di avere e di poter comunicare in altro modo e forma.”
La tua partecipazione a “Notti sul ghiaccio” ha mostrato un lato di te inedito al pubblico. Quali sfide hai affrontato nel padroneggiare il pattinaggio artistico? C’è qualche lezione che hai portato con te nel tuo lavoro attoriale?
“Mah no, era tutto un altro contesto. Anche lì era Formula 1, Milly Carlucci, Rai 1, prima serata… poi tante botte, tanti lividi, tanta fisioterapia dopo… però bellissimo, magico.”
Il tatuaggio con il nome di tua figlia Ada è un gesto d’amore visibile a tutti. Come la paternità ha influenzato il tuo approccio alla vita e alla professione? In che modo questo nuovo ruolo ha arricchito la tua espressività artistica?
“Con la paternità un uomo finalmente diventa tale. Fino a quel momento non puoi percepire in tutt’altro modo la vita. Tutto diventa entusiasmo, paura, bellezza, crescita, magia… non si può definire la paternità… poi di una figlia femmina…”
Sei appassionato di tennis e vela, sport che richiedono concentrazione e armonia con l’ambiente. Vedi delle similitudini tra queste discipline e la recitazione? Come contribuiscono al tuo equilibrio personale e professionale?
“È sport, la vela significa mare, acqua, quindi il nostro inconscio, sul quale mi piace navigare (son figlio di un ammiraglio). Il tennis è disperazione, solitudine, analisi, tostissimo ma bellissimo. Soprattutto da vedere, poi ora con Sinner e company….”
Hai avuto la fortuna di lavorare con un maestro come Pupi Avati, su progetti intensi e pieni di significato come “I cavalieri che fecero l’impresa” e “Il signor Diavolo”. Raccontaci: cosa ti è rimasto di quelle esperienze?
“Due belle esperienze con un maestro. Per scavare ancora un po’ più a fondo le mie capacità.”
Ci sono opere o personaggi che sogni di interpretare per esplorare nuove dimensioni della tua arte?
“Dopo che per più di 30 anni dai Ragazzi del Muretto ad Upas, mi piacerebbe interpretare un personaggio demoniaco, malefico, al limite dello splatter come quelli della serie Monster.”
Essendo una presenza costante in “Un posto al sole” sin dal suo inizio, hai vissuto l’evoluzione della televisione italiana. Come percepisci i cambiamenti nel modo di raccontare storie in TV e quale pensi sia il futuro delle soap opera nel panorama mediatico attuale?
“Ma il futuro siamo solo noi, siamo stati i primi e siamo ancora lì… siamo passato, presente e futuro…”
In un mondo dominato dai social media, mantieni un equilibrio tra condivisione e privacy. Come gestisci la relazione con i tuoi fan attraverso piattaforme come Instagram? Quale ruolo credi che i social abbiano nel rapporto tra attore e pubblico?
“Mi divertono, li frequento parecchio ma non ne abuso.”
Guardando al futuro, c’è un ambito artistico o un progetto inedito che vorresti esplorare, magari al di là della recitazione, come la scrittura, la produzione o una nuova forma di espressione creativa?
“Con la produzione ho dato e non credo che ripeterò l’esperienza. Mi sono scottato troppo, per il resto si vedrà….”
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Interviste
Intervista a Nadia Carbone, event manager e direttrice...
A cura di Laura Solimene
Tra le figure professionali più ricercate e affermatesi negli ultimi anni, quella dell’EVENT MANAGER ricopre sicuramente un ruolo fondamentale nel settore degli eventi ancorché, probabilmente, non tutti ne conoscano ancora le numerose e svariate sfaccettature. Cominciamo col dire che un Evento, al contrario di quanto molti pensano, non è solamente un momento di svago, ma fa parte di una vera e propria strategia di marketing aziendale volta ad aumentare la consapevolezza del brand e persino ad acquisire potenziali clienti.
Un evento ben pensato, ben organizzato e ben strutturato, infatti, porterà alla realizzazione di una grande varietà di benefici: a partire dalla creazione di valori fino alla generazione di profitti e nuovi flussi. Uno strumento complesso e articolato che però richiede un’organizzata pianificazione, gestione e coordinamento di competenze diverse, oltre a tanta creatività.
Ecco perché è fondamentale per un’azienda non improvvisare ma affidarsi a professionisti del settore: un event manager è infatti la scelta vincente per tutte quelle società e realtà che desiderano ottenere il massimo da un evento, senza che alcun dettaglio sia trascurato. Ma in cosa consiste esattamente l’event planning e soprattutto cosa fa in pratica un bravo event manager? Per saperne di più ed approfondire l’argomento, abbiamo raggiunto e intervistato la pugliese NADIA CARBONE, fondatrice e direttrice artistica del GENERATION FILM FEST, e con all’attivo oltre 10 anni di esperienza nel settore EVENTI, per farci raccontare i retroscena di una figura professionale che spesso opera dietro le quinte.
Benvenuta, Nadia. Da quanti anni lavori nel settore degli eventi e quando hai capito che avresti potuto fare della tua passione un lavoro?
“La mia è un’esperienza che dura da oltre 10 anni. Nel 2012, durante il Premio Noto all’eccellenza del M° Adriano Pintaldi, io ero l’inviata per un’emittente televisiva locale e fu lo stesso Pintaldi a chiedere al direttore del canale televisivo di farmi presentare le serate sul palco. In seguito mi riconfermò nelle successive edizioni 2013/2014, permettendomi di affiancarlo anche nell’organizzazione e dandomi la possibilità di dialogare e premiare grandi icone del cinema italiano come Giancarlo Giannini, Lina Wertmuller, Pupi Avati ed Enrico Vanzina. Ho capito, fin da subito, che quell’esperienza sarebbe stata solo l’inizio di un cambiamento nel mio percorso artistico!”
Ritieni che, oggi, ci si possa ancora improvvisare “organizzatore di eventi”?
“In generale, credo che nessuno possa svegliarsi al mattino e decidere di svolgere un lavoro senza avere la giusta preparazione o esperienza. Premesso ciò, mi dispiace dire che invece, purtroppo, nel mio settore, è all’ordine del giorno improvvisare! Sono tutti organizzatori, registi, attori, scrittori…”
Sei giovane, tuttavia hai già numerosi eventi (di successo) nel tuo bagaglio professionale…
“Esatto! Il primo grande evento nel quale decisi di mettermi in gioco ‘autonomamente’ fu il Gran Galà della Cultura, nel 2014, senza dubbio un duro banco di prova. In quel periodo studiavo anche ideazione, organizzazione di eventi e show televisivi con il Dir. Rai Carlo Orichuia, grazie al quale – e in aggiunta agli insegnamenti del M° Pintaldi, – compresi tutto ciò che un libro o degli appunti possono solo fare immaginare. Si trattava di un lavoro commissionato dall’Archeoclub -Oria, una grande soddisfazione per me portare a termine due edizioni con ospiti del calibro di Lino Capolicchio, Sandra Milo, Monica Setta, Maurizio Casagrande, Sebastiano Somma e molti altri… Negli anni successivi ho poi spaziato con svariati generi di manifestazioni: musicali, sociali ed editoriali, spesso subentrando come produttrice oltre che a curarne la direzione artistica.”
In quale tipologia di eventi ritieni di essere più specializzata o di annoverare più esperienza?
“Sicuramente in quelli culturali, inerenti all’arte, alla letteratura e al cinema in particolar modo, in quanto mi permettono di dare spazio e voce anche al mio lato artistico. Il mio ruolo, naturalmente, muta in base al genere di manifestazione e alla tipologia di cliente, è chiaro che occorre un’organizzazione e un iter burocratico differente per ciascun singolo settore. Ad ogni modo, che si tratti di un evento sociale, politico o relativo allo spettacolo, il focus è portare a casa l’obiettivo che ci si prefigge.”
Quali sono le maggiori difficoltà incontrate nel tuo percorso come direttrice artistica?
“L’essere giovane e, al contempo, donna. Sai, a volte mi sono ritrovata a far fronte a situazioni imbarazzanti. Quando mi ritrovo davanti a clienti o fornitori, o anche collaboratori, non è raro sentirmi dire: ‘Ah, ma sei giovanissima!’ oppure ‘Una donna, complimenti!’ o ancora ‘Per chi lavori?’. E quando rispondo: ‘In realtà sono io che ti pago!’, spesso leggo nei volti altrui diffidenza o anche solo stupore. Purtroppo, soprattutto al sud, esiste ancora quel sottile maschilismo, figlio dell’ignoranza e del patriarcato. Tuttavia, non mi sono mai lasciata intimorire o scoraggiare e, oggi, posso dire a testa alta di essere l’artefice di tutto ciò che ho creato. E non è poco!”
Ci spieghi perché è così importante che un’azienda scelga di puntare sugli eventi per promuovere il proprio brand?
“Gli eventi, da sempre, sono una cassa di risonanza per le aziende, ecco perché è fondamentale curarne tutti i dettagli: dalla promozione al valore sociale. Sponsorizzare un evento, inoltre, è un’opportunità per i brand di ampliare la visibilità e rafforzare la propria immagine utilizzando il contatto diretto con il pubblico. È una strategia che, se ben studiata, può portare benefici duraturi come quello di instaurare partnership di lungo termine e aumentare il fatturato.”
Quali doti indispensabili dovrebbe avere un bravo organizzatore di eventi?
“Sicuramente la pazienza, la tenacia e la capacità di problem-solving. Inoltre è importante creare un ambiente di lavoro sereno e propositivo, chi svolge la mia professione ha il dovere di motivare e rispettare qualsiasi ruolo all’interno dello staff: si potrà pur essere il motore di una grossa cilindrata, ma senza gli altri pezzi non si corre da nessuna parte! Personalmente, nel team, sono una che preferisce ‘agire’, dando il buon esempio, piuttosto che impartire ordini.”
Tra tutti gli eventi da te organizzati, qual è quello che ti rende più fiera?
“Senza ombra di dubbio il GENERATION FILM FEST, il mio brand, e sottolineo ‘MIO’. Ho ideato questo format cercando di riportare tutto il mio bagaglio formativo ed esperienziale. Racconto il cinema italiano, la sua storia fino ai nostri giorni, attraverso ospiti, incontri, proiezioni e mettendo a confronto le varie generazioni. Da qui, ho dato inoltre vita ad una serie di eventi collaterali, come masterclass, workshop e la realizzazione di un cortometraggio che vedremo nel 2025. Senza nulla togliere a tutti gli altri eventi, il GFF è senza dubbio il progetto più importante e difficile da organizzare e portare avanti nel tempo, in termini di risorse ed energie.”
Ci sveli qualche tuo progetto in corso d’opera?
“Proprio in questi giorni sono in piena fase organizzativa di un evento che si terrà in primavera a Lugano e che vedrà protagonista il Luxury Magazine POPULAR (edito da Resalio Produzioni). Sarà un evento che farà parlare molto, non solo per i numerosi successi ottenuti durante il primo anno di vita del magazine, ma anche per gli ospiti che ne faranno parte, tra imprenditori, case nobiliari e artisti. È la prima volta che organizzo un evento fuori dall’Italia, spero possa essere il primo di una lunga serie!”
Esiste ‘il progetto’ nel tuo cassetto dei sogni da realizzare?
“Io non sogno un solo progetto/evento in particolare, ma tanti, tantissimi… forse anche troppi! (ride, ndr)”
Nadia, salutandoci, dove e come ti vedi tra dieci anni?
“Mi piacerebbe tramutare in realtà tutto ciò che scrivo. Creare arte è certamente ciò che mi rende felice, non desidero altro. Ovviamente mi piacciono le evoluzioni e anche gli ardui obiettivi da raggiungere, per cui, sono certa che fra dieci anni, se mi intervisterai nuovamente, avrò ancora molto altro di cui raccontare!”
Interviste
Intervista a Nicol Angelozzi, dal set a Madrina del Catania...
Nicol Angelozzi è un’attrice emergente dal talento e dalla determinazione straordinari. Nonostante la giovane età, ha già conquistato ruoli importanti, arrivando al pubblico televisivo con la serie Confusi, disponibile su RaiPlay, in cui ha interpretato un ruolo da protagonista. Ora è pronta a ricoprire il prestigioso ruolo di Madrina al prossimo Catania Film Fest, evento di spicco nel panorama del cinema indipendente.
In questa intervista, Nicol condivide la sua passione per la recitazione, i sogni ed i progetti che la attendono nel futuro.
Nicol, sei giovanissima ma hai già fatto passi importanti nella tua carriera di attrice, come ad esempio il ruolo da protagonista in Confusi. Come è nata questa passione per la recitazione e cosa ti ha spinta ad intraprendere questa strada?
“Da quando ero piccola ho sempre amato il mondo dello spettacolo. Ricordo che appena trovavo una spazzola in giro per casa, la prendevo e iniziavo a cantare, ballare e ad inventare storie. A scuola, non perdevo occasione di partecipare alle recite; ero sempre in prima linea. Da lì ho capito che quello poteva essere il mio mondo. La recitazione mi rende viva e mi fa provare emozioni intense. Per questo, mi impegno ogni giorno con tutta me stessa per inseguire il mio sogno.”
Sarai la Madrina della prossima edizione del Catania Film Fest, che si terrà dal 13 al 17 novembre 2024. Cosa significa per te questo ruolo e quale contributo speri di portare al festival?
“Sono molto emozionata di poter ricoprire un ruolo così importante, tornare nella mia città Catania e aprire le porte del festival. Spero di portare tanta freschezza e gioia, e di contribuire al successo di questo evento che valorizza il cinema indipendente.”
Il Catania Film Fest è un importante evento per il cinema indipendente. Secondo te, qual è il valore di questi festival per i giovani attori e per l’industria cinematografica in generale?
“Ieri in un’intervista dicevo che i festival avvicinano le persone al mondo del cinema e permettono di approfondire le proprie conoscenze. Avere l’opportunità di vedere film che in sala sono spesso difficili da trovare è un’occasione preziosa. Tantissime scuole ed università parteciperanno al programma del festival, e questa adesione mi rende molto felice.”
Guardando alla tua esperienza professionale, c’è un ruolo o un progetto che consideri particolarmente significativo nel tuo percorso?
“Sicuramente il ruolo di Maria Grazia in Confusi mi ha segnato particolarmente. Avere la possibilità di interpretare un personaggio per un mese intero è una sfida bellissima: ti permette di creare e cucirti il personaggio addosso, di viverlo davvero dall’inizio alla fine.”
Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Ci sono dei progetti di cui purtroppo non posso ancora parlare, ma che saranno molto entusiasmanti. Soprattutto, continuerò a studiare ed a formarmi, perché credo che lo studio faccia davvero la differenza in questo mestiere.”
Quali attori o registi ti ispirano di più nel tuo lavoro, e con chi sogni di collaborare in futuro per continuare a crescere professionalmente?
“Mi piacerebbe interpretare un ruolo action, magari sullo stile di Lara Croft—sarebbe davvero divertente! Vorrei lavorare con Ferzan Ozpetek, per la sua grande delicatezza nella narrazione. Spero di avere la possibilità di esplorare sempre di più in questo mestiere, passando dalla recitazione alla televisione, o anche alla radio.”